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Autore: Kein_Pyke    05/02/2018    0 recensioni
SEQUEL del VOLUME I: Sulle Isole di Ferro convergono figure provenienti da mondi differenti, i cui destini, però, sono destinati ad incrociarsi. Kein Pyke è una giovane marinaia, figlia di una prostituta e di un ignoto pirata di nobili natali, che fa ritorno a casa dopo una scorreria. Shin Estren, ex mantello bianco della guardia reale, dopo essere stato estromesso dalla sua carica, cerca l’avventura nel regno dei pirati, dei reietti, dei rinnegati. Yohan Farwynd, un tempo appartenuto alla ciurma del re, ha finalmente ripreso la via verso casa.
Nel mentre, il regno di Euron Greyjoy è messo in pericolo da una rivolta dei capitani della Flotta di Ferro che si uniscono agli Annegati del dio Abissale per conquistare il trono del mare. Gli esiti sembrano scontati, ma ci sono forze che tramano nell’ombra: una spia con mille occhi, una regina decaduta decisa a riprendersi ciò che è suo, eserciti che si radunano ad est…
Una guerra scongiurata, una guerra a venire. Un nuovo nome gridato al cielo.
È giunto il momento del riscatto.
Autori: Francesca Colombo e Giovanni Seminara
A tutti i fan del trono di spade buona lettura! Sono graditi commenti e suggerimenti.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cersei Lannister, Daario Naharis, Jaime Lannister, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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VEREAH

Quella sera i suoni dell’intera città di Meereen provenivano da un solo punto, da un solo luogo, da una sola piramide, la Grande Piramide, illuminata all’esterno dal fuoco di innumerevoli torce, che ne esaltavano la gloria. La stessa luce, immensa e gloriosa, rischiarava all’interno la sala grande, addobbata da un numero spropositato di specchi dorati che riflettevano la fiamma dei numerosi focolai di tripodi d’oro e d’argento. Molteplici stendardi con stemmi di compagnie mercenarie e di antiche famiglie valyriane coloravano la sala.

Sotto gli occhi vigili di centinaia di neri Immacolati statuari, tutti i nobili delle città di Meereen, di Yunkai, di Astapor e tutti i capitani più importanti delle Compagnie del Re che erano stati invitati, presenziavano alla festa: lunghi tavoli imbanditi con ogni prelibatezza riempivano la sconfinata sala della Grande Piramide.

Pietanze da ogni dove, su piatti d’avorio, raggiungevano i tavoli. E vini occidentali e orientali, in ugual quantità, riempivano brocche e bicchieri.

Suoni e canti ghiscariani viaggiavano tra le mura della grande sala, raggiungendo gli ospiti ormai ubriachi e sazi, stravaccati sui loro pregiati e inestimabili scranni.

Ballerine seminude si destreggiavano tra i tavoli e tra i presenti, provocandoli e stimolandoli a ballare; i cantori, che si dilettavano in antiche canzoni d’amore, nell’incomprensibile lingua dell’antica Ghis, venivano quasi ridotti al silenzio dai canti di guerra dei mercenari ubriachi.

Gli stessi guerrieri delle Fosse, che fino a qualche ora prima combattevano tra loro, rumorosi e chiassosi, si comportavano come fratelli e sorelle, come se il destino di morte che li univa non fosse mai esistito. Bevevano, mangiavano e ridevano con le stesse persone che il giorno dopo, o quello successivo ancora, avrebbero potuto tagliare il sottile filo che li teneva ancorati alla vita.

Un impasto di genti e tradizioni, tanto disomogenee quanto buffe, componevano quel mosaico ricco e raffinato.

§§§

La Danzatrice, seduta al tavolo dei mercenari, beveva poco e mangiava ancor meno. Non era attratta da quei piatti e non aveva voglia di partecipare all’abbuffata imbarazzante che vecchi e giovani stavano mettendo in atto senza alcun ritegno. Non si sentiva a suo agio tra quei cortigiani buoni a nulla, gente che avrebbe potuto uccidere con un unico gesto preciso del polso. Non era il suo posto, quello. Avrebbe preferito continuare a danzare tra le sabbie della Fossa, sentire il suono di lame che si baciavano, osservare l’espressione dell’avversario che credeva di aver vinto, guardarlo negli occhi per vedere la sicurezza della gloria svanire, far bere alla sua lama il sangue del nemico e, infine, seguire l’anima degli occhi avversari andare via per sempre. Si sentiva viva, si sentiva libera, si sentiva se stessa, solo con la sua arma piantata nel cuore del rivale.

Continuava a volgere lo sguardo verso il Re Daario e il suo ospite d’onore: una tigre di Volantis, la stessa città dove schiavisti e aristocratici l’avevano marchiata con un segno indelebile, un segno che rammentava a tutti, ma a lei soprattutto, chi era stata e da dove proveniva.

Fin da bambina, una lacrima, tatuata proprio sotto l’occhio destro, la classificava, infatti, come schiava, come prostituta, come oggetto di piacere della città di Volantis. Non ricordava nulla di sua madre e di suo padre, anche se il colore dei suoi capelli e la pelle chiara indicavano che almeno uno dei due era stato di origini occidentali. I suoi primi ricordi erano legati alla sua padrona, la tenutaria di una famosa casa di piacere situata in un palazzo sul Lungo Ponte che l’aveva istruita fin dalla più tenera età all’arte amatoria. Aveva conosciuto il suo primo uomo a dieci anni e, in breve, era diventata la schiava più richiesta del bordello. Il suo valore era cresciuto a tal punto che dopo un lustro la sua padrona aveva valutato le proposte di diversi clienti interessati ad acquistarla e, alla fine, l’aveva venduta per una cifra spropositata ad uno schiavista di Meereen.

Ma la Danzatrice non era rimasta a lungo con lui: con l’avvento di Daenerys Targaryen, l’uomo aveva trovato una morte atroce e tutti i suoi schiavi, compresa lei, erano stati liberati. Non aveva ancora compiuto sedici anni e, nel pieno delle forze, si era appassionata ai combattimenti nelle fosse. Era rimasta affascinata dal fatto che ci fossero anche delle campionesse e aveva sentito subito un’affinità per quel tipo di esistenza sempre sul filo del rasoio. Era stanca di essere soltanto un oggetto del desiderio altrui, voleva essere lei, per una volta, a trarre piacere da ciò che faceva. E uccidere, le procurava un godimento che raramente a letto era riuscita a raggiungere.

Per questo motivo, in mezzo a migliaia di schiavi liberati, aveva cercato qualcuno in grado di insegnarle varie tecniche di combattimento. Soprattutto, istruita da un maestro sensibile ed esigente, si era applicata allo studio dell’arte della danza braavosiana, che ora padroneggiava senza difficoltà alcuna e che le era valsa quel soprannome.

Distolse lo sguardo dal re e rivolse l’attenzione al suo interlocutore. Era un uomo non più giovanissimo ma ancora prestante e, doveva ammetterlo, molto attraente. Aveva tratti aristocratici, intensi occhi smeraldo e una bocca sensuale nonostante il sorriso fosse decisamente di circostanza. Era evidente il disgusto che provava nel discorrere con un ex schiavo che non solo aveva riconquistato la propria libertà ma che era anche asceso alla massima carica possibile. L’ipocrisia di quell’uomo le fece scorrere il sangue più veloce nelle vene e la Danzatrice fu pervasa dal desiderio di aprirgli la gola.

Ma il suo Re non l’avrebbe perdonata. “Chissà quale strano nuovo intrigo sta organizzando in questo momento” pensò, guardandolo parlare intensamente con il triarca di Volantis, a cui Daario, presto, presentò anche Jaqonos il Rosso, così chiamato dal colore dei capelli e della barba, Illaro l’Ammazzanobili, per la sua attitudine a uccidere i guerrieri proveniente da antiche e nobili famiglie e Varar l’Orso Guerriero, un sacerdote barbuto di Norvos, ormai criminale tra le peggiori specie di mercenari. Un trittico variegato di uomini crudeli, risoluti, spietati. I capitani della Compagnia delle Aquile della Piramide.

Una Compagnia di ventimila validi e temerari guerrieri di tutta Essos e non solo. Fondata dal Re in persona, un paio di anni prima, una volta instaurato il suo regno nella Baia delle Piramidi. Compagnia di mercenari di cui lei era il quarto capitano, scelta e raccomandata da Daario stesso. Temuta e rispettata da tutti i suoi sottoposti che, pur di non incrociare la spada con lei, non se ne erano mai lamentati.

Il tempo trascorreva con incredibile lentezza e la donna era quasi tentata di abbandonare la sala e cercare tra le vie della città un avversario degno della sua lama, quando vide il re in persona alzarsi dal suo scranno e farle cenno di avvicinarsi. Obbedì e, ad un gesto di lui, tese la mano perché gliela baciasse. Non fu un bacio casto e formale come quello che avrebbe dato un qualsiasi altro nobile intervenuto al banchetto: quando le labbra calde e umide del sovrano incontrarono le sue dita, la Danzatrice si sentì avvampare. Quel bacio era la promessa di una notte di fuoco e Daario le sorrise ammiccante mentre la presentava al volantiano.

«Lei è la donna di cui ti parlavo, la ballerina che hai potuto ammirare quest’oggi alle fosse. Nonché una dei capitani delle Aquile della Piramide. Vereah la Danzatrice».

L’uomo la scrutò a lungo e il suo sguardo smeraldino si soffermò sulla lacrima tatuata sotto l’occhio destro di lei. Vereah sapeva che, da lontano, il tatuaggio si notava appena, perso tra le miriadi di lentiggini che le punteggiavano il naso e le guance, ma da vicino era impossibile non accorgersi del simbolo. Tuttavia, il volantiano non ne fece menzione. Si alzò a sua volta, imitando il sovrano, e le sfiorò appena le dita con un bacio di circostanza.

«Hai combattuto con grande coraggio oggi, Vereah» disse. Aveva una bella voce, profonda e sensuale. «E la tua tecnica è a dir poco perfetta. Non mi sorprende che tu sia uno dei capitani della più grande compagnia mercenaria che l’Est abbia mai visto»

«Merito di un buon maestro e di molta pratica» replicò lei, senza farsi ammaliare dai complimenti «la mia spada ha bevuto il sangue di molti nemici per arrivare a questi livelli, vostro…» si bloccò, perché non sapeva come rivolgersi correttamente al volantiano.

«Dimenticavo, il mio nome è Jaeron Maegyr, monarca di Volantis» le venne in soccorso lui.

«Vostro splendore» completò Vereah, chinando leggermente il capo. Poi cercò lo sguardo verde dell’uomo e sorrise con falsa ingenuità «Anch’io sono nata a Volantis e ci ho vissuto per quindici anni, ma, a quanto mi risulta, era un triarcato, non una monarchia.»

Maegyr strinse impercettibilmente le labbra, mentre Daario scoppiava in una risata sgangherata, facendo brillare il suo dente d’oro.

«Una forma di governo superata, mia cara» disse accarezzandosi la barba «Di recente la casta degli Elefanti ha, come posso dire? ceduto il passo ad un nuovo ed illuminato sovrano».

Vereah non aveva difficoltà ad immaginare le modalità con cui gli Elefanti erano stati indotti ad inchinarsi a quella Tigre, anzi, era più che probabile che la casta commerciante fosse stata letteralmente spazzata via.

«Le mie congratulazioni, vostro splendore» disse, conscia di quanto dovesse apparire forzato il proprio sorriso.

Jaeron non ebbe il tempo di replicare poiché l’animazione della serata stava giungendo al culmine. La musica crebbe d’intensità, i movimenti delle ballerine si fecero più rapidi e sincopati. I veli che a mala pensa le coprivano caddero strato dopo strato finché non rimasero nude, i corpi brillanti d’olio profumato. Come da tradizione, i danzatori si unirono a loro trasformando le coreografie in un consesso di corpi. Vereah conosceva quei passi, era stata introdotta anche a quel tipo di intrattenimento e dopo pochi minuti distolse lo sguardo, disgustata dai ricordi. Quando lo spettacolo si concluse, era evidente che ogni uomo intatto nella sala aveva desiderio di unirsi a una delle schiave e il sovrano scelse la più bella il suo ospite.

«Lascia che ti faccia dono di questa fanciulla, amico mio, per suggellare la nostra alleanza» disse a Maegyr, offrendogli la mano di una giovanissima schiava del piacere dalla pelle ambrata e gli occhi dolcemente allungati. Era poco più di una bambina e Vereah avrebbe voluto strapparla dalle grinfie del volantiano, ma era un dono, un oggetto di scambio, nulla di più. Jaeron accettò l’offerta con il suo solito sorriso tirato.

«Ti sono grato, maestà» rispose con affettazione «Per la tua ospitalità, il tuo dono e i tuoi uomini»

«Fanne buon uso» replicò Daario guardando dritto negli occhi il suo interlocutore. Aveva smesso di sorridere e Vereah, per un istante, ne ebbe paura.

§§§

Consumato un amplesso rapido ma soddisfacente, il sovrano si era staccato da Vereah per andarsi ad affacciare alla terrazza dalla quale si godeva un panorama mozzafiato della città. La donna lo raggiunse, nell’aria immobile, circondandolo da tergo con le braccia. Gli accarezzò i pettorali, i muscoli tesi dell’addome, giù fino al sesso.

«Non ne hai avuto abbastanza?» domandò lui, fermandole la mano.

«Sai che con te non è mai abbastanza» rispose Vereah, le labbra premute sulla schiena dell’amante. Era più bassa di quasi tutta la testa e dovette alzarsi in punta di piedi per lambirgli il lobo con la lingua. Lui si scostò, rientrò nella stanza e andò a versarsi una coppa di vino. Non ne preparò una anche per lei e Vereah si coprì con un gesto rabbioso.

Era noto che Daario Naharis avesse molte donne e correva voce che nessuna di queste avesse la benché minima influenza su di lui. Il cuore dell’ex mercenario aveva avuto un’unica regina, una regina che lo aveva abbandonato, lo aveva tradito ed era morta dando alla luce la figlia di un altro. “Con me, tutto questo non sarebbe accaduto” pensò la Danzatrice.

«Che accordo hai stipulato con quell’uomo?» chiese, giusto per rompere il silenzio.

«Commercio, economia, guerra. Sempre i soliti e monotoni accordi di un re con un altro re» rispose Daario, sorseggiando il rosso di Arbor.

«Ti ha ringraziato per gli uomini che gli hai concesso. Di quanti uomini si tratta e, soprattutto, di quali?» incalzò Vereah.

Daario era abituato alla sua lingua lunga e all’intraprendenza con cui era solita porgli domande a dir poco dirette, perciò soddisfò la sua curiosità senza tanti giri di parole. «I migliori. Le Aquile della Piramide, naturalmente» rispose, senza distogliere lo sguardo.

Vereah strinse le labbra, contrariata.

«Non il mio plotone, voglio sperare» lo sfidò.

«Anche il tuo, è ovvio». Il sovrano rise, prendendo dal tavolino accanto al letto lo stiletto di Myr che portava sempre con sé. Era la sua arma preferita, quello e un arakh Dothraki; le else di entrambi erano state forgiate a rappresentare due donne, nude e lascive. “Le mie ragazze” era solito chiamarle.
«Te compresa» proseguì «Certo, mi fido di tutti i miei alleati, ma solo fino a questa distanza» Fece un passo verso Vereah, alzando lo stiletto, la lama puntata al collo di lei ad indicare quanto breve fosse quella distanza. «Tu sarai la mia spada. Tu sarai il mio corpo, il mio sangue, i miei occhi.» Ormai l'aveva raggiunta e fatta indietreggiare verso la balconata. Lo stiletto ancora puntato alla gola, la cinse con il braccio sinistro e la spinse indietro, quasi nel vuoto. Un movimento soltanto e Vereah sarebbe precipitata da ottocento piedi d’altezza.

«Come tu comandi, mio signore» rispose.

Daario sorrise e la strinse a sé, riportandola all’interno della terrazza. Abbassò l’arma e Vereah poté finalmente tornare a respirare. Gli passò le braccia attorno al collo e aderì al corpo di lui. Questa volta, il re non la respinse: lasciò cadere lo stiletto, l’afferrò per la vita e la fece sedere sulla balaustra. Vereah gli avvinghiò le gambe attorno ai fianchi mentre lui la penetrava. Sotto di loro, le luci di Meereen brillavano come migliaia di piccole stelle.
   
 
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