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Autore: Francine    02/02/2018    4 recensioni
Si dice che noi abbiamo la febbre, mentre, in realtà, è la febbre che ha noi.
(Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65)
Fĕbrŭāre in latino significa espiare, purificare, che è quello che fa la febbre al nostro organismo per liberarlo da virus e batteri. Questa vuole essere una raccolta di bozzetti sul grande male di stagione, nel mese dedicato all'espiazione per eccellenza. Fisica o morale che sia.
[Saint Seiya, Lost Canvas, Episode G, Episode G Assassin]
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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★ Iniziativa: Questa storia partecipa al Flu&Fluff a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 823.
★ Prompt: #8 A ha la febbre così alta che delira e si lascia
sfuggire cose su B, mentre questi cerca di aiutarlo.
 






2. Ai matti si dà sempre ragione



 


Prompt: Delirio/ Fandom: Saint Seiya - post Hades /Personaggi: Gemini Saga, Gemini Kanon


 
 
«È tutta colpa tua!»
«Dimmi qualcosa che non so…»
Viktoras sa essere una vera tegola tra capo e collo. Ha la febbre, delira, ma, nonostante il termometro segni i quaranta gradi, riesce ancora a resistere. Facendo il peso morto – strategia della non violenza, la chiamerebbe lui – e impedendoti di applicare le spugnature di alcol sulla sua pelle bollente. Dicono che funzioni. Fotinê non lesinava. Vi sfregava la pelle, nemmeno foste posate d’argento da lucidare, e al mattino stavate meglio: stanchi, spossati e bisognosi di sonno, ma la febbre era scesa. Speri possa servire anche in questo caso, ché figurati se tuo fratello ha una confezione di aspirine in casa!
Noi uomini duri? Ma scherziamo?, pensi, sollevando il braccio di Viktoras come se fosse fatto di piombo. Lui protesta, smanaccia, t’insulta.
«È tutta colpa tua!» ripete – come un mantra, come un disco rotto – e la tua già scarsa pazienza raggiunge il colmo.
«Non ti ho attaccato io, l’influenza. Gira. E se sei così imbecille da startene in ammollo come una camicia da candeggiare, il problema di chi è? Mio o tuo
«È tutta colpa tua!», insiste Viktoras, e tu getti la spugna. Letteralmente. Che si impicchi da sé. Tanto, se lo si lascia fare, tuo fratello è bravissimo a… «Mi hai lasciato solo!»
Fermi tutti.
«Cosa?»
«Mi hai lasciato solo», dice – confessa – gli occhi lucidi e le labbra screpolate. «Tu sei diventato Santo di Athena, e io no.»
Sbatti le palpebre. Possibile che tutto il delirio che vi è capitato – lui nella grotta a Capo Sounion, tu che per il rimorso dai di matto, l’assassinio di Aiolos, la Guerra Galattica, la Battaglia al Santuario e quella ad Atlantide – sia accaduto perché Viktoras si è sentito abbandonato?
«Sei sempre stato geloso di me», prosegue, seguendo una logica tutta sua. «Perché Fotinê voleva più bene a me che a te.»
Okay. Straparla, pensi, ché se è mai esistito qualcuno di imparziale, quel qualcuno era proprio Fotinê.
«Certo, certo», dici, assecondandolo, ché ai matti si dà sempre ragione. Dovessero diventare pericolosi…  «Quando hai ragione, hai ragione», ribatti, riprendendo la spugna in mano. «Adesso posso continuare, o devi confessare qualcos’altro?»
«Non voglio le spugnature. Mi fanno schifo», protesta, addossandosi sulla pila di cuscini che gli hai sistemato alle spalle.
Sapessi a me, pensi. «Lo so», dici. «Ma ti fanno bene. Come le verdure, ricordi?»
«Sì», soffia fuori. «Me le ricordo, le verdure lesse. Facevano schifo, ecco la verità», e tu non te la senti di dargli torto.
«D’accordo», dici. Stanco di quel botta e risposta delirante. «Adesso posso continuare?»
«Non mi hai chiesto il permesso», ribatte Viktoras. «Fai sempre così, tu. Dritto per la tua strada, fregandotene degli altri…»
«Posso, sì o no?», e qualcosa nella tua voce si incrina. Stai per perdere la pazienza, rovesciargli il bacile pieno di alcol in testa ed uscirtene dalla quella stanza di gran carriera, sbattendoti la porta alle spalle. E lui l’ha capito, febbre o non febbre.
«Prego», risponde Viktoras, abbandonando ogni resistenza e lasciando che la spugna imbevuta di alcol scorra sulle braccia, l’addome, la schiena, le gambe, il collo. Puzzerà da fare schifo, domani, ma pazienza. Non si possono fare le frittate senza rompere le uova, no?
«Ecco fatto», dici, abbandonando la spugna nel bacile e lasciando Viktoras nudo come un verme sulle lenzuola.
«Ho freddo», si lamenta.
«Adesso passa», lo rincuori, posandogli una mano sulla fronte. Scotta. Nemmeno fosse appena tornato dall’inferno.
«Non lasciarmi solo, Vassi», mugugna. «O dirò a tutti che facciamo Vasilikòs di cognome», e crolla addormentato prima che tu possa ribattere qualsiasi cosa – qualsiasi scusa, qualsiasi minaccia.
E adesso, che fai? Lo lasci da solo? Sicuro? Perché tu lo sai che Viki se ne rammenterà – eccome, se se ne rammenterà – e che quando meno te l'aspetti darà fiato alle trombe, spiattellando il tuo cognome – il vostro cognome – ai quattro venti, ma non è quello a preoccuparti. Gli altri rideranno fino a sganasciarsi le mascelle, ma pazienza; passerà. La tua reputazione s’inabisserà dove la luce del sole non ti arriva, ma dopo quello che hai combinato, te ne freghi.
Ti preoccupa di più che Viktoras se la leghi al dito e te lo rinfacci. E tu vuoi davvero avere tuo fratello che ti ricorda ad ogni piè sospinto – da qui all’eternità e ritorno – quanto sei stato arido e senza cuore a lasciarlo da solo, nel momento del bisogno, senza il conforto di una presenza amica accanto?
Certo che no, ti dici, osservando la tua fotocopia russare della grossa e chiedendoti se anche tu hai quel cipiglio mentre dormi. Se lo strozzassi colle tue stesse mani, Athena non la prenderebbe affatto bene. Nossignore. Hai le mani legate, caro mio.
Che ho fatto di male, io?, ti chiedi. Affidando il bacile e la spugna alla sedia su cui li avevi posati in precedenza. Ti armi di un libro, ti sdrai accanto a tuo fratello – un cuscino di distanza – e ti prepari alla veglia. I matti vanno assecondati, giusto?


Note: nel mio personalissimo headcanon, i Santi di Athena prendono il nome con cui li conosciamo al momento dell'investitura, come accade ai sacerdoti che prendono i voti attraverso il sacramento dell'ordine. Saga all'anagrafe fa Vasilios (Re), mentre Kanon è Viktoras (Vittorioso). Vasilikòs, il loro cognome, significa, letteramente, basilico, e voi capite che chiamarsi Re Basilico manda in frantumi qualsiasi credibilità e decenza.
Mi scuso per un qualche eventuale OoC. Lo giustifico col delirio di Kanon, ché la febbre, si sa, scioglie le lingue tanto quanto il vino.
Le spugnature con l'alcol denaturato (quello rosato che si usa per disinfettare le superfici e puzza come la morte) sono un rimedio della nonna non molto efficace (parola di chi c'è passato): dovrebbero abbassare la febbre, ma l'unico risultato che si ottiene è quello di puzzare come merluzzi dimenticati sul fondo del bagagliaio...

 
   
 
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