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Autore: FreddyOllow    04/02/2018    0 recensioni
Il cielo casca sul mondo ignaro dell'imminente distruzione. La musica del silenzio prepara l'ascesa al caos. Case, strade, città, tutto viene distrutto, bruciato dalle fiamme, disintegrato dalle bombe. L'odio affligge i sopravvissuti e la speranza rincuora i forti. Il cielo dipinge colori tetri, anneriti dal dolore e dal canto di mille tuoni. La terra muore, lacerata dall'uomo avido, corrotto. Sorge una nuova Era, come un alba splendida tra le fessure del male...
Genere: Avventura, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Suoni confusi serpeggiavano da una parte all'altra. Frasi incomprensibili. Rumori di scarponi su pavimenti cigolanti. Nathan aprì lentamente gli occhi sgranati. Le sue dita toccarono il tessuto morbido del lenzuolo. Fu come accarezzare qualcosa di sconosciuto, qualcosa che aveva quasi dimenticato. Era liscio, morbido e profumava di fiori. Fece un grosso sospiro, impregnando i polmoni come se quel odore potesse rigenerare ogni ferita e riportarlo al suo vecchio mondo, fatti di grattacieli, macchine di lusso, parchi rigogliosi e il sole che baciava la sua pelle come un dolce amante. Ma quando aprì gli occhi del tutto, quel miraggio svanì, disperdendosi tra le mure di un legno annerito, marcio in quel mondo che di reale aveva ben poco.
 

Rimase seduto sul letto, accarezzando con le dita un altra volta il lenzuolo, con la vana speranza di finire catapultato nel suo vecchio mondo, il suo mondo, ma non funzionò. La testa gli doleva come se all'interno fosse in atto un continuo bombardamento. Poi si toccò i capelli con le mani, spalancando gli occhi di colpo. Non aveva più i capelli. Iniziò freneticamente a toccarsi il capo. Il cuore palpitava più forte. D'un tratto qualcuno entrò da una porta malmessa, ma che era stava riparata più volte in varie parti.

"Ti sei svegliato" disse l'uomo con folti baffi e pizzetto nero. Un viso squadrato, serio. Indossava un giaccone marrone scuro con un cappello borsalino grigiastro. Una cinta raffigurante un aquila sui jeans grigi che finivano su degli stivali eleganti neri sporchi di terra. 
Nathan si girò verso l'uomo. I due si fissarono per qualche secondo.

"Scusa per i capelli, ma abbiamo dovuto rasarti. Non era bello quello che si era creato sulla superficie, oltre alle varie ferite.  Comunque, penso di averti già visto da qualche parte" l'uomo prese una sedia vicino a quel che rimaneva di una antica scrivania di legno e la posizionò di fronte a Nathan. Poi si sedette con lo schienale rivolto verso di sé, accarezzandosi il pizzetto e serrando gli occhi pensieroso. "Sì... tu devi essere quel tale che andava sempre con Julien... certo, conciato così non è facile riconoscerti. Che ti è successo?"

Nathan rimase per un momento in silenzio. "Tu chi sei..? Dove sono?"

 

"Patrick Norton. Sono il capo di Dalton." allargò le braccia indicando qualcosa fuori dalle mura della stanza fatiscente.

"No... lui non è come te."

"Mi sono fatto crescere i baffi, vedi? Ho un nuovo look. Ti piace? Molti me lo invidiano devo dire, ma hey, anche se la fuori si vive come tra i porci, io ci tengo al mio aspetto." Patrick fece un sorriso malizioso e fiero, lisciandosi i baffi.

"Mmmh... comunque io sono Nathan."

"Allora, rispondi alla mia domanda?"

"Che domanda?"

"Che ti è successo?" indicò la faccia di Nathan.

"E' una lunga storia."

"Mi piacciono le storie." Patrick sorrise, accarezzandosi i baffi.

Nathan raccontò la sua disavventura, di come aveva perso di vista Eva, di Colbert, Ector e del loro obiettivo per impossessarsi delle armi di Julien. Forse sbagliava a raccontare nel dettaglio tutto quello che gli era capitato, ma dentro sentiva un forte bisogno di sfogarsi, di liberarsi del peso tossico che aveva subito e sopportato, ma sapeva anche in cuor suo di aver dato troppo informazioni a Patrick, sopratutto sul fatto delle armi. 

"Wooo... gran brutto affare... A chi appartengono?" Il viso di Patrick si oscurò.

"Chi?" Nathan per un momento si pentì di aver parlato della armi.

"Ector e Colbert. A quale gruppo appartengono?" 

Nathan fece un sospiro di sollievo dentro di sé. "Non lo so... credo siano sciacalli..."

"Sciacalli..?" Patrick aggrottò le sopracciglia "No... non può essere... quelli se ne stanno comodi nel porcaio di New Town. Non hanno mai mostrato queste intenzioni." 

"Potrebbero..."

Patrick rimase in silenzio con gli occhi rivolti verso il pavimento di legno marcio, battendo freneticamente le dita sullo schienale della sedia. "No, no, non sono loro. Né sono sicuro. Non hanno motivi per farlo. Stanno bene dove stanno e tutti noi sappiamo che se la passano meglio di noi. E anche troppo."

"Sono in guerra con i Solitari, non credo se la passino bene, non credi? Le armi si rompono e le munizioni finiscono."

"Okay, su questo sono d'accordo, ma per il resto no. Forse sono i Blawr."

"Può essere..."

"...Devo tenere gli occhi aperti e le orecchie ben tese... Se vogliono Julien, dopo vorranno anche me. Le armi sono una scusa. Un motivo per attaccare, lo so." Patrick strinse con forza lo schienale della sedia. "Riguardo le armi." l'uomo lo fisso negli occhi severo "Suppongo sia vera la storia delle armi? Ne avevo sentito parlare."

"Non so molto a dir la verità."

"Non c'è motivo di mentirmi, Nathan."

"Non sto mentendo."

Patrick lo scrutò per qualche istante, poi si alzò di scatto dalla sedia. "Va bene, Nathan. Non insisto, ma devi sapere che quando un tuo vicino trova magicamente delle grosse armi, potrebbe avere strane idee in testa, mi capisci no? Devo salvaguardare la mia comunità."

"Pensi che Julien potrebbe avere cattive intenzioni?" Nathan si pentì di aver fatto quella domanda.

"In questa vita non si è mai certi di niente. Ti saresti mai aspettato di ritrovati in un mondo del genere? Che saremmo quasi arrivati all'estinzione? Che nuovi orrori sarebbero risorti dalle ceneri del vecchio mondo per ucciderci? Pensaci. Nella vita non si è mai certi di qualcosa... mai."

L'oscurità che aveva inghiottito il volto di Patrick era scomparso, lasciando un volto duro, triste e carico di rabbia. Nei suoi occhi ardeva un fuoco antico, un fuoco che una volta accesso, non si sarebbe spento facilmente, proprio come l'antico fuoco greco che domava le battaglie navali di un epoca ormai troppo lontana, quasi fantastica per alcuni versi. Nathan dall'altro canto lottava con i suoi demoni interiori. La paura di non vedere mai più Eva, di scoprire che fosse morta da qualche parte e il suo corpo divorato da qualche abominio, mentre lui era vivo e vegeto tra quattro mura putrescenti, anneriti da missili di cui le origini erano un mistero. Una guerra che strappò l'umanità dal grembo della propria madre terra, distruggendo ogni forma di civiltà che, pur piccola, sopravvisse dando luce a una catena di morte senza fine. Gli uomini non smetteranno mai di ammazzarsi, in un modo o nell'altro, troveranno una scusa per farlo. 

Nathan aveva un ricordo ben nitido della sua infanzia, della sua voglia di scoprire il mondo, esplorarlo, conoscerlo in ogni suo aspetto. Ricordava il sorriso di suo padre mentre lo stringeva a sé, delle sue parole di conforto, del suo esserci anche se gli impegni lo portavano spesso fuori città per lavoro, del suo profumo di dopobarba che gli impregnava la pelle, delle sue camice bianche, del suo aspetto un po' serio e un po' giocoso, di quelle telefonate interminabili la sera, del sapere ogni minimo dettaglio anche piccolo che sia, pur di far sentire la sua presenza, il suo partecipare, il suo esserci sempre, finché un giorno quel telefono non squillo più. L'agonia, l'attesa, un infinito vuoto che lo riempì lentamente, divorando ogni aspettativa, bellezza, ogni sentimento felice, fissando quel telefono con la speranza di sentire ancora una volta la sua voce, di essere rassicurato, di sentirsi al sicuro, amato, voluto, compreso, ma c'era solo silenzio. Quel telefono che poco prima era solo un oggetto, era diventato tutto il suo mondo, una reliquia di un valore inestimabile. I giorni passarono, sperando che da un momento all'altro squillasse e tutto sarebbe finito, ma ancora una volta c'era un insopportabile silenzio che lo avvolgeva trascinandolo nelle viscere degli abissi. Ogni tanto credeva che il cellulare suonasse e ci si fiondava a gran velocità scoprendo che era solo frutto della la sua immaginazione. Ogni sera se ne restava fermo nel suo letto fissando fino al mattino quel telefono di cui ora conosceva perfettamente ogni angolatura. Poi un giorno squillò. Era una fredda e ventosa giornata autunnale, là fuori le foglie cadevano danzando un valzer mortale, mentre all'orizzonte un cielo torvo come un esercito irrequieto in attesa di un segnale minacciava il suo spietato attacco. "Papa!" ricordava ancora quella magica parola impregnata di una sconfinata gioia che rinvigorì il suo cuore prima che si frantumasse definitivamente, assieme a quella antica reliquia che aveva custodito fino a quel momento. "Sono l'agente Gary Newman, la chiamo per avvertile che abbiamo trovato un corpo in un condotto abbandonato. Abbiamo chiamato l'ultimo numero che la vittima aveva digitato... Mi sente? riuscite a sentirmi? Pronto?"

   
 
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