Aveva la maledizione di aprire la bocca e far uscire da questa crudeltà indicibili. 
Aveva il talento di riuscire a sbagliare sempre l'approccio con Adrien, di far indispettire sempre quella bisbetica di Alya, di socchiudere le labbra e di ritrovarsi, ogni volta, a scagliare una freccia su Marinette. 
Chloé non lo sapeva nemmeno, come le riuscisse, come funzionasse quella sagacia addetta a mutilare e ferire gravemente. 
Succedeva e basta.
La medusa spruzza il veleno come meccanismo di difesa, non perché cattiva; l'ape non punge perché crudele, ma piuttosto perché alla possibilità di farsi uccidere preferisce morire combattendo. 
Darwin l'aveva spiegato bene, con la storia della selezione naturale e del principio di adattamento.
Alcuni individui presentano caratteri che offrono un vantaggio di sopravvivenza.  
E la natura l'aveva avvantaggiata con la sua predisposizione al comando e una lingua così biforcuta che da sola sarebbe bastata a ferire mezza Parigi, a proteggerla da quelle persone estranee al suo piccolo branco elitario, alla sua stretta, stretta cerchia.
Le veniva naturale essere quello che era, il tesoro di papà, il terrore del Collège Françoise Dupont e l'ape regina di un alveare mezzo vuoto.

E le veniva naturale anche piangere tra le mura dorate del suo bagno quando un nuovo soprannome si aggiungeva alla lunga lista stilata dai suoi compagni di classe alle sue spalle, ma a quello nemmeno il biologo più illustre aveva fatto un accenno.

La verità è che per quanto portata all'estremo, Chloé è un personaggio realistico e a tratti comprensibile, quindi non mi viene da condannarla.
È diabolica, spesso, ma è cresciuta da figlia unica e sola, immersa nel lusso e nel vizio, non sa rapportarsi a gente che non è in una posizione sociale più bassa della sua.
Non ha amici, non ne ha mai avuti e non ha la più pallida idea di come ci si debba comportare per farsene.
Immagino sia triste, per quanto lo dimostri poco.