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Autore: Alexa_02    31/01/2018    1 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Julianne

 

 

Il bagno delle ragazze puzza di profumi da donna mescolati e disperazione. Una perfetta combinazione che descrive la mia attuale situazione. Sono seduta a gambe incrociate sulla tazza del cesso e sto frugando nella borsa alla ricerca di delle caramelle alla cannella. Ho una fame del diavolo e il mio pranzo, che tra l'altro avevo già pagato, è spiaccicato sul pavimento della mensa insieme al mio orgoglio. Durante la mia ritirata da codarda vorrei essermi portata dietro il vassoio.

La porta cigola e qualcuno varca la soglia. I passi rimbombano sulle mattonelle e contro le pareti. Smetto di rovistare e trattengo il fiato.

“Julianne?” la vocina preoccupata di Chastity risuona per tutto il bagno. “Sei qui?”.

Lascio cadere i piedi sul pavimento e apro la porta di plastica del cubicolo. “Sì”.

I suoi occhioni grigi si rabbuiano. “Mi dispiace così tanto! Ho provato ad avvisarti, ma era troppo tardi. Quando ho saputo cosa voleva fare, eri già in mensa. Non mi considera abbastanza importante da condivide con me i suoi orrendi piani. Se lo avessi saputo prima...” sospira “Scusami”.

“Non è colpa tua. Avrebbe fatto il suo annuncio pubblico in ogni caso. Se non oggi allora domani, sarebbe successo comunque” scrollo le spalle “Non fartene una colpa”.

Si mordicchia un labbro con aria preoccupata ma annuisce. “Ti ho portato questa” infila la mano nella borsa e ne tira fuori una mela rossa e lucida “Scommetto che hai fame”.

“Grazie” afferro la mela e la metto nello zaino. La fame nervosa è passata e ha fatto spazio alla preoccupazione. “Sai come ha fatto a scoprirlo? Dovrebbe essere un'informazione riservata”.

“Non ne ho idea. Fino a due giorni fa sbatteva la testa contro il muro in cerca di qualcosa con cui farti del male. Non so proprio quando ha scoperto quella cosa”.

Non mi sfugge affatto il modo con cui pronuncia quella e l'espressione curiosa che le adorna il viso. “Se non hai altro da dirmi, puoi andartene. Sono chiusa in questo schifo di bagno per evitare che la gente mi guardi in quel modo”.

Si stringe le braccia al petto e distoglie lo sguardo “Scusa, è che...”

“Vorresti sapere” scuoto la testa “Le persone fanno davvero schifo. Giudicano ma voglio comunque saperne i dettagli. È patetico”.

“Non ti sto giudicando” si difende.

“Invece sì. Dimmi cosa stai pensando, senza peli sulla lingua” la sprono.

Chastity si stringe nelle spalle e mi guarda dritto negli occhi. “Non me ne frega nulla di quello che hai passato. Non siamo amiche per la pelle o altro. Siamo socie in un piano di detronizzazione, niente di più. Non voglio nessuna spiegazione, voglio solo sapere se ci stai ancora con il nostro accordo”.

Wow.

Non me lo aspettavo. Questa ragazza è una sorpresa continua. “Sì, ci sto”.

“Ottimo, perché ora è il nostro turno di attaccare e noi saremo anche più cattive di Giselle” assicura.

“Non credo sia possibile”.

“Lo sarà. Le faremo male e la guarderemo sanguinare, proprio come lei ha fatto con te”.

Mi piace il suo sguardo determinato. “Va bene. Cosa proponi?” domando.

Chastity sguaina un sorrisetto perfido. “Per prima cosa scopriamo come ha saputo del tuo passato e poi noi indagheremo sul suo. Tutti hanno degli scheletri nell'armadio, credimi”.

“D'accordo” affermo.

Ridacchia. “Vado a mettermi all'opera. Se hai bisogno di me, scrivimi”.

“Certo”.

Sorride e scappa fuori.

Resto seduta sul water a mangiare la mela finché qualcun altro entra nel bagno.

“Jules?” chiede Henry titubante.

Salto fuori dal cubicolo e gli balzo addosso. Henry mi stringe e mi accarezza i capelli. “Va tutto bene. Tranquilla. Va tutto bene”.

Mi rannicchio nel suo maglione e lascio che lui scacci via i brutti pensieri. “Tranquilla. Entro un paio di giorni se lo saranno dimenticato tutti. Non frega a nessuno cosa ti è successo, soprattutto non alle persone che ti vogliono bene”.

Merda.

Aaron.

“Come glielo spiego?” farfuglio contro la sua spalla.

“Capirà. Qualsiasi cosa decidi di dirgli, lui capirà. Ho visto il modo in cui ti guarda, non smetterà di farlo se gli dici la verità”.

Lo guardo negli occhi. “Ne sei sicuro?”.

Mi scosta una ciocca dalla guancia. “Al cento per cento. Prima era tutto incazzato con Giselle. Dovevi vederlo, se Lip non lo avesse trattenuto le avrebbe spaccato la testa.”.

“Vorrei spaccargliela io la testa”.

La campanella suona annunciando l'inizio delle attività ricreative pomeridiane.

“Devo andare al club di matematica, ci vediamo dopo. Se hai bisogno di me, chiamami” mi da un bacio sulla fronte.

“Aspetta” gli afferro il braccio “Com'è andato il test di storia?”.

Sorride orgoglioso. “Benissimo, A+”.

“Li ha corretti subito?”.

“Sì” afferma allarmato “È stato un vero massacro”.

“Sono fiera di te”.

“Anche io sono fiero di te. Qualsiasi cosa pensino le altre persone, io so chi è mia sorella e ne sono orgoglioso” mi abbraccia stretta e poi scappa via.

Resto in bagno finché la maggior parte degli studenti non ha lasciato il corridoio. Una volta che la via è sgombra, mando un messaggio a Dottie dicendole di dire all'insegnate di tennis che sto male e che sono in infermeria.

Vado dalla signorina Stone, l'infermiera sessantenne, le dico che ho dei crampi fortissimi alla pancia e che vorrei sdraiarmi. Lei mi fa stendere sul lettino, mi porta una coperta e un secchio.

Il catino è inutile, non ho mangiato nulla, non vomiterò.

Mi rannicchio sotto la coperta e fingo di dormire, mentre mi nascondo dal mondo infausto.

È colpa mia se mi sento così male. I segreti, soprattutto quelli grossi, vengono sempre a galla e di solito lo fanno con un botto enorme. In circostanze diverse me ne fregherei altamente di quello che pensa la gente, ma ora ci sono persone che mi piacciono e che non voglio assolutamente perdere.

Ormai ho capito che deludere le persone è una delle mie caratteristiche peculiari. Non importa quanto ci provo, finisco sempre per combinare qualche casino e allontanare tutti. Dovrei aver imparato ormai.

Do le spalle alla porta quindi non vedo chi bussa contro lo stipite di legno. L'infermiera balza in piedi facendo stridere la sedia di metallo. “Dottoressa Dawson” annuncia “Posso fare qualcosa per lei?”.

Merda.

“Salve signorina Stone” saluta cordiale “Avrei bisogno di Julianne”.

L'infermiera sospira con lentezza. “La ragazza non si sente bene. Dovrebbe rimanere qui nel caso avesse bisogno di me”.

La dottoressa avanza facendo rumore con i tacchi alti sul parquet. “Non si preoccupi, so gestire un mal di pancia. Potrà sdraiarsi nel mio ufficio e se si sentirà peggio la farò subito chiamare”.

L'infermiera sbuffa dal naso infastidita. “Come desidera, dottoressa”. Non sembra della stessa idea della signorina Dawson, ma non prova a contraddirla oltre. Le starà facendo la sua faccia rassicurante e leggermente inclinata che usa anche con me. A quella nessuno resiste. Un po' mi dispiace per il suo fidanzato.

“Julianne” l'infermiera Stone mi sfiora la testa “La dottoressa Dawson ti cerca”.

Sbuffo e mi giro verso la donna che ha interrotto il mio momento di autocommiserazione. Mi alzo contro voglia e, ancora avvolta nella coperta e insieme al mio catino, seguo la dottoressa nel suo ufficio.

 

“Vengo avvertita ogni volta che manchi ad una lezione” mi comunica una volta che ci siamo sedute.

“Bene” borbotto. Mi stringo nella coperta e incrocio le gambe sotto il sedere.

La dottoressa Dawson mi guarda dalla sua poltroncina. “So quello che è successo”.

Ottimo. “Non mi sorprende. Sto cominciando a pensare che Dio le abbia regalato il dono dell'ubiquità insieme al quel fastidioso tono rassicurante”.

Accavalla le gambe. “Siccome la signorina Duvall non è al momento presente, proietti la tua rabbia su di me. Lo capisco”.

“Io non proietto proprio niente. Sono arrabbiata con lei perché mi ha strappata al mio pisolino in infermeria e perché, in qualche modo, la cugina di Satana ha scoperto un'informazione che lei dovrebbe dovuto tenere segreta” ringhio.

Okay, forse sto proiettando un po' della mia rabbia.

“Nascondersi dai propri problemi non li farà sparire magicamente, Julianne” dice calma “Per la storia della tua riabilitazione non ho colpa”. Apro la bocca per ribattere ma lei alza un indice e me lo pianta in faccia. “Ho fatto le mie ricerche. I miei fascicoli sono sempre, e dico sempre, chiusi in archivio e la chiave è una sola ed in mano mia. Oltretutto, da quello che ho capito, Giselle ha detto che sei stata in un centro di recupero, però non sa il perché e non sa nemmeno quale. Se avesse saputo qual è, avrebbe capito che ti hanno ricoverata per droga. Il centro in cui sei stata si occupa solo di casi di dipendenza da sostanze”.

Beh, non fa una piega. “Allora come cavolo ha fatto a saperlo?”.

“Immagino abbia usato Beth”.

La guardo vacua “Chi cavolo è Beth?”.

“Beth Cage è la segretaria del preside e lui è l'unico oltre a me a sapere della tua storia. Immagino si sia fatta corrompere, i Duvall sono molto ricchi e potenti”.

“Ma non è una cosa legale!” squittisco.

“Non è legale e non è nemmeno corretto, ma il mondo gira così. Il padre di Giselle è il sindaco e Beth vorrebbe lavorare in municipio, perciò immagino abbiano fatto un accordo” mi spiega.

“Che sistema di merda” brontolo “Potrebbe scoprire altro?”.

“No. Non da Beth, almeno. Il preside è stato informato e starà molto attento ora”. Mi fa un sorrisetto “L'ho personalmente minacciato”.

“Cosa significa?” chiedo impressionata. Ora sì che inizia a piacermi.

“Gli ho solo ricordato che abbiamo con noi una ragazza con dei problemi delicati e con un animo fragile, e che se dovesse succederti qualcosa lui sarebbe l'unico responsabile” ridacchia orgogliosa.

Aggrotto la fronte “Io non ho un animo fragile e non sono nemmeno delicata”.

“Oh, lo so. Sei una delle persone più forti che abbia mai conosciuto” mi fa l'occhiolino “ma il preside questo non lo sa”.

Ma guarda un po'. “Ha mentito” le faccio notare.

Scuote la testa “Diciamo che ho abbellito la verità”.

“Se la fa dormire la notte” sogghigno.

Si sistema una ciocca dietro l'orecchio “Allora, come pensi di affrontare la situazione?”.

“Pensavo di sdraiarmi su una superficie morbida e aspettare il giorno del giudizio universale”.

Sbuffa. “È questa la tua soluzione ai problemi? Infilare la testa nella sabbia?”.

Mi sporgo in avanti. “Beh, qualche mesetto fa, quando la realtà mi strozzava mi facevo come una pigna e lasciavo che la droga portasse via tutti i pensieri brutti” mi lancia un'occhiataccia di sufficienza “Lei cosa propone?”.

“Prima di tutto direi di essere sincera con le persone che ami. Se le consideri importanti, meritano di sapere la verità” asserisce tutta seria “Potresti cominciare con il ragazzo misterioso”.

“Non capirà” sentenzio.

Lei scuote la testa convinta. “Non lo saprai mai se non gli lasci vedere sotto la superficie”.

“No” sospiro “Se guardasse sotto, dove è più profondo, vedrebbe tutti i mostri e non vorrebbe avere più nulla a che fare con me”.

“In queste settimane ho imparato a conoscerti. È stato difficile e molto debilitante, perché costruisci muri e tieni tutti fuori. Però quando finalmente superi i fossati, trovi una ragazza fantastica e con un animo incredibile, che vive la vita a modo suo e che ama gli altri con tutta sé stessa. Se lo hai lasciato avvicinare, significa che anche lui ha scavalcato i recinti e ha trovato la stessa ragazza che ho trovato io. E se lo ha fatto, non andrà via perché il tuo passato è più buio di quello degli altri” sospira e mi guarda dritto negli occhi “Devi prendere una decisione, Julianne, perché i confini che tracci tengono fuori gli altri, è vero, ma rischiano anche di soffocarti”.

 

 

Aspetto che la massa di studenti lasci i corridoi, prima di avviarmi verso il parcheggio. La dottoressa Dawson mi ha giustificato l'assenza del pomeriggio ma è stato un episodio isolato, la prossima volta mi costringerà ad affrontare il mondo.

Invece di andare alla Boss di Aaron, cammino fino alla macchina di Peyton, un vecchio maggiolino color verde acqua. Dopo pochi minuti la vedo arrivare insieme a Dottie. Mi sorridono entrambe mentre si avvicinano alla macchina. Buon segno.

“Allora vieni comunque a studiare da me!” trilla allegra Dottie.

“Se vuoi ancora che venga, certo” mormoro.

Peyton grugnisce “Che scema. Non ci frega nulla di quello che dice la regina delle stronze, noi giudichiamo le persone per conto nostro”.

“Vorrei raccontarvi la mia versione, se volete saperla” dico.

Loro si scambiano uno sguardo e poi annuiscono all'unisono.

“Okay, ottimo”.

Peyton si guarda intorno. “Andiamo a casa di Dottie, saremo più tranquille”.

 

 

Peyton guida come un pilota di auto da corsa. Inchioda di colpo, accelera bruscamente e fa quasi le curve su due ruote. Ogni volta che prende una buca, sbattiamo tutte la testa sul soffitto in tela dalla macchina. Durante il tragitto scrivo a Henry che vado da Dottie e che sto bene. Mandare messaggi con Niki Lauda alla guida è davvero difficile, il cellulare rischia di volarmi fuori dal finestrino almeno un paio di volte.

Quando finalmente Peyton inchioda davanti al vialetto di Dottie, mi sottraggo con gioia alla sua guida sportiva. La casa dei Callister è una villetta color salmone con gli infissi bianchi. La porta del garage e le tapparelle sono ben serrate, evidentemente i suoi genitori sono entrambi al lavoro.

La famiglia di Dottie possiede da diverse generazioni una farmacia in centro, il che è molto ironico visto che entrambi i suoi genitori sono strenui sostenitori della medicina alternativa.

La prima volta che sono stata qui, Grace e Sawyer mi hanno trattata con gentilezza e con rispetto. Sono molto simpatici e anche molto hippie, completamente diversi rispetto a Dorothea.

“Mamma e papà sono ancora in farmacia. Shane si è dato malato anche oggi”. Shane è il ragazzo che lavora per i Callister. “Si sta dimostrando uno scansafatiche proprio come sua sorella”.

“Nicole non è una scansafatiche” borbotta Peyton mentre camminiamo sul vialetto “È solo una grandissima stronza”. Non mi è ancora ben chiaro il passato tormentato tra Pey e Nicole, pare esserci molto più di quanto sembri tra le due.

Dottie infila la chiave nella toppa e spalanca la porta d'ingresso. Il solito odore di canapa mista a zenzero ci investe in pieno mentre entriamo nella dimora. L'interno della casa assomiglia terribilmente alla camera del tizio da cui compravo l'erba a San Diego. Ci sono mobili spaiati di colori diversi, tappeti ricamati con forme geometriche e disegni confusi, e i pensili di legno sono pieni di candele profumate e vasi di cristallo. Durante il primo giro turistico della casa ho contato almeno sei bambù, oggi giurerei che ce ne sono almeno un paio in più.

“Scusate il disordine” sospira Dottie conducendoci verso camera sua. Dopo aver camminato nella casa dei Callister, entrare nello spazio privato di Dorothea è la sensazione più strana al mondo. Dalla soglia in poi ti sembra quasi di entrare in un altro mondo. La sua stanza è organizzata al millimetro, tutti i libri sono disposti in ordine alfabetico e ogni oggetto ha il suo posto preciso. La tastiera e il mouse sono sistemati parallelamente al verso del tavolo. Il letto è ben fatto e per terra non c'è nemmeno l'ombra di un granello di polvere.

Sulla parete più lunga è appeso un enorme poster della visione della Terra dallo spazio. Il telescopio elettronico è ben piantato davanti alla grande finestra sul lato opposto, il tappetto è rosso a tinta unita e il copriletto sfoggia la foto di Einstein con la lingua di fuori ricamata sopra. Appeso al soffitto gira senza sosta una lampadario a forma di sistema solare.

“Ti conosco da sempre e ancora non riesco a concepire come cavolo fai a dormire con questo qui che ti fissa” commenta Pey sedendosi sul materasso e sulla faccia di Einstein.

Quello lì” ribatte Dottie con sdegno “È Albert Einstein, Peyton, ed è l'unico che per il momento lascio dormire con me”.

Peyton ridacchia e si sistema meglio sulla faccia dello scienziato. “Quindi Albert è il primo uomo a cui hai fatto vedere la mercanzia?”.

Dottie arrossisce e la colpisce sul braccio “Quanto sei schifosa e irrispettosa!”.

“Era solo una domanda” sogghigna.

Dottie scuote la testa e sbuffa, cercando di nascondere un sorrisetto. “Ora smettila con le domande idiote e concentriamoci” mi punta gli occhioni blu addosso “Siamo qui per Julianne”.

Mi fissano entrambe e di colpo l'idea di raccontare tutta la verità non mi sembra affatto geniale. E se dopo averla saputa non vorranno più parlarmi? Se mi guarderanno in modo strano? Non voglio che nei loro sguardi si dipinga la pietà, non lo sopporterei.

Dottie si siede sul letto accanto all'amica e entrambe mi osservano pazienti. Io resto sulla soglia e non mi tolgo nemmeno lo zaino. Resto lontana, non voglio essere respinta.

E se non capissero?

E se evitassi alcune parti?

E se mentissi?

Potrei farlo.

Potrei dire che Giselle si è inventata tutto, che sono innocente come un agnellino.

Potrei e forse dovrei anche, le persone non voglio davvero sapere delle cose brutte.

Sto per aprire la bocca per spiattellare un'immensa bugia quando Dottie squittisce e si copre il viso con le mani “Noi lo sappiamo! Sappiamo tutto!”.

Peyton sbuffa e le da un colpetto sulla coscia “Ti avevo detto di lasciarla parlare! Doveva essere una sua decisione, non tua” la guarda male “Non mi ascolti mai”.

La testa ricomincia a girare, proprio come in mensa. Mi pizzicano le punte delle dita e il petto mi schiaccia i polmoni, mozzandomi il fiato.

Dottie si agita facendo ondeggiare i ricci “Mi dispiace! Sembrava così a disagio, non volevo che si sentisse male per raccontarci qualcosa che sappiamo già”.

“Non era una tua decisione” ribatte Peyton arrabbiata.

“Zitte” guaisco alzando le mani “Fatemi capire” ammutoliscono entrambe e mi fissano preoccupate “Come cavolo fate a saperlo?”.

Dottie spalanca gli occhi, facendoli sembrare ancora più grandi “Quest'estate si è sparsa la voce che due nuovi studenti dell'ultimo anno sarebbe venuti a studiare nella nostra scuola. Non si sapeva nulla di voi, nemmeno le pettegole della città ne sapevano qualcosa. Un giorno mi annoiavo a morte e volevo disperatamente sapere come eravate fatti e cosa vi piaceva, così saremmo potuti essere subito amici” infila l'indice in un ricciolo e ci giocherella nervosamente “Così ho hackerato il sito della scuola e ho scaricato i file su di te e su tuo fratello”.

Cosa? “Hai hackerato il sito?” domando confusa.

“Sì, è stato facile. Si tratta più che altro di schemi matematici e...” Peyton le lancia un'occhiata “e...in ogni caso, il preside teneva ancora i file di tutti gli studenti nella sua area personale, così ho scaricato i vostri due fascicoli. Dopo la mia intrusione, ha eliminato il tuo dagli archivi digitali”.

Non riesco a capire.

Ho uno strano ronzio nella testa e la stanza sembra di colpo troppo piccola per tre persone. Loro sanno tutto. Non posso filtrare la verità per renderla meno terrificante. Loro sanno già tutto. “Tu-tu lo hai letto?” tartaglio senz'aria.

Dorothea si accartoccia su se stessa con aria triste “Julianne...io...mi dispiace” produce uno strano suono con la bocca, una specie di mugolio da cucciolo ferito “Non volevo ficcanasare, non pensavo...”.

Alzo la mano per zittirla e lei tace.

Odio espormi.

Odio qualsiasi cosa possa mostrare una qualche debolezza. Loro sanno la parte peggiore di me senza che io abbia potuto prendere la decisione di condividerla e questo alimenta la pazza rancorosa dentro di me. “Non solo hai letto qualcosa che non ti riguardava, ma lo hai fatto leggere a qualcun altro!”.

Si ritrae spaventata “So-solo a Peyton...”.

“E pensi che questo mi faccia stare meglio?” ringhio.

“Okay, ora calmiamoci” si intromette Pey “Non c'è bisogno di alzare la voce. So che quello che ha fatto Dottie è imperdonabile ed un enorme violazione della privacy”. Le lancia un'occhiata storta “Ma non aveva cattive intenzioni, te lo assicuro”.

Non so cosa dire, tutta questa situazione è assurda.

Peyton si alza facendo frusciare la gonna di tulle “Senti, quando ha letto il fascicolo non me lo ha fatto vedere subito. Quando ti ho conosciuta e siamo diventate amiche, me ne ha parlato e abbiamo deciso di tenercelo per noi. Non sono affari nostri e non lo sono mai stati. Quelle cose non cambiano la visione che abbiamo di te”.

In effetti, ora che ci penso, Dottie il primo giorno sapeva già chi fossi, eppure è voluta diventare mia amica comunque. La rabbia sbolle via e finalmente vedo la situazione per quello che è. Loro lo sapevano già da un po', eppure mi hanno trattata allo stesso modo.

Evidentemente la dottoressa Dawson qualche volta ha ragione.

“Che fine hanno fatto i file che hai scaricato?” le chiedo con calma.

Dottie mi guarda incerta “Li ho cancellati tutti”.

“Puoi fidarti di noi, davvero” assicura Peyton.

“Va bene” Lascio cadere lo zaino in un angolo della stanza e mi siedo sul letto con loro. Restiamo un po' in silenzio, poi finalmente mi decido a parlare. “Se avete delle domande fate, chiedete pure”.

“È stato doloroso?” chiede Dottie con un sussurro “Sai, disintossicarti”.

Non credo esista un termine appropriato per descrivere quel dolore. “È stato come passare attraverso un tritarifiuti, per poi essere ricoperte di acido ed essere prese a pugni da un bodybuilder”. Mi guarda terrorizzata “Ma dopo che quel ciclo di dolori è passato e che il mio corpo ha ricominciato a guarire, sono stata davvero bene. Come rinata”.

Peyton si sdraia sulla pancia e appoggia il mento sulle mani. “Com'era essere fatta?”.

“Com'era?” ci penso un po' su “Dipende da cosa avevo preso e quanto ne avevo preso, ma la sensazione che cercavo con più desiderio era l'effetto sedativo. Sentirsi nell'ovatta, lontana da tutti e lontana dalla realtà, era la sensazione più piacevole”.

“I miei fumano erba quando pensano che io stia dormendo” dice Dottie in un sussurro.

Non trovo la cosa troppo sorprendente, ne ho sentito l'odore la prima volta che mi ha invitata a casa sua.

“È solo erba, Dottie. Tutti si fanno almeno una canna nel corso della loro vita” la informa Pey.

“È vero” concordo “Non ti devi preoccupare”.

Mi guarda a lungo, indecisa. “Qual è stata la prima droga che hai preso?”.

“Io non conto”.

“Perché no?” chiede confusa.

“Io non volevo divertirmi un po' o alleggerire la giornata, io volevo proprio dimenticarmi chi ero”.

 

 

 

Passiamo il pomeriggio tra confessioni e segreti sussurrati a mezza voce. Scopro diverse cose interessanti che mi fanno capire che siamo tutti umani a questo mondo. I genitori di Dottie dopo di lei hanno provato ad avere altri figli ma non ci sono più riusciti. Hanno avuto più aborti di quanti un'intera città vorrebbe mai avere ed è per questo che hanno cominciato ad interessarsi alla medicina alternativa.

Quando è il turno delle confessioni di Peyton, quello che mi rivela mi lascia senza parole.

“Intendi Duvall-Duvall? Il signor Duvall? Il padre del mostro degli inferi a.k.a Giselle La Stronza?” chiedo con le sopracciglia ormai appiccicate al sistema solare sul soffitto.

“Proprio lui” conferma Peyton con aria schifata.

“Il signor Duvall è tuo padre?!”.

“Padre biologico” specifica.

“Ma questo fa di te la sorella di Giselle!” affermo senza parole.

“Sorellastre” puntualizza.

Ora capisco tutto. “Ecco cosa intendeva stamattina in classe”.

“Già” mormora “Le piace ricordarmi che sua padre ha messo incinta mia madre e poi ha fatto finta che io non esistessi. Carina, vero?”.

“Ma com'è possibile? I suoi genitori non era già sposati?” chiedo.

“In pratica, diciannove anni fa, mia madre lavorava come cameriera per i Duvall per pagarsi gli studi. Dopo una brutta lite, la signora Duvall è andata a Rio per schiarirsi le idee e il signor Duvall ci ha provato subito con mia madre. Un vero porco a mio parere, però lei ha detto che la trattava bene e che era un uomo buono e che se ne è innamorata. La signora è stata via per un paio di mesi, alla faccia della pausa, e il quel periodo mamma e il padre di Giselle mi hanno concepita”.

Sono ancora confusa. “E perché lui fa finta di nulla?” domando.

I suoi occhi castano chiaro si fanno bui e pieni di rancore. “Dopo che mia madre è rimasta incinta, la madre di Giselle è tornata e ha fatto pace con il marito. La signora è piena di soldi e il signor Duvall ha preferito una vita di lussi con una iena, che una vita modesta con la donna che amava.

Successivamente si è candidato per diventare sindaco e quando stava per essere eletto, mia madre è andata a dirgli che aveva infilato la pagnotta nel forno. Lui ha reagito malissimo dicendo che erano solo balle e che non aveva niente a che fare con lei”. Scuote la testa schifata “Alla fine è stato eletto e quando sono nata non mi ha voluta vedere e non mi ha voluta riconoscere come sua”.

“Che stronzo epocale” commento. Pensavo che la mia famiglia fosse un casino, non mi aspettavo questo retroscena nascosto dietro Peyton.

“Non dirmelo. Alla fine lui ha avuto tutto quello che voleva, i soldi e la sua posizione politica, però ci ha lasciate sole e non è una cosa che gli perdonerò. Mai”.

“Mi dispiace tanto, Pey” le sfioro un braccio.

Lei sorride mostrandomi lo spazietto tra gli incisivi “Non ti preoccupare. È stato un bene. Se lui non si fosse levato di scena, la mamma non avrebbe mai conosciuto il mio papà. Dopo un paio di anni dalla mia nascita ha conosciuto il coach Jackson. Si sono innamorati, poi si sono sposati e hanno avuto una marea di figli casinisti. I fratelli mostri potevano risparmiarseli”.

Dottie e io ridacchiamo.

“Aspetta” la fermo “Ma secondo la datazione di questo racconto tu dovresti aver già compiuto diciotto anni”.

Annuisce. “Esatto. Li ho fatti ad agosto”.

“Ma sei ancora all'ultimo anno”.

“Mi hanno bocciata in prima superiore. Ero parecchio incasinata” asserisce.

Ora capisco. “Beh, wow. Non me lo aspettavo”.

“Te l'ho detto che non ti avremmo giudicata, siamo un casino proprio come lo sei tu” afferma con un grande sorriso.

Sì, è vero. Siamo tutte un bel casino, ma lo siamo insieme.

 

 

La signora Callister arriva verso sera con addosso il camice della farmacia e un leggero aroma di canna. Ci invita per cena e, sia io che Peyton, accettiamo con gioia. Mangiamo uno strano pasticcio di verdure insieme alla famiglia di Dottie e, dopo cena, Pey mi riaccompagna a casa.

“A domani!” strilla dal finestrino aperto.

“A domani” le urlo di rimando salendo i gradini del portico. Mi saluta con la mano e sfreccia via come un fulmine. È proprio un pericolo pubblico.

Rientro in casa con un sorriso e trovo buona parte della famiglia rannicchiata sul divano.

“Sono a casa” grido varcando la soglia del salotto.

“E una è tornata, ne manca un altro” commenta Jim con un sorriso.

Cosa?

“Ciao, tesoro!” trilla la mamma “Com'è andata con le tue amiche?”.

“Molto bene. I signori Callister sono molto simpatici” commento.

“Sì, lo so” guarda Jim “Dovremmo invitarli per cena una di queste sere”.

Lui annuisce “Certo”.

“Shhh” brontola Cole “Sto cercando di seguire”. Lui e Liv fissano lo schermo, rapiti da una serie sui crimini a New York.

“Buona notte” dico verso tutti.

“Notte, tesoro” mi manda un bacio e torna a guardare il televisore.

Inizio a salire le scale e sbadiglio con forza. È arrivato il momento di parlare con Aaron, ora sono più tranquilla. Dottie e Peyton l'hanno presa bene e mi hanno tranquillizzata come mai prima.

Andrà bene, ne sono certa.

A metà scale la voce di mamma mi fa bloccare. “A che ora hai detto che torna Aaron?” chiede verso Jim.

“Non lo so, mi ha detto solo che andava da Savannah. Di sicuro tornerà prima del coprifuoco”.

Le mie certezze vanno in mille pezzi.

Si sparpagliano.

Rotolano per le scale.

Alcune mi finiscono nel petto.

Il dolore è lancinante e terrificante.

È come ricevere una coltellata dritta al cuore.

Solo che fa più male.

 

   
 
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