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Autore: _Lightning_    07/02/2018    3 recensioni
Dal Capitolo 2, "Odio gli indifferenti": Il mio era un mondo dorato che mascherava qualcosa di molto più turpe di cui non volevo curarmi minimamente. Ero corazzato dietro l'indifferenza perché, tanto, non sarei stato io a subire i risultati del mio stesso lavoro. Mi sarei limitato a coglierne i frutti.
È facile parlare quando sei dalla parte sicura, quando il tuo punto di vista è l'unico che conosci.

Dopo Iron Man 3 troviamo un Tony diverso, cambiato dagli eventi nella mente e nel fisico, con una realtà del tutto nuova con la quale confrontarsi... e con una gran voglia di parlarne con qualcuno, meglio ancora se quel qualcuno è il suo migliore amico improvvisatosi controvoglia psicologo.
Non si parla però solo di Iron Man 3: si torna alle origini, al giorno in cui è nato Iron Man, alle scelte e alle decisioni che hanno portato Tony ad essere ciò che è adesso.
E tra un capitolo e l'altro qualche filosofo -e non- dice la sua.
[pre-Iron Man // Afghanistan // post-New York // Serie: Newborn]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bruce Banner, Tony Stark, Yinsen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Newborn'
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Capitolo 8 

Vivere




"La bellezza salverà il mondo."

[F. Dostoevskij da L'Idiota]


 

"Un tempo ero convinto che l'apice della bellezza fosse l'ultimo modello della Audi R8. O magari il nuovo calendario di Playboy. O una modella di quel calendario di Playboy nel mio letto. Avevo l'imbarazzo della scelta: vivevo circondato dalla bellezza, ne ero assuefatto. Ciò che saltava all'occhio era, com'è ovvio, la bruttezza. Ne ero estremamente critico, quasi disgustato.
Poi le mie priorità sono cambiate e ho iniziato a valutare la bellezza nella sua assenza, nel cercarla ovunque in un luogo dove non si spera di trovarla. A volte ci riuscivo, ma ho dovuto prima cambiare i miei parametri. Esiste un tipo di bellezza che non è solo bello o piacevole da guardare. È qualcosa di più ambiguo che si annida ai margini del buio. È sofferenza, e la capacità di vincerla. È una luce blu in mezzo al petto che ti ricorda da dove sei partito. È il momento di gelo in cui ti ritrovi a fissare lo spazio profondo e sai di aver fatto tutto ciò che potevi. È il rimprovero severo di chi ti ama e cerca di guidarti. Sono gli occhi limpidi di un uomo che muore per ciò che ritiene giusto, senza rimpianti. È la consapevolezza dei propri errori e la volontà di ripararli. È tragedia e resilienza e impeto disperato verso qualcosa di più.
È quella bellezza che non puoi limitarti ad ammirare da lontano e che non si concede facilmente. Devi tuffartici dentro, cercare di conquistarla e sperare che non ti consumi."

 

*

 

Mentre martellava energicamente il ferro arroventato, Tony pensava di nuovo al mare. Non era ben sicuro di come le sue riflessioni orientate su piani di fuga e perfezionamenti dell'armatura l'avessero portato là, tra i flutti del Pacifico, ma era sicuramente un pensiero più piacevole del solito. Gli portò una calma inaspettata, come se quelle onde lontane si fossero insinuate nel suo petto e avessero preso a seguire una risacca immaginaria a tempo col martello, alleviando il calore bruciante che si levava con le volute di vapore e le scintille.

Si fermò brevemente, riprendendo fiato nell'aria soffocante. Sentiva la pressione del reattore nel petto, un blocco rigido che gli premeva doloroso contro lo sterno e che sembrava aumentare di consistenza ad ogni respiro. Non faceva più così male come il primo giorno, ma dubitava che quella sensazione opprimente sarebbe mai svanita del tutto. Aveva iniziato ad abituarsi alla luce azzurrina che gli scaturiva dal petto. Di notte, quando era disteso sul suo mucchio di coperte ruvide, immerso nel buio gelido, era diventato una compagnia rassicurante: un semplice cerchietto blu che scalfiva le tenebre rendendole meno tetre e più sopportabili. A volte si tirava il lenzuolo fin sopra la testa e rimaneva nella penombra tinta di un azzurro soffuso. Il reattore sfarfallava appena, creando giochi di luci ed ombre sulle pieghe del tessuto. Lì, in quella volta celeste improvvisata che gli faceva agognare il cielo vero, pensava spesso al mare, rievocato da quell'accenno di colore freddo ma così familiare. Gli venivano in mente le mattinate passate in spiaggia ad oziare, le feste sulla terrazza a picco sulla scogliera, i tramonti mozzafiato a cui non prestava attenzione, il semplice gettare uno sguardo fuori dalla vetrata e constatarne la presenza immutata. Non si addentrava troppo nei ricordi: rischiavano di perdere la loro dolcezza, di scivolare nel dolceamaro, di tramutarsi in amarezza. Si accontentava di quel vago richiamo lanciato da un congegno che stava ancora imparando ad accettare come parte di sé.

In quel momento, avrebbe voluto poter dormire un'altra notte per calarsi di nuovo in quell'atmosfera accogliente, per lasciarsi scivolare dalle spalle il peso di ciò che lo attendeva. Portò una mano al petto, incontrando la superficie appena tiepida del reattore, e gli diede un colpetto come a riscuotersi da quelle fantasticherie. Non c'era più tempo.

Sollevò con le pinze la rozza maschera di ferro che stava forgiando e la tuffò nell'acqua per temprarla, sollevando un'eruzione sibilante di vapore. La poggiò bruscamente sul piano di lavoro, davanti a Yinsen, che trasalì a quel suono metallico come di un martelletto di una giuria che conferma una sentenza. Non ebbe bisogno di aggiungere nulla. Il dottore lo fissò brevemente negli occhi, come ad accertarsi delle sue intenzioni, poi smise di lavorare sui componenti del Jericho e si alzò con efficiente rapidità, ma senza concitazione. I suoi movimenti erano misurati come sempre, sicuri di sé. Tony, al contrario, sentì un lieve tremito invadergli le mani e si aggrappò al bordo del tavolo per domarlo.

«Andrà bene...» mormorò tra sé con voce bassa e tesa, fissando la maschera sul tavolo che ricambiò con orbite vuote e ostili.

«Lo stai affermando o me lo stai chiedendo?» gli arrivò in risposta la voce del dottore, serafica.

«Lo sto sperando,» rispose di getto, e serrò le labbra per non aggiungere altro.

«È già qualcosa.»

Yinsen gli scoccò un'occhiata tranquilla, fiduciosa, e prese a radunare in silenzio i componenti dell'armatura. Tony strinse il reattore nel palmo e ne avvertì il ronzio sommesso. Pensò al mare, al cielo, al calore del sole sulla pelle, al vento in faccia e a chi lo aspettava. In confronto a tutto ciò, gli sembrava di non aver mai desiderato niente di bello in vita sua. Ciò che lo attendeva fuori da quella grotta poteva ben compensare tutte le sue sofferenze, e si rese conto che sarebbe stato disposto a patirle di nuovo, se erano davvero l'unico mezzo per liberarsi. Per liberarsi davvero. Un sentimento quasi furioso gli risalì le viscere e lo riportò al presente, all'aria stantia della grotta, al buio umido, ai fucili, alle percosse e all'odio domato che ribolliva dentro di sé e che incanalava con forza in determinazione.

Fissò un'ultima volta la maschera ancora fumante sul tavolo e si avvicinò a Yinsen, già pronto a bardarlo con l'armatura metallica. Fece un respiro profondo e il reattore premette contro le costole, dolorosamente rassicurante e minaccioso. Soffermò lo sguardo sulle proprie mani, escoriate e fuligginose. Avevano ancora molto da costruire e ancor più da riparare. Afferrò un rotolo di nastro adesivo e iniziò a fasciarle, avvertendo uno strano distacco che lo avvolgeva nonostante i battiti aumentati del suo cuore. Non aveva mai combattuto in vita sua, ma sentiva il suo corpo che si preparava allo scontro, teso e nervoso, seguendo un istinto antico. Era una sensazione rinvigorente, quasi piacevole e colma di aspettativa, tanto da farlo fremere nel presagire la lotta.

«Andrà bene.»

Stavolta fissò dritto negli occhi il medico, con fermezza.

«Pensavo che potessimo solo sperarlo.»

Yinsen lo scrutò a fondo, come a sondare i suoi veri pensieri.

«Non è abbastanza. Non posso...» s'interruppe, sentendo la sua sicurezza incrinarsi nell'incespicare delle sue stesse parole. «Tutto questo è troppo importante.»

Terminò in fretta il suo intervento sconclusionato, abbassando lo sguardo e incapace di esprimere a voce ciò che sentiva rimescolarsi dentro di sé: la netta, chiara nozione che quella fuga fosse una porta su qualcosa di diverso, che ci dovesse essere un motivo per cui tutto ciò stava accadendo, nonostante Yinsen non volesse ammetterlo. Non sapeva cosa avrebbe fatto una volta varcata quella soglia, ma sapeva di volerla assolutamente superare. Ripensò al discorso del giorno prima, alla sua negazione del caso, a quanto si fosse sentito sperduto all'inizio della sua prigionia nel constatare di essere in balìa degli eventi e a quanto si sentiva determinato adesso.

Strinse i pugni, calzando gli spessi guanti di cuoio e saggiandone la tenuta. Yinsen lo aiutò a indossare l'imbragatura, iniziando a fissarvi la corazza coi legacci. Tony lanciava continue occhiate alla porta, assicurandosi che l'ordigno artigianale fosse ancora al suo posto. L'immagine del missile col suo nome sopra, un istante prima della detonazione, gli si parò davanti. Sospirò ad occhi chiusi nel pensare alla sua vita passata a creare armi. Quella era l'ultima volta.

Percepì il peso imponente del ferro gravargli addosso, assieme alla sicurezza di poterlo sostenere. Non ricordava di essersi mai sentito così vivo come in quel momento. Alzò lo sguardo su Yinsen, impegnato ad avvitare rapidamente le placche metalliche. Avrebbe dovuto ringraziarlo. Il pensiero gli balenò nella mente con urgenza, ma non riuscì a trovare le parole giuste, così deglutì e rimase in silenzio per qualche istante. Si trovò a fissare la luce azzurrina del reattore incastonato nel suo petto e cercò di trarne ancora più forza, così che bastasse per entrambi.

«Tre mesi fa, avrei pensato di poter uscire di qui da solo, a discapito di tutto e tutti, perché ero... beh, perché sono Tony Stark,» proruppe infine, senza riuscire a guardare negli occhi il suo compagno di prigionia. «Ora sono... sono contento di aver accettato il tuo aiuto, di averti ascoltato,» riuscì a dire infine, esitando impacciato, per poi continuare con impeto, convogliando in quelle parole tutta la gratitudine che faticava ad esternare. «Ti giuro che ce la faremo. E quando sarò fuori di qui farò tutto ciò che è in mio potere per rimediare.»

Gli parve di scorgere un'espressione divertita formarsi sul volto del dottore, e lo fissò interrogativo. Yinsen notò la sua confusione e gli sorrise apertamente. Per un attimo, con il suo completo elegante e liso, con gli occhiali rotondi e storti che gli incorniciavano gli occhi acuti, riprese quell'aria da vecchio e severo professore che faceva capolino quando parlava con lui per riprenderlo e correggerlo. Stavolta però non sembrava scrutarlo con delusione, ma con lo sguardo benevolo di chi riconosce che un allievo è ormai pronto a proseguire da solo sulla sua strada.

«Comunque vada, tu sei già là fuori, Stark.»

 

*

 

Il cielo era di un azzurro così profondo da dargli le vertigini. Lo attraversavano delle nuvole rade e sfilacciate, spinte in un passaggio frettoloso dal vento caldo e teso. Poteva essere una qualunque giornata d'estate a Villa Stark, una di quelle che avrebbe passato a crogiolarsi sulla spiaggia. Poteva essere un giorno di tre mesi prima, quando era riverso come adesso nella sabbia macchiata di sangue a chiedersi se stesse per morire.

Rimase accasciato tra i rottami col respiro rotto, lasciando vagare lo sguardo sul paesaggio riverberante di luce mentre cercava di ricomporsi. L'eco metallica degli spari gli risuonava ancora in testa, assieme al clangore dei proiettili sull'elmo. Percepiva ancora il lezzo nauseante del sangue e di corpi bruciati, sentiva il calore divampante del fuoco addosso che arroventava la sua corazza di ferro. La fuliggine e la sabbia aderivano come un sudario al suo corpo. Represse un conato e si voltò per affondare il volto nella sabbia, cercando a lungo di scacciare quelle immagini vivide, che sembravano tornare e tornare ancora in ondate violente.

Dopo quelle che parvero ore, ma che erano stati probabilmente pochi minuti, si sollevò a fatica su una mano, tentando di mettersi a sedere, e sentì le sue dita fare presa sulla sabbia rovente. I suoi pensieri si schiarirono, come riportati al presente da quel semplice gesto. Strinse i granelli nel pugno fino a farsi male, a imprimere quella sensazione nella carne. Non riusciva a credere di essere all'aperto, né di stare fissando quel cielo vasto e non il soffitto costellato di asperità della grotta, né di non avere un fucile puntato addosso. Si aspettava di ritrovarsi da un momento all'altro nella sua brandina, destato dal freddo pungente e da urla feroci, con un'altra giornata di lavoro forzato e percosse davanti a sé.

Il sole continuò a picchiare sulla sua pelle diventata cerea e sensibile, ustionandolo. Sentiva il sibilo del vento che lo sfiorava, portando con sé granelli di sabbia che si impigliavano nei suoi capelli arruffati. Riuscì ad alzarsi a fatica sulle ginocchia, spaziando lo sguardo sulle dune che si dipanavano caoticamente fino all'orizzonte, dividendo nettamente il mondo in azzurro e oro rosso. Ispirò a fondo l'aria calda, così diversa da quella a lui familiare, ma che recava già con sé una traccia di casa.

Era ancora vivo, finalmente libero.
Yinsen era morto.

Il pensiero sembrò ergersi in quella distesa desolata come una sfinge minacciosa, solitaria e imponente, riverberando nella sua mente in un rintocco funebre e assordante. Non riusciva a capacitarsi di ciò che era accaduto in quegli ultimi, frenetici minuti. Se guardava dietro di sé percepiva solo una massa ingarbugliata di immagini, sensazioni e suoni stridenti, impossibili da mettere a fuoco chiaramente. Solo i suoi occhi morenti erano nitidi nella sua memoria. Ricordava l'istante in cui le iridi azzurre avevano avuto un ultimo guizzo, per poi appannarsi come vetro, cieche al mondo ma serene.

"Non sprecare la tua vita."

Il suo ultimo gesto era stato un dono disinteressato per lui, per qualcuno che avrebbe dovuto odiare, che probabilmente era responsabile per tutto ciò che gli era accaduto. Gli aveva donato una seconda possibilità con la stessa fiducia immotivata che ha un bambino verso il mondo intero, quando ancora non ne ha scoperto il lato efferato e ingannevole. Aveva voluto credere in lui, al punto da riscattarlo con la propria vita permettendogli di redimere la sua, ma senza la certezza che l'avrebbe davvero fatto. In quel momento realizzò che, dopo tutto quel parlare di caso, possibilità, sopravvivenza e rassegnazione, Yinsen non era mai davvero riuscito a rinunciare alla speranza. L'aveva semplicemente affidata a lui, forse intuendo che ne avrebbe fatto un uso migliore. E lui non poteva deludere quell'aspettativa.

"Non sprecare la tua vita."

Tony si asciugò gli occhi con un gesto deciso, tracciandosi scie salate sulle guance, e si alzò in piedi tra i resti dell'armatura. Portò una mano al petto, cercando la presenza rassicurante del reattore, e lanciò un'ultima occhiata al cielo azzurro e sconfinato, lambito dalle dune dorate che segnavano un orizzonte raggiungibile.

La strada era ancora lunga, ma adesso aveva tutto ciò che gli serviva per percorrerla fino in fondo.






Note dell'autrice:

Io che sono puntuale con un aggiornamento? Ragnarok è vicino!
Che dire... questo capitolo è forse è il mio preferito della raccolta, a voler essere un po' narcisisti come il caro Tony.

E adesso si apre il pippone la parte dei chiarimenti vari, quindi chi vuol fuggire, lo faccia ora!

Mi rendo conto che il collegamento tra la citazione sulla bellezza e lo svolgimento del capitolo può risultare un po' oscuro, eccettuato l'esplicito riferimento iniziale di Tony. Per farla breve – ed esulando dal motivo teologico, visto che comunque Dostoevskij era di un fervore che rasentava la bigotteria – la visione della bellezza nei suoi libri è abbastanza anticonvenzionale, considerando che scrive principalmente di derelitti e miserabili ( consumato tema della bellezza anche nella bruttezza&co). Lui però porta la cosa a un livello superiore, affermando che la bellezza va ricercata proprio nel momento di maggior sofferenza, poiché è quello che spinge ad amare o a provare compassione per il prossimo o semplicemente a tirar fuori il proprio lato più vulnerabile e umano. Ovviamente, vi è un chiaro sottotesto religioso (Passione cristiana ecc.) che esula da ciò che prendo in considerazione e dalla mia stessa visione del mondo, ma spero che sia chiaro come si inserisce in questo contesto.
Qui è riferita in primis a Yinsen e collateralmente a Tony, in quanto le conseguenze del gesto nobile/bello di Yinsen plasmeranno il resto della sua vita, arrivando appunto a salvare il mondo.

Chiudo l'esoso papiro col dire che questo capitolo è legato a doppio filo col capitolo 2 della raccolta, sia per il titolo, sia per i richiami testuali.
Ringrazio tantissimo
_Atlas_, fedele adepta, che continua a seguirmi e recensire nonostante io mi dia puntualmente alla macchia. Grazie per le tue recensioni e soprattutto per il tuo supporto <3
Alla prossima, ovvero tra una settimana, per il capitolo conclusivo (non ci credo, sta per finire!)

-Light-

   
 
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