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Autore: Florence    04/02/2018    0 recensioni
Scoprirsi, perdersi e ritrovarsi oltre il tempo, oltre il dolore, oltre una lontananza che strappa l'anima.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTA INTRODUTTIVA - ATTENZIONE!

Buongiorno a tutti!

Ecco il secondo capitolo di questa storia, o per meglio dire il primo vero capitolo della parte della storia che, come avrete letto dal titolo, si svolge 6 anni prima degli eventi del prologo, cioè al momento dei fatti della serie tv.

Per maggior chiarezza, specifico che questa storia procederà su due linee temporali distinte: la linea del prologo, che si svolge quando Marinette, Adrien ecc ecc hanno circa 21-22 anni e la linea che si svolge 6 anni prima, quindi come nella serie tv. Ovviamente le due linee convergeranno, ad un certo punto.

Cercherò sempre di avvertire nel titolo che momento sto narrando, anche se non dovrebbe essere necessario da quel che scrivo.

Qua inizia la storia che porterà allo stato di tristezza in cui versa Marinette 6 anni dopo (cioè nel prologo).

Spero che questo cambio di registro vi piaccia e invito a farmi sapere cosa ne pensate!

CAPITOLO 2

Primavera - Sei anni prima

C’era qualcosa di diverso quella mattina, Marinette se ne accorse che ancora non si era del tutto destata. Forse era semplicemente quella sensazione quasi dimenticata di aver dormito per tutta la notte e di sentirsi rilassata, oppure il lieve aroma di vaniglia che filtrava attraverso la botola chiusa della sua camera da letto e l’aveva raggiunta come una farfalla, risvegliando anche il suo appetito.

Sentì un leggero mugolio provenire dalla scatola sopra la sua scrivania e, nella luce soffusa del mattino, scorse la sagoma tondeggiante di Tikki che, sbadigliando, si stiracchiava volando verso l’alto.

Ecco cos’era: non era stato il suono della sveglia a rapirla al sonno, né il profumo del forno sotto di lei, ma la luce. Quella mattina ce n’era molta di più e un raggio sottile del primo sole si era intrufolato dritto tra i lembi delle tende di velluto rosa che coprivano la piccola finestra tonda davanti al suo letto.

Marinette stirò le gambe e le braccia socchiudendo appena gli occhi e si sollevò, mettendo mano al suo cellulare per controllare che ore fossero. Aveva una mezz’ora buona prima di essere in ritardo per la scuola, lanciò un’occhiata implorante a Tikki e si lasciò cadere di nuovo sul letto. Inspirò il profumo delle lenzuola che la mamma doveva aver cambiato giusto il giorno prima e abbracciò il grande cuscino a forma di gatto che solitamente usava come testiera, socchiudendo gli occhi e sospirando. Quanto le piaceva rimanere lì, nella sua “cuccia”, senza preoccupazioni o minacce sulla sua vita, come quando era una ragazza normale, con problemi normali, quando il maggiore dei drammi era il dover decidere tra un macaron al lampone o uno al burro salato.

-Se ti vedesse un certo gatto di nostra conoscenza credo che non ti lascerebbe più in pace finché non faresti lo stesso con lui…-, borbottò Tikki, dopo un po’, picchiettandole la fronte: -Muoviti, pelandrona, che il mattino ha l’oro in bocca!-

La ragazza sbuffò tenendo il cuscino premuto sul volto: perché avrebbe dovuto alzarsi così presto? In fondo erano solo le…

-Cosa? Dov’è finito il tempo che avevo? Erano le… Tikki, hai spostato tu l’ora sul mio telefono o…-

Non finì la domanda che dal basso giunse la quotidiana voce imperiosa e dolce di sua madre che la esortava ad alzarsi per non fare tardi a scuola: -…e poi oggi è una così bella giornata, Marinette!-, concluse la donna, diversamente dal solito.

Marinette vide Tikki affacciarsi alla finestra che dava sul terrazzino: -Sono tornate le rondini!-, la sentì esclamare e ancora per un attimo si sentì in pace con il mondo.

Si vestì svelta, infilò al volo le ballerine e agguantò lo zaino, scendendo dabbasso, mentre, con la mano libera, faceva nascondere la sua kwami dentro la sua solita borsetta rosa.

Salutò la mamma con un bacio e andò a farsi strizzare nell’abbraccio forte di suo padre.

-Buongiorno cucciolotta!-, le disse l’uomo mettendole davanti al naso un vassoio con sei macarons di sei colori diversi, sistemati a formare un fiore.

I primi due scomparvero in un sol boccone sotto il morso giulivo di Marinette: -Mi farai diventare una botte-, bofonchiò al padre mentre allungava la mano verso la bottiglia del latte e se lo versava nella tazza.

Solo allora scorse un piccolo vaso posato al centro della tavola, al cui interno erano stati disposti alcuni fiori gialli e lilla, di quelli che crescevano nel giardinetto dietro casa, semi nascosti ai passanti dalla casetta di legno degli attrezzi dei giardinieri comunali.

-Mamma!-, trillò con voce giuliva la ragazza, -È davvero tornata la primavera!-

Sabine le carezzò i capelli attendendo che la figlia buttasse giù l’ultimo morso.

-Ora corri a lavarti i denti e fila dritta a scuola, senza distrarti nei venti metri da qua all’ingresso, mi raccomando!-, le ordinò bonariamente. Con la coda dell’occhio vide suo marito seguire la figlia con sguardo adorante: Tom stravedeva per Marinette e non faceva nulla per nascondere quanto fosse preziosa per lui. Come avrebbe mai potuto fare, quella povera ragazza, a trovarsi un fidanzato, si domandò una volta ancora Sabine e scrollò il capo, avvicinandosi all’uomo e posando una mano sulla sua spalla.

-È un fiore sbocciato, ormai…-, sussurrò lui con gli occhi lucidi, ma la risata della moglie al suo fianco lo riportò alla serietà: -D’accordo, la smetto con i violini…-, si grattò la nuca imbarazzato e sparì nel retrobottega, attraverso la porta di servizio.

Marinette atterrò in quel momento ai piedi della rampa di scale che portava in camera sua, dopo aver saltato gli ultimi tre gradini.

-Oh, ti sei cambiata!-, si stupì la madre, vedendo che al posto della solita giacchetta nera, Marinette aveva indossato un twin set lilla di maglia leggera, sciogliendo i capelli e fermandoli con un cerchietto sottile.

-E’ tornata la primavera!-, trillò la giovane afferrando lo zaino lasciato in fondo alle scale e stampando un bacio sulla guancia della madre. -A stasera!-, la salutò.

Giusto: era martedì e il martedì Marinette andava sempre a studiare a casa di Alya, quindi non sarebbe rientrata prima del tramonto.

Era così cresciuta, ormai.

La prima cosa che Marinette osservò, entrando in aula, fu che Adrien ancora non era arrivato. Chissà se anche lui aveva notato che bel cambiamento c’era stato quel giorno nell’aria: non si poteva che scoppiare di allegria a vedere il cielo azzurro e il sole che iniziava a riscaldare con i suoi raggi tiepidi le pozzanghere ai lati delle strade. Presto si sarebbero asciugate e sarebbe tornata davvero la primavera. Se lo immaginò in versione “bella stagione”, magari con una delle magliette dell’ultima collezione Agreste e gli occhiali da sole, come era apparso sulla copertina di Elle del mese prima… Uno schianto da far sbocciare i fiori al suo passaggio!

E, dopo la primavera, le giornate sarebbero allungate ancora di più e avrebbe fatto caldo: chissà se avrebbero potuto tornare di nuovo con tutta la classe in piscina e se ci sarebbe venuto anche lui! Oh mamma… vederlo in costume!!!! Si fece aria con le mani, sentiva il collo in fiamme.

Certo, l’estate precedente non aveva preoccupazioni né cotte a turbare la sua spensieratezza... e se, alla fine, si fosse vergognata di farsi vedere in bikini da lui? E se fosse stata chiamata a combattere e si fosse persa Adrien in costume? L’estate… chissà come sarebbe stato combattere nelle vesti di Ladybug con il gran caldo afoso dell’Ile de France? Marinette lasciò che i suoi pensieri fluissero dove la fantasia li conduceva. Si vide su tetti assolati balzare verso l’asfalto rovente, con il sole negli occhi. Si appuntò mentalmente di domandare a Tikki se avrebbe avuto problemi o se, magari, così come le mute degli animali, anche lei avrebbe subito un cambio di look, all’aumentare delle temperature.

“Poi te lo immagini quel maniaco di un gatto, se ti vedesse saltare qua e là in shorts…”, pensò e un sorriso le illuminò il volto, mentre scrollava la testa.

-Wow! Che schianto! Fatti vedere per bene!-, Alya la strattonò facendole drizzare le spalle e fissandola entusiasta: - Sei proprio una belle chatte con i capelli sciolti e quella maglietta là! Vedrai che il tuo principe azzurro sverrà ai tuoi piedi!-

Istintivamente Marinette abbassò lo sguardo dove si era fermata la mano di Alya, con il palmo teso verso l’altro. L’amica le sorrideva sorniona: cosa c’era di così divertente?

Dalla maglia sottile si intravedeva l’intimo che non le era venuto in mente di cambiare.

-Oh cavolo!-, sibilò chiudendosi nelle spalle come un riccio e guardandosi attorno furtiva. Incrociò lo sguardo di Ninò, che la fissava strafottente e gli occhi socchiusi: -E così la tua amichetta indossa biancheria di pizzo nero… Alya! Dovresti seguire il…-

-Chi è che indossa cosa?-, la voce divertita di Adrien la raggiunse alle spalle. Armeggiò velocemente con i bottoncini di madreperla del giacchetto del suo twin set e rammentò come, l’anno prima, sua mamma le avesse preso una canotta in tinta da mettere sotto, che al momento giaceva sul fondo del cassetto in camera sua.

-Buo-buongiorno…-, balbettò voltandosi anche lei verso il ragazzo più bello del mondo, fulminando con lo sguardo i due amici che l’avevano appena imbarazzata.

-Stai bene con i capelli così-, disse lui sorridendole e a Marinette saltò il cuore in gola, mentre una vampata di calore alle guance la faceva arrossire completamente. Quel giorno aveva fatto presto a perdere il contegno. Si sentiva le famose farfalle nello stomaco e si rendeva conto di avere stampata in viso la più ebete delle espressioni del suo repertorio.

Adrien si sedette davanti a lei e subito fu catturato dalle chiacchiere del suo amico Nino e dai saluti di quell’oca starnazzante di Chloe che era appena entrata in classe, giusto in tempo per l’inizio delle lezioni.

-Respira, adesso-, bisbigliò al suo orecchio Alya, tenendo lo sguardo fisso all’insegnante e le dita intrecciate pigramente sul banco. Poi le lanciò uno sguardo fugace e strizzò l’occhio: -E ricordati: d’ora in poi mai più quei codini da mocciosetta!-

-Alya!-

Le ore di lezione parevano scorrere a volte rapide, altre come se un pigro folletto avesse premuto il tasto slowmotion sul suo personale riproduttore della realtà. L’ora di storia era uno di quei momenti in cui, complice la primavera alle porte, Marinette sentiva più urgente la voglia di accucciarsi un momentino sul banco e chiudere gli occhi, giusto per pochi istanti, solo per…

-…ain-Cheng?-, sgranò gli occhi udendo solo la parte finale di quella che doveva essere una domanda della professoressa, rivolta proprio a lei. Si sentì precipitare e percepì che anche Alya sobbalzò come ridestata da un sonno profondo.

Per fortuna la donna stava dando loro le spalle, scrivendo alla lavagna alcuni numeri che quasi sicuramente erano date. 1807… cos’era avvenuto nel 1807???

-Friedland: battaglia di Friedland…-, due occhi verdi si voltarono spalancati su di lei trasmettendo l’urgenza che, quelle parole sussurrate, fossero immediatamente ripetute.

-Dupain-Cheng?-, insistette l’insegnante.

-La… battaglia di.. Fri…-

-Friedland!-, bisbigliò di nuovo un po’ più forte il ragazzo, voltandosi con scatto felino nel preciso istante in cui la professoressa faceva altrettanto, puntando come un segugio la ragazza.

-…Fr-Friedland-, Marinette trattenne il respiro, mentre la donna annuiva e passava ad altro; poi lasciò andare l’aria e, davanti a sé, vide il suo adorato salvatore fare lo stesso. -Grazie, Adrien…-, bisbigliò alle sue spalle, fissandolo come avrebbe fissato Dio sceso in terra.

-Contieniti, Marì…-, la riprese l’amica dandole un colpetto sul braccio con il dorso della mano, -Non sbavare…-, aggiunse, piegando le labbra in un diabolico sorrisetto.

Dalla finestra aperta dell’aula giunse il richiamo felice di una rondine e un refolo di vento portò il profumo del sole e l’umido dei primi fiori.

Era proprio tornata la primavera…

***

-… e così abbiamo scoperto come l’innocente Marinette indossi biancheria di pizzo…-, concluse la rocambolesca spiegazione Nino, inventandosi di sana pianta il 70% dei dettagli aggiunti, -…Nero!-, chiosò puntando l’indice sul tavolo della mensa, piccato: -Mentre la mia ‘dolce metà’, si ostina a mettere roba da fit boxe e non si veste mai un po’ più… più…-

-Cos’hai contro la mia biancheria, Nino!?-, Adrien osservò la sua compagna di classe travolgere con il tono della voce il suo amico: teneva le due braccia piegate ai lati del corpo, le mani poggiate sui fianchi. Nino, tanto baldanzoso fino ad un attimo prima, si sottomise a lei come un cagnolino che, alzate le zampette sopra le orecchie, tentasse di proteggersi da una sonora sberla: -Nullanullanulla mia adorata!-, balbettò, riuscendo al contempo ad indicargli, con un lieve gesto del mento, Marinette che si avvicinava con il vassoio tra le mani. La osservò posarlo sul tavolo dove, pochi istanti prima, Alya si era sistemata e la vide cercare l’amica in giro con lo sguardo.

-Marinette ti cerca, Alya,- la avvertì Adrien e la vide allontanarsi senza voltarsi, lasciando ficcato il suo sguardo in quello di Nino finché non fu abbastanza lontana, quindi si girò e raggiunse il suo tavolo.

-L’ho scampata-, dichiarò Nino e tirò giù un grosso sorso di aranciata.

Adrien sorrise, ripensando, nell’ordine, alla sorpresa che Alya e Nino avevano fatto a tutti quel giorno allo zoo, e come fosse possibile che, sotto lo sguardo da micino spaventato che aveva sempre Marinette, nascondesse un’anima da pantera del piz… beh, forse l’ordine non era proprio quello…

“Marinette… ma pensa tu!”

Portò alle labbra una fetta di pizza e, gustandone il sapore, lasciò vagare la sua fantasia su cosa potesse indossare sotto quella tutina attillata la sua amata Ladybug… Percorse con gli occhi della memoria la curva sinuosa dei fianchi, scivolando sul suo didietro sodo – e lo sapeva bene che era sodo, perché non si era mai tirato indietro nel sostenerla proprio da lì, ogni volta che lei gli rocambolava addosso- e… aveva il rigo del reggiseno sotto la tuta? Sì? No? Avrebbe dovuto porci particolare attenzione quando l’avesse rivista, perché se per caso anche lei fosse stata un’amante del pizzo nero, allora… wow

Si rese conto di essersi lasciato trasportare un po’ troppo dai suoi sogni ad occhi aperti quando udì Nino che lasciandolo solo come un baccalà, gli consigliava di provarci con Marinette e mettere fine alle sue agonie di “gatto in calore che sbava davanti a una pizza, un reggiseno e una lolita dagli occhi blu”. Testuali parole.

Aveva detto proprio così: gatto in calore. Oh se solo Nino avesse saputo quanto c’era andato vicino quella volta… -Aspettami!-, urlò dietro all’amico che si allontanava, infilandosi tra i denti al volo l’ultimo boccone e sfilando rapido davanti al tavolo delle due ragazze, senza voltarsi. Se lo avesse fatto, ne era sicuro, avrebbe mostrato non poco imbarazzo.

Figurarsi se avrebbe potuto provarci con Marinette! Non ne sarebbe proprio stato capace! …Con Marinette! Lei era un’amica, le voleva bene, la considerava fantastica ed era in gamba, ma… solo quello, che avesse indossato un perizoma di pizzo o un pigiama di Winnie the Pooh. Un conto era Marinette, un altro Ladybug, che al solo pensiero di saperla in pizzo nero…

-Aspettami Nino!-, doveva correre a casa a farsi una doccia fredda, senza dubbio.

***

Alya finalmente allontanò lo sguardo dal suo telefono, alzando una volta ancora le sopracciglia, come se non credesse a quello che aveva appena letto.

-Problemi?-, farfugliò Marinette mentre lasciava dondolare le gambe sollevate dietro di sé. Era distesa sul tappeto di camera sua con un libro davanti e una matita tra le labbra, i gomiti puntati a terra a sostenerla. Era rilassata e non sembrava affatto la stessa ragazza con cui aveva discusso poche ore prima, dopo il pranzo. Notò che si era tolta addirittura il maglioncino dietro cui si era barricata per tutto il giorno, per evitare occhi indiscreti e si sentì un po’ in colpa, per aver enfatizzato quella trasparenza che, in fondo, non era poi così evidente.

Dopo il pranzo a mensa, Marinette si era convinta che se Nino avesse continuato con quella storia di cosa avesse o non avesse sotto la maglietta lei avrebbe dovuto necessariamente abbandonare gli studi in quella scuola, perché certamente suo padre avrebbe udito che voci correvano sul conto della sua bambina e l’avrebbe spedita dai prozii in Bretagna a studiare per corrispondenza per prendere il diploma di scuola professionale e poi l’avrebbe venduta a qualche convento come ricamatrice esperta e l’avrebbero costretta a prendere i voti e diventare suora e allora non avrebbe più potuto neanche uscire per andare all’edicola e sbirciare di nascosto alla Madre Superiora le copertine di Elle e tutte le altre riviste per rivedere ancora una volta il bel volto del suo amato Adrien Agreste… “Adrien Agreste e Chloe Bourgeois si sposano nella piccola chiesa di Saint Vincent durante un viaggio sulla neve”, prima o poi una avrebbe titolato così e, impegnando l’ultimo cimelio di famiglia che le era rimasto, sarebbe riuscita a comprare di contrabbando dalle spie separatiste bretoni una copia di “WHO? Tutto sulle nozze dell’anno tra Adrien Agreste e Chloe Burgeois: la giovane coppia ha finalmente coronato il suo sogno d’amore, nato tra i riflettori e i banchi di scuola. -All’epoca amavo un’altra ragazza, ma poi credo si sia fatta suora-, pare aver dichiarato il giovano rampollo di casa Agreste, dopo aver strappato con i denti la giarrettiera della sua mogliettina, in partenza per le Maldive per una bollente luna di miele…”. E la povera tapina Suor Marinette si sarebbe impiccata a un pero usando i fazzolettini da lei ricamati legati uno all’altro e avrebbe smesso, finalmente, di soffrire.

Dopo tutto il suo sproloquio aveva trascinato Alya nel bagno delle femmine e l’aveva implorata di prestarle la sua maglia o un sacco di canapa o qualunque cosa avesse per evitare che ancora qualcuno la guardasse come aveva fatto poco prima quel ragazzo del primo anno che...

-Marinette!!! Smettila di comportarti come una ragazzina idiota in preda alle crisi adolescenziali!-, aveva tuonato lei zittendola, -Non c’è nessuno che abbia in mente di guardarti sotto i vestiti-

Aveva esagerato e se n’era resa conto immediatamente, perché da quelle parole buttate là, lo sapeva bene, Marinette aveva di rimbalzo capito che nessuno, tantomeno Adrien Agreste, l’avrebbe mai potuta guardare in quel modo. Aveva abbassato le spalle e se n’era andata mogia mogia a seguire le ultime due ore di lezione.

-Pace?-, aveva proposto Alya al termine delle lezioni e si era offerta di portarla nella gelateria che aveva aperto da poco in Rue de la Harpe, prima di andare da lei a studiare. L’aveva abbracciata e, tra i suoi capelli neri, le aveva mormorato che lei era la sua migliore amica e che, anche se fosse diventata la più fichissima di tutte, se qualcuno avesse provato a importunarla si sarebbe trovato a fare i conti con LadyWiFi.

Marinette aveva trattenuto il respiro a quelle parole e aveva compreso che era proprio vero: Alya era la sua migliore amica e non le avrebbe mai detto qualcosa che l’avrebbe fatta star male.

-Allora, ci sono problemi, Alya?-, ripeté Marinette, dalla sua postazione a terra.

-Nino pensa che Adrien sia molto interessato a toglierti la maglia che indossi-, buttò lì Alya, a bruciapelo. La matita scivolò dalle labbra dell’amica e il suo sguardo rilassato aveva ceduto il posto ad un’espressione allarmata.

-Co…cooosa??- si era tirata su a sedere in modo poco aggraziato attendendo spiegazioni, dettagli, scappatoie, giustificazioni, appoggio.

Alya si morse un labbro: ormai aveva detto quelle parole e in effetti c’era da rimanere stupiti per questa bomba che Nino aveva sganciato.

-A quanto pare-, riprese, gesticolando per spiegare in modo più semplice per il cervello in tilt della sua amica, -Nino sostiene che Adrien si sia fatto un film mentale su di te, quando è stato informato di quello che… aehm… indossi o non indossi sotto i tuoi vestiti… Insomma, pare che il nostro Adrien si sia svegliato, dal letargo con i primi caldi!-, non riuscì a finire il concetto, che vide Marinette sbiancare e un attimo dopo tornare paonazza, mentre annaspava nel tentativo di portare aria ai polmoni.

Le sorrise e, in tutta quell’emozione, lesse felicità e speranza nei suoi occhi, ma anche pudore: la sua dolce, ingenua, innamoratissima Marinette!

-In fondo Adrien è un maschio di quattordici anni… D’accordo che è stato allevato come il principino William, ma… dai, è normale che abbia aperto gli occhi e capito quanto tu sia carina! E a cosa ti aspetti che pensi, per primo? Ai tuoi capelli? Seriamente!? Sveglia! E’ tornata la primavera!-, la invitò a battere il cinque e iniziò ad illustrarle il suo piano, mentre l’amica la fissava inebetita con le guance rosse.

Marinette era incredula e si sentì al settimo cielo per gli incoraggiamenti dell’amica, che la accompagnarono fino al momento di salutarsi.

Decise di tornare a casa a piedi per lasciarsi travolgere da quell’ondata di primavera che sembrava aver rischiarato Parigi e anche la sua vita, in quella tiepida giornata di marzo. Forse il freddo sarebbe tornato, ma in quel momento non le importava.

A cena le parve di essere ancora sospesa tra le nuvole mentre ascoltava in sottofondo i discorsi su ricette e disposizioni delle vetrine che si scambiavano i suoi genitori. La tv, dimenticata accesa in salotto, accompagnava quella serata di speranza e batticuori per qualcosa che forse non era davvero possibile.

-Che ti prende stasera, cucciolottina?-, le domandò suo padre, amorevole e curioso, ricevendo in cambio un sospiro e uno sguardo sognante, mentre sua madre storceva il naso per tutte quelle smancerie.

-Marinette avrà trovato il fidanzato-, buttò lì Sabine ed entrambi figlia e marito strabuzzarono gli occhi a quell’affermazione azzardata.

-Mamma!-

-Sabine!-, esclamarono all’unisono. La donna ridacchiò e placò gli animi con la sua speciale Quiche Lorraine. La cena trascorse tranquilla e, poco dopo, Marinette si ritirò nella sua mansarda, dicendo ai suoi che avrebbe disegnato un po’.

Sospirò di nuovo, guardandosi allo specchio: in fondo quegli ‘abiti dello scandalo’ che avevano accompagnato quella strana giornata non erano nulla di così scandaloso… Si era lasciata suggestionare dalla battuta di Alya e si era quasi rovinata la prima giornata di sole dell’anno. Si spogliò mestamente preferendo farsi un bagno rilassante al disegnare. Aprì l’acqua della vasca, testando la temperatura con una mano e nel frattempo che la vasca si riempiva si lavò i denti, prima di versare nell’acqua fumante un po’ del suo bagnoschiuma preferito, quello al cocco e vaniglia. Si sfilò gli slip e quel benedetto reggiseno di pizzo, che per la cronaca non era nero ma blu notte e gettò tutto nella cesta dei panni sporchi. Accidenti a quando le era balenato in testa di comprarlo.

Entrò in vasca e si rilassò, riprendendo da dove aveva lasciato le sue fantasie su Adrien: subito gli apparvero gli occhi verdi del ragazzo velati dagli occhiali da sole. Erano sul bordo di una piscina e lui iniziva a spogliarsi, sfilandosi la maglietta collezione primavera-estate by Agreste, calandosi i pantaloni in lino color kaki e guardandola ammiccante mentre rimaneva con il solo costume nero attillato che…

-Marinette-, la chiamò Tikki, destandola da quel sogno ad occhi aperti. L’acqua era tiepida, ormai. La kwami era rimasta in cameretta senza accompagnarla in bagno e aveva udito, dalla tv al piano di sotto, quello che stava succedendo.

-Marinette, devi trasformarti subito: è scoppiato un incendio in un palazzo occupato nel XX arrondissement, vicino a Bagnolet. Al telegiornale hanno detto che i vigili del fuoco non riescono a spegnere le fiamme e che Chat Noir è già sul posto… devi correre ad aiutarlo-

La ragazza sospirò: era difficile venire strappata all’estasi del momento e reagire con la solita velocità, tornando con i piedi per terra per prendere in mano la situazione. -Marinette!-, la pungolò Tikki, attraversando la porta chiusa del bagno. Doveva farlo. Inspirò per l’ultima volta il profumo del bagnoschiuma.

-Tikki, trasformami!-, pronunciò le parole emergendo dall’acqua e provò un brivido al contatto con l’aria più fredda; subito dopo l’avvolse il solito calore crepitante della trasformazione. -Andiamo-, si disse, e voltandosi verso la finestra si rese conto che aveva ancora i capelli fradici. -Com’è possibile…-, era la prima volta che si trasformava in una situazione del genere, rifletté. Allora funzionava così: ma se aveva i capelli bagnati, e quindi era rimasta identica a prima della trasformazione, cosa sarebbe successo se si fosse de-trasformata in quello stato? Era in vasca, era bagnata e senza vestiti.

Sarebbe rimasta nuda.

Realizzò in quell’istante che, mai come quella volta avrebbe dovuto stare molto, molto attenta al tempo rimanente della sua trasformazione.

Afferrò un asciugamano dallo scaldasalviette e si frizionò rapidamente la testa, balzando nella notte con i capelli ancora umidi che svolazzavano sciolti al vento.

“Si asciugheranno in un attimo…”, realizzò davanti all’enorme incendio che divampava ai piani più alti dell’edificio diffondendo intorno un calore infernale.

Udì delle urla provenire dall’interno e le grida dei pompieri che lavoravano alacremente con gli idranti e le scale.

-Alla buon ora, My Lady!-, la salutò così Chat Noir, atterrando con un balzo su una tegola vicino a lei: -Cambiato look?-, alzò le sopracciglia sotto la maschera, stirò le labbra in un sorriso obliquo e ci passò la lingua sopra, ammiccando, -Sei molto sexy così, Coccinellina…-

Ladybug, roteò gli occhi sbuffando e lanciò il suo yoyo verso l’antenna che si stagliava sul tetto del palazzo in fiamme.

-Ci sono ancora cinque persone dentro-, la informò il gatto, tornando serio -Una donna con due bambini, un anziano infermo a letto e un uomo, ma credo che abbia perso i sensi nel tentativo di sfondare una finestra, quindi, madame, io la saluto…-

Con un balzo volò verso l’edificio, facendosi scudo con le braccia e sfondando una finestra, buttandosi a capofitto nel rogo.

-Chat!-, urlò Ladybug con tutti i sensi d’improvviso destati e pronti a scattare. Seguì il giovane atterrando con un salto nella stessa stanza. Subito il fumo le riempì i polmoni e iniziò a tossire. Maledizione

Avanzò brancolando senza vedere molto, seguendo il flebile richiamo di qualcuno che doveva trovarsi dietro una porta. Provò ad entrare, ma si rese conto che il legno dello stipite aveva ceduto rendendo impossibile alla porta di ruotare sui suoi cardini; prese una breve rincorsa e la sfondò, trovando dietro di sé uno spettacolo terribile.

La donna, quella di cui sicuramente le aveva parlato Chat Noir, stava cercando in tutti i modi di caricarsi sulle spalle il corpo esile, eppure pesante, di un vecchio: -Papà, aiutami, aggrappati con le mani-, lo implorava, mentre con gli occhi saettava da un figlio all’altro, che piangevano terrorizzati con le spalle al muro.

-Non ce la faccio-, piangeva l’uomo, scivolando alla presa della figlia e cadendo a terra. I nipoti accorsero ad aiutarlo, il più piccolo dei due continuava a chiamare il suo papà, che non dava risposta.

-Di qua!-, vide la mano guantata di nero apparire dal vano di una porta dall’altra parte della stanza e Chat Noir entrò per aiutare gli sventurati, reggendo sulle spalle il corpo dell’uomo privo di sensi che aveva appena recuperato dalla stanza accanto, invasa dal fumo.

-Papà!-, urlò un bambino, terrorizzato.

-E’ svenuto, ci penso io a lui. Tu resta con tua madre!-, ordinò il gatto, poi la vide.

-Ladybug!-, non aggiunse altro, ma le infuse quella scarica di adrenalina che ancora la ragazza non aveva avuto.

Doveva reagire. Ladybug studiò immediatamente la situazione e comprese subito cosa avrebbe dovuto fare, ma mancava un tassello al puzzle. Evocò quindi il Lucky Charm e si vide cadere tra le mani proprio quello che le occorreva.

-Chat Noir, sfonda questo muro!-, ordinò e osservò il giovane richiamare la sua forza oscura e, tramite il potere del Cataclisma, abbattere la parete sottile che li divideva dal vano dell’ascensore.

Il Lucky Charm pareva essere una specie di gommone gonfiabile, di quelli che si usavano per i salvataggi aerei. LadyBug lo fece aprire proprio nello stretto tunnel verticale, dove esso si incastrò.

-Coraggio, tutti dentro!-, gridò al collega e alla donna e corse a mettere in salvo l’anziano, prendendolo di peso e balzando sul gommone insieme agli altri. La plastica cedette sotto il loro peso e l’ascensore improvvisato iniziò a scivolare sempre più veloce: Ladybug lanciò il suo yoyo per calibrare la velocità mentre Chat Noir faceva lo stesso allungando il suo bastone tra le strette pareti che li circondavano. Evidentemente la sua fortuna aveva fatto sì che non ci fosse la cabina ai piani inferiori a bloccare la loro fuga.

Fu un atterraggio perfetto. Subito i due eroi corsero fuori chiamando gli operatori dell’ambulanza.

-L’uomo ha perso i sensi-, spiegò Chat Noir, -Mentre l’anziano ha bisogno immediato di cure-

-E i bambini con la madre… non separateli, cercate di portarli tutti nello stesso ospedale-, si raccomandò Ladybug, mentre il suo orecchino emise il primo dei segnali di fine trasformazione.

Corse a recuperare, non senza difficoltà, il gommone e lo lanciò sopra di sé per far calare su quel teatro di distruzione la magia benefica e creativa del suo Miraculous. Con un intenso luccichio tutto tornò alla normalità e le fiamme si spensero in un attimo.

-Agente…-, si congedò la ragazza, lanciando ancora il suo yoyo verso un appiglio e lasciandosi trascinare via.

L’aria fresca la riportò al mondo. Si fermò su un tetto poco distante e inspirò quanta più aria poté: aveva quasi rischiato di essere travolta dalle proprie sensazioni, quella sera, invece di pensare con lucidità. Era ancora troppo coinvolta dalle parole di Alya e dall’aver visto quella donna impotente tra le fiamme. Si portò una ciocca di capelli -che, sì, si erano decisamente asciugati!-, dietro l’orecchio e si preparò a balzare.

-Dove credi di sparire?-, il capo biondo del suo collega (pensò che chiamarlo “gattomorto” fosse molto adeguato…) le si parò d’innanzi insieme ai due occhi verdi e sornioni. -Dobbiamo fare due chiacchiere…-, Chat Noir si lasciò scivolare giù dal bastone su cui stava appollaiato guardandola al contrario e riprese a parlarle.

-Non mi hai spiegato questa storia dei…-, e indicò i capelli, facendo un gesto con il dito.

-Non c’è nulla da spiegare, Chaton. E adesso, se vuoi scusarmi…-

Ladybug lo scartò e fece per saltare oltre di lui, ma si sentì afferrare per un polso. Un istante dopo avvertì attraverso il suo guanto il respiro del gatto che le stava facendo il baciamano. Si rese conto con suo sommo orrore che il giovane non intendeva mollare la presa dal suo polso, mentre con lo sguardo… praticamente la stava radiografando con quegli occhiacci da gatto!

-Lasciami!-, ordinò la coccinella,saltando ad un passo da lui e percependo quello stesso sguardo scivolare dalle sue spalle al…

-Chat Noir!, Mi stai fissando le tet…!-, istintivamente Ladybug si coprì il seno con le braccia girandosi di tre quarti, ricordandosi in quel momento che, sotto, non aveva niente! Quella giornata era un incubo! Al diavolo gli ormoni, la biancheria intima e i gatti!

Chat Noir mise il broncio, ma solo per un attimo: -Perizoma o slip?-, domandò tra sé e sé con il cervello sprofondato sotto la cintola.

L’unica risposta che ebbe fu una spinta stizzita in pieno petto che gli fece perdere l’equilibrio.

-Pervertito!-, la sentì strillare scandalizzata nella notte, mentre scappava via.

-Ehi ehi ehi! Coccinellina, stavo scherzando!-, le urlò dietro. Troppo tardi.

Rimase a fissare per un minuto buono nella direzione in cui era sparita la sua amata, quindi, con un salto, anche lui scese in basso, tra le strade di Parigi, mentre l’ultimo bip del suo anello preannunciò lo sciogliersi della sua trasformazione.

Adrien Agreste si ritrovò in t-shirt e pantaloni della tuta per strada, incrociò le braccia dietro la nuca e, ciondolando, rientrò verso la sua casa, mentre il suo kwami rintanato in una delle tasche dei pantaloni, masticava camembert.

Niente .

Adesso lo sapeva.

Sotto quella tuta attillata, Ladybug non indossava niente.

-Ma cosa… Che ti prende pervertito di un gattaccio!!!-, strillò Plagg sentendosi mancare l’aria e schizzò fuori dal suo nascondiglio, vedendo di sfuggita lo sguardo di fuoco che quel ragazzino a cui era stato agganciato si era stampato in viso.

Prese il pezzo di formaggio che gli era caduto per terra, lo spolverò con la zampetta e guardò la luna che stava sorgendo dietro il tetto di una chiesa poco distante.

-E’ davvero tornata la primavera…-, bofonchiò. Azzannò il formaggio e corse dietro al suo portatore, mentre in lontananza, tra i tetti di Parigi, un gatto miagolò alla luna la sua fame d’amore.

***DISCLAIMER***

I personaggi usati per questa storia non sono di mia proprietà e appartengono a ZAG Heroes. Ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

   
 
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