ακόμα μια στιγμή - Encore un
moment
Quando Camus si svegliò, era già giorno, e il sole
era ben alto in cielo. Ci mise diversi minuti a riconoscere nell'ambiente che
lo circondava la sua stanza da letto, e ancora di più a ricordarsi quello che era
successo la sera precedente.
Si alzò di scatto a sedere, sentendo la testa
girare per un istante. Era quasi sicuro che l'ultimo ricordo che avesse non
fosse la stanza privata.
Sospirò, massaggiandosi la base del naso, e solo in
quel momento notò qualcosa che non doveva essere lì. O meglio, non in quella
posizione.
La poltroncina di pelle rossa, che di norma lui
teneva sotto la finestra e su cui si fermava a leggere ogni sera, adesso era
accanto al letto. E per di più, c'era Milo appollaiato sopra come un gatto, che
dormiva con la testa reclinata un po' all'indietro e la bocca aperta.
Camus storse la labbra in quello che, per chi lo
conosceva bene, era un sorriso, addolcendo lo sguardo. Milo era buffissimo in
quel momento, e doveva essere rimasto lì ad aspettare che si svegliasse, per
poi addormentarsi di botto a sua volta, altrettanto sfinito.
Si alzò e scostò la coperta dal suo letto per poi
poggiargliela sulle spalle, attento che non si svegliasse. O provandoci. Appena
fece per andarsene, infatti, con tutto l'intento di raggiungere il Tredicesimo
Tempio e fare rapporto, si sentì afferrare per il polso.
Milo era sveglissimo, gli occhi blu spalancati su
di lui lo stavano studiando in ogni angolo, ogni lembo di pelle. Quando decise
che andava tutto bene, si alzò di botto e gli prese il volto con entrambe le
mani.
Blu nel blu.
Camus sospirò. "Sto bene," assicurò. Milo
aveva scritto in fronte che si era preoccupato a morte, e a caratteri cubitali,
nonostante Camus adesso fosse in piedi e sembrasse stare bene. La ferita era
stata ben medicata -anche lui l'aveva fatto alla meno peggio, prima di tornare
al Grande Tempio, ma evidentemente la perdita di sangue era stata
considerevole, se aveva perso i sensi. Ad ogni modo, adesso stava decisamente
meglio, e in poco tempo sarebbe guarito.
Milo annuì, sfiorando la fronte di Camus con la
sua, naso contro naso, facendo scivolare le dita fra i capelli dell'altro. Milo
adorava i capelli di Camus. Erano di un rosso intenso, profondo, e amava quando
erano a letto e si mischiavano ai suoi, biondissimi.
"Lo so," soffiò alla fine, attirandolo
verso di sé e baciandolo con foga. Camus gli mise una mano sul fianco, senza
stringerlo ma lasciando che fosse Milo a farlo, e ricambiò quel bacio con
altrettanto impeto.
Milo gli mordicchiò il labbro inferiore, lo leccò,
poi tornò a baciarlo, alzando le mani per affondarle fra i capelli,
intrecciandoli fra le dita. Ma senza tirarli, con delicatezza.
Quando si staccarono, Camus aveva il labbro turgido
e arrossato quanto gli zigomi, e sospirò.
"Non fare il bambino, Milo. Sto bene,"
ripeté, ma Milo lo ignorò e lo abbracciò stretto, poggiando il mento sulla sua
spalla. Lo sentì soffiare con una risatina, per spostargli i capelli finiti
davanti al naso, a solleticarlo.
"Lo so, lo so. Lo vedo, Camus. Ma mi hai
davvero fatto preoccupare da morire!" borbottò, imbronciandosi.
Camus se lo staccò di dosso con uno scatto e puntò
gli occhi nei suoi. "Siamo Cavalieri. Lo dovresti sapere che possono
succedere anche queste cose. Non puoi stare così in ansia ogni volta che vado
in missione. Sai bene che..."
"Non dirlo!" sbottò Milo, prendendolo per
le spalle "Lo so benissimo anche io che siamo Saint di Athena, ma non me
ne frega niente. E non me ne frega nemmeno se tu te ne infischi, quando tocca a
me andare in missione. Io mi preoccupo. A morte! Okay? Non sto con te solo
perché mi piace scoparti, accidenti, è normale che mi preoccupi!"
Camus sgranò appena gli occhi, stupito, poi inarcò
un sopracciglio in un gesto così elegantemente francese che a Milo parve quasi
fuori luogo.
"Non ho detto questo, Milo," fece, serio.
"E non me ne infischio di te. Ma non capisco perché continuare a stare
così in ansia se hai visto che sto bene..."
Milo sbuffò, passandosi una mano sul viso e poi fra
i capelli "Sì, beh...non è una cosa che controllo," brontolò, poi
alzò gli occhi sull'altro, con la mano ancora ferma sulla bocca. "Davvero
ti preoccupi?"
"Come?"
"Beh, hai detto che non te ne infischi,
giusto? Quindi...ti preoccupi per me!"
Camus stavolta alzò entrambe le sopracciglia, fin
quasi all'attaccatura dei capelli. Milo sapeva che non si poteva aspettare
granché espressioni oltre quelle dal frigido Camus. E sapeva anche che quello
significava "mi sto arrabbiando". E quando Camus si arrabbiava l'aria
diventava gelida. Letteralmente.
"Putain!" sbottò infatti, in francese. Milo storse
il naso, per non ridere, perché sì, aveva capito che gli aveva detto, ma con
quell'accento così delicato pareva tutto meno che un'imprecazione. Però se si
fosse messo a ridacchiare Camus si sarebbe arrabbiato ancora di più. E non ci
teneva granché.
"Pensi davvero che io non mi preoccupi per te,
Milo?! Quanto tempo è che...io e te..."
"Tanti anni."
"Et puis!
Ne te moque pas de moi!" fece di nuovo, scostandolo con una spinta.
Milo sospirò, perché adorava quando Camus parlava in francese, peccato che lo
facesse solo quando era arrabbiato.
"Hai ragione, mi dispiace. Io...dove
vai?"
"Ho tutta l'intenzione di andare al
Tredicesimo a fare rapporto. Avrei dovuto farlo ieri sera, quando sono tornato,
ed è inqualificabile. Tornatene all'ottava. Non voglio trovarti qui quando
torno."
La voce di Camus era perentoria, fredda. Gelida,
quasi.
Milo rabbrividì, ma si affrettò a prenderlo per un
polso prima che l'altro potesse effettivamente andarsene.
"Scusami, Camus, non volevo dire che sembra
che la nostra relazione a te non importi! E' che tu sei difficile da
decifrare!" esclamò, ben intenzionato a non farlo andare proprio da
nessuna parte.
Camus lo fissò ancora a lungo con astio, ma alla
fine non riuscì a mantenersi così rigido. Rilassò le spalle. "Lo so,"
ammise. Sapeva di essere una persona complicata da prendere.
Però pensava che Milo ormai l'avesse compreso, che
sapesse tradurre le sue occhiate, i suoi gesti. Non si aspettava che avesse un
simile dubbio.
"Ormai dovrei conoscerti a menadito,"
fece con più dolcezza Milo, sfiorandogli una guancia con le nocche, in una
carezza delicata.
"Dovresti, sì."
"Credo comunque di capirti meglio di chiunque
altro, qui."
Camus si lasciò sfuggire un sorriso. Un secondo
solo. Ma Milo ormai sapeva coglierli subito, quegli attimi.
"E anche l'unico che sa farti sorridere!"
esclamò ancora, con una certa euforia che fece di nuovo inarcare un
sopracciglio a Camus.
Milo stavolta non riuscì ad evitarsi di ridere.
"Mi dispiace. Perdonami, Camus," mormorò, tornando a prendergli il
viso fra le mani "Je t'aime,"
soffiò.
Camus quasi sgranò gli occhi, facendo ridacchiare
di nuovo Milo "E' l'unica cosa che so dire in francese. E merci. E qualche
insulto, quando me li rivolgi. Ma quelli non valgono, vero?"
"Non saprei," borbottò il Custode
dell'Undicesima casa, ma accettò senza tirarsi indietro il bacio a cui Milo lo
trascinò un istante dopo. Lo seguì di nuovo fino al letto e ci si lasciò sdraiare
sopra. Milo lo sovrastò senza staccare la bocca dalle sue labbra nemmeno per un
istante. Nemmeno per respirare. Almeno fino a quando Camus non lo allontanò a
forza, tappandogli la bocca con la mano.
"Sono ancora arrabbiato," fece sapere.
Milo borbottò concitato, e Camus si ricordò di
allontanare la mano per farlo respirare. "Mi stavi per soffocare!"
"Non che tu sembrassi avere altri
intenti."
"Soffocare in quel modo sarebbe stata una
morte piacevole, però!"
"Sono ancora arrabbiato!" ripeté per la
seconda volta Camus, più secco di prima.
Milo però non si fece intimidire e, invece,
sorrise, scendendo col viso a baciargli il mento, il collo. "Permettimi di
farmi perdonare," sussurrò, e quel tono non fece altro che far
rabbrividire di piacere il compagno.
Lo Scorpione Dorato sogghignò, ben nascosto, della
reazione dell'altro, e tornò alla sua dolce tortura.
"Dovrei andare, Milo..." soffiò Camus,
mordendosi il labbro inferiore, già rosso e gonfio per quel bacio infinito.
"Hanno aspettato fino ad ora, possono
aspettare ancora un attimo," gli disse il biondo con decisione,
sfilandogli con un gesto secco la maglia.
"Solo un attimo?"
Milo si leccò le labbra. "Beh...parecchi
attimi, in effetti," ammise, poi si piegò a mordicchiare la pelle candida
del compagno intorno all'ombelico, e un po' più giù, abbassandogli i pantaloni,
ma senza ancora toglierli.
Camus gemette, chiudendo gli occhi.
Oramai sarebbe stato imbarazzante presentarsi al
Tredicesimo Tempio. Avrebbero aspettato.
Angolino Autrice:
Oggi è il compleanno del nostro bel Camus! E allora ecco, la mia prima,
spero non unica ma non lo urlerei ai quattro venti, MiloCamus!
So che Camus nel manga ha gli occhi tipo castano/rossi, ma visto che ha i capelli rossi, preferivo gli occhi blu dell'anime e allora...licenza poetica << Perdonatemela! E perdonate anche il mio francese -non è mio, per cominciare, è di google traslate- perché io con le lingue faccio a cazzotti. Figurarsi se so il francese e il greco, mpf!
Io metto sempre l'avvertenza OOC perché ormai non so più qual è il
carattere vero dei Cavalieri e quello creato da noi fan, si sa così poco di
loro! Mi sento confusa, davvero xD E allora OOC a go go.
Spero possa piacervi, io adoro questi due -insieme, naturalmente-
E' ambientato in un non ben identificato spazio temporale, perché tanto
non mi interessava come si fosse ferito Camus. Mi serviva moribondo una notte e
basta x°°
Con la speranza che possa piacervi.
Un bacione,
Asu <3