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Autore: holyground    03/02/2018    5 recensioni
Lui non la guarda, come se non ne avesse il coraggio; lei, invece, lo osserva attentamente: osserva la cicatrice che gli ha regalato, manifestazione della sua lotta interiore, di quella lotta che lo dilania come lei gli ha dilaniato la carne, e osserva il suo volto, quel volto che infesta non solo i suoi incubi, ma anche i suoi sogni.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Kylo Ren, Rey
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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senza contrari non c’è progresso. 

attrazione e repulsione, ragione ed energia, amore e odio, sono necessari all’esistenza umana.

 

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piccolo agnello, chi ti creò?

tu sai chi ti creò?

 

  Il silenzio è un ronzio costante che incenerisce tutto il mondo, tutto ciò che ha intorno, fino a renderlo cieco e sordo. Non aveva mai avvertito un vuoto così carico e pregno e presente. Strano come l’esistenza di quel silenzio non faccia altro che ricordagli dell’assenza che segna la sua vita e che l’ha segnata da sempre. Tutto ciò che ha conosciuto è sempre stato volatile e insicuro; niente è mai rimasto. E ora anche l’ultima cosa che lo ha accompagnato da quando ha memoria ‒ quella voce costante nella testa, che conosceva i suoi desideri, che si nutriva delle sue debolezze, che gli aveva promesso una parvenza di pace ‒ è sparita, per mano sua. Tutto se ne è andato per mano sua. No, non solo la sua. Un’altra mano è colpevole, la mano che avrebbe potuto porre fine a tutto, alla guerra, alla sua sete di potere, alle grida nella sua mente; se solo avesse preso quella che lui le aveva offerto.     
  Sarebbe cambiato tutto.

 

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il corvo voleva che tutto fosse nero, 

il gufo che tutto fosse bianco.

 

  La prima volta che torna ad avvertire la sua presenza, decide di ignorarlo. È uno sforzo fisico, più  che mentale, evitare di voltarsi verso di lui e far finta di non sentire il suo respiro sulla nuca quando si fa troppo vicino. Lui non parla, sembra aver capito che non riceverà risposte, e lei si sente quasi sollevata. Ma tra loro non c’è bisogno di parole: perciò comincia a tremare quando viene investita dalla disperazione più nera, da una rabbia gelida, da uno smarrimento sconcertante. È alla deriva in un cielo abissale e tutto è sfocato e pesante e presente e non abbastanza presente, come quando manca il respiro e non arriva sangue al cervello e il petto sembra una gabbia troppo stretta, e tutto è troppo troppo troppo. E quel tutto diventa un niente incolore.

 

  Ancora una volta, lei lo sbatte fuori. Gli chiude la porta in faccia come si fa con i pensieri spiacevoli. Forse è troppo presto, forse ha bisogno di tempo e di pace per guarire delle ferite non visibili. Lui si crogiola in questo pensiero, passa le notti ad immaginare come sarebbe se un giorno lei lo raggiungesse e lo salvasse. Come tutti, anche lui desidera essere salvato; forse non nel modo che vuole lei ‒ perché lei immagina un futuro troppo luminoso e delicato, talmente tenue da essere inconsistente ‒, ma di salvezza si tratta. Sogna che i suoi demoni non abbiano più dubbi a cui aggrapparsi, e che le sue debolezze diventino la sua forza. Sogna una vita in cui lei non sia un suo punto debole.
  Ma forse è troppo tardi, e lei ha già deciso con chi schierarsi ed è pronta a distruggere tutto ciò che lui rappresenta. E forse lui è insalvabile.

 

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non porrò mai fine alla battaglia mentale,

la mia spada mai riposerà in mano mia.

 

  Risentire la sua voce è uno schiaffo a mano aperta, è come svegliarsi da un incubo e rendersi conto di essere soli. Per giorni, forse mesi, l’ha osservata senza emettere un fiato, costretto a guardare quanto sia così dannatamente brava ad ignorarlo, mentre le mani di lui tremano ogni volta che la sente così vicina da poterla toccare.
  «Ben.»
  Il suono di quel nome che le scivola sulla lingua e fa capolino da quelle labbra rosee è un braccio che lo trascina via dal baratro. E la sente di nuovo, la Luce.

 

  È calmo quando le parla. È sempre calmo quando le parla. Lo ha visto gridare e lottare come la più infima delle bestie, ha sentito la sua rabbia e la sua ferocia; eppure, nei momenti in cui sono solo loro due, è quieto e docile. La tempesta è sempre in atto nella sua mente, ma in quelle occasioni sembra riuscire a contenerla. E questo la confonde più di qualsiasi altra cosa. Perché la speranza che quell’autocontrollo apparente le dà è vana e inconsistente, e lei lo sa.
  «Sono degno della tua attenzione, ora?»
  Con lo sguardo, lei lo prega di non portare avanti un discorso del genere. Lui la asseconda.
  «Dove ti trovi?»
  «Non chiedermelo.» lo prega di nuovo.
  Lui annuisce, il sui sguardo si sposta su un pavimento che lei non può vedere.
  «Sei cono loro.»
  Lei non capisce come lui abbia potuto sperare il contrario. Credeva di aver messo le cose in chiaro, credeva fosse evidente ormai che se si fossero trovati dalla stessa parte sul campo di battaglia, sarebbe stato perché lui aveva fatto la scelta giusta.
  «Rey.»
  Sentirlo pronunciare il suo nome è un’altra cosa che la confonde. Non aveva mai pensato al potere che hanno i nomi, non fino a quando lui aveva sussurrato il suo e non fino a quando lei aveva deciso di chiamarlo Ben invece di Kylo Ren.
  «Vorrei poterti dire tutto.» confessa Rey in un’impeto di sincerità. Si sente sempre così vulnerabile quando è con lui, in quei momenti in cui il mondo esterno si ferma per lasciare spazio a loro, per permettere a due anime sole e separate da un intero universo di ritrovarsi ed essere un po’ meno sole. «Vorrei poterti dire dove mi trovo, e vorrei poterti raccontare quello che succede qui. Vorrei che tu mi raggiungessi e che lo vedessi con i tuoi occhi.»

 

  Le implicazioni di ciò che lei sta dicendo non gli sfuggono. Gli sta chiedendo di cambiare, gli sta chiedendo di pentirsi, gli sta chiedendo di accettare quel lato di lui che ha impiegato anni a distruggere.
  Ogni volta che sono insieme, Ben sente qualcosa rinascere in lui; sente la pelle rimarginarsi e i muscoli rinvigorirsi. Ma la sua anima è più dilaniata che mai. Avverte il peso del tempo sulla mente e sulle spalle, il tocco di mille mani che lo tirano in mille direzioni diverse, il desiderio di essere ciò che non è e la vergogna di essere ciò che è, e il bisogno di implorare perdono per ciò che ha fatto e soprattutto per ciò che non ha fatto.
  «Non posso.» le risponde, e così crolla anche l’ultimo baluardo della sua convinzione.

 

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o rosa, sei malata.

l'invisibile verme,

che vola nella notte

nell'ululante tempesta:

ha scovato il tuo letto

di gioia cremisi:

e il suo oscuro e segreto amore

distrugge la tua vita.

 

  Il generale Organa muore in una notte senza stelle, e Ben non ha bisogno di esserne informato, perché lo ha sentito. È disorientante: credeva di conoscere il dolore, di esserci abituato, di averlo fatto suo; soprattuto, credeva che non avrebbe mai potuto provarlo in una situazione simile. Ma ripensandoci, è sempre stata l’assenza di una famiglia a causargli dolore, e adesso anche l’ultima persona che condivideva il suo sangue non c’è più.
  Si illude di poterlo sopportare, ripetendosi che non è importante, che tanto non è mai stata veramente sua madre, che questo non cambia le cose, piuttosto le facilita.
  Si illude di essere forte, perché ha vissuto un’intera vita senza la famiglia, e può continuare a farlo, perché questo non cambia le cose, piuttosto le facilita.
  Si illude di essere in pace, e dovrebbe esserlo, con la Resistenza improvvisamente privata della sua guida e i ribelli inquieti, poiché questo non cambia le cose, piuttosto le facilita.
  Si illude e si illude e si illude ‒ finché non parla con Rey. Perché la morte di Leia Organa cambia tutto.

 

  Rey pensa di riuscire a non piangere. È convinta di aver esorcizzato tutto il dolore ormai, crede di non aver più bisogno di piangere, ed è sicura che il funerale non le farà alcun effetto.
  Invece piange ancora prima di vederla: il generale addormentata in un feretro di vetro come una principessa. Dedica quelle lacrime a Leia, ai ribelli, a Chewbe, a Han, a Poe e Finn, a Luke, ai suoi genitori; alla famiglia che credeva di aver trovato e che invece le è stata strappata via ‒ ancora una volta ancora una volta. Piange per se stessa, e piange per Ben.
  «Dovevi esserci.» gli dice quando le appare, immediatamente dopo il funerale. Non lo guarda, perché teme quasi che lui possa leggere la sua espressione e interpretarla nel modo sbagliato. È disperazione, quella che porta dipinta in volto, non causata dalla perdita, ma dalla rabbia che prova verso di lui in quel momento.
  «Avevi il diritto di esserci.»
  Lui sembra sussultare a quella parole. Forse è un concetto che non comprende, quello dei legami di sangue; forse, recidendo tutti i fili che lo univano alla famiglia, ha dimenticato cosa significhi amare malgrado, e perdonare nonostante, e forse se fosse stato una persona diversa sarebbe stato presente. Forse veramente non sentiva di averne il diritto. Forse lei avrebbe dovuto smettere di tentare di salvarlo.
  «Perché non c’eri?» La sua voce sembra piccola come lo sembra lei, ridimensionata e spaesata e ferita come lei.
  Lui si avvicina, lentamente, silenziosamente, come a non volerla spaventare; ma al primo passo che si arrischia a compiere, lei si volta con il viso contro un muro che è presente anche dalla sua parte di universo, dandogli le spalle. Vorrebbe abbracciarla e confortarla: lei lo sente chiaramente e lui non tenta di nasconderlo. Nella mente di Rey, invece, nel suo cuore, nel suo essere, è in atto una battaglia: perché lei vuole le stesse cose che vuole lui, ma non vuole farglielo sapere. Ad ogni costo, lui non deve sapere.
  Avverte il fantasma delle sue mani, che le aleggiano intorno nel tentativo di trovare un modo per stringerla, e Rey sente che cedere a quel tocco sarebbe come cedere ai suoi desideri più oscuri, ai suoi capricci più proibiti; così si volta per affrontarlo, compiaciuta nel vederlo ritirarsi di un passo.
  «È tua madre, Ben.»   Lui non la guarda, come se non ne avesse il coraggio, come se lei stesse dicendo esattamente ciò che lui si ripete da giorni per tormentarsi; lei, invece, lo osserva attentamente: osserva la cicatrice che gli ha regalato, manifestazione della sua lotta interiore, di quella lotta che lo dilania come lei gli ha dilaniato la carne, e osserva il suo volto, quel volto che infesta non solo i suoi incubi, ma anche i suoi sogni.
  «Le ha spezzato il cuore non poterti rivedere prima che morisse.» gli dice. «Le hai spezzato il cuore, Ben.»
  Sono parole dure, ma lui deve sentirle, e Rey le pronuncia in tono quasi accusatorio, e Ben non capisce cosa ci sia di diverso in lei. Perché qualcosa è cambiato. Perché la morte di Leia Organa cambia tutto.

 

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quando gli astri gettarono a terra le loro lance

e inondarono il paradiso di pianti

sorrise egli nel vedere il suo lavoro?

chi l'agnello creò, creò anche te?

tigre! tigre! che ardi brillante

nelle foreste della notte,

quale mano o occhio immortale

osò formare la tua spaventosa simmetria?

 

  Il dolore è una mano arroventata che lascia segni ovunque posi le dita, è una parola taciuta o appena sussurrata, è il bisogno di urlare e la vergogna di lasciarsi andare, è come perdere mille volte ancora. È vedere il mondo che trova il modo di andare avanti, sentire il tempo che scorre come brezza tra le dita, scoprire che non tutto si può riavere indietro. È desiderare di riaprire finalmente bocca e riuscire a dire nonostante (nonostante tutto, siamo qui; nonostante tutto, andiamo avanti).
  Il dolore è alienante.
  Rey è stata sola per talmente tanto tempo che scivolare di nuovo nella solitudine è quasi automatico. Ad un certo punto, diventa confortante: lì nel suo isolamento non deve niente a nessuno; non deve fingere di stare bene, di essere pronta a combattere, a rivedere strategie e a ripetere piani d’azione fino alla nausea. Nella solitudine ci sono solo lei e il suo dolore. A Rey sta bene così. Quasi le piace il dolore. 
  C’è qualcosa dentro di lei che strilla, che chiede di uscire, e lei vorrebbe tanto, tanto davvero, far uscire tutto, liberare e liberarsi; gridare fino a perdere la voce, ridurre in pezzi tutto ciò che le capita sotto mano, sprigionare tutta l’aria dai polmoni, e finalmente sentirsi vuota. 

 

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in quali abissi o in quali cieli

bruciò il fuoco dei tuoi occhi?

 

  Ben prova una rabbia dilaniante nello scoprire che Rey è stata messa in isolamento.
  «Lo hanno scoperto.» gli dice. «Hanno scoperto questa… cosa… che c’è tra noi. E temono che possa rivelare la loro posizione, e molte altre cose.»
  A Ben non sfugge il modo in cui lei parla di loro e non di noi.
  «Ma tu glielo hai detto. Glielo hai detto che non lo faresti mai.»
  Si rende conto di sembrare un bambino che vive ancora di promesse vuote, che pensa ancora che nel mondo ci sia del bene e che poche cose sono corruttibili. E non capisce perché sente il bisogno di essere rassicurato da lei, di sentirle dire che ovviamente non rivelerebbe mai la sua posizione al nemico. Ma lei non lo fa.

  

  Rey avverte qualcosa in Ben, qualcosa che le sembra sconosciuto e familiare allo stesso tempo, come udire la propria eco o vedere il proprio riflesso dopo lungo tempo. La chiama ancora a sé, ma ora il suo intento è diverso: sembra che voglia aiutarla. Rey sa che vederla in cella lo ha scosso, nonostante sia stato lui il primo ad imprigionarla. Sente anche indignazione: Ben si sente tradito per conto di lei. E Rey si chiede perché lui stia provando tutti questi sentimenti così intensamente mentre lei si sente semplicemente… inerte. 
  «Dimmi cosa posso fare.»
  Rey scuote la testa. Cosa può fare? Niente. Cosa dovrebbe voler fare? Liberarla? Per poi imprigionarla secondo le sue condizioni? 
  Non lasciare che vinca, sussurra di nuovo la voce nella sua testa. Sono parole che sente spesso negli ultimi giorni, e non sa a chi si riferiscano di preciso, ma ogni volta la riportano sul suo percorso e le permettono di ritrovare la sanità mentale.
  «Non c’è niente che puoi fare.» gli dice. «Ma posso fare qualcosa io.»
  Ben la guarda irrequieto, e qualcosa dentro Rey gioisce della sua reazione quando pronuncia le parole successive.
  «Posso dirti dove è stanziata la Resistenza.»

 

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ogni notte e ogni mattina

nascono alcuni alla rovina.

ogni mattina e ogni notte

nascono alcuni al dolce diletto,

nascono alcuni ad infinita notte.

 

  Rey inizia a dubitare del proprio piano, perché Ben sembra sempre più combattuto. 
  «Perché non hai ancora attaccato la Resistenza?» gli chiede.
  Forse non è lui; ma doveva essere lui. 
  «Sono cambiate molte cose. E io… È cambiato tutto.» le risponde.
  Lui era l’unico in grado di capirla, in grado di guidarla. Lui lo aveva visto. E adesso sembrano così diversi l’uno dall’altra. Incompatibili.
  Non hai bisogno di nessuno, le ripete la voce.

 

  Ben sente il peso delle informazioni ricevute da Rey ad ogni passo che compie, ad ogni ordine che impartisce, ad ogni strategia che sceglie e ad ogni decisione che lo porta più vicino ai ribelli. La verità è che non sa cosa farsene di quelle coordinate, se non evitarle. Non sa di preciso quando ha iniziato a farlo, ma ben presto si rende conto di star girando intorno a quella serie di numeri che potrebbe decidere le sorti della battaglia. Basterebbe così poco: la Resistenza indebolita dalla morte del generale, un attacco a sorpresa, nessun prigioniero. Forse, un prigioniero ‒ non fosse che lei ha deciso di non farsi prendere.
  «Non sei più con loro.»
  Dovrebbe essere una domanda, ma il tono è sbagliato, e Ben non vorrebbe farla suonare come un’accusa ‒ perché dovrebbe accusarla di una cosa del genere?
  Rey gli dà le spalle, e non dà segno di averlo sentito.
  «Dove sei?» Ma non ha davvero bisogno di chiederlo. «Sei sull’isola.» si risponde, e nel momento in cui lo dice avverte anche qualcos’altro, qualcosa che striscia e brulica e infetta e appesta.
  «Non sapevo dove altro andare.» ammette lei. Ben sente di nuovo un senso di familiarità, un moto di comprensione: Rey è sola, sola come anche lui è stato solo; quella solitudine che divora da dentro, si ciba dell’anima e imputridisce la mente. Quella solitudine che spinge a compiere atti disperati, perché manca della speranza.
  «Sei scappata?»
  Rey non si volta, quindi lui decide di girarle intorno. Quando la guarda in volto, al posto degli occhi trova due pozzi neri di disperazione e abbandono. Avverte odore di marcio. E all’improvviso realizza in concreto ciò che per tutto quel tempo aveva sospettato, sempre sperando che non fosse vero, che fosse solo frutto della sua immaginazione difettosa: Rey è stata corrotta.
  «Hai ucciso qualcuno.»
  Quando lei solleva lo sguardo, Ben trattiene il respiro: non c’è niente, sul volto di Rey, che mostri segni di turbamento; è perfettamente inespressiva.
  «Non avevo scelta. Non volevano lasciarmi andare.» Lo dice con lo stesso tono con cui lo ha accusato di aver spezzato il cuore alla madre: ambiguo, infido, sorprendentemente piatto.
  Nell’espressione di Rey si riflette un sentore di pace, ma non di pace in quanto serenità. È la figurazione dell’assenza, di una mente che ha deciso di liberarsi affidando il controllo a qualcos’altro. È un tipo di pace che Ben non ha mai provato ‒ non ne è mai stato in grado.

 

  Lo ha turbato, può vederlo chiaramente.
  «Ben.» Rey usa ancora quel nome, nonostante stia lentamente perdendo di significato.
  Lui la osserva, l’ha osservata per tutto il tempo; il suo nome sulle sue labbra lo fa ancora sussultare, e lei avverte una scossa di adrenalina per quel potere che ha su di lui.
  Basta così poco.
  Gli tende la mano, come aveva fatto lui tanto tempo prima, quando le aveva promesso l’universo e anche di più.
  «Dimmi che sei con me. Di’ che stai dalla mia parte.»
  Gli occhi di lui si trascinano su quella mano tesa, una tentazione e un vincolo di corruzione. Esita.
  «Il fatto è che… Non so bene quale sia la tua parte, Rey.»
  «Siamo noi, Ben. Io e te. E l’intera galassia.»
  Parole ridondanti, che una volta avevano avuto un significato uguale ed opposto a quello che hanno adesso. E Rey le pronuncia con una leggerezza di spirito agghiacciante.
  Ma l’uomo che le sta di fronte, quello che una volta le aveva promesso ciò che ora era sul punto rinnegare, è combattuto; lo è stato da sempre e lo sarà per sempre. Non ci sono lati chiari e lati scuri in Ben Solo: è una combinazione di scale di grigi, un affollamento di dubbi e risoluzioni, un’anima in lotta con il proprio spirito tormentato.
  È qualcuno di cui Rey non ha bisogno.

 

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non siamo destinati a risolvere tutte le contraddizioni, 

ma a vivere con esse e ad elevarci al di sopra di esse.

 

  Quando si rincontrano fisicamente, sono sui lati opposti del campo di battaglia. Lo sono sempre stati, ma stavolta i ruoli sono invertiti. Stavolta tutto è diverso, eppure così dolorosamente familiare: la neve che copre un terreno sterile quanto il loro rapporto; il brusio delle spade laser che cozzano una contro l’altra come fanno sempre loro; i passi vacillanti che si rincorrono in una sorta di danza, in una caccia selvaggia e labile.
  E mentre la battaglia erompe, da qualche parte intorno a loro, Ben e Rey sentono solo i loro rumori: la neve smossa dai loro passi, il silenzio riempito dai loro respiri affannati; e non osano parlare.
  Rey è irriducibile, guidata da una potenza oscura, con una determinazione terrificante negli occhi. Ed è bellissima. Ben sente un vuoto nel petto, come se il cuore non fosse più sostenuto, ma fosse rimasto a fluttuargli in corpo. Ha paura, più di tutto, perché si rende conto che è questo che aveva creduto di volere per tanto tempo: quell’ombra negli occhi di Rey, la mente di lei finalmente simile alla propria, i loro destini fusi in uno. Ha paura, davvero, perché si rende conto di non aver mai voluto questo, non ha mai voluto vederla a pezzi, avvelenata dalla sofferenza, corrotta dall’ineluttabilità del dolore. E non vuole combatterla, non vuole distruggerla. Non potrebbe sopportare di perderla.
  «Rey, ti prego!»
  Un’altra sferzata di spada, un altro colpo che lui devia senza passare all’attacco.
  «Voglio aiutarti. Devi fidarti di me.» la implora.
  L’ironia della scena è quasi crudele perché, non molto tempo prima, lui gli aveva offerto la perdizione con le stesse parole di salvezza.
  «Il Leader Supremo Kylo Ren.» grida lei sprezzante, colpendolo al petto con un calcio. «Patetico.»
  «Ho lasciato il Primo Ordine. Non sono più ciò che ero.»
  «Non hai avuto il coraggio di portare avanti il tuo compito. Ma io non sono così debole.»
  Quelle parole gli riportano alla mente anni di sacrifici e dolore e non è mai abbastanza e farò meglio, lo giuro.
  «L’oscurità è debolezza, Rey. Annientare la sofferenza annullando se stessi è debolezza.»
  Lei grida, non vuole ascoltare, vuole solo combattere, distruggere, squarciare e abbattere. Non c’è posto per altro tra i suoi pensieri.
  «Io so quello che stai provando.» le grida lui, mentre le spade picchiano ritmicamente una contro l’altra. «So che cosa significa perdere tutto.»
  «Tu non sai niente di me!» E lo slancio con cui gli va addosso potrebbe essere abbastanza da gettarlo a terra, ma lui si scansa e lei perde l’equilibrio. Ma la disperazione che lui sente nella voce di lei basta a farlo sprofondare in un abisso di colpe e autocommiserazione.
  «Non farti questo, Rey. Non lo meriti.»
  Lei è di nuovo in piedi, in posizione di difesa, ma esita quando lo vede avvicinarsi con l’arma abbassata.
  «Conosco la rabbia che stai provando. So quello che pensi di volere, e so che non lo vuoi davvero. L’Oscurità può prometterti molte cose, ma non la pace.»
  La rabbia e la determinazione sul volto di Rey lasciano posto ad una dolorosa confusione.
  «Posso insegnarti a convivere con la tua parte più buia. Posso insegnarti a trasformare la sofferenza, a trarre forza dal male senza distruggere te stessa.»

 

  La morte di Leia le ha tolto la speranza; l’isolamento le ha portato via la fiducia; il dolore l’ha allontanata dall’amore.
  La verità è che è stato così facile lasciar vincere il buio, permettere all’Oscurità di stringerla tra i suoi artigli e sfamarla con promesse subdole. E Kylo Ren… No, Ben. È Ben che adesso le sta di fronte, offrendole tutto quello che credeva di aver perso.
  La spada di Ben si solleva a parare l’ennesimo colpo di Rey. Lo guarda negli occhi e vede onestà completa ‒ per la prima volta dopo tanto tempo. Riesce quasi a vedergli il cuore, pulsante e pieno di vita e di luce.
  «Ben… Fa così male.»
  Osserva il suo volto, lo memorizza, per l’ultima volta. Poi chiude gli occhi e disattiva la spada.

 

  Il grido di Ben è di pura disperazione, quando si rende conto che è troppo tardi, che la sua spada è destinata a trafiggere Rey ‒ no, non si tratta di destino: è stata lei a sceglierlo.
  È questo ciò che lei gli ha insegnato: ognuno compie le proprie scelte; ci si salva da soli. Ma Ben e Rey non sono mai stati due persone separate.
  Così Ben disattiva la spada, che riesce comunque a ferire Rey. Il bruciore la fa gridare e riapre gli occhi, che annegano in quelli di lui. Lo guarda come fosse tutto, come fosse l’ultima persona rimasta nell’intera galassia, come avesse finalmente trovato la metà che le mancava. Cadono in ginocchio e Rey lo stringe, e Ben pensa che se dovesse morire qui e ora sarebbe comunque il momento più bello della sua vita.
  E all’improvviso il mondo è in equilibrio, e luce e oscurità sono solo nomi dati a concetti vaghi non più in grado di influenzare l’esperienza umana.
  Ben stringe Rey come fosse l’ultima speranza a cui aggrapparsi, e quando si separano abbastanza da permettergli di guardarla, lei gli sorride, in volto una cicatrice uguale e contraria a quella di lui.

 

 

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vedere il mondo in un granello di sabbia,

e il paradiso in un fiore selvatico,

stringere l’infinito nel palmo della mano,

e l’eternità in un’ora.

 

 

 

 

*le citazioni in corsivo sono tutte tratte da opere di William Blake

ho creato una playlist spotify per la storia:  https://open.spotify.com/user/nt4dlzezv8uo2khes8wbhav5s/playlist/6s79LIufU8M6wlcBD9F23f

 
  
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