Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: blackqueen90s    07/02/2018    7 recensioni
Kim Taehyung sa tante cose e ha altrettante certezze. Raramente gli è capitato di cambiare idea, o di essere costretto a capovolgere di centottanta gradi la sua opinione, come fosse una fotografia venuta male. Per Kim Taehyung la Bellezza non può essere immortalata. Forse è per questo motivo che - quando si scontra con quest'ultima per la prima volta - non riesce a credere che possa essere racchiusa in qualcosa di così caduco come il sorriso di un altro uomo.
[Kim Taehyung/Jeon Jungkook] • [AU] • [Photographer!Taehyung - Waiter!Jungkook] • [22,380 words] • [One Shot]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Our first date was sweet like a caramel macchiato;

wherever we went, we wanted to go together.



 


 

Scatto numero uno ~ La tazza fumante, il latte addolcito dal caramello. Il grembiule crema aderisce sul petto del cameriere, sul suo volto liscio si apre un sorriso ampio, luminoso, rovente come l'Estate, candido come la neve d'Inverno.

Saturazione: +12

Contrasto: +17

Luminosità: +20
 

Polvere nera come pece. Non si riesce a respirare. Il vento la trascina lungo la strada asfaltata e ne impiastriccia la superficie malmessa e lercia. Il pulviscolo si accumula nell'aria, resta immobile e silenzioso tra i vacui spiragli d'aria invernale. Il soffio del vento è muto oggi, ha smesso di ululare addolorato contro la luce pallida della luna. È stanco, ha bisogno di quietarsi. Tutt'intorno è grigio, poi nero, poi ancora grigio. Non si ode parola, non si vede colore. Dei passi risuonano il lontananza, poi il tintinnare aggraziato di alcune tazze, flebile come pioggia, brioso come il richiamo delle campane. Ora è tutto solo nero. Altri passi echeggiano nell'ambiente angusto. La fitta nube di pulviscolo vacilla nell'aria, si sposta, adesso è lontana. Si ritorna a respirare. La polvere comincia a smaterializzarsi. Piccole particelle umide ed opache si spargono nell'aria, danzano nostalgicamente per qualche secondo, poi si tuffano verso il basso. Sul telone fosco e corvino si apre uno squarcio: è morbido e rumoroso. Blu. Onde che si riversano tra loro in un abbraccio salato ed incommensurabile. Profumo di salsedine.

Quando Kim Taehyung si sveglia di soprassalto quella mattina, gli sembra di sentirlo ancora dentro le narici.

Si tirò a sedere, grattandosi la nuca mentre incassava remissivo i colpi sferrati dalle cinque birre che si era trangugiato la sera prima: le tempie gli pulsavano fastidiosamente, le pareti pallide della sua stanza non facevano che ruotare senza sosta ed una lieve nausea teneva possessivamente il suo stomaco in ostaggio. Sbuffò rumorosamente mentre malediceva se stesso per aver alzato così tanto il gomito e poi il suo coinquilino per averlo trascinato nel baratro dell'irresponsabilità e della dissennatezza. La sveglia digitale sistemata sul suo comodino segnava le otto e quarantanove, e posare lo sguardo su quelle cifre che, minacciose, lampeggiavano sullo schermo nero, bastò affinché Taehyung si scostasse le lenzuola di dosso e balzasse immediatamente in piedi. Le piastrelle lattee del bagno scomparivano sotto il fitto groviglio di indumenti e calzini che ricoprivano il pavimento per intero, ed il ragazzo sospirò mentre aggiungeva a quel garbuglio di stoffe anche i pantaloni e la t-shirt che indossava. Dopo una rapida doccia, si premurò di indossare un paio di jeans ed una felpa raccattata a tentoni nel buio lato della sua camera, poi corse nuovamente in bagno e si piazzò di fronte allo specchio. Afferrò lo spazzolino, ci sistemò sopra una buona dose di dentifricio ed uscì dalla stanza mentre cominciava a spazzolare i denti. Afferrò la sua tracolla nera – abbandonata da qualche giorno sulla superficie caotica della sua scrivania – e ci sistemò dentro un blocchetto, il laptop, la sua Leica M7, il portafogli ed un paio di matite. Il suo coinquilino sonnecchiava placidamente tra le vaporose lenzuola del suo letto, posto esattamente di fronte a quello di Taehyung. Se il ragazzo smetteva per un secondo di spazzolare così vigorosamente i denti, poteva sentirlo russare nel confortevole silenzio della stanza che, da quattro anni ormai, condividevano. Scosse il capo con lentezza. Era sicuro che Jimin avrebbe saltato le lezioni quel giorno, vista la sovrabbondante dose di alcol e cibo piccante mandata giù soltanto qualche ora prima quando, brilli ed eccessivamente sazi, erano rientrati in dormitorio. Taehyung purtroppo non poteva permettersi lo stesso lusso, però: nell'arco di tre minuti – decretò, mentre poggiava rapidamente lo sguardo sul suo orologio da polso – avrebbe dovuto varcare l'entrata principale del conglomerato di edifici in cui si svolgevano – puntuali ed inesorabili – le lezioni relative al corso delle Belle Arti in quanto, alle nove in punto, si sarebbe tenuto il primo dei sei incontri relativi al corso di Computer Graphic a cui si era iscritto un paio di giorni addietro. Il corso in questione gli avrebbe garantito i tre punti di cui aveva disperato bisogno per poter completare il totale di centoventi crediti necessari ad accedere all'esame finale e, di conseguenza, ad ottenere la laurea. La Seoul National University si dimostrava parecchio rigida sotto quel punto di vista: anche solo l'assenza di uno dei crediti necessari avrebbe compromesso la possibilità dello studente di accedere alla laurea. I suoi genitori si erano premurati di avvertirlo prima che si immatricolasse: avevano guardato il figlio fermarsi dinnanzi al treno che lo avrebbe condotto a Seoul – lo spazioso trolley verde militare dormiente ai suoi piedi, i nuovi occhiali da sole Gucci dalle lenti ocra diligentemente sistemati sul naso – e poi si erano stretti in un rapido abbraccio, accarezzando simultaneamente la gracile schiena del figlio mentre gli intimavano di impegnarsi, di dare il massimo, di non sottovalutare neppure per un secondo il percorso tortuoso che era sul punto di intraprendere. Taehyung aveva ricambiato l'abbraccio, sorridendo tiepidamente mentre varcava l'entrata del suo vagone; l'immancabile Leica M7 già puntata oltre il finestrino, ora impegnata ad immortalare i raggi caldi del sole che, solerti, si insinuavano tra le alte chiome degli alberi in fiore.

Taehyung tornò rapidamente in bagno per sciacquare la bocca ed il viso, assaporando il gusto fresco del mentolo sul palato mentre sistemava con le dita la massa arruffata di capelli biondo cenere, poi corse nuovamente fuori dal bagno, recuperò alla cieca una giacca, un paio di stivaletti neri ed arraffò la pesante tracolla. Si infilò le scarpe mentre usciva dalla stanza e si premurò di sbattere vigorosamente la porta alle proprie spalle, poco prima di andare via. Con un po' di fortuna, avrebbe rovinato anche il sonno di Jimin e non sarebbe stato l'unico a dover passare le prime ore del mattino in piedi, malfermo e con la testa dolorante. Ridacchiò della sua stessa perfidia mentre attraversava gli ampi e silenziosi corridoi del dormitorio e si recava all'uscita.

 

~

 

Sopra la sua testa, il cielo era un manto plumbeo e caliginoso; Taehyung lo ascoltava ribollire sommessamente mentre camminava a passo rapido oltre la serie di edifici che componevano il dormitorio della SNU. Si strinse nella leggera giacca di jeans raccattata alla cieca solo qualche secondo prima, alzando lo sguardo e sbuffando una fitta nuvola di vapore dalle labbra mentre adocchiava l'edificio austero e longilineo che ospitava il Dipartimento delle Belle Arti. Nell'udire il cielo gorgheggiare tra i soffi foschi e rigogliosi del vento, Taehyung pensò al sogno che aveva fatto: un pallido ed avvilente Universo in bianco e nero. Non capitava spesso di sognare mondi senza colori, a Taehyung che con gli occhi ingurgitava avidamente ogni giorno le più belle sfumature del Creato, distillandole poi oculatamente attraverso la lente cristallina che lo separava dal mondo. Sorseggiava il giallo gemmeo del sole al mattino, quando le palpebre si schiudevano gradualmente – come i drappi rossi del sipario poco prima di una rappresentazione – e mostravano con possente orgoglio il fulgido spettacolo di un nuovo giorno. Assaporava con appassionata dedizione il lugubre scintillio del caffè caldo bevuto a piccoli intervalli tra una lezione e l'altra, mentre fuori dalla finestra la sera già abbracciava impaziente il vivace bollore del sole. Alla fine abbandonava la testa sazia e pesante sul cuscino, sorridendo a labbra sigillate mentre stancamente rivolgeva gli occhi oltre l'ampia finestra alla sua destra. Ora il sipario vermiglio calava sull'ennesima rappresentazione conclusa.
Taehyung si era sempre nutrito con i colori del mondo, eternando le tonalità più belle attraverso l'obbiettivo della sua macchina fotografica e puntando lo sguardo solo laddove un panorama muto riuscisse a bisbigliare le parole più belle. Le pareti tetre del Mondo che aveva sognato non gli appartenevano affatto: era tutto troppo monocromatico per poter aderire impeccabilmente alla sua retina oculare. Solo la distesa soffice e ridondante del mare gli era rimasta appiccicata al cuore; se chiudeva gli occhi e cercava di richiamarla alla mente, avvertiva istantaneamente le mani prudergli dal desiderio di catturarne la superficie strepitante e stropicciata. Se respirava profondamente, quasi poteva sentire il profumo acre della salsedine pizzicargli dolcemente le narici.

Taehyung sospirò. Aveva voglia di fotografare il mare.

 

~

 

Quando varcò la soglia dell'aula quel Giovedì, non si sorprese affatto nel trovarla vuota, né nel notare che, nonostante il suo consistente ritardo, il professore non fosse ancora arrivato. Sbuffò mentre prendeva svogliatamente posto su una delle seggiole di legno sistemate di fronte alla cattedra ed abbandonava la tracolla sul posto vuoto alla sua sinistra.
Alle diligenti orecchie di Taehyung erano più volte approdate diverse dicerie le quali dipingevano il professor Lee come un personaggio oltremodo bizzarro e stravagante. Ma per tener fede alla sua smodata ed affabile razionalità, Taehyung aveva coscienziosamente deciso di accantonare ogni genere di maldicenza e di varcare comunque la soglia della segreteria per consegnare le proprie referenze. Che ci fossero talmente tanti posti liberi soltanto ad un paio di giorni dalla prima lezione, Taehyung si era imposto di ignorare anche quello. Necessitava quei tre crediti, ora che il suo esame finale era alle porte, e nessun altro corso glieli avrebbe forniti con tanta facilità. E poi aveva bisogno di colmare qualche lacuna in ambito grafico: nonostante l'estrema facilità con la quale adoperava Adobe Photoshop CC, la grafica 3D non era ancora il suo forte. Sospirò, tirando fuori il suo iPhone bianco perla dalla tasca anteriore dei jeans e controllando il numero delle chiamate perse. Due da sua madre e tre da suo padre, tutte risalenti alla sera precedente. Sospirò ancora, rimettendolo in tasca e puntando lo sguardo verso l'entrata non appena sentì il flebile rumore di alcuni passi. Jung Hoseok indossava un vivace poncho a stampa azteca, quella mattina, ed un berretto di lana gli copriva minuziosamente la massa di capelli rossicci e scombinati. Non appena il suo sguardo incrociò quello del collega, Hoseok sollevò il palmo destrò in un saluto affabile e subito si affrettò a raggiungerlo. Abbandonò la tracolla scura ai suoi piedi e sbuffò pesantemente quando la sua schiena toccò la spalliera della sedia.

“Di quanti crediti avevi bisogno?” borbottò Taehyung in uno sbadiglio.

“Quattro. Mi sono iscritto a questo e poi anche al corso di Web Design della signorina Park” rispose prontamente il collega, socchiudendo le palpebre arrossate e reclinando il capo all'indietro.

Taehyung ridacchiò lievemente. Anche Hoseok sembrava necessitare di una lunga e rigenerante dormita.

Quando il signor Lee varcò la soglia della classe, a Taehyung e Hoseok – che aveva sonnecchiato distrattamente durante la sfiancante attesa del professore – si erano uniti anche altri quattro studenti, tutti dal volto svigorito e dalle espressioni tutt'altro che allegre. Taehyung pensò che anche alle loro orecchie dovevano essere arrivate le voci riguardanti il professor Lee e che, esattamente come lui ed Hoseok, tutti gli altri erano stati costretti a partecipare.

“Buongiorno, signori” esordì l'uomo non appena entrato, camminando a grandi falcate verso l'elegante cattedra di legno scuro.

Un coro di “buongiorno” si levò – poco entusiasta – in risposta. Taehyung rifilò una leggera gomitata al fianco di Hoseok, inducendolo a destarsi dal profondo torpore in cui era piombato da svariati minuti. Il ragazzo si svegliò con fatica, stropicciandosi ritmicamente le palpebre mentre con voce roca ringraziava il collega per averlo svegliato.

Il professor Lee era basso di statura, aveva gli occhi neri ed una capigliatura troppa folta per essere domata a dovere. Indossava sempre completi eleganti, gilet dai pattern strampalati e cravatte altrettanto singolari, scarpe lucide e dalla punta allungata, foulard dai colori sfavillanti. Parlava molto lentamente, scandendo appositamente ogni singola lettera, e sbatteva spesso le palpebre, facendo così sfarfallare le ciglia troppo lunghe e corpose.

Taehyung lo osservò in silenzio mentre prendeva posto dietro l'ampia cattedra, accavallava le gambe e puntava lo sguardo sui pochi iscritti.

“Vi darò quei tre crediti se riuscirete a scattare una foto che racchiuda il concetto di Bellezza” furono le prime parole che pronunciò, stirando poi le labbra sottili in un sorriso furbo e compiaciuto.

“Questo è un corso di grafica, è vero, ma voi non dovrete migliorare in alcun modo le vostre fotografie. E non provate a barare, me ne accorgerei”

Taehyung studiò ancora in silenzio l'uomo per qualche altro secondo. Si chiese se stesse scherzando, ma l'altro non accennava a lasciar trapelare neppure una goccia di sollazzo dall'espressione del volto. Era contegnoso, austero, gelido.

“Mi perdoni, professore...” azzardò Hoseok, raddrizzandosi sulla sedia e sollevando il braccio sinistro per richiamare la sua attenzione.

“Credevo che con questo corso avremmo cercato di migliorare la nostra dimestichezza con strumenti come–”

“Voi siete qui per soltanto per i crediti” lo interruppe bruscamente l'uomo, e Taehyung si ritrovò a trattenere il respiro dinnanzi al tono acidulo della sua voce.

“Non siete neppure minimamente interessati a migliorare le vostre competenze. Cercavate la via più semplice per ottenere ciò di cui avevate bisogno, ed io sono l'espediente perfetto. Non è un rimprovero, solo un dato di fatto” pronunciò, sporgendosi poi in avanti e sezionando con lo sguardo gli studenti – ora congelati dallo stupore – di fronte a lui.

“E io vi darò quei tre preziosissimi crediti, ma solo se scatterete una fotografia che abbia come soggetto la Bellezza” e detto ciò scattò nuovamente in piedi, arraffò la sua ventiquattrore di pelle lucida e camminò verso l'uscita.

“Inserite il file in una pendrive e stampate anche una copia cartacea della vostra fotografia. Consegnatemi tutto il materiale Giovedì ventidue. Avete a disposizione tre settimane piene. Se mai doveste avere bisogno di me, non contattatemi comunque. E non fate quelle facce! Vi sto solo risparmiando la fatica di recarvi in segreteria per richiedere il mio orario e le mie referenze. Non aiuterò nessuno di voi, né vi darò alcun tipo di consiglio”

Taehyung deglutì a vuoto, avvertendo la gola inaridirsi e le mani prudergli dall'indignazione.

“Voglio vedere la Bellezza e non ammetto insuccessi” fu l'ultima cosa che disse prima di uscire dall'aula e lasciare i suoi studenti lì, immobili e sbigottiti.

 

~

 

I raggi del sole trapelavano timidi attraverso tapparelle lievemente aperte solleticando le pareti lattee ed il pavimento di legno scuro; la tazza di tè giaceva immobile sul piccolo tavolino in legno posto al centro della stanza, il fumo denso e cinereo oscillava nell'aria fredda e rilucente del mattino ormai inoltrato. Mentre sospirava, Taehyung pensò che quell'imponente nube fuligginosa somigliasse tanto al pulviscolo tetro e raggelante del suo sogno. Deglutì a vuoto, scuotendo la testa nel vacuo tentativo di scacciare via quell'immagine mentre camminava rapidamente da una parte all'altra della stanza. Jimin – seduto a gambe incrociate tra il fitto groviglio ceruleo delle sue lenzuola – osservava il compagno di stanza in religioso silenzio, sorseggiando sistematicamente il tè verde dalla sua tazza in porcellana.

“E poi ha detto: “vi darò quei crediti solo se scatterete una foto che racchiuda il concetto di Bellezza”! Hai capito? Non sembra assurdo anche a te? Non può fare una cosa del genere! A tutti noi spettano quei tre dannatissimi crediti come attestato di partecipazione!” sbraitò Taehyung, continuando a falcare con estrema velocità il pavimento lucido della sua camera.

Jimin sollevò gli occhi assonnati dalla tazza bollente, rivolgendoli all'amico che – volto paonazzo e fronte madida sudore – non faceva che camminare avanti e indietro, poi sospirò stancamente.

“Gli altri studenti come l'hanno presa?” pronunciò flebilmente, prendendo un altro sorso della miscela calda.

“Non credo che abbiano dato molto peso alla faccenda. Hoseok-ssi ha addirittura detto che si sarebbe messo a lavoro oggi stesso per scattare una foto che rappresentasse il concetto di Bellezza” proferì Taehyung, enfatizzando maggiormente la parola “Bellezza” con palese scetticismo e mimando delle virgolette con le dita.

“E tu non puoi fare lo stesso?” azzardò Jimin, soffiando leggermente sulla miscela bollente ed osservandola incresparsi sotto il soffio fresco del suo respiro.

Taehyung si bloccò sul posto, incrociando le braccia e puntando gli occhi vispi sull'amico.

“Dovrei scattare una foto ad un soggetto che io ritengo incarni appieno il concetto di Bellezza per poi sottoporla a qualcuno che, con ogni probabilità, non riterrà quel determinato soggetto altrettanto bello? Questo progetto è una farsa! Non avremo mai quei tre crediti! Il professor Lee si sta solo vendicando delle malelingue che lo dipingono come un folle! E sai cosa? Lui non è un folle, ma qualcosa di peggio: un pazzo perfettamente conscio del proprio squilibrio mentale!” gemette, disperato, riprendendo il proprio dissennato percorso senza meta.

“Non ti seguo, Taehyung-ie. Non puoi semplicemente scattare una foto a qualcosa di carino e poi consegnargliela?” chiese candidamente Jimin, abbandonando la tazza quasi vuota sul tavolino e poi sistemandosi meglio sul materasso morbido.

Taehyung si fermò ancora, sospirando rumorosamente mentre osservava in silenzio l'amico. I capelli biondi ed arruffati incastrati tra la bizzarra mascherina rosa che teneva premuta contro la fronte, gli occhi semi-chiusi ancora ricolmi di sonno e stanchezza, il pigiama a blu a pois bianchi stropicciato maggiormente sul petto. Jimin era suo coinquilino, amico e collega ormai da quattro anni: condividevano il bagno angusto di cui la loro stanza era provvista, la felpa azzurra e morbida che avevano adocchiato contemporaneamente in un negozietto di Myeongdong e che alla fine avevano deciso di comperare insieme perché ultima in vendita, i pranzi troppo freddi e troppo veloci consumati tra i tavoli della mensa, le bottiglie di birra ghiacciata ingollate mentre se ne stavano stravaccati malamente dinnanzi al bancone del Wolf Hound alla fine di ogni esame, la passione per la fotografia e per i colori del mondo. Jimin e Taehyung erano parole dello stesso libro, foglie rigogliose dello stesso arboscello. Tanto diversi eppure anche così affini. Jimin aveva imparato presto a conoscere Taehyung: il suo profondo – e a tratti malsano – senso di competitività, il suo brillante ingegno, il suo fare solenne e poi d'improvviso spassoso. E Taehyung aveva compreso subito Jimin: il suo folle interesse nell'ambito della moda, la sua spassionata e melensa gentilezza nei confronti del prossimo, il suo amore per la vita e per il caos. Anche Taehyung amava la vita, ma non contemplava allo stesso modo il disegno disordinato del Fato. Taehyung osservava il mondo attraverso l’obbiettivo della sua fotocamera e lo contemplava come fosse il più bello e statico dei dipinti. È risaputo che gli scatti vengono fuori più nitidi, se il soggetto se ne sta fermo. Jimin invece amava catturare il flusso turbolento della Terra: il volo degli uccelli, le foglie che si rincorrono dietro il soffio dispettoso del vento, le correnti salate ed inquiete del mare. Nascondeva gli occhi caramello dietro il mirino della sua Instax verde acqua e premeva il pulsante che avrebbe azionato il flash. Il lampo eternatore, poi le onde del mare avrebbero gorgheggiato per sempre tra le pagine sottili del suo album fotografico. “Sarebbe fantastico se inventassero una macchina fotografica che catturi anche i suoni” aveva detto qualche anno addietro, sventolando la polaroid mentre il suo sguardo annegava nel mare, “Così potrei sentire quando voglio il rumore delle onde”.

Il frastuono, il caos, il disordine, Taehyung non ne era mai stato attratto. I suoi occhi carpivano, scattanti, i significati del Mondo: amava le sicurezze, amava accertarsi quotidianamente che il Giorno fluisse a dovere. Mattina, pomeriggio, sera. Lo scorrere inesorabile delle ore. Taehyung sapeva tante cose e aveva altrettante certezze. Raramente gli era capitato di cambiare idea, di essere costretto a capovolgere di centottanta gradi la sua opinione, come fosse una fotografia venuta male. In verità, Taehyung non cambiava mai opinione su nulla. Era consapevole che questo facesse di lui un'anima prevalentemente inflessibile e puntigliosa: faceva spazio per le opinioni altrui tra i meandri lustri della sua mente, ma se quelle si rivelavano in netto contrasto con le sue, allora non le prendeva neppure in considerazione. Egocentrismo? Forse. Eccessiva sicurezza? Probabilmente. Avrebbe cercato di migliorarsi? Taehyung era sicuro di non poterlo fare. Anche in quel caso, mentre osservava gli occhi caramello del suo amico brillare di una luce innocentemente affaticata, si disse che non sarebbe stato affatto facile mettere da parte l'avversione che provava nei confronti di quel progetto.

“Sono certo che quel dannato avrebbe da ridire in qualsiasi caso! La Bellezza non esiste! Come dovrei riuscire io a fotografarla?” strillò Taehyung, fermandosi di fronte al suo letto e lasciandosi cadere malamente sul materasso.

Jimin sorseggiò l'ultima goccia dolciastra di tè, abbandonando poi la tazza vuota sul tavolino, esattamente accanto a quella – ancora piena – che aveva riempito per Taehyung.

“La Bellezza non esiste?” gli fece eco Jimin, sollevando un sopracciglio in direzione dell'amico.

Taehyung sbuffò, coprendosi gli occhi con il braccio destro mentre cominciava a parlare.

“Non credo nell'obiettività e nell'oggettività, quando si tratta di Arte. Ciò che è bello per me, può apparire disgustoso agli occhi di qualcun altro. La Bellezza non è obbiettiva e non può essere fotografata, ritratta, trascritta in chiave poetica. La Bellezza smette di essere tale quando viene contemplata da più di un individuo perché la Bellezza è per il singolo, perché la Bellezza è sola. Se scatto una foto ad un dente di leone scosso dal soffio del vento ritenendo che incarni il concetto di Bellezza, è probabile che tu, guardandola, non condivida il mio punto di vista. In quel momento avrò solo fotografato qualcosa di piacevole, però soltanto per i miei canoni. Fotografi, scrittori, pittori, da secoli si affannano tutti alla ricerca della Bellezza universale, ma se nessuno di noi riesce ad afferrarla… allora significa che non esiste”

Jimin studiò silenziosamente la figura tetra di Taehyung, ora completamente abbandonata sulla superficie morbida del materasso. Non disse nulla, si limitò a ridacchiare sommessamente.

“Prendi sempre tutto troppo seriamente!” decretò alla fine, balzando in piedi e stiracchiandosi poco elegantemente.

Taehyung si tirò a sedere, corrucciandosi mentre osservava l'amico sollevare platealmente le braccia e sgranchirsi i muscoli indolenziti dal sonno.

“Ancora con questa storia?”

Jimin sospirò, sfilandosi la mascherina morbida dalla fronte e abbandonandola sul letto mentre camminava verso il suo armadio. Sapeva che, non appena avrebbe dato voce ai suoi pensieri, Taehyung si sarebbe infastidito; lo faceva sempre. Eppure ciò non aveva mai fermato Jimin dall'esporre la sua opinione, per quanto cruenta quella potesse essere.

“Ti concentri troppo quando impugni la fotocamera. Ti impegni esageratamente per impostare ogni fotografia a tuo piacimento e alla fine ogni scatto perde di spontaneità. Non fraintendermi, mi piacciono le tue foto e adoro il tuo stile, ma a volte vorrei che ti lasciassi andare un po' di più. A dirla tutta, questo progetto potrebbe essere un ottimo espediente per esercitarti sui ritratti! Te ne ho visti scattare pochissimi, da quando ci conosciamo” sputò rapidamente Jimin, aprendo entrambe le ante dell'armadio.

Taehyung non disse nulla per qualche secondo, probabilmente assimilando le parole appena pronunciate dall'amico – nonostante non le avesse ascoltate esattamente per la prima volta, da quando erano amici e coinquilini.

“I ritratti non sono il mio forte, lo sai bene. Non mi piace particolarmente scattare foto alle persone: si imbarazzano o si irrigidiscono troppo facilmente di fronte all'obiettivo. Non ho mai visto un tramonto cambiare espressione mentre viene inquadrato”

Jimin sbuffò rumorosamente mentre arraffava un paio di skinny jeans neri ed un maglioncino di lana bordeaux, poi richiuse l'armadio con un tonfo sordo e si voltò per osservare l'amico.

“Ecco cosa intendevo quando ho detto che prendi tutto troppo seriamente! Tu pensi troppo prima di scattare! Lascia che la tua creatività ti guidi, una volta tanto. Smettila di ricercare la perfezione: non sempre una buona foto è del tutto nitida o di massima qualità. Magari è proprio un ritratto, ciò che ti serve per il tuo attuale progetto”

“Ne dubito” si affrettò a rispondere Taehyung, sollevandosi dal materasso e raggiungendo la tazza tiepida che giaceva silenziosamente sul tavolo.

“Dubito fortemente che la Bellezza universale possa essere di natura umana” continuò, sghignazzando a bassa voce prima di sorseggiare un po' della miscela verdastra.

Jimin alzò gli occhi al cielo mentre camminava verso il bagno, rassegnandosi tacitamente al pensiero che il suo amico non gli avrebbe mai dato retta e che, di certo, non avrebbe mai abbandonando le sue posizioni per provare a rinnovare il suo solito stile fotografico.

“Faccio una doccia e poi comincio a studiare per l'esame di Storia dell'Arte Contemporanea” mormorò, stremato, Jimin mentre entrava all'interno del bagno e si richiudeva la porta alle spalle.

“Io non ho lezione prima delle due. Penso che andrò in qualche posto tranquillo a sistemare i miei appunti di Comunicazione Pubblicitaria” ribatté Taehyung, abbandonando anche la sua tazza ormai vuota sul piccolo tavolino in legno.

“Non dimenticarti del progetto del professor Lee! Se vuoi la mia opinione, e sono certo che tu non la voglia, penso che qualsiasi foto andrà bene! Non credo che quell'uomo stia tramando contro di voi, ma sono fermamente convinto che tu sia eccessivamente melodrammatico!” pronunciò ad alta voce Jimin, mentre le sue parole venivano leggermente offuscate dallo scrosciare rapido dell'acqua sulle mattonelle della doccia.

“E prova seriamente a cimentarti nei ritratti! Se mai dovessi avere bisogno di un modello, personalmente credo che il tuo coinquilino sia la persona più adatta!”

Tehyung sbuffò, recuperando una giaccone beige dall'armadio ed arraffando la sua tracolla mentre camminava verso la porta.

“Ah, Jiminie?” lo richiamò Taehyung, con un piede già oltre soglia. “Stamattina avresti fatto meglio a non saltare lezione. Ho incontrato Min Yoongi del corso di Scultura al primo piano mentre uscivo” mentì, intrappolando il labbro inferiore tra i denti per soffocare una risata.

Dannazione! Non è vero! Ti prego, dimmi che stai–”

Le ultime parole, però, Taehyung non riuscì a carpirle. Richiuse cautamente la porta, sistemandosi la tracolla sulla spalla destra mentre cominciava a camminare. Per la seconda volta, quello stesso giorno, ridacchiò della sua stessa perfidia mentre attraversava gli ampi e – non più così silenziosi – corridoi del dormitorio e, fischiettando un motivetto indefinito, si recava verso l'uscita.

~
 

Quando Taehyung varcò la soglia dell'Honey Milk era appena mezzogiorno: le strade di Seoul erano tranquille, umettate timidamente dai pochi raggi solari che, di tanto in tanto, riuscivano a fuggire dall'abbraccio geloso dell'imminente temporale. Il ragazzo nascose il naso oltre la stoffa morbida del suo giaccone mentre ascoltava la campanellina posta sopra l'entrata trillare per segnalare il suo arrivo. L'Honey Milk era un locale piuttosto spazioso e soleggiato: la sala centrale era occupata da un consistente numero di tavolini in legno sui quali erano meticolosamente state appoggiate rigogliose piante di ogni genere e misura, mentre il soffitto era stato dipinto con una candida tonalità di bianco la quale forniva egregiamente all'intera sala maggiore luminosità. Da quest'ultimo pendeva un grande lampadario in vetro e, intorno ad esso, scintillavano diverse lampadine a LED che emettevano instancabilmente una luce calda e giallognola. Altre piantine erano state sistemate minuziosamente accanto al consistente numero di libri riposti sugli scaffali in legno che ricoprivano tutte e quattro le pareti, mentre alla fine della sala vi era un bancone lucido e longilineo dietro il quale ci si poteva recare per consumare o, semplicemente, per saldare il proprio conto. Il Café era gremito di gente quella mattina: qualcuno aveva preso posto dietro al bancone di legno scuro, qualcun altro ai tavolini posti accanto all'ampia vetrata che dava sulla strada, un paio di ragazzi – ad occhio a croce della sua età – se ne stavano seduti su alcuni sgabelli piuttosto alti, con lo sguardo perso tra le bevande bollenti e schiumose. Era la prima volta che Taehyung visitava quel locale, anche se aveva sentito spesso i suoi colleghi elogiarne il servizio, la qualità dei prodotti e – cosa nettamente più importante – la rete Wi-Fi (a detta loro “super rapidissima” e “di livello nettamente superiore rispetto a quella fornitaci in Dormitorio”). Taehyung sospirò, camminando verso la grande ed imponente lavagna nera posta esattamente sopra il bancone. Vi lesse in silenzio la variegata lista di bevande ed i rispettivi ingredienti con i quali erano state preparate, mentre alle sue orecchie arrivava il confortevole e pacato brusio prodotto dai clienti ora impegnati ad ordinare, ora a consumare in tutta tranquillità le loro bibite calde. Taehyung decise di prendere posto su uno degli sgabelli alti sistemati accanto all'entrata, tirò fuori il suo portatile e la sua Leica dalla tracolla e si premurò di posizionarli sull'alto tavolino in legno dinnanzi a lui. Mentre si sfilava la giacca, una cameriera lo raggiunse per prendere la sua ordinazione e Taehyung la osservò sistemarsi civettuolamente una ciocca dorata di capelli dietro l'orecchio, per poi scribacchiare rapidamente “macchiato al caramello” sul suo piccolo block-notes.

“Arriva subito” pronunciò, giuliva, in seguito aprendo le labbra vermiglie in un sorriso affabile e girando su se stessa prima di andar via.

Taehyung la studiò per qualche secondo mentre si faceva strada tra i piccoli tavolini del locale e poi scompariva oltre il bancone, attraversando una porta che – Taehyung suppose – l'avrebbe condotta in cucina.

Il ragazzo si strinse brevemente nelle spalle, poi si premurò di accendere il laptop e di tirare fuori dalla sua tracolla anche un corposo quaderno dalla copertina rigida. Lo sfogliò distrattamente mentre avviava il programma di scrittura e – in uno sbuffo scocciato – si preparò a dover decifrare tutti quegli appunti che, in verità, a prima vista non parevano altro che scarabocchi.

La cameriera che aveva preso la sua ordinazione tornò qualche minuto dopo; insieme alla grossa tazza bollente, lasciò sul tavolo anche lo scontrino: Taehyung saldò il conto e poi lesse dal pezzo di carta anche la password che gli avrebbe permesso di accedere alla rete Wi-Fi.

“Grazie” pronunciò gentilmente, già distogliendo lo sguardo dalla figura femminile ancora in piedi dinnanzi a lui, per poi armeggiare con il proprio laptop.

Lei sorrise, annuì amorevolmente e strinse il vassoio circolare al petto, lì dove giaceva l'etichetta con su scritto il suo nome – Taehyung non la lesse neppure, troppo assorto nella fitta ed intricata rete di pensieri che gli tenevano la mente in ostaggio –, poi pronunciò un acuto “non c'è di che” e si allontanò, ravvivandosi la folta chioma bionda con le dita sottili e lanciando un ultimo sguardo esattamente dove Taehyung se ne stava seduto.

Ecco perché aveva detto a Jimin che la Bellezza non può essere di natura umana: le persone si affannano e si agghindano spudoratamente per apparire desiderabili agli occhi delle altre persone; la Bellezza invece non sa di essere bella, e non si sforza neppure per raggiungere l'eterea perfezione. Di conseguenza, focalizzarsi sui ritratti per quel progetto sarebbe stato inutile ed insensato. Taehyung era conscio che, solo nell'arco di tre settimane, non sarebbe riuscito a catturare nulla che si avvicinasse anche solo lontanamente alla Bellezza universale – forse non gli sarebbe bastata neppure una vita per riuscire a ritrarla–, ma sarebbe riuscito a trovare un escamotage. E magari quell'espediente avrebbe avuto i colori del mare d'Inverno, o il vigore di un paio d'ali piumate.

I successivi trenta minuti passarono rapidi tra un sorso dolciastro di panna zuccherata ed una pagina di appunti magistralmente decodificata e trascritta al computer. Il Café cominciò pian piano a svuotarsi, fattasi più vicina l'ora di pranzo, e Taehyung si disse che avrebbe continuato con la ricopiatura per altri venti minuti prima di lasciare il posto e tornare al Dormitorio – la mensa era sempre eccessivamente sovraffollata durante i pasti, e così coloro che arrivavano per ultimi erano costretti a rinunciare alle pietanze più calde ed invitanti. A distogliere Taehyung dalla sua – appassionata e dedita – attività di decrittazione e trascrizione fu il suono acuto e femmineo di alcune risate. Il ragazzo distolse distrattamente lo sguardo dallo schermo per indirizzarlo verso uno dei tavoli posti esattamente di fronte a lui: alcune ragazze – delle liceali, perlopiù, considerando le uniformi che stavano indossando – ridacchiavano ad alta voce tra di loro, alternando schiamazzi vivaci a brevi sorsi di milkshake alla vaniglia. Taehyung si sentì inspiegabilmente incuriosito dall'origine della loro ilarità e, quasi di riflesso, si ritrovò a seguire lo sguardo di una delle ragazzine sedute al tavolo. Gli occhi verdi dell'altra corsero rapidi in una direzione precisa – netti, taglienti come lame – e sezionarono in un attimo ciò che Taehyung classificò istintivamente come l'origine di tutta quella agitazione: uno dei camerieri del locale.

Inizialmente Taehyung carpì con gli occhi attenti soltanto la sua figura alta e slanciata, dalla corporatura snella ma sorprendentemente sinuosa. Il cameriere indossava un morbido maglione bianco che gli avvolgeva minuziosamente sia braccia che collo; su quello era stato abilmente legato un grembiule color crema il quale, sul lembo di stoffa laterale a destra, esponeva la targhetta contente il suo nome – Taehyung da quella distanza, però, non riuscì a leggerla. Il ragazzo stava pigiando pacatamente sui tasti della cassa automatica, probabilmente preparando lo scontrino per il gruppo – eccessivamente numeroso e turbolento – di clienti in piedi dall'altro lato del bancone, ed il suo viso era completamente rivolto verso il basso. Una cascata lucida e folta di capelli castani, setosi come i drappi di un tenda, si sollevò sino a rivelare uno spettacolo mozzafiato di forme armoniose e colori tenui. Il cameriere aveva un viso ovale e più affilato all'altezza degli zigomi, un paio di orecchini circolari brillavano oltre i lobi delle sue orecchie, le sue labbra erano carnose – rosee come boccioli in fiore – ed i suoi occhi grandi, liquorosi, lucidi di un inesplicabile candore. La sua bocca si schiuse piano, come si schiudono le rose in Autunno, ma Taehyung non riuscì a carpire alcun suono. Ciò che vide in seguito, però, non riuscì mai a dimenticarlo. Fu uno di quei ricordi brevi e leggeri, rapidi come un lampo biancastro, indelebili come fiamme sulla pelle, talmente rimarchevoli da rimanere nascosti nel retro polveroso della nostra memoria per giorni, settimane, per poi riaffiorare – svelti e silenziosi – quando ci è parso di averli già dimenticati.

Il cameriere si portò la mano destra sulla nuca ed inclinò leggermente il capo, socchiuse le palpebre e sfarfallò deliziosamente le ciglia lunghe mentre sorrideva. Taehyung deglutì a vuoto e trattenne il respiro per qualche secondo. Durante il corso degli anni aveva visto tante persone ridere – per mera felicità, per pallido sconforto –, però quel sorriso aveva un colore diverso. Non era il semplice chiarore della gioia, né lo scabro biancore della desolazione. Era brillante. Era aureo. E Taehyung era avido quando si trattava di immagazzinare le più belle tonalità del Mondo.

Le sue dita si staccarono lentamente dalla tastiera, tastando la superficie fresca del tavolo sino a raggiungere il corpo solido e squadrato della sua Leica M7. I suoi occhi rimasero incollati alla figura che ergeva diritta poco più avanti a lui – inerti, ammaliati –, fino a quando la fotocamera leggera non fu piazzata dinnanzi al suo viso. Il suo dito medio corse rapido verso il pulsante di scatto e lì non vi temporeggiò neppure per un secondo. Il suono secco di un clic precedette il sibilo bollente di un sospiro liberatorio. Taehyung sospirò ancora una volta mentre abbassava la Leica e – con mani tremanti – la stringeva in grembo, poi i suoi occhi saettarono di nuovo in quella direzione, lì dove si aspettava di rivedere quelle stesse labbra e quegli stessi occhi. Li rivide entrambi: la bocca leggermente schiusa in una morbida forma ovale, increspata da una palese sorpresa, gli occhi ancor più grandi, larghi di un tiepido sbigottimento, ora incollati alla figura di Taehyung. Il cameriere aveva inarcato un sopracciglio con fare confuso, lanciando un rapido sguardo alla fotocamera, poi al viso di Taehyung, poi ancora alla fotocamera. Taehyung deglutì a fatica ed abbassò lo sguardo, tornando ad occuparsi del suo portatile.

Merda” mormorò tra i denti, respirando a pieni polmoni mentre le guance cominciavano ad ardergli dall'imbarazzo.

 

~

 

Durante i successivi venti minuti, Taehyung non aveva fatto altro che tenere lo sguardo incollato allo schermo luminoso del suo laptop, terminando la sua bevanda in totale silenzio. Più volte nella sua testa – dolorante e pesante a causa della vergogna – aveva cominciato a lampeggiare eccentricamente l'idea di raccattare tutta la sua roba e scappare rapidamente da quel locale, ma darsi alla fuga avrebbe peggiorato la situazione e Taehyung sarebbe risultato soltanto più losco ed immorale. Così si era limitato a digitare, alternando lunghi sorsi del suo Macchiato al caramello, a profondi e sconfortanti sbuffi di desolazione. Il cameriere al quale aveva – imprevedibilmente – rubato uno scatto era rimasto fermo dietro al bancone per tutto il tempo, impegnato a servire gli ultimi clienti entrati al locale, e Taehyung li aveva ringraziati sommessamente tutti quanti per averlo tenuto impegnato e per aver catturato tanto egregiamente tutta la sua attenzione. L'unico lato positivo della faccenda erano certamente le dieci pagine di Word colme di appunti ineccepibili e magistralmente trascritti, e l'eccellente rete Wi-Fi che Taehyung aveva testato digitando su Google “dieci modi per porre fine alla propria esistenza in modo rapido ed indolore” e “come rimediare ad una figuraccia”. Dopo aver constatato l'inefficienza dei risultati ottenuti da entrambe le ricerche, Taehyung decise che – essendo passati ormai trenta minuti – poteva sistemarsi la tracolla in spalla ed abbandonare placidamente il locale, evitando però qualsiasi contatto visivo con l'attraente cameriere che aveva praticamente paparazzato senza plausibile ragione. Il ragazzo sbuffò, schiarendosi nervosamente la gola mentre salvava il file di Word e spegneva il pc. Sistemò tutte le sue cose all'interno della tracolla, respirando affannosamente a causa dell'agitazione mentre richiudeva la grossa borsa e se la piazzava in spalla, poi abbassò scrupolosamente il capo ed adocchiò l'uscita con la coda dell'occhio. Quasi gli parve di poter finalmente inspirare a pieni polmoni l'aria fresca del mattino, quando una sagoma si frappose fra la soglia e Taehyung stesso. Il ragazzo sgranò gli occhi, sollevando lentamente il volto pallido e smunto per rivolgerlo verso l'alto. Un groppo di saliva amara gli rimase bloccato in gola: il cameriere era ora in piedi dinnanzi a lui, impegnato ad appiattirsi il grembiule – leggermente più stropicciato all'altezza del torace – con il palmo destro e sfiorando distrattamente con le dita sottili l'etichetta plastificata che esponeva orgogliosamente la scritta “Jungkook”.
Taehyung lo ripetè più volte nella sua testa, masticando quel nome con la bocca del pensiero, domandandosi come suonasse pronunciato ad alta voce. Strinse più saldamente il manico della tracolla, sino a sentire le dita sbiancare, ed indietreggiò di un paio di passi mentre osservava il ragazzo stirare le labbra carnose in un sorriso gentile.

“Posso vederla?” fu la prima cosa che disse, sorridendo anche con quegli occhi grandi e lucidi mentre avanzava determinatamente in direzione di Taehyung.

Lo studente deglutì a fatica avvertendo la gola inaridirsi di colpo, ora avvolta dal soffio bollente prodotto dall'eco di un paio di parole. Era una voce calda. Calda e soffice. Non troppo profonda, non eccessivamente grave. Solo suadente come drappi di seta sotto ai polpastrelli.

“Cosa?” pronunciò Taehyung in risposta, aggrottando le sopracciglia ed indietreggiando ancora mentre avvertiva chiaramente la fronte inumidirsi di sudore.

Jungkook avanzò di rimando – rapido e sicuro –, mantenendo le labbra incurvate in un sorriso affabile e gli occhi puntati sul volto di Taehyung. Quest'ultimo fu costretto ad indietreggiare ancora, quasi sopraffatto dall'eterea avvenenza esalata dal corpo dinnanzi al suo.

“La foto che mi hai scattato prima. Mi piacerebbe vederla” chiarì, e Taehyung carpì immediatamente la spensierata benevolenza di quelle parole. Jungkook non era infastidito, né arrabbiato, né impaurito. Sembrava che quello scatto non lo avesse turbato affatto, che fosse – illogicamente – solo curioso di vedere quella foto.

“Io...” balbettò Taehyung, osservando il cameriere compiere un ultimo e decisivo passo nella sua direzione.

“Io devo chiederti scusa” asserì, retrocedendo sino ad avvertire la schiena premere fastidiosamente contro uno dei tavoli in legno del locale.

“So che potrò sembrarti strano, ma di solito non vado in giro a scattare foto alla gente a loro insaputa, anzi, adesso la cancello immediat–”

“Non credo tu sia strano” lo interruppe Jungkook, fermandosi esattamente di fronte a lui e sezionando con i gli occhi vigili il suo viso cereo e scolorito.

Ora Taehyung lo stava osservando in silenzio – le labbra schiuse dalla sorpresa, la mano destra ancora stretta intorno al manico della tracolla, il cuore a battergli prepotentemente contro la cassa toracica.

“Se l'hai scattata senza pensarci, non può che trattarsi di una bella foto!” proferì in seguito Jungkook, stringendo le spalle asciutte con candida e fanciullesca disinvoltura.

Taehyung riuscì a ridestarsi solo al suono di quelle parole: tossicchiò nervosamente nel suo pugno e distolse lo sguardo dalla sua figura mentre realizzava lucidamente di avere appena scattato una foto in maniera completamente spontanea. Non aveva pensato ad impostare alcuna modalità dalla ghiera argentata. Non aveva pensato alla luce, alle tonalità, alla giusta prospettiva. Le sue dita avevano corso a perdifiato per afferrare la sua macchina fotografica, fulminee ed affamate dinnanzi alla morbidezza invitante di quelle labbra cremisi. Taehyung deglutì a vuoto mentre fissava lo sguardo sulla punta dei suoi stivaletti. Se lo avesse raccontato a Jimin, il suo amico non gli avrebbe creduto: aveva scattato una foto senza rimuginarvi sopra, e la foto in questione ritraeva un essere umano. Un ragazzo. Uno sconosciuto. Lo stesso sconosciuto che adesso, schiarendosi platealmente la voce, cercava di attirare nuovamente la sua attenzione.

“Jeon Jungkook” pronunciò, tendendo la mano in direzione di Taehyung.

Il ragazzo sollevò lentamente il capo per mettere a fuoco il palmo niveo e delicato, le vene spesse ed in rilievo, il piccolo anello sottile sistemato sull'indice. Si morse un labbro con veemenza, imponendosi di riprendere il controllo. Era stato già ampiamente imbarazzante dover essere colto in flagrante mentre gli stava scattando una foto, non voleva continuare ad apparire bizzarro ed impacciato.

“Kim Taehyung” dichiarò, deciso, stringendo la mano del cameriere nella sua e sostenendo – a fatica – quel suo sguardo mielato e pastoso.

Non si dissero nulla per qualche secondo: Jungkook impegnato a scandagliare Taehyung con sguardo vivace – il volto liscio del cliente, le spalle coperte dalla giacca pesante, i jeans che gli avvolgevano le gambe magre – e Taehyung silenziosamente immerso tra il fitto ed appiccicoso grumo dei suoi pensieri. Quando la loro stretta si allentò sino a disgiungersi completamente, Jungkook parlò ancora.

“Sei uno studente universitario?” lo incalzò, ora intrecciando le mani e lasciandole dondolare esattamente dinnanzi al proprio pube.

Taehyung annuì spasmodicamente un paio di volte, poggiando di riflesso la mano sinistra sulla stoffa pesante della sua tracolla.

“Sì, sono all'ultimo anno. Studio Fotografia e Nuovi Media alla Seoul National University” spiegò, portando nervosamente tutto il peso sulla gamba destra mentre si inumidiva le labbra con la lingua.

Non gli era mai capitato, prima d'allora, di sentirsi così irrequieto di fronte ad una persona. I suoi palmi erano umidi di sudore, la gola irrimediabilmente arida ed il petto quasi gli doleva a causa dell'arroganza con il quale il suo cuore continuava a battere in petto. Si chiese cosa lo stesse rendendo tanto nervoso: era la scomoda consapevolezza di aver appena fatto un'imbarazzante ed indelebile brutta figura? O la pallida realizzazione di avere volutamente scattato una foto a qualcuno – nonostante il ragazzo disprezzasse profondamente ogni genere di ritratto?
Una volta arrivato a casa ne avrebbe parlato a Jimin. Non era da Taehyung, comportarsi in quel modo, e ciò non faceva che accrescere in lui un profondo e graffiante senso di agitazione.

“Stai per laurearti in Fotografia?” gli chiese il cameriere, allargando energicamente gli occhi castani con palese meraviglia.

Taehyung annuì ancora.

“Anche tu studi Fotografia, per caso?” indagò a quel punto, e potè giurare di aver visto – svelta e caduca – una scintilla triste annegare tra le pupille del suo interlocutore.

“No, sono solo un appassionato” rispose l'altro, stringendosi nuovamente nelle spalle – stavolta con fare decisamente più arrendevole.

“Ho lavorato sei mesi per riuscire a comperare la mia Sony DSC-HX350 completa di schermo orientabile. Per quanto importante la creatività sia, la fotografia è una passione costosa” continuò, e Taehyung si morse di riflesso il labbro inferiore mentre lo ascoltava parlare così animatamente.

I soldi non erano mai stati un problema per lui, che era nato con la camicia già perfettamente stirata addosso. Nonostante il lieto benessere economico – procuratogli da entrambi i genitori – nel quale Taehyung sguazzava quotidianamente, quest'ultimo aveva sempre preferito investire il denaro in cose utili, mai in capricci futili ed eccessivamente lussuriosi. La paghetta, gli assegni firmati in regalo, Taehyung aveva sempre speso tutto in obiettivi e macchine fotografiche. L'ultimo – e costoso – suo acquisto era stata la pratica ed inseparabile Leica M7 che teneva sempre gelosamente nascosta nella tasca interna della sua tracolla. La sua compagna di viaggio, i suoi occhi sul Mondo.

“Anche la Sony produce ottime macchine fotografiche complete di qualità full frame e compensazione delle vibrazioni. E poi anche le più economiche ormai presentano la compatibilità con numerosi obbiettivi, il che è assolutamente vantaggioso visti i prezzi stracciati di alcuni grandangoli che si trovano online” fu ciò che Taehyung rispose, e quasi sospirò di sollievo nel vedere il ragazzo stirare nuovamente le labbra piene in un sorriso allegro.

“Stai cercando di confortarmi?” lo punzecchiò Jungkook, ora incrociando le braccia sul petto e sollevando un sopracciglio nella sua direzione.

“No, penso davvero ciò che ho detto! Se tu avessi avuto una Nikon FM10 ed io ne avessi parlato bene sopraelevandola addirittura rispetto alla Leica M7 o alla M6, allora avresti potuto anche dubitare della mia sincerità!” ribatté quello, ridacchiando con fare giulivo non appena udì Jungkook fare lo stesso.

“Era una Leica M7, quella con cui hai scattato la foto di prima?” chiese il cameriere in seguito, mantenendo la bocca incurvata in un soffice accenno di sorriso.

Taehyung si grattò nervosamente il retro della nuca con la mano destra mentre annuiva.

“Potrei vederla? Ho sempre desiderato averne una, ma non è esattamente accessibile come una Sony” sogghignò spensierato, osservando con sguardo vigile le mani di Taehyung aggrapparsi alla tracolla e cominciare ad aprirla.

Ancor prima che Taehyung potesse mettere le mani sulla sua fotocamera, però, il trillo metallico prodotto dal suo iPhone pizzicò le orecchie di entrambi.

“Scusami, è un messaggio da parte del mio coinquilino” spiegò rapidamente il ragazzo, sbloccando il suo cellulare mentre Jungkook pronunciava un flebile “Figurati!”.

“Mi avverte che è quasi ora di pranzo e che devo tornare all'Università se voglio mettere qualcosa sotto ai denti” disse in seguito, lanciando uno sguardo furtivo all'esterno, dove il cielo si era rannuvolato maggiormente e la luce del sole completamente infiacchita.

Leggere gocce d'acqua cominciarono a piombare sull'asfalto mentre Taehyung superava Jungkook ed oltrepassava la soglia. Il ragazzo si strinse nel suo cappotto pesante mentre puntava nuovamente lo sguardo su Jungkook, ancora immobile ed inerte lì, sull'uscio del locale.

“È stato un piacere, Jungkook-ah” riuscì a pronunciare, assaporando finalmente il suo nome tra le labbra secche.

Il ragazzo piegò gli angoli della bocca in un sorriso amaro e Taehyung si rammaricò nel vedere la forma scultorea del suo viso piegarsi in un'espressione disillusa ed inappagata, così – ancor prima che Jungkook potesse replicare a sua volta – Taehyung si ritrovò a parlare ancora.

“L'Università dista un po' da qui e non ho con me abbastanza contanti per chiamare un taxi. Avresti un ombrello da prestarmi?”

Jungkook non disse nulla per qualche secondo, limitandosi ad osservare la figura di Taehyung con estrema meticolosità – come se potesse scomparire da un momento all'altro –, poi sospirò piano e sollevò un indice per intimargli di aspettare. Quando riapparse, un paio di minuti dopo, teneva saldamente tra le mani un piccolo ombrello tascabile color pesca tenue. Taehyung si affrettò ad aprirlo per ripararsi dalla pioggia che aveva cominciato a piombare giù con più brutalità ed insistenza.
Aveva mentito: nel portafogli nascondeva i liquidi necessari per una corsa verso la SNU, ma gli serviva un pretesto per poter rivedere quel ragazzo. Non era riuscito a pensare a niente di meglio, mentre le goccioline di acqua fresca si tuffavano energiche tra la massa scompigliata dei suoi capelli ed il sorriso del bel cameriere si infiacchiva sino a scomparire.

“Ti ringrazio! Credo che tornerò a restituirtelo domani intorno alle… intorno alle due del pomeriggio!” quasi urlò, cercando di sovrastare il rumoroso scrosciare dell'acqua contro l'asfalto grigio.

Fu allora che Taehyung lo rivide. Il catalizzatore che aveva innescato la sua reazione improvvisa. Il candore di una nevicata. Il bollore dell'Estate. Una pennellata di gradazioni pastello. Jungkook sorrise ancora.

“Se ti serviva un pretesto per rivedermi, avresti semplicemente potuto dire che saresti passato per mostrarmi la foto che mi hai scattato prima” lo punzecchiò nuovamente, mentre Taehyung si ritrovava a sghignazzare, un po' per la sua stessa goffaggine e un po' per i modi smisuratamente limpidi e schietti della sua nuova conoscenza.

“È meglio… è meglio che vada ora” balbettò il più grande, tossicchiando con fare nervoso mentre avvertiva le guance ardere a causa del crescente imbarazzo.

“Lo credo anche io” ribatté prontamente Jungkook, umettando con la lingua il sorriso fresco che aveva ricamato sulle labbra.

Taehyung lo guardò per l'ultima volta prima di voltarsi e cominciare a camminare. La pioggia ticchettava svelta sulla superficie impermeabile dell'ombrello, la mano destra stretta intorno all'impugnatura di plastica, la sinistra nascosta nella tasca del cappotto, chiusa in un pugno ferreo così da evitare che tremasse e che prudesse dal desiderio di afferrare ancora la sua Leica, puntarla sul viso di Jungkook, rubare al tempo quel suo avvenente sorriso e poi portarlo per sempre con sé.

 

~

 

Scatto numero due ~ Dita sottili ed affusolate immerse tra i ciuffi d'erba ancora umida di rugiada. La distesa smeraldina protegge teneramente i piccoli boccioli appena nati – fragili come cristallo, delicati come le sfumature del tramonto. Il suo viso affonda tra il verde morbido, i fiori gli sfiorano le gote in una carezza leggera, fresca, materna. Il fotografo non riesce a capire dove cominci la Flora e finisca la Natura Umana.

Saturazione: +20

Contrasto: +18

Luminosità: +23
 

Quando Jungkook arrivò all'Honey Milk – incredibilmente in perfetto orario quel Venerdì mattina, il locale era già pieno per metà ed i suoi colleghi impegnati a destreggiarsi a fatica tra ampi vassoi colmi di Cappuccini e sfilze di biscotti al burro – solitamente serviti per accompagnare le bevande – da preparare prima che scoccassero le nove e trenta. Jungkook camminò a passo svelto verso il bancone e lo superò facendo semplicemente leva con entrambe le braccia così da potervi balzare oltre, poi si indirizzò verso i bagni riservati al personale, abbandonò il suo zaino all'interno di uno degli armadietti in metallo, si sfilò il giubbotto ed indossò il solito grembiule crema. Si sollevò leggermente le maniche del maglione nero che stava indossando, scoprendo le braccia nivee e sospirando rumorosamente mentre si preparava a coprire il suo turno mattutino.

Quando uscì dal bagno e si posizionò alla cassa – affabile e gioviale come al solito –, ebbe giusto il tempo di lanciare un rapido sguardo ai tavoli gremiti di clienti, prima che un braccio robusto gli avvolgesse entrambe le spalle e lo strattonasse con sbalorditivo vigore. Jungkook ridacchiò mentre il suo collega gli augurava giocondamente il buongiorno.

“Non riesco a credere ai miei occhi! Per la prima volta i nostro maknae è riuscito ad arrivare puntuale sul posto di lavoro!” lo beffeggiò, scompigliandogli la massa folta di capelli con il pugno destro mentre ancora lo teneva imprigionato nella sua morsa ferrea.

Jungkook roteò gli occhi al cielo mentre sghignazzava e si dimenava invano sotto il tocco poderoso del collega più grande.

“Hai cambiato le batterie della sveglia? O meglio, hai finalmente deciso di comprartene una?” continuò, mentre il più piccolo si aggrappava alle sue braccia e si contorceva nel vago tentativo di districarsi da quella presa.

 

“Namjoon-ssi, il tavolo due sta aspettando che qualcuno vada a prendere le ordinazioni da circa dieci minuti e invece tu te ne stai qui a perdere tempo!” la voce di Seokjin tuonò risoluta nel locale, insinuandosi con precisione tra il dolce tintinnare di alcune tazze ed il tiepido brusio prodotto dai clienti.

Kim Namjoon fu costretto ad interrompere la tortura che stava meticolosamente infliggendo al più giovane, lasciandolo libero di riprendere posto esattamente dietro al registratore di cassa. Jungkook rise di gusto mentre lo osservava sbuffare ed incrociare puerilmente le braccia al petto. Il suo viso si era immediatamente piegato in un'espressione risentita, alla vista dell'altro ragazzo, ed i suoi espressivi occhi nocciola si erano ridotti a due mere fessure. Seokjin ricambiò lo sguardo di sfida mentre inarcava un sopracciglio scuro nella sua direzione.

Il ventiseienne Kim Seokjin era il figlio del proprietario dell'Honey Milk e dal padre aveva ereditato non solo le particolari linee del viso, ma anche l'arguzia ed il – discutibile – senso dell'umorismo. Spesse volte Jungkook si era ritrovato a ridere delle sue pessime battute solo per pura gentilezza: era terribile per il più piccolo doversi sorbire l'espressione afflitta del suo volto ogniqualvolta qualcuno tardasse nel ridere alle sue battute. Così Jungkook sghignazzava tutte le volte che il più grande gli proponeva una delle sue freddure, e poi si lasciava dare un soffice buffetto di ringraziamento tra i capelli. Kim Namjoon, al contrario, non si faceva mai sfuggire l'occasione per beffeggiare il suo superiore, denigrare il suo terribile humor e, all'occorrenza, dilettarsi nell'arduo tentativo di farlo uscire dai gangheri. Seokjin era un'anima tranquilla: incoraggiava giornalmente tutti i suoi colleghi, si premurava che i bambini ai tavoli avessero fazzolettini a sufficienza ed il Venerdì sera mandava via tutti sempre trenta minuti prima della chiusura perché “avete lavorato sodo tutta la settimana! Adesso andate ad ubriacarvi con i vostri amici”. Seokjin accoglieva di buon grado il peso delle sue responsabilità sulle spalle ampie ed ossute, donando serenità per ricevere i più proficui dei riscontri. Anche in quel momento, ancora con il proprio cappotto beige addosso e le labbra carnose richiuse intorno al suo solito Chupa Chups alla fragola, Seokjin appariva interamente avvolto da un'equilibrata aurea di assennatezza e coscienziosità. Namjoon invece amava burlarsi allo stesso modo di colleghi e clienti, travolgendo irreparabilmente chiunque gli stesse intorno con il suo spirito oltremodo frizzante. Era chiassoso, vivace, instancabile. Ed era l'unico a cui Seokjin rivolgeva i suoi sospiri più rassegnati.

“Sei un guastafeste!” lo rimbeccò Namjoon, mentre l'altro allontanava il lecca-lecca dalla bocca con un sonoro pop e poi semplicemente stirava la labbra paffute in un sorriso arrendevole.

“E tu sei gran fannullone” ribatté prontamente Seokjin, osservando l'altro scuotere il capo con fare divertito e poi camminare piano nella sua direzione.

“Mi domando perché tu non mi abbia ancora licenziato, allora” lo provocò Namjoon, fermandosi esattamente dinnanzi al più grande.

Quello roteò gli occhi al cielo mentre semplicemente rispondeva: “Tornatene immediatamente a lavoro e non dovrò neppure considerare la possibilità di farlo”.

Namjoon scoppiò a ridere e Jungkook non potè evitare di seguirlo a ruota, guadagnandosi così un'occhiata inceneritrice da parte del suo superiore.

“Non sei per nulla convincente, Jin hyung” lo beffeggiò a quel punto Namjoon, stiracchiandosi e sbadigliando poco elegantemente mentre riprendeva a camminare.

Jungkook e Seokjin lo seguirono con lo sguardo mentre prendeva uno dei grossi bicchieri di cartone bianco adibiti al take-away, lo sistemava sotto uno degli erogatori e con incredibile nonchalance cominciava a fischiettare nell'attesa che si riempisse.

“Io vado a bermi questo caffè nel giardinetto sul retro” disse in seguito a tutti, ma a nessuno in particolare.

Seokjin si portò nuovamente la caramella alla bocca, abbassando il capo e scuotendolo con estrema lentezza. Aveva perso le speranze con lui: riprenderlo non sortiva nessun effetto e l'unico motivo per cui continuava a richiamarlo con fare – più o meno – serio era il ruolo di rilievo che ricopriva all'interno dell'attività. Kim Seokjin era il capo e come tale si sarebbe comportato (anche se ciò avrebbe spesso alimentato l'ilarità dei suoi impiegati più giovani).

“Perché non mandi Yun-ssi al tavolo due?” continuò Namjoon, avvicinandosi al più grande e sfilandogli pacatamente il Chupa Chups dalla bocca.

“Che diavolo…?” mormorò Seokjin mentre Namjoon, noncurante, immergeva il lecca-lecca nella miscela calda e se ne serviva per amalgamarla.

Jungkook rise ancora più fragorosamente dinnanzi all'espressione sbigottita del suo superiore, senza smettere neppure quando Seokjin gli scoccò la seconda occhiata torva della giornata.

 

~

 

Il resto del turno di Jungkook proseguì spedito tra un caffellatte servito al tavolo cinque, l'ennesima freddura decantata fieramente da Seokjin per uno dei suoi clienti ed una decina di biscottini al burro – abilmente procurati da Namjoon – silenziosamente trangugiati nel giardino sul retro. Durante quei quaranta minuti, però, Jungkook non aveva fatto altro che lanciare occhiatine fugaci al suo orologio da polso e quel gesto, erroneamente classificato dal ragazzo come “subdolo”, aveva finito con l'attirare l'attenzione di Namjoon.

“Perché un ritardatario come te dovrebbe guardare così tanto il suo orologio?” aveva sghignazzato quello, camminando oltre il bancone mentre tra le mani teneva un vassoio colmo di milkshake al cioccolato.

Jungkook non rispose, limitandosi a sospirare mentre saldava il conto di un paio di clienti.

“Io dico che hai un appuntamento” pronunciò in seguito Namjoon, tornando dietro il bancone e poggiandovi sopra il vassoio ora vuoto.

“Non ho un appuntamento” ribatté il più piccolo, avvicinandosi al lavabo per recuperare uno straccio ed inumidirlo d'acqua.

“Vedrai il ragazzo di ieri! Ci scommetto i miei anfibi nuovi!” esultò, sollevando la gamba destra per mostrare a Jungkook il suo nuovo acquisto.

Il più piccolo scosse il capo e si morse il labbro inferiore per soffocare un sorriso.

“Non so di cosa tu stia parlando, hyung” mormorò, cominciando a lucidare la superficie del bancone con il panno umido.

Namjoon sbuffò, sistemando alcune tazze di caffè all'interno del vassoio e poi voltandosi in direzione del più piccolo.

“Andiamo! Che motivo c'è di mentirmi? Ti ho visto parlare con quel biondino ieri, è sicuramente lui che devi vedere!”

Jungkook bloccò il movimento del panno, abbandonandolo temporaneamente sulla superficie acquosa per prestare attenzione al suo collega.

“Il fatto è che sei un gran pettegolo! E se ti dicessi come stanno le cose–”

“Non ne farò parola con nessuno, lo giuro!” lo interruppe immediatamente Namjoon, abbandonando teatralmente una mano sul petto e sollevando l'altra con fare solenne.

Jungkook lo studiò per qualche secondo, sospirando poi arrendevolmente mentre diceva: “E va bene! È lui che devo vedere, ma non si tratta di un vero e proprio appuntamento”.

Namjoon aprì le labbra in un sorriso compiaciuto ed immediatamente un paio di fossette profonde corsero a bucargli le pelle tenera ai lati della bocca.

“Però deve averti trovato carino, se ha deciso di volerti rivedere” puntualizzò il più grande, mentre Jungkook semplicemente sospirava.

“Ti piace?” continuò Namjoon dopo qualche secondo, posizionando l'ultima tazza di caffè all'interno del vassoio.

“Come può piacermi se non ci conosciamo neppure?” ribatté Jungkook, accigliandosi mentre riprendeva in mano il suo strofinaccio.

Namjoon roteò platealmente gli occhi al cielo, impugnando il vassoio con attenzione mentre riprendeva a parlare.

“Intendevo dire se lo trovi attraente!”

“Lo è. Taehyung è davvero attraente” confermò Jungkook mentre un sorriso gongolante non tardava ad increspargli le labbra rosate.

Seguirono un paio di minuti di totale silenzio in cui il più piccolo ripassò mentalmente i tratti somatici del ragazzo incontrato il giorno prima e Namjoon si limitò a studiare con fare malizioso l'espressione eccessivamente sognante e stralunata, ora dipinta sul volto del maknae.

“Quindi non ti dispiacerebbe affatto se ti ficcasse la lingua in go–”

Ancor prima che potesse terminare, però, Jungkook si voltò nella sua direzione e, prontamente, gli lanciò addosso lo strofinaccio bagnato.

“Seokjin hyung ha proprio ragione quando dice che sei un gran fannullone! Dovresti tornare a lavoro adesso!” lo rimproverò giocosamente osservando l'altro riporre distrattamente lo straccio sul bancone, afferrare il suo vassoio e camminare in direzione del tavolo da servire.

Proprio mentre Jungkook lo nominava, Seokjin uscì dallo spogliatoio riservato al personale con indosso il suo grembiule da lavoro.

Hyung!” lo richiamò Namjoon mentre sfilava delicatamente le tazze dal vassoio e le abbandonava sulla superficie legnosa di uno dei tavolini.

Seokjin si accigliò mentre si voltava nella sua direzione e Jungkook ricopiò inconsapevolmente i suoi movimenti.

“Il nostro maknae ha bisogno di qualche dritta su come baciare. Come suoi fratelli maggiori, non credi che dovremmo almeno dargli una dimostrazione?”

Jungkook soffocò l'ennesima risata premendo goffamente le labbra contro la manica calda del suo maglione mentre Seokjin, a capo chino, superava il bancone in religioso silenzio. Il più piccolo lo osservò mentre lasciava un rapido schiaffo sulla nuca di Namjoon e, con fare risentito, si dirigeva verso uno dei tavoli da servire.

Namjoon rise di gusto mentre chiedeva: “Quello era un sì?”.

 

~

 

Jungkook sorseggiò l'ultima goccia di caffè caldo prima di camminare verso il cestino posto alla sinistra del bancone ed abbandonare il bicchiere vuoto al suo interno. Aveva trascorso le ultime ore che lo separavano dalla fine del suo turno versando consistenti e dense dosi di milkshake alla fragola all'interno di alcuni bicchieri e poi guarnendole con deliziosi e soffici ciuffi di panna puntellati qua e là da meringhe e zuccherini variopinti, servendo un paio di tavoli quando Namjoon si era – per la terza volta – recato nel giardinetto sul retro così da poter fumare una delle sue Marlboro e guardando instancabilmente il quadro lucido del suo orologio da polso – ormai sia Seokjin che Namjoon avevano appreso del suo incontro con Taehyung, di conseguenza essere circospetto non era più necessario. Una volta terminata la sfilza di mansioni quotidiane, Jungkook si sfilò rapidamente il grembiule e corse in direzione dello spogliatoio. Si sciacquò le mani ed il viso con l'acqua fresca, tirando poi fuori dal proprio zaino uno spazzolino e del dentifricio. Lavò i denti mentre ancora teneva d'occhio l'orologio: erano le due meno un quarto e Jungkook odorava ancora disgustosamente di praline e cioccolato bianco. Si sciacquò la bocca dinnanzi al piccolo specchio posto sul lavandino, respirando a pieni polmoni l'acre odore di disinfettante e detergente per pavimenti mentre si sfilava il maglioncino scuro per indossare una morbida felpa bianca. Rassettò la roba che aveva distrattamente seminato in giro per il bagno, sistemò alla meno peggio con le dita la massa scura e corposa di capelli, afferrò il suo zaino e corse fuori dal bagno. Avvertì Seokjin che aveva finito il proprio turno mentre riempiva un altro bicchierone – con del Macchiato al caramello, stavolta, lo stesso che aveva ordinato Taehyung il giorno precedente – e vi riponeva sopra un tappo di plastica per far sì che la miscela si mantenesse calda, poi si sistemò meglio la zaino in spalla, salutò i colleghi e camminò verso l'uscita – tentando di ignorare le risatine stridule di Namjoon e Seokjin che, certamente, già speculavano sul suo incontro con Taehyung. Raggiunta l'uscita, decise di sedersi su una delle panchine stanziate di fronte all'Honey Milk e di attendere lì l'arrivo della sua nuova conoscenza. Jungkook strinse il bicchiere caldo tra i palmi delle mani e sollevò il capo verso il cielo terso, inspirando a pieni polmoni l'aria dolce e tiepida di quel pomeriggio autunnale. Sorrise.
Si sentiva felice e non sapeva esattamente il perché. E non conoscere l'esatto motivo del suo buonumore non faceva che farlo sentire più felice. A Jungkook piaceva particolarmente sperimentare quella calda sensazione di inconsapevole gioia all'altezza dello stomaco: era sicuro che, una volta realizzata la fonte precisa della propria felicità, fosse più facile tornare a sentirsi tristi, per questo Jungkook non voleva mai sapere perché era felice.
Quel giorno, pensò, forse la ragione era la particolare sfumatura del cielo – liscio e sfavillante come una preziosa stuoia di lapislazzuli. Forse era la consapevolezza di avere la sua inseparabile SONY nascosta tra la stoffa del suo zaino, il suo sguardo nitido sulle pareti del Creato. Forse era quel quadretto bizzarro e spassoso al quale ormai si era abituato e al cui interno erano racchiusi il sorriso furbo di Namjoon ed i sospiri remissivi – quanto implicitamente divertiti – di Seokjin. Forse la ragione era Kim Taehyung, il suo candido rossore alle gote e la sua voce sinuosa e profonda.
Jungkook socchiuse gli occhi mentre guardava il cielo e sorrise a labbra sigillate al cospetto della distesa di infinito turchino.

Era felice e non voleva sapere il perché.

 

~

 

Il bicchiere di Macchiato era ormai tiepido sotto i palmi di Jungkook, l'Honey Milk era stato temporaneamente chiuso per la pausa pranzo ed il suo orologio da polso segnava le tre meno un quarto. Jungkook sbuffò mentre si sistemava meglio sulla panchina di metallo e sfilava il suo smartphone dalla tasca anteriore di jeans. Avrebbe potuto chiamarlo, ma non aveva il suo numero di telefono. Sbuffò ancora. Quel ragazzo era in ritardo e a lui cominciava a venir fame. Abbandonò il grosso bicchiere sulla superficie della panchina mentre apriva l'applicazione di Facebook e digitava nella barra di ricerca. Trovò Kim Taehyung – ventidue anni, nato il 30 Dicembre e studente alla Seoul National University – in un batter d'occhio. Nell'attesa decise di scorrere tra le sue foto del profilo. In ogni scatto Taehyung appariva in posa: seduto a gambe incrociate su un piccolo sofà, il mento elegantemente poggiato sul palmo aperto, lo sfondo occupato da una sfilza di abiti e giacche retrò sistemati su di un appendiabiti color panna. Jungkook si ritrovò a trattenere inconsciamente il respiro: era attraente, con quei begli occhi nocciola e con quella sua presenza delicata. Jungkook aveva voglia di rivederlo, sotto la luce fioca del sole, tra le strade vive e pulsanti di Seoul. Voleva parlargli ed ascoltarlo rispondere. Voleva vederlo arrossire sotto il peso grave delle sue provocazioni, e poco importava se ancora non lo conosceva affatto, Jungkook fremeva dalla voglia di incontrarlo ancora.
Il ragazzo continuò a scorrere tra le decine di foto, sospirando rumorosamente e mordendosi con veemenza il labbro inferiore dinnanzi ad ogni scatto, fino a quando non ebbe terminato di vederli tutti, poi adocchiò nuovamente il suo orologio. Erano passate le tre, ma di Taehyung non vi era neppure l'ombra. Ormai Jungkook stava aspettando da più di un'ora, seduto sulla quella panchina fredda e con i glutei irrimediabilmente intorpiditi. Seokjin aveva già riaperto l'Honey Milk e, prima di voltare il cartellino con su scritto “open”, gli aveva lanciato una rapida occhiata colma di affetto e compassione. Jungkook si era accigliato: Taehyung non gli stava affatto dando buca, magari era semplicemente rimasto imbottigliato nel traffico, o forse una delle sue lezioni universitarie si era protratta più del previsto.

Mezz'ora dopo, quando Jungkook aveva deciso di balzare in piedi e stiracchiarsi per alleviare il fastidio ai muscoli, Namjoon aveva fatto la sua plateale comparsa: occhiali da sole scuri sugli occhi, giacca di pelle sbottonata sul petto, iPhone nero ed argento poggiato sull'orecchio sinistro. Aveva deciso di interrompere temporaneamente la conversazione con il suo interlocutore non appena giunto sulla soglia, poi aveva osservato Jungkook e, in un sospiro, gli aveva detto: “È lui a perderci, non prendertela troppo”, attendendo un rapido cenno di accondiscendenza da parte del più piccolo, prima di entrare definitivamente nel locale.
Jungkook si era seduto ancora sulle assi di metallo ghiacciato della panchina e aveva atteso. Aveva aspettato Taehyung per altri venti minuti, mangiucchiandosi le unghie per la tensione e controllando spasmodicamente l'orario sul suo smartphone. Taehyung non si era fatto vivo e Jungkook aveva definitamente perso la pazienza. Si alzò, afferrando il bicchiere ormai freddo ed abbandonandolo all'interno di un cestino mentre si preparava ad andarsene. Si sistemò meticolosamente lo zaino in spalla e non si guardò neppure indietro mentre cominciava a camminare verso casa sua.

Namjoon aveva ragione. Non c'era motivo di prendersela tanto: non si conoscevano neppure, lui e Taehyung, e per colpa di quest'ultimo non avrebbero neppure potuto approfondire la loro conoscenza. Avrebbe dimenticato il suono della sua voce nel giro di qualche settimana, e forse la delusione e l'amarezza gli avrebbero impiastricciato la bocca per qualche giorno di troppo, ma alla fine gli sarebbe passata. Aveva vent'anni, ormai non era più un ragazzino.

Jungkook sollevò una mano in direzione di Seokjin e Namjoon che, scambiatisi uno sguardo furtivo, ricambiarono simultaneamente. Si sarebbe fatto una grossa tazza di caffè americano non appena arrivato a casa e poi l'avrebbe sorseggiata di fronte al televisore, prima di riempire la vasca per farsi un bagno caldo. Il Manuale Completo di Fotografia che suo fratello gli aveva regalato per Natale giaceva sul comodino da un bel po' di giorni ormai; magari si sarebbe impegnato a terminarlo così da tenere occupata la mente. Così da non pensare a quanto mozzafiato Kim Taehyung fosse. E mentre assaporava quel nome con la bocca della mente, si sentì chiamare a gran voce. Jungkook si congelò sul posto. Conosceva quel tono di voce.
Era soffice e caldo come il profumo del caffellatte.

“Jungkook-ah! Jungkook-ah! Sono terribilmente dispiaciuto!”

 

~

 

Il Seoul Grand Park era più affollato del solito, quel Venerdì: gruppi di turisti – berretto scuro per proteggersi dai raggi del sole e macchina fotografica al collo – camminavano tra i lunghi corridoi di pietra del parco, immortalando le fronde rossicce degli alberi e la mastodontica scultura della tigre immersa tra tappeti di boccioli colorati. Alcuni genitori passeggiavano sul longilineo pontile di legno che si ergeva su un limpido lago azzurrato ed i loro bambini si divertivano a correre poco più avanti, lasciando che lo strato aranciato di foglie che ricoprivano l'asfalto scricchiolasse sotto la suola delle piccole scarpe. Taehyung e Jungkook, invece, se ne stavano seduti a gambe incrociate sull'ampio prato fresco, i portatili accesi dinnanzi a loro, le corrispettive macchine fotografiche abbandonate sul ventre.

“Quindi è colpa del tuo coinquilino, se hai fatto così tardi?” mormorò Jungkook piegandosi in avanti per inserire la password di avvio del suo portatile, mentre con la coda dell'occhio rubava sguardi fugaci – e mediamente subdoli – al ragazzo seduto alla sua sinistra.

Taehyung annuì brevemente, sfilandosi la giacca di jeans e sistemandola attentamente all'interno della sua tracolla, ora permettendo a Jungkook di studiare il suo petto gracile intrappolato tra le stoffe di una camicia azzurro pastello.

“Sì, come ti ho detto, il mio coinquilino studia Moda e Design alla SNU e domani dovrà consegnare un progetto abbastanza importante. Aveva bisogno di qualcuno che indossasse i capi che ha realizzato, e pare che io abbia il fisico adatto ad indossare stravaganti jeans attillati o camicie in pizzo trasparente” rispose, scuotendo il capo con rassegnazione mentre si sistemava meglio sul prato morbido e puntava lo sguardo sulla figura di Jungkook.

Il cameriere per poco non si strozzò con la sua stessa saliva solo nell'immaginarsi Taehyung acconciato in quel modo. Aveva improvvisamente caldo e le sue guance si erano quasi certamente imporporate in modo ridicolo, così sollevò le maniche della felpa per scoprire le braccia, lasciando che la leggera brezza pomeridiana gli accarezzasse la pelle infuocata e calmasse il suo – fanciullesco ed imbarazzante – bollore.

“Ho dovuto aspettare che apportasse alcune modifiche ai jeans, beccandomi anche qualche puntura di spillo qua e là, prima di poter scappare. Mi sono cambiato il più in fretta che ho potuto”

Jungkook osservò lo schermo del suo pc illuminarsi di una luce violacea, mostrando la foto che albergava silenziosa sul desktop: una distesa di docili boccioli colorati. Primule, margherite, rose, girasoli. L'aveva scattata un paio di settimane addietro, quando aveva accompagnato la madre al mercato Kwangjand per comperare delle verdure.

“Quello però non lo indossavi ieri” notò successivamente Jungkook, tendendo le dita in direzione del suo viso e scostandogli alcune ciocche chiare dall'orecchio destro.

Taehyung sobbalzò sul posto, sorpreso, puntando gli occhi mielati in quelli di Jungkook, ora impegnati a scrutare il lungo gingillo argenteo che pendeva elegantemente dal suo lobo.

“Nella fretta devo aver scordato di toglierlo” mormorò in un sospiro, agitandosi nella crescente foga di sfilarselo del tutto.

“Mi piace come ti sta. Dovresti tenerlo” fu ciò che disse Jungkook, bloccando – con la propria mano – quella di Taehyung, già tesa nello sforzo di raggiungere l'orecchio.

I due abbassarono lo sguardo verso quella stretta nuova eppure già così intima: le dita affusolate di Jungkook si ancoravano delicatamente intorno al polso di Taehyung, imprimendo una pressione soffice sulla pelle tiepida del ragazzo, agili e determinate a non mantenere ben saldo quel vincolo dolce e timido. Timido come lo erano gli occhi di Taehyung, fattisi subito più lucidi ed inquieti mentre studiavano le dita possenti di Jungkook.

“Ti ringrazio” aveva mormorato a mezza voce, mentre ritirava con estrema lentezza la propria mano e la abbandonava sulla tastiera del laptop. Le sue gote si erano irrimediabilmente imporporate dall'imbarazzo ed il suo pomo d'Adamo aveva cominciato a vibrare sotto la pelle tesa della gola, probabilmente nel vano tentativo di mandar giù un groppo pesante di saliva, poi aveva semplicemente cominciato a parlare. A parlare nel modo più rapido, diretto e razionale che Jungkook avesse mai acclarato. Kim Taehyung era rapido, diretto e razionale; scacciava l'imbarazzo parlando del tempo, si districava da situazioni che riteneva scomode propinando speditamente quella o quell'altra domanda più o meno personale e non annoverava il contatto visivo, mai. I suoi occhioni nocciola rimanevano puntati sullo schermo luminoso del computer mentre parlava, mentre disegnava con le labbra parole che Jungkook non stava realmente ascoltando. Jungkook desiderava ardentemente che Taehyung lo guardasse. E che lo guardasse come aveva fatto all'interno della caffetteria, prima di afferrare tenacemente la sua macchina per scattargli una foto. Eppure Taehyung non lo stava guardando affatto e Jungkook non faceva che domandarsi il perché. Forse lo stava evitando di proposito, forse non lo trovava poi così interessante e stava cercando di comunicarglielo in modo implicito. Jungkook si sentì improvvisamente triste. Stava investendo troppo in quella conoscenza così vaporosa e casuale, lo faceva sempre: regalava tutto ciò che aveva al Mondo, e poi si accorgeva troppo tardi di essere rimasto a mani vuote. Si era ripromesso più volte che non l'avrebbe rifatto, che avrebbe smesso di dare tutto se stesso ad un cuore che non somigliava per niente al suo. Ora Jungkook aveva bisogno di condivisione, di potenti battiti all'unisono, di occhi leali come quelli di Taehyung, silenziosi e devoti dentro i suoi. E chissà – pensò mentre Taehyung si voltava finalmente verso di lui, forse per sincerarsi che lo stesse ascoltando – magari quella volta Jungkook non sarebbe rimasto completamente a mani vuote.


~
 

I successivi quaranta minuti, Taehyung e Jungkook li avevano passati parlando. Avevano riso ad alta voce mentre il sole del pomeriggio calava sulle corpose fronde degli alberi e si erano persino fatti inconsapevolmente più vicini. Le loro ginocchia ora si sfioravano appena e Jungkook continuava ad inclinare il capo verso sinistra, abbandonando la gota sul palmo aperto della sua mano mentre puntava lo sguardo in direzione di Taehyung che – inaspettatamente – aveva cominciato ad osservare Jungkook un po' di più. E quest'ultimo non era del tutto certo di riuscire a gestire al meglio quegli occhi così belli, intensamente fissi nei suoi, anche se li aveva precedentemente desiderati con esagerata brama. E la situazione si era fatta ancor più difficile da gestire nel momento in cui Jungkook aveva deciso di stendersi completamente sul prato, sistemare le braccia sotto al capo e serrare le palpebre. La voce di Taehyung lo aveva cullato per diversi minuti come la più dolce delle ninne nanne, e Jungkook aveva assorbito silenziosamente il suo soffice canto mentre pensava che avrebbe voluto eternare quell'istante all'interno di una fotografia: i loro corpi sistemati l'uno accanto all'altro, il fruscio delle foglie secche sull'asfalto, il soffio tiepido del vento. E mentre lo pensava, Jungkook udì un chiaro e nitido clic, come se qualcuno avesse scattato quella foto per lui. Sollevò una palpebra soltanto, giusto il tempo necessario per riuscire a scorgere gli occhi vivaci di Taehyung far capolino dalla sua Leica, e poi li richiuse. Gli aveva scattato una foto ed era stato rapido, ma Jungkook non gli avrebbe chiesto nulla: si era già abituato a quella leggera ma spessa coltre di intimità che li aveva avvolti sin da subito.

Jungkook aveva raccontato a Taehyung di essere un grande appassionato di fotografia, di dilettarsi nel immortalare pezzi di Mondo tutti i giorni, da sempre. Una volta terminata la scuola, i suoi genitori gli avevano proposto di iscriversi alla Seoul National University per poter ottenere una laurea vera e propria in Fotografia, e Jungkook era anche stato sul punto di accettare, ma il suo irrefrenabile buonsenso lo aveva strattonato per la manica e gli aveva ordinato di fare un passo indietro. La sua famiglia non aveva mai navigato nell'oro e spesso – uniti ed affiatati come solo i consanguinei sanno essere – si erano ritrovati a dover fronteggiare difficoltà economiche notevolmente consistenti. L'Università era costosa, troppo costosa per una famiglia come la sua, e Jungkook era coscienzioso, troppo coscienzioso per poter sedere tranquillamente a lezione mentre suo padre faceva gli straordinari così da riuscire a pagargli gli studi. Aveva rifiutato l'offerta e si era trovato un lavoro, e poi aveva comperato un grosso salvadanaio – che il salvadanaio in questione fosse a forma di coniglietto, Jungkook aveva preferito ometterlo – cosicché contenesse gelosamente i suoi risparmi. Taehyung aveva stretto le labbra in una triste linea orizzontale mentre Jungkook gli confidava che, da un anno ormai, stava mettendo da parte la paga e le mance racimolate all'Honey Milk per riuscire a permettersi il percorso di studi a cui tanto ambiva. “Di questo passo, riuscirò ad iscrivermi per il prossimo anno accademico” aveva canticchiato poi il più piccolo, strappando alle labbra di Taehyung un timido sorriso.

Adesso Jungkook sapeva che Taehyung era nativo di Daegu, dove ancora risiedeva la sua famiglia, ma che si era trasferito a Seoul per frequentare l'Università circa quattro anni addietro, che la sua invidiabile stabilità economica gli aveva permesso di coltivare con dedizione la passione per la fotografia, annaffiarla e curarla come un morbido germoglio e poi osservarla sbocciare come il più bello dei fiori, ora che stava per ottenere la laurea, che il suo coinquilino – Park Jimin, estimatore della Moda e del buon gusto, a detta di Taehyung – era anche il suo migliore amico e che, di tanto in tanto, lo accompagnava in qualche escursione in giro per la città per scattare quella o quell'altra fotografia. Taehyung aveva anche aggiunto che durante quelle escursioni, il ragazzo – di gran lunga più estroverso ed eccentrico rispetto a lui – doveva praticamente pregarlo per essere immortalato, o Taehyung avrebbe volentieri evitato di farlo. A quel punto Jungkook si era accigliato, sporgendosi in avanti per sfilargli la costosa Leica dal grembo così da poterla maneggiare con quei suoi palmi curiosi e poi gli aveva detto: “Non ti viene mai voglia di scattare foto alle persone che hai intorno? Io lo faccio di continuo”. Taehyung aveva sospirato e poi si era rivolto nuovamente allo schermo luminoso del suo laptop.

“In realtà no, preferisco i paesaggi e la street photography” aveva mormorato mentre apriva una cartella sul desktop del suo MacBook per mostrargli alcuni dei suoi scatti migliori. Bancarelle del Seoul Folk Flea Market colme di oggettini vintage e variopinti cibi tipici riposti in grosse padelle e pentoloni di acciaio, vivaci distese di fiori freschi, cieli profondi squarciati da saette rossastre. Jungkook aveva sollevato gli angoli della bocca in un sorriso colmo di ammirazione e Taehyung aveva sorriso di riflesso.

“Sono degli scatti mozzafiato!” aveva cinguettato Jungkook, mentre Taehyung si mordeva con veemenza il carnoso labbro inferiore.

“Hai proprio una bella tecnica ed è evidente che hai studiato parecchio per metterne insieme una tutta tua!”

“È davvero piacevole sentirselo dire” mormorò il più grande fissando lo sguardo direttamente in quello di Jungkook che, deglutendo a fatica un groppo di saliva, quasi si sentì mancare il fiato.

“Ora sono curioso di vedere qualche tuo scatto, però!” decretò successivamente il più grande, ora puntando gli occhi nocciola sul portatile di Jungkook, in attesa.

Jungkook sbuffò un sorriso, sporgendosi in avanti verso il computer per poter selezionare un paio di cartelle. Sullo schermo si aprì una distesa colorata di acque e cieli increspati, gabbiani in volo, boccioli non ancora schiusi e poi tazze fumanti di caffè, rughe, fumo, occhi pittoreschi, labbra imbevute di gioia, dita sottili, lunghi capelli ondulati, l'agrumeto di sfumature che è il cielo al tramonto. Jungkook carpì con la coda dell'occhio Taehyung mentre avvicinava il viso allo schermo e, inconsapevolmente, si ritrovò a trattenere il respiro. Passarono un paio di secondi in cui le vigili orecchie di Jungkook udirono soltanto il fruscio del vento ed il cinguettio sommesso di alcuni uccellini sulle fronde alte degli alberi, poi la voce di Taehyung scavò una breccia in quella fitta coltre di suoni delicati.

“Sei davvero bravo!”

Jungkook sorrise ampiamente, voltandosi per guardare meglio Taehyung.

“Hai un'ottima tecnica, per essere soltanto un appassionato. E scatti anche dei bei ritratti!” continuò, senza staccare le iridi attente dallo schermo.

Jungkook si morse con veemenza il labbro inferiore: non era la prima volta che qualcuno gli faceva dei complimenti. Sin dai tempi delle scuole medie, Jungkook veniva messo in risalto per le sue eccellenti doti da fotografo – seppur in erba – e compagni, amici o professori non tardavano mai nel congratularsi con il ragazzo per la splendida foto scattata durante il torneo di nuoto organizzato dall'Istituto o per i vivaci scatti che ritraevano il cortile – spoglio ma incantevole – gremito di studenti in divisa, durante il periodo autunnale. Eppure Jungkook non riusciva a controllare in alcun modo quella calda e solleticante sensazione che gli stava attanagliando interamente il petto, né il lieve bruciore alle gote, né la tediosa difficoltà riscontrata nel respirare in modo regolare. La sua pelle stava rabbrividendo a causa di un mero complimento. A causa di Kim Taehyung.

“Adoro il fatto che tu abbia catturato il cielo servendoti di questa pozzanghera come fosse uno specchio” continuò, puntando l'indice su uno scatto in particolare. Un Martedì piovoso, il cielo sofferente, la pioggia turpe in un acquitrino poco profondo.

“Ed è interessante anche la prospettiva dalla quale hai scattato questa” continuò, adesso rivolgendo il dito verso la figura femminile che – busto ruotato di tre quarti verso destra e lunghi capelli scuri a ricadergli sulle spalle gracili – guardava dritto verso l'obbiettivo.

Jungkook stirò le labbra carnose in un sorriso ancor più ampio, scrutando l'espressione concentrata di Taehyung senza riuscire a dir nulla. Era felice e sapeva il perché. E questo lo spaventò a morte, ma lo rese al contempo paradossalmente ancor più contento.

“Quindi hai una sorella?” chiese all'improvviso l'altro, ora lasciando vagare lo sguardo tra la fitta vegetazione verdognola che ricamava i viali del Seoul Grand Park.

Jungkook si accigliò, scuotendo il capo mentre rispondeva: “No, ho soltanto un fratello minore”

Taehyung annuì silenziosamente e Jungkook – da bravo osservatore – notò immediatamente la sua espressione incupirsi a dismisura.

“Perché me lo hai chiesto?”

Il più grande forzò – palesemente, sempre per gli occhi vigili di Jungkook – un sorriso mentre si voltava per osservare il più piccolo.

“La ragazza nella foto” puntualizzò, con un fare talmente grave e sostenuto da suscitare irrimediabilmente l'ilarità di Jungkook.

“È mia cugina!” ribatté quello, senza riuscire a trattenersi dallo scoppiare a ridere.

“Credi che ci avrei così spudoratamente provato con te, se fossi stato fidanzato?” continuò, coprendosi le labbra con la mano destra mentre Taehyung arrossiva visibilmente.

“Puoi...” cominciò il più grande, schiarendosi la voce con un colpo di tosse. “Puoi evitare di essere sempre così schietto?”

Jungkook smise immediatamente di ridere, studiando l'altro ragazzo con un sopracciglio lievemente sollevato.

“Perché? Ti imbarazza, forse?” lo punzecchiò, mentre Taehyung si stringeva quietamente nelle spalle e stendeva tutte e due le gambe sul prato fresco.

“Vedrò di essere un po' meno schietto, allora” ridacchiò Jungkook mentre si tendeva in avanti e selezionava qualche altra cartella dal suo portatile.

“Ti ringrazio” fu ciò che borbottò genuinamente Taehyung in seguito, ignaro di avere appena suscitato un'ingente quantità di tenerezza nell'altro.
 

~

 

Quando per entrambi arrivò il momento di andar via, si era già fatto tardo pomeriggio. Jungkook aveva ignorato a lungo il fatto di non aver ingerito nulla durante tutto il corso della giornata, ma quando Taehyung aveva terminato di sistemare la sua tracolla e si era messo in piedi, il suo stomaco aveva cominciato a gorgogliare rumorosamente ricordandogli – inflessibile e puntuale – che era arrivato il momento di sfamarsi.

“Forse dovresti mangiare qualcosa, prima di tornare a casa” aveva detto Taehyung, infilando con nonchalance le mani nella tasca della giacca e fissando lo sguardo apprensivo su Jungkook.

Il più piccolo si era morso flebilmente un labbro mentre annuiva una volta soltanto.

“Passerò dal supermarket qui vicino e compererò qualcosa da mettere sotto i denti”

Anche Taehyung annuì sospirando fragorosamente mentre si guardava intorno, e Jungkook – ancora, da perfetto osservatore del Mondo – recepì nel suo respiro il desiderio di aggiungere dell'altro.

“Se non mi avessi chiesto di essere meno schietto, ti avrei detto che voglio rivederti domani” pronunciò, mentre l'altro sgranava gli occhi nocciola e poi si lasciava andare ad un sogghigno a metà tra il divertito e l'imbarazzato.

“Sei consapevole di avermelo detto comunque, non è vero?” lo rimbeccò, sorridendo ampiamente mentre le gote gli si coloravano di rosso.

Jungkook deglutì a fatica. Taehyung era bello, e la sua era una bellezza inconsapevole. Con ogni probabilità, non sapeva neppure di poter apparire tanto affascinante solo stirando le labbra sottili in un sorriso, o riducendo candidamente gli occhi a due mere fessure. Eppure Jungkook lo trovava bello. Bello perché semplice, bello perché autentico.

Talmente bello da meritare di essere fotografato.

“La tua risposta?” lo punzecchiò a quel punto Jungkook, compiacendosi tra sé e sé per essere riuscito, ancora una volta, a mettere Taehyung alle strette.
Gli piaceva osservare le sue reazioni spontanee mentre si imbarazzava: era l'unico momento in cui Taehyung smetteva di essere tanto razionale e metodico.

In tutta risposta, l'altro tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans il suo iPhone e lo porse a Jungkook.

“Scambiamoci i numeri di telefono” mormorò, grattandosi nervosamente la nuca mentre il più piccolo afferrava l'aggeggio e si affrettava a memorizzare il proprio contatto.

Quando anche Taehyung terminò di memorizzare il proprio, i due si salutarono. Fu un saluto caotico ed impacciato: entrambi si sporsero in avanti contemporaneamente per lasciare un rapido bacio sulla guancia dell'altro, rischiando invece di scambiarsi un bacio a fior di labbra. Taehyung arrossì subito vistosamente e Jungkook ridacchiò mentre poggiava entrambe le mani sulle sue spalle e, scoccandogli un bacio rumoroso sulla gota destra, si voltava per andar via. Quando si voltò, trovandosi già parecchi passi più avanti, Taehyung lo stava osservando in silenzio: un timido sorriso gli solcava le labbra ed il palmo destro della mano giaceva immobile, lì dove le labbra di Jungkook si erano poggiate poco prima.

 

~

 

Mentre Jungkook attraversava la soglia del piccolo supermarket – stava già rimuginando sul possibile pasto pre-cotto da acquistare; magari avrebbe preso del ramen istantaneo, oppure una ciotola di noodles alle verdure – il suo smartphone trillò all'interno della tasca anteriore dei suoi jeans. Sfilò l'aggeggio mentre passava oltre le porte automatiche del negozio, e sorrise nel vedere il nome del mittente lampeggiare sullo schermo.



2 nuovi messaggi da Kim Taehyung (19:16)

 

Quasi dimenticavo di mostrarti la foto che ti ho scattato ieri!

 

A che ora finisce il tuo turno a lavoro domani? Io sono libero per pranzo.

PS: titoli onorifici. Sono due anni più vecchio di te. Sarà meglio che cominci a chiamarmi “hyung”.

 


Jungkook avvertì le gote avvampare istantaneamente mentre visualizzava la foto allegatagli da Taehyung. Adesso era lui a sentirsi in imbarazzo.

Il ragazzo scosse il capo con vigore e stirò le labbra in un mezzo sorriso mentre entrava all'interno del supermercato, venendo così immediatamente investito dal brusio di alcune voci pacate e dallo stridere energico delle rotelline di alcuni carrelli sul pavimento lucido.

 

“Direi che me lo sono meritato”

 

~


 

Scatto numero tre ~ La distesa cobalto gorgoglia con dolce violenza fra le orecchie dei due ragazzi. Le onde danzano energiche, in un infinito ed inafferrabile girotondo di cristalli salati e sottili. Il sole si nasconde tra le pieghe di una spessa coltre di lenzuola grigie e gassose. Il mare sta parlando. I due ragazzi restano in ascolto.
Sono parole che non dimenticheranno mai.

Saturazione: -100

Contrasto: -15

Luminosità: -29

 

Erano ormai passate tre settimane da quando Taehyung e Jungkook avevano cominciato a frequentarsi: messaggi del buongiorno spediti durante le prime ore del mattino, quando il sole aveva appena solcato il cielo ed i loro visi assonnati ancora sprofondavano tra le morbide federe del cuscino, lunghe passeggiate a tardo pomeriggio, quando la luna cominciava ad acconciarsi – invano – nel tentativo di incontrare il suo bel sole, e la fresca aria dell'imminente sera scompigliava loro i capelli, in una candida ed amorevole carezza paterna. Rapidi pranzi consumati tra le vivaci bancarelle del Namdaemun Market ed intensi pomeriggi passati tra le viottole affollate di Seoul: le rispettive fotocamere strette tra le mani ed i portatili dormienti nelle tracolle. Tre settimane in cui Taehyung aveva quietamente trasmesso a Jungkook alcuni trucchetti imparati durante i quattro – produttivi quanto faticosi – anni passati a studiare Fotografia, per poi scoprirsi meravigliato nell'assodare che il più piccolo aveva effettivamente inglobato ogni suo consiglio teorico riuscendo, in seguito, ad applicarlo nella pratica. I suoi scatti diventavano più intriganti ed appassionati di giorno in giorno ed i suoi occhi parevano illuminarsi sempre un po' di più tutte le volte che, visualizzata la fotografia sullo schermo nitido del portatile, Taehyung si complimentava per la sua ottima capacità di osservazione.
Taehyung sentiva di stare crescendo accanto a Jungkook. Si può maturare solo nell'arco di qualche settimana? Questo Taehyung non lo sapeva, ma ogni giorno passato sotto lo zefiro caldo sfuggito dalle labbra di Jungkook ogni qualvolta che parlava, per Taehyung era un giorno di crescita. La spensieratezza ed il buonumore gli si erano appiccicati sulla pelle e lì avevano piantato radici: non vi era giorno in cui Taehyung non si svegliasse già contento, con le labbra tese in un sorriso appagato e la mente già inondata da pensieri impetuosi e salati, tutti concernenti lui. Anche quella mattina, dopo aver fatto una doccia veloce e sistemato l'occorrente nella sua solita ed immancabile tracolla, Taehyung aveva avvertito chiaramente il cuore palpitargli giocondamente in petto solo al suo pensiero.

“Non avevo mai visto quest'espressione sul tuo viso” la voce di Jimin echeggiò nella stanza poco illuminata, facendo sobbalzare Taehyung dalla sorpresa.

“Smettila di prendermi in giro” tagliò corto quello, infilando rapidamente la sua giacca di jeans oversize e camminando verso il bagno.

Taehyung si posizionò di fronte al piccolo specchio lucido sistemando alla meno peggio la massa folta ed arruffata di capelli biondi. Erano cresciuti un bel po' in quegli ultimi giorni e adesso alcuni ciuffi gli solleticavano affettuosamente la nuca. Forse avrebbe dovuto tagliarli.

“Uscite insieme anche oggi?”

Taehyung sobbalzò ancora, bloccando tutte e dieci le dita a mezz'aria e voltandosi di scatto in direzione della porta.

“Continui a spaventarmi!” si lamentò quello, suscitando istantaneamente l'ilarità di Jimin.

Il ragazzo – morbida felpa rosa confetto a coprirgli il busto e jeans pericolosamente aderenti a fasciargli le cosce sode – se ne stava in piedi sull'uscio: spalla destra premuta contro lo stipite della porta e sorriso sornione ad incurvargli le labbra esageratemente carnose.

“Quando me lo farai conoscere?” continuò il biondino, studiando con fare divertito Taehyung mentre tornava ad acconciarsi di fronte allo specchio.

“Pranziamo insieme oggi. Puoi unirti a noi, se–”

“Il pranzo è l'unico momento della giornata in cui posso vedere Min Yoongi del corso di Scultura. Siede sempre al solito tavolo, quello più vicino alla vetrata di destra” lo interruppe quello sollevando argutamente entrambe le sopracciglia in direzione di Taehyung che, in tutta risposta, lo superò ed uscì dal bagno.

“Perché non cerchi di parlargli, invece di limitarti ad osservarlo da lontano? Hai quasi ventitré anni!” lo rimproverò, sistemandosi la tracolla in spalla mentre camminava verso la porta.

Jimin sbuffò una risata mentre si voltava per guardarlo.

“Forse hai ragione” gli concesse, stringendosi distrattamente nelle spalle gracili e poi puntando lo sguardo attento su di lui.

Taehyung si guardò per l'ultima volta al piccolo specchio dalla cornice bianca ed asettica affisso nei pressi dell'uscio, poi si voltò in direzione di Jimin.

“Che c'è?” lo incalzò, corrugando la fronte mentre l'amico ancora lo studiava con fare zelante.

“Ti trovo diverso” pronunciò a quel punto Jimin, adesso sollevando gli angoli della bocca in un sorriso appagato.

“Non ti lagni più continuamente per sciocchezze, passi più tempo fuori casa e sei costantemente di buonumore. Questo ragazzo ti sta cambiando anche se, francamente, non credevo fosse possibile cambiare l'irremovibile e diffidente Kim Taehyung” continuò, mentre l'altro abbassava lo sguardo ed avvertiva – immediatamente – le gote accendersi dall'imbarazzo.

“E poi...” riprese Jimin, camminando a grosse falcate verso il proprio letto e prendendovi posto sopra.

“Hai cominciato anche a scattare ritratti, il che è davvero incredibile!”

Taehyung sollevò rapidamente il capo e sospirò, prima di rispondere.

“Non mi sto dedicando ai ritratti. Ho solo scattato qualche foto a Jungkook” lo corresse, osservando l'amico roteare platealmente gli occhi al cielo.

“Tu non scatti mai foto a nessuno, e di certo non in modo così impulsivo! Tu e Jungkook-ah vi siete conosciuti perché tu gli hai scattato volutamente una foto, e senza pensarci troppo! Qualcosa sta sicuramente cambiando. Tu stai cambiando, ma sono sicuro che te ne sarai già accorto. Se la sua presenza è così stimolante per te, allora magari ti porterà anche a rinnovare il tuo stile fotografico, ad aprirti di più alla semplicità del Mondo, a dedicarti seriamente al genere del ritra-”

“Non credi di stare correndo troppo?” lo interruppe lapidariamente Taehyung, sollevando una mano in direzione dell'altro che sbuffò all'istante.

“Gli ho solo scattato un paio di foto. Questo non significa che comincerò a scattare foto alla gente, sai perfettamente che secondo me–”

“Le persone sono artificiose e, in quanto tali, non appariranno mai spontanee di fronte all'obiettivo” pronunciò Jimin, scandendo le parole con fare palesemente tediato.

“Esattamente. Ora smettila di infastidirmi e corri in mensa! O vuoi forse rischiare di perderti Min Yoongi che tira su i noodles con la bocca?”

 

~

 

La distesa azzurra gorgheggiava e ribolliva sotto lo sguardo benevolo del cielo, mentre la corrente gonfiava, alacre, le onde come fossero corposi e mastodontici teloni turchesi. L'alito del vento si insinuava rapido tra le fibre di un vivace tappeto schiumoso, il quale si rinnovava di momento in momento grazie al continuo scontrarsi delle onde contro le pareti rocciose e frastagliate che, fiere, si ergevano oltre la superficie del mare. L'odore di salsedine era pungente, ma piacevole all'olfatto, e la sabbia fresca e morbida sotto i piedi nudi.

Taehyung allontanò la piccola Leica dal viso e poi prese posto accanto a Jungkook, seduto a gambe incrociate a pochi metri dal bagnasciuga. Taehyung aveva sistemato anche un paio di reflex nella sua tracolla, conscio che non le avrebbe utilizzate affatto. Sospirò mentre il suo sguardo si perdeva fra le delicate increspature del mare e mentre Jungkook, accanto a lui, terminava il pranzo contenuto all'interno della sua piccola lunch box giallo pastello.
Taehyung non vedeva il mare da parecchio tempo: l'Università ed il groviglio caotico di libri che ricoprivano per intero la sua scrivania lo avevano tenuto costantemente impegnato. L'ultima volta che era riuscito a sentirne il profumo era stata settimane addietro, quando si era svegliato soffocato dal peso di un sogno ambiguo. Aveva sognato della polvere; lerci e plumbei cumuli di polvere che si insinuavano nelle sue narici impedendogli di respirare, e poi li aveva visti annegare nella flebile morbidezza del mare. Lo stesso mare che, in quel preciso momento, posava inconsapevolmente dinnanzi ai suoi occhi.

Non parlarono molto, entrambi completamente assorti nella dolce cantilena prodotta dalle onde del mare, poi Taehyung carpì con la coda dell'occhio Jungkook alzarsi. Lo studiò, confuso, mentre si scrollava i granelli di sabbia dai jeans e sistemava la lunch box – ormai vuota – all'interno del suo zainetto.

“Che stai facendo?” lo incalzò a quel punto Taehyung mentre Jungkook, senza dir nulla, semplicemente camminava verso il bagnasciuga.

Si posizionò lì dove, sapeva, le sottili onde avrebbero baciato la sabbia già umida e scappò un paio di volte da quest'ultime – in un puerile ed ammaliante acchiapparello di materie –, prima di lasciarsi prendere. Taehyung lo guardò in silenzio e ne sorbì la bellezza. Jungkook era in piedi, di spalle, i piedi nudi immersi nella sabbia densa e corposa, i capelli folti scompigliati dal soffio tiepido del vento. Quando il ragazzo si voltò lievemente, giusto il necessario per riuscire a guardare Taehyung negli occhi, il più grande avvertì la gola inaridirsi di colpo: stava posando. Jungkook stava posando per lui. E qualche mese prima, Taehyung non l'avrebbe mai fatto: non avrebbe mai afferrato la sua Leica con la chiara e pulsante intenzione di catturare il viso di un'altra persona. Eppure lo stava facendo, e stavolta perché era Jungkook a richiederglielo, con quegli occhi liquorosi di incontenibile impeto e con quelle labbra fini e morbide, incurvate nell'accenno di un sorriso. Taehyung nascose lo sguardo dietro il corpo leggero della sua Leica e poi premette l'indice contro il pulsante di scatto; i palmi delle sue mani tremavano incontrollati ed il respiro gli era rimasto mozzato in gola.

Qualche mese prima, Taehyung non lo avrebbe mai pensato: non avrebbe mai pensato che una persona potesse essere bella in un modo tanto semplice e tanto autentico. Eppure era ciò a cui stava pensando. Jungkook era bello.
Bello da essere immortalato.

 

~

 

“Forse dovrei scegliere una di queste per il progetto” aveva mormorato Taehyung, sistemandosi meglio sul muretto di cemento bianco sul quale si era seduto poco prima insieme a Jungkook.

Stavano a gambe incrociate, esattamente l'uno di fronte all'altro. I portatili aperti sulle ginocchia, il mare a rimeggiare rumorosamente più in fondo, alla loro destra.

“Fa' vedere, hyung” pronunciò Jungkook, ora puntando lo sguardo sullo schermo del laptop che Taheyung aveva prontamente voltato nella sua direzione.

Taehyung si limitò a scorrere in silenzio tra quello o quell'altro scatto in particolare: i gabbiani in volo tra le grosse nuvole che tappezzavano il cielo, la superficie del mare increspata dal tocco del vento, granelli di sappia che scivolano inafferrabili tra le dita. Jungkook non disse nulla per un po'.

“Io credo che il tuo professore accetterebbe ognuno di questi scatti” cominciò mentre Taehyung sospirava e, scuotendo lentamente la testa, si preparava a rispondere.

“Io al contrario credo che, qualsiasi foto gli presenterò, alla fine mi dirà che non è affatto così che si ritrae la Bellezza, che aveva in mente qualcosa di diverso e che non potrò accedere a quei dannati tre crediti. So di essermene lamentato fin troppo, Jungkook-ah, ma continuo ancora a domandarmi come si possa commissionare un progetto del genere! La Bellezza universale non esiste! Come dovremmo fare noialtri ad immortalarla? È evidente che voglia danneggiarci!”

Jungkook si inumidì le labbra con la lingua mentre ancora osservava in silenzio lo schermo del laptop.

“Magari invece vuole soltanto mettere alla prova le vostre capacità, vedere di cosa siete capaci. Dovresti sottoporgli uno scatto semplice e spontaneo, senza pensare troppo all'obiettivo del progetto” suggerì il più piccolo, abbandonando la mano sulla tastiera e cominciando a scorrere rapidamente di foto in foto.

“Come posso ignorare lo scopo finale del progetto che ci ha assegnato? Non è così che funziona all'Università: bisogna seguire le direttive del proprio professore, per quanto fastidioso e stravagante il docente in questione sia” rispose, tornando a sedersi di fronte al più piccolo e poi ricominciando a scandagliare con lo sguardo le decine e decine di foto che tappezzavano lo schermo del suo laptop.

Jungkook sospirò, sollevando le spalle magre e poi lasciandole ricadere rapidamente.

Hyung, voglio essere del tutto sincero con te: io credo che tu stia esagerando. Il tuo docente è certamente qualificato, non ti chiederebbe mai qualcosa di così estremo” cominciò il più piccolo puntando gli occhi gentili sul viso – ora teso in un'espressione spaesata – del più grande.

“Stai pensando troppo. Tu pensi sempre troppo e questa tua razionalità si riversa anche sul tuo stile fotografico. Non fraintendermi, io apprezzo la tua tecnica ed i tuoi scatti ma a volte credo che, se solo ragionassi un po' meno quando prendi in mano la macchina, potresti ottenere dei risultati migliori” continuò Jungkook, ora mordendosi il labbro inferiore dinnanzi all'espressione – palesemente crucciata – di Taehyung.

“Cosa intendi per 'ragionare meno'”? chiese il più grande, incrociando istantaneamente la braccia al petto in una chiara posizione difensiva.

Jungkook sospirò piano, voltandosi per guardare la distesa rumorosa del mare mentre cominciava a parlare.

“Dovresti pensare di meno alla prospettiva, alla nitidezza, ai filtri da utilizzare perché la foto più bella è quella scattata d'impulso: quando l'indice corre a perdifiato verso il pulsante di scatto e alle orecchie non arriva più alcun suono, se non il gentile clic che segna l'eternazione di un secondo. E dovresti smetterla di precluderti soggetti da fotografare: i paesaggi sono sicuramente portatori di bellezza spontanea, ma anche le persone possono esserlo” pronunciò, scandendo lentamente e meticolosamente ogni parola.

“Le persone sono il mio soggetto preferito: piangono e ridono allo stesso momento, amano sino ad odiare, odiano sino a che non cominciano ad amare. Sono deboli e tristi, hanno paura di avere paura e guardano con sospetto la felicità perché – lo sanno bene – è un intervallo fugace tra il dolore e la noia. Eppure appaiono sorridenti in ogni foto”

Taehyung osservò il più piccolo in silenzio, sbattendo ritmicamente le palpebre mentre Jungkook si voltava piano nella sua direzione.

“Non ti è mai capitato di trovare talmente interessante il viso di una persona, da desiderare ardentemente di fotografarla?”

Taehyung deglutì a vuoto. Aveva colto subito la chiara allusione: Jungkook stava cercando di fargli ammettere ad alta voce che, viste le innumerevoli foto che il più grande gli aveva scattato, la sua ostinazione nel non volersi dedicare in alcun modo ai ritratti era immotivata ed infantile. Secondo Jungkook, Taehyung aveva già scoperto la bellezza del ritratto e stava già, in qualche modo, modificando la sua tecnica fotografica. Il più grande sbuffò. Era stufo di sentirselo ripetere.

“Perché cercate tutti quanti di cambiarmi?” sbottò a quel punto, mentre l'espressione serena sul volto di Jungkook cominciava a mutare in una di palese sbigottimento.

“A che ti riferisci?”

Taheyung sbuffò ancora, chiudendo il suo laptop con un tonfo sordo mentre cominciava a parlare.

“Tu, Jimin, quell'idiota del mio professore. State tutti cercando di farmi ammettere che sto sbagliando, che la mia tecnica è banale, che dovrei rinnovarmi. Nessuno di voi ha pensato, anche solo per un secondo, che invece vado bene così?” pronunciò, risentito, mentre già sistemava il suo laptop all'interno della tracolla.

Jungkook sobbalzò sul posto, sporgendosi poi immediatamente in avanti per bloccargli i polsi con le proprie mani.

“Noi non stiamo affatto cercando di demoralizzarti. Ci siamo tutti accorti del tuo talento innato, ma ci siamo anche resi conto del fatto che non sfrutti al massimo le tue potenzialità. Stiamo solo cercando di– ”

“Il fatto che io ti trovi incantevole e che non pensi affatto prima di scattarti una foto, non significa che cambierò la mia tecnica” continuò, fissando il più piccolo dritto negli occhi.

Jungkook arrossì vistosamente mantenendo però ferrea la presa sui polsi magri di Taehyung.

“Io penso che tu ti stia costringendo inconsapevolmente a rimanere fermo sulle tue posizioni solo perché non ti piace ammettere a te stesso che qualcun altro possa avere ragione sul tuo conto, perché non ti piace l'idea che tu possa essere nel torto” asserì, autorevole, Jungkook.

I due si fissarono negli occhi per una manciata di secondi, poi Taehyung si riscosse, allontanò le mani del più piccolo dalle sue con uno strattone secco e balzò in piedi. Avvertiva le tempie pulsare insistentemente, i palmi delle mani prudere ed il viso bruciare dall'incontenibile rabbia. Sbuffò una risata amara. La testa gravava pesante sul suo collo, offuscata da uno sciropposo stato di frustrazione. Taehyung non riusciva più a pensare lucidamente.
Fu allora che la stizza cominciò a parlare al posto suo.

“E tu come fai ad essere sicuro che sono io quello che sta sbagliando qui? La Fotografia è anche studio, pratica, metodo, e tu di certo non puoi ritenerti completamente qualificato in questo!”

Jungkook serrò la mascella e studiò in silenzio per qualche secondo il viso di Taehyung con un'espressione attonita e risentita.

“Ti riferisci al fatto che io non stia studiando in una prestigiosa università come stai facendo tu?” pronunciò Jungkook modulando la voce – solitamente morbida e pastosa – in un tono ostile e sdegnoso.

Taehyung fece per aprir bocca, ma Jungkook lo precedette.

“Non dire altro” lo ammonì, senza più guardarlo negli occhi.

“Non voglio più ascoltarti, Taehyung” pronunciò in seguito sistemando convulsamente le proprie cose all'interno del suo zainetto.

Fu allora che Taehyung si riscosse: nell'esatto momento in cui il più piccolo non lo aveva chiamato affettuosamente “hyung” come aveva costantemente fatto nelle ultime settimane. Si sentì come se gli fosse stato versato addosso un secchio gelato d'acqua, e potè addirittura quasi giurare di aver intravisto la sua rabbia evaporare nell'aria tiepida del pomeriggio mentre guardava l'espressione delusa dipinta con grandi pennellate sul volto avvenente di Jungkook.

“Jungkook-ie, aspetta un–”

“Confido sempre troppo nelle persone: questo è un mio grande difetto” cominciò il più piccolo, sistemandosi lo zaino in spalla ed inchiodando Taehyung sul posto con il solo vigore dello sguardo.

“Ma almeno io riesco ad ammettere ad alta voce di avere dei difetti” fu l'ultima cosa che disse prima di girare su se stesso e cominciare a camminare.

Taehyung rimase immobile ad osservarlo mentre se ne andava. Gli arti irrigiditi dalla desolazione, la voce furibonda delle onde ad infrangersi tra i canali silenziosi delle sue orecchie.

 

~

 

“Sei un idiota!” aveva strillato Jimin – per la decima volta, quella stessa sera.
 

Taehyung gemette dalla frustrazione, sprofondando il viso nel cuscino che teneva stretto al torso. Jimin lo osservò mentre se ne stava rannicchiando sul suo letto – ginocchia contro al petto e massa folta di capelli sparsi a ventaglio sul copriletto beige – e sospirò con fare risoluto, probabilmente nel tentativo di ricomporsi.

“Anche io critico continuamente il tuo stile, ma siamo amici da anni!” puntualizzò a quel punto, portando entrambi i pugni chiusi sui fianchi magri e fissando lo sguardo intimidatorio sull'amico.

“È proprio questo il punto: mi sono stancato di sentirmi ripetere continuamente che la mia tecnica è banale e così ho perso il controllo” rispose Taehyung, pronunciando mestamente quelle parole senza scostare il viso dal tessuto morbido del suo cuscino.

“Nessuno di noi qui ha detto che tu hai una tecnica banale!” sbraitò nuovamente Jimin, tossicchiando nel suo pugno chiuso il secondo successivo e respirando a pieni polmoni nel vacuo tentativo di calmarsi.

“Noi pensiamo che–”

“Non voglio cambiare solo perché tutti voi mi reputate mediocre” borbottò Taehyung, senza però smettere di stringere possessivamente il cuscino contro il petto.

Fu allora che Jimin perse del tutto le staffe: serrò la mascella e cominciò a camminare a grosse falcate verso il letto di Taehyung, poi gli strappò con decisione il cuscino dalle mani e, ora utilizzando il morbido oggetto come un'arma, lo colpì sulla schiena con eccessiva foga.
L'altro ragazzo si tirò immediatamente a sedere, smarrito, portando il palmo destro laddove l'amico lo aveva colpito.

“Tu sei già cambiato, brutto idiota!”

I due si guardarono negli occhi per una manciata di secondi; Taehyung con le labbra schiuse per la sorpresa, Jimin ansante a causa dell'indignazione. Soddisfatto per essere riuscito ad ottenere la completa attenzione dell'amico, Jimin abbandonò il cuscino sul materasso e riprese a parlare.

“Ti ho ripetuto lo stesso sermone per anni. Ti ho sempre consigliato di lasciarti andare un po' di più, di scattare foto più spontanee, di mettere da parte la razionalità, però tu non mi hai mai dato retta” cominciò Jimin, osservando l'amico dall'alto della sua posizione eretta e fiera.

“Hai sempre ignorato i miei suggerimenti, e lo hai fatto semplicemente perché collidevano troppo con i tuoi ideali. Tu sei fatto così. Non ti piace cambiare idea. Eppure guardati adesso: ti stai avvilendo perché è stato quel ragazzo a notare ciò che io ti ripeto da quando ci conosciamo”

Taehyung corrugò la fronte, sistemandosi meglio sul materasso mentre continuava ad ascoltare Jimin.

“Qualche mese fa non ti sarebbe neppure importato. Avresti incassato quel giudizio e poi, una volta realizzato che non coincideva affatto con l'opinione che tu hai di te stesso, l'avresti ignorato. Ora invece ti senti ferito, e ti senti ferito perché stai riflettendo su quello che ti ha detto”


Taehyung si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo sulle proprie gambe incrociate.

“Te l'ho già ripetuto stamattina, proprio mentre stavi per uscire di casa: sei diverso. Sei più allegro, sei più energico ed anche i tuoi ultimi scatti lo sono” continuò Jimin, ora prendendo pacatamente posto accanto a Taehyung.

“Tu non devi cambiare, Taehyung-ie, e sai perché?”

L'altro ragazzo lo fissò in silenzio, sbattendo solo di tanto in tanto le palpebre con fare indiscutibilmente attonito.

“Perché sei già cambiato: nel momento in cui la tua Leica ha catturato il viso di Jungkook, tu eri già cambiato. Stai solo faticando ad accettarlo” chiarì, avvicinandosi per poggiare il palmo destro della mano tra la massa folta ed arruffata di capelli dell'amico.

L'altro ragazzo abbassò lo sguardo, deglutendo a fatica mentre ripensava in silenzio ai fugaci e rimarchevoli momenti passati insieme a Jungkook. Quadretti di lieta spontaneità prendevano forma dinnanzi ai suoi occhi, e Taehyung immaginò di toccarli con le dita e di voltare pagina per scoprire uno scatto nuovo, come stesse tenendo tra le mani un vecchio e polveroso album fotografico.

“Cambiare significa anche migliorare, ed io non credo che tu sia così restio al miglioramento” riprese Jimin, stavolta scompigliando giocosamente i capelli dell'amico che, in tutta risposta, annuì una volta soltanto.

“Lascia che quel ragazzo ti dia una dritta. Il fatto che studi qui non significa necessariamente che sei più qualificato di lui. La fotografia è sentimento, e quello qui non te lo insegnano” continuò, allontanando le dita dal capo di Taehyung e poi alzandosi in piedi.

Taehyung annuì ancora, sospirando mentre copiava i movimenti dell'amico. Jimin sapeva sempre cosa dire; con quegli occhi premurosi ed il suo fare risoluto, riusciva inderogabilmente a pronunciare le parole giuste, e non necessariamente quelle che la persona in questione vorrebbe sentirsi dire in quel preciso istante, ma pur sempre parole giuste.

Taehyung balzò in piedi e, sollevando platealmente le braccia verso l'alto, stese i muscoli intorpiditi per sgranchirli, poi studiò Jimin mentre quest'ultimo si allontanava verso il suo lato della stanza e si appropinquava all'armadio, probabilmente alla ricerca del proprio pigiama.

“Mettiti la giacca. Ti offro una birra” mormorò Taehyung avvicinandosi all'uscio dove, qualche ora prima, aveva sconsolatamente abbandonato il suo paio di stivaletti.

Jimin – che aveva già prontamente arraffato il pantalone del pigiama – si voltò piano nella sua direzione, scuotendo il capo mentre stirava le labbra rosee in un sorriso giulivo.

“Un semplice 'grazie per il consiglio' poteva bastare” cominciò, ridacchiando mentre abbandonava il morbido capo sul materasso.

“Però io non rifiuto mai una birra. Specialmente se è qualcun altro a pagare per me”

 

~

 

Scatto numero quattro ~ La busta leggera è più stropicciata all'altezza dei quattro angoli. Forse è rimasta nascosta per qualche tempo tra le sottili pagine di un libro, o tra il groviglio caotico di una mente in disordine. Adesso il ragazzo ne accarezza la consistenza con le dita timide. La apre senza conoscerne il contenuto.

 


Saturazione: +30

Contrasto: +20

Luminosità: +50

 

I successivi tre giorni Jungkook li passò a cercare – invano – di non affogare del tutto in un consistente e fetido stato di desolazione. Tra un'annaspata e l'altra verso la superficie tersa, il ragazzo serviva ai tavoli vivaci dell'Honey Milk, scambiava due chiacchiere del tutto inspide con i suoi colleghi e preparava – anche se avrebbe vivamente preferito non farlo – tazze e tazze di macchiati al caramello per quello o per quell'altro cliente. Alla fine del turno lavorativo prendeva la metropolitana per tornare a casa, faceva una doccia, ingurgitava qualche cucchiaio di riso – anche se non aveva affatto fame, ma saltare completamente i pasti avrebbe soltanto fatto allarmare sua madre – e poi filava a letto. Un'ultima occhiata allo schermo del suo smartphone – sul quale lampeggiavano costantemente il nome di Namjoon o quello di Seokjin – e poi si lasciava andare tra le tiepide braccia di Morfeo. In quei tre giorni era arrivato a lavoro sempre puntuale, e insieme alla targhetta con su scritto “Jungkook” aveva anche portato con sé, appiccicoso come una chewing-gum, uno sconfortante e pruriginoso malumore. Ciò aveva subito destato la curiosità di Namjoon e Seokjin che, nonostante la crescente preoccupazione nutrita nei confronti del maknae, avevano deciso di non chiedere nulla – Seokjin aveva ordinato a Namjoon di non importunare troppo il più piccolo, di lasciargli lo spazio di cui aveva bisogno e Namjoon, forse carpendo vividamente lo stato d'animo di Jungkook, non aveva chiesto nulla.

Anche quel giorno, puntuale e contegnoso, Jungkook si era recato a lavoro; aveva indossato il solito grembiule beige che sua mamma si premurava di mettere in lavatrice tutte le sere, aveva sollevato le maniche della felpa e si era appostato dietro al bancone, servendo ogni cliente con dedizione e meticolosità. Aveva annusato, con crescente noncuranza, il soffice aroma di panna e zucchero che abbracciava per intero il locale, e poi ascoltato distrattamente il brusio soddisfatto zampillare fuori dalle labbra dei clienti. Erano passati tre giorni in cui non aveva toccato la sua fotocamera, né avviato il suo portatile. Tre giorni in cui aveva parlato raramente, e solo se strettamente necessario. Tre giorni in cui si era perentoriamente rimproverato di essere troppo ingenuo. Tre giorni in cui aveva indossato costantemente le cuffiette, nel vago tentativo di scacciare la voce calda di Taehyung dalla sua mente.

Jungkook sospirò mentre riempiva un bicchiere di caffè da portar via e lo porgeva ad uno di clienti appostati dietro la cassa. Namjoon gli passò accanto per recuperare un vassoio pulito e, prima di allontanarsi del tutto, lasciò un tenero buffetto tra i capelli del più piccolo. Jungkook stirò le labbra in un mezzo sorriso. Sapeva che Seokjin e Namjoon erano preoccupati per lui, ma non se la sentiva affatto di sedere di fronte ai due ragazzi e – sorseggiando distrattamente una tisana al tiglio rifilatagli con premura da Seokjin – raccontare loro l'accaduto: ciò non avrebbe fatto altro che farlo sentire più stupido. Aveva abbassato la guardia con Taehyung, creato appositamente una breccia nella sua corazza di timori e perplessità solo per permettergli di accedere al suo cuore. Ciò che Taehyung aveva fatto non era stato eccessivamente clamoroso: Jungkook aveva capito che il più grande faticasse parecchio a mettere da parte le proprie certezze, a stravolgere il proprio regime di vita per introdurvi cambiamenti consistenti. Tale consapevolezza lo aveva inizialmente spiazzato – ed incuriosito al tempo stesso –, ma non lo aveva in alcun modo preparato affinché il più giovane riuscisse a fronteggiare una strigliata ponderosa come quella somministratagli da Taehyung, giorni addietro. Si era sentito triste e ferito. E la consapevolezza di provare qualcosa di tanto squallido a causa di Taehyung non aveva fatto altro che addolorarlo maggiormente.
Jungkook aveva sperato che il maggiore lo chiamasse, che gli mandasse un messaggio di scuse, che venisse a trovarlo a lavoro. Taehyung invece non aveva cercato di contattarlo in alcun modo. Jungkook non avrebbe fatto il primo passo: gli piaceva Taehyung – il piccolo neo che gli bucava il labbro inferiore ed il suono vivace della sua risata –, ma forse doveva cominciare a volere un po' più bene anche a se stesso. Forse il buffetto che Namjoon gli aveva lasciato tra i capelli voleva significare proprio questo. Forse Jungkook si era – di nuovo – mosso troppo bruscamente mentre la Vita gli scattava una foto, e per questo quella era uscita completamente sfocata. L'avrebbe superato, si disse mentre sfilava un sottile foglio di carta dalle mani di Namjoon e leggeva rapidamente le ordinazioni scribacchiatevi sopra.

“Questo è il sesto macchiato al caramello che preparo oggi!” si lamentò ad alta voce Jungkook, sollevando poi lo sguardo in direzione di Namjoon.

L'altro lo stava osservando in silenzio, le solite fossette furbe a bucargli gli angoli teneri della bocca ed il vassoio stretto contro al petto.

“Il cliente ha richiesto esplicitamente che sia tu a servirglielo” fu ciò che disse, girando su se stesso ed allontanandosi rapidamente da Jungkook.

Il più piccolo inarcò le sopracciglia, voltandosi per scandagliare i tavoli gremiti di gente. Sobbalzò e si morse d'istinto il labbro inferiore, quando lo vide comodamente seduto su uno degli sgabelli alti posti vicino all'entrata. Kim Taehyung – orecchino lungo a pendere oltre il lobo destro e morbida camicia azzurra a fasciargli il petto – gli stava sorridendo affettuosamente.

 

~

 

Il piccolo giardinetto nel retro dell'Honey Milk era stato interamente progettato da Seokjin: poltroncine e divanetti in vimini sistemati accanto alle pareti di pietra, piccolo tavolino in terracotta – sul quale giacevano immobili un posacenere ed una rivista ormai del tutto consunta – sistemato al centro ed imponenti piante grasse a ravvivare l'ambiente circostante. Seokjin lo aveva realizzato all'aperto per i suoi dipendenti, così che potessero, di tanto in tanto, prendersi una pausa dalla pesante nube di fragranze melense che teneva in ostaggio il suo locale – Namjoon passava più tempo degli altri stravaccato tra i grossi cuscini verde menta che abbellivano i piccoli divani, ed i richiami di Seokjin erano ovviamente pressoché inutili. Adesso, però, seduti tra le mastodontiche imbottiture dello stesso divano, non vi erano tutti i camerieri dell'Honey Milk.

“Pensavo che non ti saresti più fatto vivo” mormorò sommessamente Jungkook, calando piano le maniche della felpa e fissando distrattamente lo sguardo verso il basso.

Taehyung aveva preso posto di fronte a lui, esattamente sul divanetto parallelo. Al suono della voce di Jungkook sospirò, sfilandosi poi la tracolla ed abbandonandola sul tavolino dinnanzi a loro.

“Volevo parlarti di persona” rispose, sporgendosi in avanti e fissando – con spaventosa determinazione – lo sguardo su Jungkook.

Il più piccolo deglutì a vuoto al pensiero che il maggiore lo stesse guardando. Poteva avvertire chiaramente le sue iridi infiammare ogni lembo della sua pelle.

“Sono passati tre giorni” ribatté rapidamente Jungkook, incrociando le braccia al petto mentre alzava lo sguardo verso di lui.

Taehyung si inumidì le labbra sottili con la lingua, studiando silenziosamente Jungkook per qualche secondo, poi si sporse maggiormente in avanti per raggiungere la sua tracolla. Sotto le iridi – lucide quanto smarrite – di Jungkook, Taehyung tirò fuori una busta. Era semplice, gialla, un po' stropicciata all'altezza degli angoli. La porse al più piccolo senza dir nulla.

L'altro non si mosse di un centimetro. Aggrottò invece la fronte, studiando l'oggetto di carta con fare palesemente scettico.

“Cos'è?” domandò, facendo vagare lo sguardo dall'avvenente espressione concentrata di Taehyung, alla piccola busta gialla.

Taehyung sbuffò una risata allegra la quale, inconsciamente, non fece che confondere ancor di più il minore.

“Aprila” fu tutto ciò che Taehyung disse.

Jungkook esitò per qualche secondo, ma finì per sfilarla con esitazione dalle mani del più grande quando l'altro – con quel burroso tono di voce che mai falliva dal farlo impazzire – sussurrò: “Jungkook-ie, per favore”

Jungkook sbuffò mentre si rigirava la busta fra le mani. Non era così che si era immaginato il loro confronto: pensava che sarebbe riuscito ad imporsi, che avrebbe alzato il tono della voce e che alla fine, di fronte al fare ostinato e sgradevole dell'altro, avrebbe semplicemente deciso di andarsene via. E invece eccolo lì – le mani tremanti ed il fiato corto, totalmente alla mercé di Taehyung – mentre apriva una busta della quale non conosceva il contenuto.
Quando da quest'ultima tirò fuori un pezzo di carta lucido e liscio, Jungkook sollevò immediatamente lo sguardo in direzione di Taehyung.

“È la foto che mi hai scattato qualche giorno fa, quando siamo andati al mare” notò Jungkook, dubbioso, mentre l'altro annuiva una volta soltanto in risposta.

“Perché me la stai regalando proprio adesso?”

Fu allora che Taehyung si mise in piedi e, a capo chino, camminò sino a raggiungere il più piccolo. Prese posto accanto a lui. Le loro gambe adesso si sfioravano in un tocco intimo che sapeva di timore e tenerezza.
Jungkook si morse con veemenza il labbro inferiore.

“Ho consegnato questa al mio professore” pronunciò, fissando con determinazione lo sguardo su Jungkook.

“Hai consegnato una mia foto per il progetto?” gli fece eco il minore spalancando gli occhi per la sorpresa e voltandosi, solo in seguito, per guardare Taehyung.

Il più grande annuì – l'ombra di un sorriso già ricamata sulle labbra.

“Perché lo hai fatto?” fu ciò che chiese Jungkook, ora abbassando nuovamente lo sguardo sulla foto che teneva tra le mani.

“Perché il mio professore richiedeva un pezzo di Bellezza strappato al mondo”

Jungkook avvertì le gote colorarsi dall'imbarazzo ed il cuore cominciare immediatamente a battere più forte contro la gabbia toracica.

“Credevo che i ritratti non ti piacessero affatto e che non fossi disposto in alcun modo a migliorare la tua tecnica” gli fece notare, risentito, mentre la grossa imbottitura sulla quale erano seduti scricchiolava e Taehyung si premeva maggiormente contro il suo fianco.

“Voglio dire… non che io possa consigliarti in alcun modo, dal momento che non sono affatto qualificato”

“Mi dispiace” mormorò subito Taehyung, avvicinando il capo verso quello di Jungkook e modulando la voce in un tono ancor più basso e soffice.

Il minore rabbrividì mentre ascoltava Taehyung sussurrargli all'orecchio, senza però sollevare lo sguardo nella sua direzione.

“Non avrei dovuto reagire in quel modo. Ho esagerato e per questo mi scuso” continuò, stavolta tendendo le mani verso il ventre del più piccolo.

Jungkook sobbalzò dalla sorpresa quando avvertì le mani fresche di Taehyung prendere delicatamente le sue, vezzeggiarle per qualche secondo con le dita sottili e poi stringerle in una presa ferrea e sicura.

“Ho capito il senso di quel progetto solo quando ho consegnato la foto che ti avevo scattato” pronunciò, muovendo le labbra con estrema dolcezza mentre si voltava per guardare meglio Jungkook negli occhi.

Il più piccolo tentennò per qualche secondo, poi si decise ad alzare lo sguardo così da incontrare il paio di occhi nocciola le quali sfumature ormai conosceva a memoria.

“Avevi ragione tu: il professor Lee non aveva intenzione di ostacolarci. Ci ha assegnato questo progetto per constatare quale fosse la nostra concezione di Bellezza, non per stabilirne una universale” continuò, ora posando lo sguardo attento sulle loro mani intrecciate.

“Ho capito di aver sbagliato, ed è forse la prima volta che dico una cosa del genere ad alta voce. Per tutto questo tempo ho sbagliato a sottovalutare l'opinione degli altri. Ho sbagliato a sottovalutare la tua”

Jungkook deglutì rumorosamente. Taehyung era così vicino che il minore – se inspirava più in profondità – riusciva a sentire chiaramente l'odore dolce del suo shampoo ed il fiato caldo del maggiore accarezzargli deditamente la mascella e la gola.

“Il tuo è un talento innato: guardi il Mondo con attenzione e non ti precludi nessuna prospettiva da cui fotografarlo. È così che voglio essere”

Jungkook abbandonò sul proprio grembo la fotografia che stava reggendo, così da poter stringere a sua volta le mani del maggiore. Avvertiva il rancore e la delusione scivolargli rapidamente addosso e poi disciogliersi – miserabili – sotto la dolce calura emessa dalle labbra di Taehyung.

“Sei perdonato, hyung” fu ciò che Jungkook pronunciò in seguito mentre il più grande – lentamente, come si staccano le foglie dagli alberi in Autunno – sciolse la loro stretta, portando ora le mani sulle spalle del minore.

“Hai detto di aver capito il senso del progetto solo nel momento in cui hai consegnato la mia foto al tuo professore” gli fece notare il più piccolo, mentre Taehyung annuiva con estrema lentezza.

“Cos'hai capito esattamente?”

Taehyung increspò le labbra in un sorriso impacciato, accarezzando ritmicamente le spalle ossute dell'altro ragazzo, prima di tirarlo a sé.

Jungkook sobbalzò, ritrovatosi adesso con la gota destra – bollente e rosea dall'imbarazzo – premuta contro il petto del maggiore.

“Ho capito che la Bellezza non è un unicum, che non è sola. La Bellezza può risiedere dappertutto. I nostri occhi possono trovarla nascosta tra le saette portate dal temporale o tra le cicatrici di guerra di un soldato veterano” fu ciò che disse mentre Jungkook sorrideva contro la stoffa della sua camicia, raddolcito dal modo in cui il petto del più grande vibrava sotto lo sforzo delle sue parole.

Era la prima volta che condividevano un contatto così intimo; e bastò quella consapevolezza a rendere il viso di Jungkook ancora più bollente e vermiglio.
Le braccia di Taehyung gli circondavano la schiena, ed i suoi palmi grandi risiedevano – immobili e precisi – proprio in fondo al suo dorso. Il più piccolo si beò silenziosamente di quel tocco e socchiuse le palpebre, concentrandosi completamente sulla voce calda del maggiore.

“Ma la Bellezza è anche rapida, e se la si pensa troppo, quella fugge via” disse in seguito, ora portando le mani sulle braccia di Jungkook ed imprimendovi una leggera pressione, giusto il necessario affinché il loro abbraccio si sciogliesse momentaneamente ed il più piccolo lo guardasse negli occhi.

“Jungkook-ie, tu sei un sottile frammento di Bellezza rimasto immobile dinnanzi al mio obiettivo, giusto il tempo che necessitavo per catturarti”

 

~

 

Scatto numero cinque: epilogo ~ La luce del sole si insinua tra le spesse tapparelle di legno ed inumidisce la stanza silenziosa. Tra le lenzuola scomposte e vaporose giacciono due cuscini, e centinaia di parole sussurrate sotto il fioco bagliore della luna.
 

Saturazione: +50

Contrasto: +10

Luminosità: +80

 

L'acqua scroscia rapida e bollente sulle mattonelle nivee, mentre il tenue aroma di cocco impregna le pareti ampie ed umide del bagno. Taehyung canticchia un motivetto indefinito ed utilizza entrambe le mani per sfregare energicamente la massa scura di capelli – li aveva tinti per la prima volta due anni addietro, dopo aver conseguito la Laurea in Fotografia e Media con il massimo dei voti, a causa di una scommessa persa con Jimin. “Continui a dire che non ti laureerai con il massimo. Allora facciamo che se succede, ti tingi i capelli di nero!”. Così è finito a comperare un paio di tubetti di tintura castana al mese per poter ritoccare al meglio il suo nuovo colore di capelli.
Una volta sciacquato ogni fiocco di schiuma intricato tra i ciuffi scuri, Taehyung spegne il getto dell'acqua, indossa l'accappatoio ed esce dal box doccia. Utilizza un asciugamano per tergere i capelli e poi si munisce del phon per eliminare l'acqua in eccesso. Si veste di fronte al grande specchio del bagno, appannato a causa dell'eccessiva calura che abbraccia il bagno per intero. Dopo aver rassettato la stanza e lanciato la biancheria sporca nel grosso cesto posto sotto al lavandino, Taehyung esce dal bagno e cammina verso la camera da letto. Seduto a gambe incrociate sul materasso – maglia bianca a coprirgli il petto tonico e lucida massa di capelli a gocciolargli sulla fronte – c'è Jungkook.

“Saresti potuto rimanere ancora un po' in doccia insieme a me” si lamenta il più grande, ora incrociando le braccia al petto e poggiando la spalla destra contro lo stipite della porta.

Il minore stira le labbra in un sorriso allegro, ma non solleva lo sguardo.

“Non vedevo l'ora di provare questa nuova lente!” si difende, maneggiando con le mani delicate il nuovo obbiettivo comperato appositamente per la sua inseparabile Sony DSC-HX350 – nonostante Taehyung gli abbia regalato (per occorrenze come compleanni e feste natalizie) un paio di altre reflex alquanto professionali, il più piccolo si ostina ad utilizzare soltanto la sua vecchia macchina, e non manca mai dal difendersi ostinatamente quando il maggiore glielo fa notare: “Ho cominciato il mio percorso universitario con questa Sony e lo terminerò con questa Sony”, così risponde, perentorio.
Taehyung sospira tutte le volte nel vederlo così dedito, e poi non manca mai dal sporgersi in avanti per baciare le sue labbra imbronciate dal disappunto.

Ci erano voluti mesi, affinché Jungkook accettasse finalmente un aiuto economico da parte Taehyung. In quel periodo il maggiore si stava impegnando a dismisura per riuscire a comperare un locale vuoto nel centro di Seoul: un posto luminoso, ampio e ventilato da ristrutturare e progettare a suo piacimento. Il suo attuale studio fotografico. Aveva parlato a Jungkook del suo desiderio di lavorare accanto a lui, ed il più piccolo si era immediatamente mostrato propenso ad accettare la proposta, però c'era qualcosa che mancava. E Taehyung era riuscito immediatamente a carpire di cosa si trattasse: Jungkook amava la fotografia e la sua creatività era un dono innato, ma voleva apprendere la tecnica, studiarla mediante le pagine corpose di un libro, assaporare l'acre sapore dell'agitazione prima di un esame. E Taehyung gli aveva dato ciò che voleva. Lo fa sempre, anche se Jungkook prova tenacemente ad impedirglielo.

Taehyung scollerebbe ad uno ad uno e a mani nude ogni astro dal cielo e poi glielo porgerebbe, se Jungkook lo desiderasse.

“Mentre eri in bagno il tuo telefono ha squillato” lo avverte in seguito il minore, ora sollevandosi dal materasso per raggiungere la sua Sony – abilmente sistemata sul treppiedi dinnanzi al letto.

“Chi era?” domanda Taehyung, sollevando le braccia e stiracchiandosi mentre raggiunge il grosso letto matrimoniale che, da due anni ormai, accoglie i suoi sogni e quelli di Jungkook.

“Jimin hyung. Ha saputo che hai la serata libera e si è auto-invitato a cena” pronuncia il minore, lasciandosi andare in una risata giuliva mentre Taehyung si distende sul materasso morbido e rotea platealmente gli occhi al cielo.

“Dice che porterà anche Yoongi hyung” continua, sfilando il vecchio obiettivo dalla sua fotocamera così da inserire la sua nuova lente.

Taehyung grugnisce, piegando il braccio sopra la propria testa e poi ridacchiando sommessamente al ricordo della cerimonia di Laurea dell'amico quando, con rimarchevole nonchalance, aveva spinto il mingherlino ed attraente Min Yoongi dritto sul petto di Jimin. L'amico aveva balbettato delle flebili scuse cercando poi di coprire con le mani le gote ormai irrimediabilmente arrossate. L'altro ragazzo, dal canto suo, lo aveva trovato carino – nella sua goffa sbadataggine –, a tal punto da chiedergli il numero di telefono.

“Farà meglio a portare anche la cena. Non passerò l'unica serata libera da photo editing ed album di nozze da ultimare, piegato sui fornelli a causa loro”

Anni addietro, Taehyung non sarebbe mai riuscito a crederci: le sue mani ancorate al corpo pesante di una reflex, l'obiettivo puntato sul viso di un'altra persona per catturare un sorriso goffo o salate lacrime di commozione. Sin dal primo momento, Taehyung aveva ricevuto parecchio riscontro: i clienti telefonavano – probabilmente colpiti ed oltremodo incuriositi dalle inserzioni viste online – e prenotavano la creativa arte di Taehyung per avvenimenti come compleanni, feste private o matrimoni. Il ragazzo si era sentito disorientato: avrebbe di gran lunga preferito fotografare uno dei suoi benamati tramonti. Poi Jungkook gli aveva parlato, aveva accarezzato con estrema lentezza la sua fronte e lì aveva poggiato le labbra fresche. Adesso a Taehyung non dispiacevano più così tanto le persone. Aveva scoperto che potevano essere tenui come l'alba e briosi come le correnti del mare, se dimenticavano che la macchina fotografica era lì, pronta a catturare la loro anima.

Jungkook si volta lentamente verso il maggiore, ridendo poi ad alta voce mentre risponde: “Non te lo lascerei fare, comunque! L'ultima volta hai bruciato delle ottime cosce di pollo e rovinato la pentola che ci avevano regalato Seokjin hyung e Namjoon hyung quando ci siamo trasferiti”.

“Allora ordina del sushi per tutti quanti” taglia corto Taehyung, socchiudendo le palpebre e stendendosi meglio tra le coperte vaporose.

“Ordinerò del sushi per sette, allora”

“Sette?” gli fa eco il maggiore, ora tirandosi a sedere a gambe incrociate tra i morbidi cuscini chiari che sonnecchiavano silenziosamente sul letto.

Jungkook annuisce e si volta per sistemare meglio la lente sul corpo della sua fotocamera.

“Mentre eri in bagno ho invitato anche Namjoon hyung e Seokjin hyung

Taehyung sospira con fare arrendevole e poi si lascia cadere sul materasso, senza dir nulla.

“Puoi metterti seduto? Voglio scattarti una foto” borbotta il minore qualche minuto dopo, mentre un suono metallico avverte Taehyung che Jungkook ha appena avviato la sua Sony.

“Volevo schiacciare un pisolino, prima dell'arrivo dei ragazzi” si lamenta il maggiore, stropicciandosi ritmicamente l'occhio sinistro con il pugno chiuso.

“Puoi farlo dopo. Adesso sorridi!” canticchia – energico e vitale, come al solito – mentre Taehyung si tira nuovamente a sedere e, sospirando rumorosamente, si sforza di sorridere alla fotocamera.

Il sonoro clic prodotto dalla macchina annuncia che Jungkook ha appena scattato una foto al volto – stanco e assonnato – di Taehyung. Il minore sospira mentre scandaglia con le iridi chiare lo scatto che è adesso apparso sullo schermo. Il suo compagno riesce a risultare avvenente anche allo stremo delle forze.

“Aspetta, non metterti a dormire adesso!” gli impone il minore, premendo un paio di bottoni sullo schermo della fotocamera e poi correndo verso il letto. Vi si siede sopra con un balzo e Taehyung lo osserva mettersi in posa.

“Ho impostato l'auto-scatto” dice, ed il maggiore ha giusto il tempo di stendere il braccio in avanti ed immergere il palmo tra folta massa di capelli dell'altro, prima che la luce del flash irradi l'intera camera da letto.

Jungkook balza in piedi immediatamente, soddisfatto, mentre Taehyung contempla in silenzio il volto genuino ed aggraziato che ha la fortuna di trovare immerso nel morbido cuscino accanto al suo, ogni mattina.

“Facciamone un'altra!” cinguetta, tornando a sedersi accanto a Taehyung.

Il maggiore si appiattisce la maglietta chiara sul busto e sistema le ciocche umide di capelli con le dita mentre una decina di sonori bip risuonano nella stanza silenziosa, poi solleva il capo ed attende che il flash catturi i loro corpi vicini. Quando risuona l'ultimo bip, però, Taehyung viene sorpreso dalla consistenza soffice di un altro paio di labbra dolcemente poggiate sulle sue. Era stato un bacio rapido e fugace, come il soffio fresco del vento che scuote le fronde degli alberi durante una giornata afosa, ma la fotocamera era riuscito a catturarlo lo stesso.

“La Bellezza è anche rapida, e se la si pensa troppo, quella fugge via”

Inaspettata, dinamica, fuggente.

Anche Jungkook e Taehyung, insieme, sarebbero stati Bellezza.

 

 

 

Angolo dell'autrice

 

Buonasera! Sono Sharon e questa è la seconda One Shot che rendo pubblica!

In realtà si tratta della primissima One Shot che scrivo sui BTS (i quali, ultimamente, non stanno fallendo dal rendermi una delle persone più spaventosamente soft sulla faccia della terra).

Spero che abbiate apprezzato il lavoro, nel complesso, anche se non è nulla di esattamente eclatante. L'idea è sopraggiunta nell'esatto momento in cui (dopo l'uscita del 2018 Season's Greetings) si è scoperto che la foto usata come copertina della cover fatta da Jungkook, 2U (di Justin Bieber), è stata effettivamente scattata da Taehyung.

Nel caso di andasse di farmi sapere cosa ne pensate, potete lasciare una recensione oppure contattarmi su Twitter (il mio nickname è @vantespresso: 
https://twitter.com/vantespresso
) o in DM per farmi sapere cosa ne pensate! Mi renderebbe indescrivibilmente felice!

 

La fotografia è una mia grande passione ed è stato bello usare Taehyung e Jungkook come filtro per trascrivere, nero su bianco, ogni mio pensiero a riguardo. Inoltre, la foto del mare appartenente allo scatto tre, è mia!

Volevo ringraziare in particolare Veronica, e non solo perché mi accompagna giornalmente nel percorso di conoscenza che ho da poco intrapreso con i BTS, ma anche perché, con la sua simpatia e con la sua esuberanza, non ha mai fallito dall'infondermi positività ed energia per portare a termine questa One Shot (e nell'infondermi positività ed energia, in generale).
È una persona fantastica ed io mi ritengo molto fortunata ad averla conosciuta.

Grazie anche a tutte le persone che, con un piccolo cuoricino su Twitter, mi hanno fatto sapere che c'erano! Spero che abbiate apprezzato questa storia!

Grazie a voi che siete arrivati sino a qui e che avete speso del tempo per leggere la mia storia.


Anche voi, tutti quanti, siete Bellezza.

 

Alla prossima!

 

-Sharon.

   
 
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