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Autore: Sapphire_    12/02/2018    4 recensioni
Tutti abbiamo un professore che odiamo in particolare, così anche Amelia.
Nel suo caso lui si chiama Alessandro Angelis, insegna matematica e fisica, è troppo bello ma anche troppo stronzo - e gode da matti a rifilarle insufficienze.
Il vero problema però si presenta quando la povera ragazza finisce per ritrovarselo a cena con i suoi genitori e l'unica cosa che può pensare, mentre lo guarda, è cosa abbia fatto di tanto male per meritarsi una punizione del genere.
~
Dal testo: "«Sto pensando di rimanere sempre sullo studio linguistico.» rispose.
«Fai bene, non credo che l’ambito scientifico possa offrirti concrete possibilità.» commentò con nonchalance Alessandro.
«Beh, a dire il vero» iniziò Amelia, mentre un pacato sorriso si apriva nel suo volto «sono contenta di non essere portata per le materie scientifiche. Secondo la mia esperienza sono adatte agli stronzi senza cuore.» fece candida e angelica.
Aveva appena dato dello "stronzo senza cuore" al proprio professore. Che la odiava."
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Ed eccomi qui dopo una settimana esatta, proprio come avevo promesso!
Devo assolutamente ringraziarvi perché noto con piacere che la mia storia sta continuando a piacere e trova anche nuovi lettori – la cosa non fa che rendermi felice e orgogliosa!
Questo nuovo capitolo sarà un po’ una svolta, spero vi piaccia nello stesso modo in cui a me ha divertito scriverlo, ma questo me lo dovrete dire voi – con una recensione, se volete.
Questo capitolo inoltre è un po’ più lungo degli altri che finora ho pubblicato, ma non potevo proprio spezzarlo, quindi spero mi perdoniate.
Non vi annoierò con ulteriori chiacchiere, di auguro solo buona lettura!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo sei
~
Di locali e tanti drink
 
 
 
«Noi questo sabato andiamo a ballare.»
Amelia spostò lo sguardo dal libro di chimica che ormai stava assumendo sfumature spaventose e si concentrò su Nicole, la quale senza chiedere o dire nient’altro aveva dato inizio in quel modo alla telefonata.
«Come mai?» chiese alzandosi e buttandosi sul letto – tanto ormai sapeva che non sarebbe stata in grado di studiare chimica per quel pomeriggio.
Sentì uno sbuffo dall’altra parte della cornetta.
«Ho bisogno di distrarmi, Ame, di bere e divertirmi senza dover pensare a quel coglione di Tommaso che continua a chiamarmi e a tempestarmi di messaggi.» disse infastidita l’amica.
Amelia lasciò scorrere i suoi occhi sul soffitto, osservando il lampadario bianco appeso e perdendosi nei dettagli.
«Capisco. Beh, allora andiamo, ho voglia anche io di andare a ballare e staccare un po’ il cervello.» ammise la giovane. Dall’ultimo lunedì passato i suoi pensieri finivano per oscillare come un pendolo tra Stefano e Alessandro, nel primo caso eccitata e ansiosa per l’appuntamento che ormai era stato rimandata alla settimana successiva, nel secondo spaventata dai possibili risvolti – non che dovesse averne, dato che il resto della settimana era passata in totale tranquillità da quel punto di vista: come al solito, Alessandro aveva ripreso ad ignorarla e per fortuna non c’erano state altre cene in cui aveva dovuto vederlo per forza, al massimo le era capitato di sentire ogni tanto Serena parlare al telefono con Margherita.
«Allora è perfetto!»
«Hai già qualche idea su dove andare?» chiese la mora, iniziando a cercare le doppie punte sui propri capelli.
«Stavo pensando all’Havana.» rispose l’altra. A quelle parole, Amelia rimase sorpresa.
«L’Havana? Ma lì ci vanno quelli di vent’anni e più, non i nostri coetanei.» considerò.
«Meglio, così avrò zero probabilità di incontrare Tommaso. E comunque sia, entrambe dimostriamo più anni di quanti abbiamo, quindi non ci sono problemi.»
Amelia ci pensò un po’ su: era andata solo un paio di volte all’Havana e le era piaciuto come locale, solo che era prevalentemente frequentato da universitari e così via piuttosto che quelli della sua età; aveva sentito che organizzassero anche eventi privati, ma non ne aveva mai visto uno.
«Come vuoi, per me è indifferente.»
«Vieni da me la sera? Mia mamma ha il turno serale anche questo sabato.» la informò l’altra.
Amelia annuì distratta per ricordarsi subito dopo di essere al telefono.
«Sì, va bene.» confermò – non che la madre le facesse troppe storie per andare a ballare, ma rimanendo a casa di Nicole poteva evitare i soliti commenti sull’orario del ritorno a casa.
«Ok, allora ci organizziamo per bene questi giorni.»
«Certo, ciao.» concluse la telefonata Amelia. Sentì l’amica rispondere al saluto e chiuse la chiamata.
Bene, ho tre giorni per decidere cosa indossare, speriamo di riuscire a trovare qualcosa di decente, pensò e, facendo finta che non ci fosse il libro di chimica ad attenderla, aprì l’armadio pronta a scegliere l’abito perfetto.
 
«Sei sicuro di non voler venire anche tu?»
Daniele annuì per l’ennesima volta all’ulteriore richiesta di conferma di Amelia.
«Sicurissimo, te l’ho già detto.» confermò mentre finiva di mettere i libri apposto – anche la quinta ora era terminata e la settimana era finalmente finita, solo che il ragazzo pareva non voler andare a ballare come invece Amelia e Nicole avevano intenzione.
«Non è per Nicole, vero? Sai com’è fatta lei, non le stai antipatico, solo che non ha granché di cui parlare con te.» borbottò.
Daniele rise e si passò una mano tra i riccioli.
«Tranquilla, non è per lei. È solo che oggi non sono molto in vena di andare a ballare, preferisco passare un sabato tranquillo con una pizza e una serie tv.» rispose semplicemente.
Amelia fece il muso e cercò di fare l’espressione più mesta che potesse uscirle.
«Ma a me dispiace.» pigolò tentando di fare leva sul proprio lato tenero – non che ne avesse davvero uno, infatti non funzionò.
«No, davvero Ame. Grazie comunque, recupereremo la prossima volta.» concluse il ragazzo.
La mora sospirò, finalmente rinunciando all’impresa, anche se avrebbe dovuto intuire che non sarebbe stata comunque in grado di convincerlo – Daniele, quando voleva, sapeva essere terribilmente testardo, ma Amelia poteva esserlo più di lui e per questo ogni tanto provava a sfidare la sorte.
«Dove avete intenzione di andare, comunque?» chiese il ragazzo, chiudendo finalmente lo zaino.
«All’Havana.»
«L’Havana? Ma lì non ci va gente un po’ più grande di noi?» chiese curioso l’altro.
Amelia fece spallucce.
«Sì, ma Nicky vuole cambiare un po’ giro pare, e anche evitare di incontrare qualcuno.» disse con un tono di vari sottintesi. Daniele annuì comprensivo – non che sapesse tutta la storia, ma era per fargli capire che ci fosse un ragazzo di meno.
«Beh, lì di sicuro si cambia il giro. Siete solo voi due?»
«Sì, una serata tra sole ragazze e tra migliori amiche. Sai com’è, la devo sostenere e lei deve sostenere me.» concluse con una risata. Daniele la guardò scettico.
«Sostenere per cosa? E poi grazie per la considerazione, come se io non ti sostenessi.» disse con tono offeso. Amelia gli lanciò un’occhiata in tralice.
«Ultimamente non mi pare che tu sia molto presente o di supporto.» frecciatina «E comunque sia, è diverso, ho bisogno di una ragazza in questi momenti.»
Daniele chinò la testa a sentire la prima frase e poi le diede uno sguardo colpevole.
«Scusa Ame, è che ho un po’ di cose per la testa, io…» e si interruppe, indeciso su come continuare. Amelia sospirò, ma poi fece un cenno con la mano, come a scacciare via una mosca.
«Tranquillo, capitano a tutti. Solo non farmi preoccupare troppo, ok? E se c’è qualche problema, qualsiasi esso sia, puoi parlamene, lo sai.» gli disse mentre afferrava il casco che il ragazzo le porgeva – tra una chiacchiera e l’altra erano arrivati al parcheggio di fronte a scuola e, come ogni giorno, si apprestavano a tornare a casa con la moto del giovane.
«Lo so, grazie.» fece il ragazzo con un sorriso. Stava per mettere il casco, quando si bloccò all’improvviso. «Quello non è Angelis? Dio, che brutta cera.» borbottò.
Amelia si girò di scatto e finì per farsi male addirittura al collo per il movimento, ma subito fu dimentica di tutto appena vide il giovane professore che andava in direzione della macchina.
Era strano che l’avesse presa in quella bella giornata, considerò Amelia, aveva notato che quando c’era la possibilità andava a piedi. Di sicuro doveva essere successo qualcosa, dato che aveva ragione Daniele: Alessandro aveva proprio una pessima cera.
Lo osservò mentre si trascinava con stanchezza verso la macchina, i capelli e i vestiti più in disordine del solito, gli parve quasi di poter vedere anche le occhiaie da quella distanza.
«Hai ragione.» sussurrò sovrappensiero. Chissà cosa poteva essergli successo.
«Ora però non fissarti troppo.» la riprese Daniele, notando subito come la ragazza fosse entrata immediatamente in trance. Quelle parole furono sufficienti per distrarla e farla arrossire.
«Non mi sto fissando, ero solo curiosa!» si difese, ma sapeva di stare arrossendo e si sbrigò a mettere il casco per coprirsi. Daniele però rise.
«Farò finta di crederci.» la canzonò e salì sulla moto aspettando che Amelia facesse lo stesso.
«Zitto e guida.» borbottò la ragazza allacciando le braccia intorno all’amico.
Io non sono fissata.
 
Amelia guardava indecisa i due vestiti che si era portata a casa di Nicole.
«Guarda che faremo tardi se continui così eh.» la voce di Nicole la richiamò dai propri pensieri e si girò in sua direzione, osservandola.
L’amica non ci aveva messo tanto a scegliere cosa indossare e aveva optato per un tubino blu scuro sagomato, che le metteva in risalto le curve modellate con tanta cura dai propri esercizi in palestra. Ovviamente stava benissimo addosso a lei e anche se era ancora a piedi scalzi e con il trucco incompleto era comunque bellissima.
«Ti prego, quando ti guardo la mia autostima cade a pezzi.» borbottò depressa la mora.
Nicole sbuffò.
«Ma smettila con queste idiozie. Se ti mettessi a fare sport come me avresti il mio identico fisico, credimi.» la rimbeccò avvicinandosi a lei e iniziando a fissare i due vestiti poggiati sul letto.
«Allora, non hai ancora deciso?» chiese poi.
Amelia fece cenno di no con la testa e riprese a guardare i due abiti: uno era nero ma piuttosto elaborato, con le maniche e il busto ricoperti di pizzo in un grazioso ma non volgare effetto vedo-non vedo, l’altro rimaneva più semplice, un vestito con scollatura all’americana, piuttosto aderente e che – già sapeva – le metteva in risalto le scarse curve che aveva in un risultato più che soddisfacente; a differenza dell’altro, era di una cupa tonalità di rosso.
«Metti il rosso.» decretò infine Nicole, scegliendo per l’amica. Amelia si voltò verso di lei.
«Tu dici? Non saprei…»
«Il contrasto che fa con i tuoi capelli neri è bello, inoltre hai lo smalto rosso.» spiegò la castana scrollando le spalle.
Amelia ci pensò su un paio di secondi, poi annuì.
«Va bene. Comunque fosse, uno dovevo metterlo.» borbottò.
Nicole ritornò in bagno – nel suo favoloso bagno in camera, Amelia la invidiava da morire per questo – e riprese a truccarsi mentre Amelia iniziava ad infilarsi i collant color carne che si era portata appresso.
«Hai già chiamato il taxi?» chiese la mora facendo attenzione che le unghie non si impigliassero nelle calze. Entrambe infatti non avevano ancora la patente anche se stavano studiando per prenderla e, in quelle serate prive di passaggio, preferivano optare per un taxi piuttosto che andare in bus e venire fissate da tutti.
«Sì, verrà qui per le dieci.» confermò la ragazza.
Amelia lanciò uno sguardo al proprio cellulare per guardare l’ora: erano le otto e un quarto, sarebbero riuscite a prepararsi e anche a mangiare la cena che Laura aveva lasciato loro.
«Sai già che scarpe metterti?» chiese poi, impegnata ad infilare il vestito.
«Pensavo le pumps con plateau nere.» rispose la castana. Amelia le lanciò uno sguardo terrorizzato nonostante l’altra non potesse vedere, troppo impegnata a mettersi l’eyeliner.
«Con quale coraggio metti quelle per andare a ballare?» fece scioccata. La castana si girò e le lanciò uno sguardo di sufficienza.
«Per la bellezza, questo e altro.» rispose sicura «E tu invece?»
Beh, non che lei avesse optato per tacchi molto più corti.
«Le francesine alte.» rispose per poi guardarle, appena tirate fuori dalla borsa che si era portata: il tacco era praticamente a spillo ed erano alte, ma senz’altro più comode delle scarpe dell’amica. Erano lucide e le aveva comprate giusto un paio di mesi prima, ma aveva già avuto modo di indossarle e si era resa conto di poterle tenere varie ore senza dover rischiare di chiedere di amputarle il piede dal dolore.
«Attenta a non fare troppe conquiste, poi come faresti con Stefano?» scherzò Nicole per poi scoppiare a ridere.
«Io invece non ti devo dare questo consiglio, vero?» la rimbeccò pungente, ma senza cattiveria, motivo per il quale Nicole scoppiò a ridere dopo aver chiuso lo stick dell’eyeliner.
«Assolutamente no.» rispose con un sorriso, per poi prendere il mascara e ritornare allo specchio.
Amelia scosse la testa con un sorriso, poi la raggiunse, iniziando anche lei a truccarsi.
«Pensi di andare a letto con qualcuno stasera?» chiese la mora.
«No, e in ogni caso ci saresti tu a dormire, quindi non mi sembra il caso. Ma se c’è qualcuno di interessante, perché non conoscerlo?» disse retorica «E tu invece?»
Amelia sbuffò.
«La mia vita sessuale non disdegnerebbe, stanno iniziando a venirmi le ragnatele.» rispose ironica «Ma comunque no, e in ogni caso sarei qui a dormire.» aggiunse imitandola.
«E se incontrassi qualcuno di interessante?»
Amelia strinse le spalle per poi lavarsi le mani dopo essersi messa la crema.
«Mi piace Stefano, lo sai, e ho anche un appuntamento con lui questa settimana, non mi sembra il caso.» commentò per poi prendere l’ombretto e iniziare a metterselo con attenzione.
«A proposito, hai buone sensazioni per quell’uscita?» chiese Nicole, chiudendo il mascara e osservando il risultato.
Amelia ci pensò un po’.
«Non saprei. Insomma, lui mi è sembrato parecchio disponibile, però ho una strana sensazione a riguardo.» ammise.
«In che senso?»
«Non so, come un sesto senso, hai presente?» disse e si sentì un po’ scema nel pronunciare quelle parole.
«Beh, anche se ti andasse male avresti sempre il bel professore che ti aspetta!» disse ridendo la castana. Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Chi sa come, ma sapevo che l’avresti tirato fuori.» borbottò.
«Dai, lasciami il mio unico divertimento.»
«Come ti pare.» tagliò corto Amelia – il sentire nominare il professore le aveva fatto venire in mente il lampo di odio che aveva visto nei suoi occhi dopo la brutta frase che lei gli aveva rivolto.
Per i successivi minuti non ci fu altro che silenzio, entrambe erano troppo occupate a terminare di truccarsi e quando terminarono erano già le nove meno dieci.
«Che ne dici?» chiese la mora, guardandosi allo specchio alla ricerca di imperfezioni. Non si era fatta un trucco particolarmente elaborato, si era limitata a un ombretto chiarissimo, quasi non si notava se non fosse per i brillantini che le illuminavano lo sguardo, e aveva poi cerchiato l’occhio con l’eyeliner e la matita nera, valorizzando infine le ciglia con un abbondante uso di mascara. I suoi occhi ora erano la prima cosa che risaltava.
«Mi piace, solo che non devi metterti un rossetto troppo scuro, se no risulti troppo pesante.» consigliò Nicole «E io?»
Amelia si voltò verso l’amica, osservandola: lei aveva puntato su un ombretto scuro, sfumandolo e ottenendo uno smokey eyes brillante che metteva ancora più in risalto gli occhi verdi; anche lei aveva abbondato con il mascara.
«È bellissimo, ma ti devo dare lo stesso tuo consiglio.» ammise. Nicole annuì.
«Io però sto morendo di fame, andiamo prima a cenare?» chiese la castana.
«Va bene.»
Andarono nella cucina dove due piatti le aspettavano sul piano della cucina, entrambi coperti con dei fazzoletti che nascondevano un riso freddo. Mangiarono direttamente lì, senza nemmeno sedersi al tavolo, lanciando sguardi alla tv accesa in soggiorno e commentando il programma senza reale interesse.
«E se ci fosse Tommaso?» domandò all’improvviso Nicole.
Amelia terminò di masticare il boccone e poi le rispose.
«Non ci sarà. Non è solito andare in quella discoteca, l’hai detto anche tu, no?» fece retorica. Nicole annuì.
«Sì, è vero, ma magari…»
«Con i magari nessuno farebbe nulla, o almeno così qualcuno mi ha detto.» la interruppe la mora, lanciandole un sorrisino.
«Non usare le mie frasi contro di me!» si lamentò Nicole.
«Non è colpa mia se tu mi offri queste occasioni su un piatto d’argento!» rispose a sua volta Amelia.
Nicole alzò gli occhi al cielo.
«Basta, con te non ci parlo più.» continuò a lamentarsi; poggiò poi il piatto vuoto dentro il lavabo e ritornò in camera sua, ignorando l’amica che in fretta la raggiunse con ancora in bocca l’ultima forchettata.
«Permalosa.» la rimbeccò la mora e vide Nicole fare un mezzo sorriso nonostante continuasse a fingere di non sentirla.
Terminarono in fretta di prepararsi: si lavarono i denti, si misero il rossetto – entrambe nude, come si erano consigliate a vicenda – e terminarono indossando le scarpe.
«Beh» iniziò Amelia «direi che andiamo bene.» fece ironica guardando i loro riflessi allo specchio a figura intera in camera.
«Siamo delle fighe, se nessuno ci considera dopo tutto questo lavoro mi arrabbio.» disse più esplicita Nicole.
«Parla per te, io ho già Stefano a cui pensare.» commentò la mora. L’amica le lanciò uno sguardo scettico.
«Quindi se nessuno ti guardasse andrebbe comunque bene?» disse.
Amelia non rispose.
Eh no, almeno un’occhiatina la voglio!, pensò tra sé.
Guardò l’orologio.
«Sono le nove e quaranta, non ci rimane che aspettare.»
 
L’Havana era proprio come se lo ricordava: grande, elegante per quanto potesse esserlo una discoteca, e colmo di gente prevalentemente dai vent’anni in su.
Amelia e Nicole si facevano strada tra la gente accalcata, finendo per spintonare qualcuno per arrivare al bancone del bar, poco lontano dalla pista da ballo. Avevano intenzione di prendere almeno un drink e rilassarsi un po’ prima di buttarsi nella mischia – Nicole perché voleva avere la testa più leggera, Amelia perché senza alcol in circolo non aveva il coraggio di ballare, sempre se si potesse definire così quei movimenti che facevano a ritmo di musica.
C’era parecchia gente prima di loro e Amelia si concesse di guardarsi attorno, per notare in fretta un dettaglio.
«Oh, pare ci sia una festa lì.» commentò alzando la voce per farsi sentire dall’amica, più presa a cercare di superare qualcuno della fila.
«Mh, davvero?» rispose distratta la castana.
«Sì, guarda, allora fanno davvero anche eventi privati.» borbottò la mora, non venendo però sentita dall’amica. Lanciò un’altra occhiata: era un piano sopraelevato, grande e con vari divanetti – da quello che riusciva a vedere, almeno, dato la presenza di un separé che nascondeva parzialmente le persone che vi erano.
«Vieni!»
Amelia si sentì trascinare con forza da Nicole che l’aveva afferrata per un polso e pochi attimi dopo si ritrovò di fronte al bancone del bar, in cui i vari barman andavano da una parte all’altra senza fermarsi un attimo. L’amica, come al solito, era riuscita a superare tutti e in breve tempo, grazie al suo sorriso splendente e lo sguardo magnetico, aveva attirato lo sguardo di uno dei baristi.
«Un Long Island e una Piña Colada.» disse Nicole, sapendo già cosa avrebbe ordinato Amelia.
Nicole allungò i soldi prima che la mora potesse anche solo prenderli dalla propria borsetta a tracolla e subito le lanciò un’occhiataccia.
«Il prossimo lo pago io.» le disse Amelia, sempre alzando la voce per farsi sentire nel fracasso dell’ambiente. Nicole fece un vago gesto con la mano per poi passarle il drink e subito ripresero a farsi strada tra la folla.
Bevvero il drink mentre si guardavano attorno, facendo scivolare lo sguardo distratte e disinteressate dai vari ragazzi che lanciavano loro occhiate di apprezzamento.
«Non c’è nessuno di interessante!» si lamentò la castana. Amelia rise.
«Bevi ancora un po’ e vedrai che sembreranno tutti più appetibili.» fece ironica.
Nicole alzò gli occhi al cielo e prese a bere più velocemente, quasi nervosa; Amelia la imitò, più per volersi liberare del bicchiere che altro e poter andare in mezzo alla pista – inoltre, in quel modo l’alcol avrebbe fatto più in fretta a stordirle.
Amelia reggeva meglio l’alcol rispetto a Nicole, motivo per il quale di solito era lei a portare l’amica piuttosto che il contrario, ma anche lei non aveva una soglia di ubriachezza molto alta e quella sera voleva sì lasciarsi un po’ andare, ma non distruggersi – a differenza dell’amica, che invece pareva trovare nell’alcol il modo per distogliere la mente dai pensieri tristi e fastidiosi.
Il fondo del bicchiere arrivò rapido per entrambe e sentirono subito la testa più leggera, motivo per il quale si lanciarono nella pista spintonando le persone.
A quel punto, Amelia si lasciò andare alla musica.
 
Non sapeva quanto tempo fosse passato e nemmeno quanto avessero bevuto, sapeva solo che si sentiva leggera come un palloncino e straordinariamente bene. Meglio, in effetti, di quanto non si fosse sentita in quelle varie settimane – sapeva che era tutto merito dell’alcol, ma le andava bene così, quella sera voleva solo essere una diciottenne senza pensieri.
Vedeva Nicole ballare assieme ad un ragazzo che si era avvicinato pochi minuti prima – era carino, alto, atletico e con dei bei capelli biondi, gli occhi però non riusciva a vederli, ma tutto sommato le era sembrato abbastanza decente per fare un cenno affermativo a Nicole, la quale le aveva lanciato uno sguardo dubbioso chiedendo un parere.
L’amica era molto più brilla di lei, praticamente ubriaca, ma Amelia non era troppo preoccupata: Nicole anche quando era completamente persa riusciva in qualche modo a mantenere una patina di lucida coscienza che le impediva di fare grosse cazzate. In ogni caso, la mora aveva deciso di smettere di bere per poter controllare la castana.
Vedendola lì, a pochi passi da lei e in dolce compagnia, si permise di rilassarsi e chiudere gli occhi, per un attimo svuotando la testa da pensieri superflui: Stefano, Alessandro, Daniele con le sue stranezze. In quel momento non le importava di niente, voleva solo rimanere in quella bolla di euforia garantitale da quello che aveva bevuto.
La voglia di fumare la colse in quel momento, e subito fece un cenno a Nicole portando due dita vicino alla bocca per mimarle il gesto.
«Vieni?» urlò per farsi sentire.
La ragazza si spostò un attimo dal giovane giusto per risponderle.
«No, rimango qui, tranquilla!»
Amelia le lanciò un’occhiata dubbiosa – per quanto Nicole non fosse una stupida non le piaceva comunque lasciarla lì da sola con il tipo.
L’amica doveva aver capito la preoccupazione, perché scosse la testa con un sorriso vago, chiaramente brillo ma comunque consapevole.
«Tranquilla! Se ho problemi corro da te, e poi torni subito no?» continuò a urlare.
Amelia sospirò.
«Va bene! Tieni il cellulare a portata di mano!» le disse però, per poi immettersi nel marasma di persone e dirigendosi verso l’uscita.
Le ci vollero vari minuti prima di riuscire a raggiungere la porta, davanti alla quale dei bodyguard dall’aria minacciosa le lanciarono appena un’occhiata seria prima di lasciarla passare indifferenti – Amelia fece una smorfia.
Almeno un sorriso fatelo, non vi cascano i denti, pensò infastidita, nonostante sapesse perfettamente che il loro lavoro fosse quello di rimanere lì seri e inquietanti per spaventare chiunque avesse strane idee.
Una volta fuori rabbrividì dal freddo: il cappotto era dentro nel guardaroba e prenderlo avrebbe comportato dover di nuovo pagare per rimetterlo al proprio posto – tanto valeva resistere alcuni minuti al freddo, per questo si sbrigò a prendere una sigaretta dal proprio pacchetto e accendersela con gesti secchi e infreddoliti.
Il fumo le scese lungo la gola con un vago sapore agro e amarognolo, reso più leggero dall’alcol.
Fumare per lei non era proprio un vizio. Cioè, fumava solo qualche volta, quando andava a ballare e beveva, per esempio; oppure quando era nervosa, ma lo doveva essere parecchio. Ovviamente i genitori non lo sapevano, altrimenti sarebbe stata polvere e cenere già da tempo – e, sempre ovviamente, non avrebbero dovuto saperlo.
«Ma guardate un po’… Amelia Moretti che fuma! Sai che fa male alla salute?»
Amelia si irrigidì, diventando un pezzo di ghiaccio. Non sentiva più nulla, freddo, alcol, ansia per Nicole.
No. No, è un incubo. Non può essere, non qui.
«Potrei doverlo dire a Davide e Serena.»
Voce ironica, pungente, stranamente strascicata.
Si girò lentamente, terrorizzata – sperava di non avere ragione, ma sapeva di non essere in errore.
Ed eccolo lì, in tutta la sua magnificenza, con il solito ghigno bastardo sul volto ma allo stesso tempo completamente diverso.
Con una rapida occhiata, Amelia si accorse che Alessandro Angelis, di fronte a lei, suo professore, era molto probabilmente completamente ubriaco.
Cazzo.
«P-professore…?» balbettò presa in contropiede, rendendosi conto di fare la figura della stupida ma, dio santo, non che lui fosse in una posizione migliore.
Stava fuori, di fronte a lei, appoggiato al muro non in una posizione casuale, bensì più necessaria per stare stabile – e Amelia sapeva riconoscere questi dettagli. I capelli neri erano scompigliati, il viso leggermente arrossato, gli occhi lucidi e lo sguardo vacuo; i vestiti – una camicia nera, piuttosto elegante, dei jeans scuri dall’aria un po’ casual, una giacca in mano grigio antracite – erano stropicciati.
«Siamo fuori dalla scuola, Amelia, non farmi ripetere quello che sai già.» fece sprezzante Alessandro, facendola scuotere con quelle parole.
«Che ci fai qui?» fu la prima cosa che le venne in mente, per poi darsi nuovamente della stupida per la domanda piuttosto ovvia. L’uomo parve pensarla allo stesso modo perché la guardò con un vago sorrisetto ironico, leggermente annebbiato dal velo dell’alcool, ma le rispose.
«Festa di addio al celibato.» disse solo il professore, poi però fece scivolare il proprio sguardo lucido su tutto il corpo della ragazza. Perse l’aria ironica che aveva a favore di una indifferente. «E tu?» le chiese, il tono improvvisamente atono che fece salire i brividi ad Amelia.
La ragazza scrollò le spalle, fece un tiro dalla sigaretta – più per prendere tempo che altro – e lo guardò a disagio.
«Sono con una mia amica, volevamo fare qualcosa di diverso.» borbottò.
Alessandro la guardò ancora un po’, in silenzio, poi l’espressione gelida si rilassò in un sorriso definibile solo come “acido” – strano come, nonostante fosse chiaramente ubriaco, riuscisse a mantenere la vena di disprezzo e acidità che lo contraddistingueva. Non si scioglieva proprio mai.
«Questa è la seconda volta che ti vedo in vestito.» commentò infine, il tono casuale.
Amelia si irrigidì, non sapendo in un primo momento come rispondere, poi però il fastidio prese forza in lei – fastidio di trovarsi in imbarazzo, di sicuro – e, come sempre, parlò prima di pensare.
«Questa è la seconda volta che ti vedo ubriaco.» lo imitò pungente.
Per quella volta però non si pentì di quelle parole, l’alcol la rendeva più spericolata anche in quei gesti.
«Beh, non mi sembri particolarmente lucida nemmeno tu.»
Evidentemente, anche Alessandro era reso più sciolto dall’alcol – allora non aveva più il bastone nel sedere!
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Dovrebbe tornare dai suoi amici.» fece acida, dandogli del lei per cercare di riacquisire un po’ di distanza.
Non aspettò che l’uomo replicasse, lasciò cadere la cicca a terra e la calpestò con la punta della francesina, poi gli diede le spalle e si diresse verso la porta.
«Bevi qualcosa con me?»
Amelia si bloccò.
«Cosa?» fece scioccata girandosi.
Quello che vide, però, la stupì ancora di più della proposta: Alessandro Angelis la guardava con una strana luce desolata negli occhi, un vago tono di preghiera nella sua voce che le fece chiedere se fosse davvero lui oppure fosse stato sostituito da un robot – o, più precisamente, una reale persona aveva sostituito il robot che era il suo professore.
«Ti ho chiesto se vuoi bere qualcosa con me. Non voglio tornare subito dai miei amici, loro…» si bloccò, forse rendendosi conto che quello non avrebbe dovuto dirlo.
Strinse le labbra in una smorfia, poi si staccò dalla parete su cui era appoggiato e fece qualche passo non troppo fermo.
«Lascia stare, era un’idea stupida.» disse in fretta superandola.
Ma quando a una come Amelia le si tirava il sasso per poi ritirare la mano non le andava assolutamente bene. Inoltre era brilla, aveva più di una scusante per quel comportamento poco ortodosso e intraprendente – o forse stupido, dipendeva dai punti di vista.
«Va bene. Ma devo sbrigarmi, c’è la mia amica che mi aspetta.» rispose, guardando rapida il telefono e constatando che Nicole le aveva mandato un messaggio per comunicarle che andava tutto bene, di fumarsi anche una seconda sigaretta se voleva.
Mi vuole mandare via?, pensò bonariamente irritata.
«Sicura?»
Alessandro la guardò con una strana sfumatura di ansia e di indecisione sul viso, tanto che Amelia si chiese se la domanda fosse rivolta a lei o a se stesso.
«Sì.» disse.
Improvvisamente nella sua testa si era fatto avanti il desiderio di vedere un’altra sfaccettatura dell’uomo, non quella dell’insegnante, non quella del figlio di amici, ma quella di un semplice uomo che era andato in discoteca a festeggiare e si era ubriacato.
Alessandro la guardò dubbioso per un’ultima volta, poi quell’espressione scomparve a favore di una più fredda e sicura di sé, infine le fece cenno di precederlo con una strana smorfia sarcastica e ironica sul viso.
Amelia gli lanciò un’occhiata infastidita, ma dentro di sé aveva un mezzo sorriso – di sicuro dovuto all’alcol, pensò – e lo precedette all’interno del locale.
Mentre si districava tra la folla e si dirigeva verso il bar la sua testa era in una vaga bolla che la stordiva – l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che stava andando a bere qualcosa con il suo professore e sentiva distintamente la sua mano sfiorarle la schiena come a guidarla; con la coda dell’occhio vide che le si avvicinava per aiutarla a farsi strada scostando le persone.
Amelia, è solo un drink, non c’è nulla di male. Insomma, siamo in discoteca, alla fine non avremo nemmeno dieci anni di differenza tra di noi, pensava in ansia, cercando di trovare una scusa a tutta quella situazione.
Una volta al bancone Alessandro le disse qualcosa ma Amelia, a causa della musica, non sentì.
«Scusa, che hai detto?» urlò per farsi sentire.
A quel punto Alessandro si chinò verso di lei; sentì la sua bocca sfiorarle i capelli, il respiro che le solleticava l’orecchio e un profumo maschile misto a un vago aroma dolciastro di qualche drink bevuto in precedenza.
«Cosa vuoi?» le chiese.
Amelia deglutì, sorpresa dal gesto dell’uomo e sentendo un calore diffondersi nelle guance – Ma quanto caldo c’è, voglio uscire fuori di nuovo! – e si morse un labbro per costringersi a non afferrare il colletto della camicia dell’uomo e costringerlo lì affianco a lei.
L’uomo la guardava in attesa e Amelia si rese conto di quanto ubriaco fosse dal viso: gli occhi erano lucidi, un poco assenti ma allo stesso consapevoli, le guance arrossate dal caldo e i capelli umidi all’attaccatura. Come anche fuori dal locale, era più sorretto dal bancone che solo appoggiato.
«Quello che vuoi tu!» si ritrovò a rispondere – cos’è che ordinava di solito? Non se lo ricordava più. Era davvero un bene continuare a bere?
Dopo questo drink non bevo più nulla per tutta la sera. Per colpa di questa merda sto facendo la figura della ragazzina con Alessandro, pensò maledicendosi e ignorando il pensiero molesto, molto più consapevole di lei, il quale le diceva che quella voglia di saltargli addosso non era dettata dall’alcol, bensì dal suo reale desiderio di farlo.
L’uomo non insistette e si voltò verso il barman ordinando qualcosa che non riuscì a sentire – nella sua testa ci fu il labile pensiero di come riuscisse ad attirare nell’immediato l’attenzione di tutti proprio come accadeva anche in classe.
Furono pochi i minuti che passarono prima di avere il drink in mano e Amelia si sentì sollevata nel constatare che fosse dolce, proprio come piaceva a lei, poi si sentì trascinare da Alessandro lontana dal bar, in una delle zone più appartate del locale, vicino all’uscita dove la musica giungeva più lieve in modo tale da poter parlare senza problemi.
«Che cos’è?» chiese osservando il proprio drink: era per metà bianco latte e per metà nocciola – o meglio caffè.
Di fronte a lei Alessandro si abbandonò sul divanetto, lasciando cadere la testa all’indietro con stanchezza. Lei si sedette di fronte.
«White Russian. Ho pensato ti piacessero le cose dolci, ma ora che ci penso forse è un po’ troppo forte per te.» spiegò Alessandro guardandola indeciso e con la voce appena più strascicata dopo aver preso un sorso dal proprio drink – Amelia non lo aveva riconosciuto, era completamente bianco come se fosse soltanto acqua.
«Hai intenzione di farmi ubriacare?» scherzò la mora, più per dire qualcosa che altro, ma si rese conto troppo tardi di ciò che presupponeva la sua frase.
Si morse la lingua troppo tardi e fissò Alessandro in silenzio, in attesa di una risposta. L’uomo la fissò con espressione impassibile, prese un sorso del proprio drink e poi fece un sorriso sbadito e non troppo convincente, subito sostituito da uno più accattivante e ironico.
«Non ho bisogno di farti ubriacare.» disse solo.
Amelia arrossì a quelle parole e lo osservò mentre socchiudeva gli occhi per osservarla meglio; sotto quello sguardo lucido di alcol si sentì avvampare ancora di più, soprattutto dopo che la sua testa le disse che sì, non avrebbe avuto bisogno di farla ubriacare.
«Non ne sarei così sicuro, cosa te lo fa pensare?» rispose tagliente, prendendo un altro sorso del proprio drink – cazzo, era dannatamente buono!
Alessandro si sporse verso di lei, poggiando il gomito sul ginocchio e la testa sulla mano, osservandola da sotto le ciglia lunghe e nere – il suo sguardo era sempre stato così penetrante?
«È solo una sensazione. Potrei sempre sbagliarmi.» soffiò appena, continuando a guardarla negli occhi.
Amelia deglutì ancora, non proprio a disagio – l’alcol le stava facendo troppo effetto per poter dire di avere ancora un po’ di imbarazzo in un frangente del genere – piuttosto si sentiva sudata e accaldata, indecisa su come rispondere.
In altri casi non ci avrebbe messo troppo tempo a decidere: la attraeva? Ci flirtava spudoratamente. Non era difficile, tutto dipendeva dal piacerle o meno, non altro. Ma in quel caso…
È il mio professore, non posso flirtarci come se nulla fosse!, pensava, il suo lato razionale ancora forte dentro di lei.
Alessandro, del canto suo, sembrava ormai aver abbandonato ogni doverosa misura da mantenere con una studentessa e sembrava completamente a proprio agio nel mostrarle quel mezzo sorriso che la faceva desiderare di allungarsi verso di lui e…
È solo l’alcol, Amelia, l’alcol e gli ormoni di una diciottenne, continuava a ripetersi.
D’altro canto, era per la maggior parte la verità.
No, non posso.
«Potrebbe esserci la sua fidanzata da qualche parte qua in giro.»
Quella frase ruppe qualsiasi bolla si fosse potuta creare in quei pochi minuti: Alessandro riassunse un’espressione gelida di botto, si lasciò di nuovo cadere sui divanetti e prese un sorso dal proprio bicchiere. Anche Amelia continuò a bere, più per tenersi impegnata che altro.
Ho bisogno di una sigaretta.
«Non c’è nessuna fidanzata. Ci siamo mollati.» rispose l’uomo gelido.
Amelia allargò gli occhi sorpresa e quel gesto dovette divertire l’uomo, perché scoppiò a ridere.
«Mi dispiace, io…» borbottò la ragazza – e ora come si continuava in quei casi?
«Tranquilla, avevo già in testa di farlo da un po’ di tempo. Scoprire che andava a letto con un altro è stata solo la spinta di cui avevo bisogno.» spiegò freddo e asciutto – più di quanto volesse, dovette intuire Amelia notando come finì in un solo sorso quello che avanzava del suo bicchiere.
Prese un sorso dal proprio, prendendosi il tempo per elaborare quella nuova informazione.
Oddio, il professor Angelis veniva tradito dalla sua ragazza… Se qualcuno a scuola lo venisse a scoprire sarebbe la fine, pensò con una strana sensazione dentro di sé. Sensazione prontamente eliminata, in quella strana lucidità datale dall’alcol capì che sarebbe stata peggio dopo averlo detto in giro.
«Mi dispiace. Non so bene come ti senti in questo momento, mi è capitata una cosa simile ma beh, essere traditi così… Non so cosa dovrei dirti per farti sentire meglio, però questa tipa ha fatto una stronzata – ok, so che sembra una frase costruita apposta, però lo penso davvero, insomma» si interruppe, notando di star straparlando, poi però notò come l’uomo la fissasse preso dai suoi strani giri di parole e decise di continuare, in fondo poteva dire di avergli detto di peggio «io credo che tu sia davvero una brava persona. Ok, ti reputo uno stronzo e a momenti ti odio, ma sei il mio professore, credo che sia più che normale farlo! Però per le poche volte che ti ho visto fuori da scuola mi sei sembrata una persona interessante, brava – come il giorno che non mi hai interrogata perché mi hai vista giù, ecco! Io sono convinta che lei sia stata una grandissima stupida a tradirti perché tu mi sembri una persona degna di fiducia e-» si interruppe.
Anzi, a dire il vero a interromperla fu Alessandro che si era sporto verso di lei, l’aveva attirata a sé poggiandole una mano sul fianco e l’aveva baciata.
Amelia si rese conto di questo dettaglio con qualche secondo di ritardo – l’alcol la rendeva più lenta a capire anche questi gesti.
Se per un attimo la sua testa le disse “bloccati, non sai ancora quello che stai facendo, pazza!” il suo corpo seguì quello che le sue emozioni volevano che facesse e poggiò il bicchiere sul tavolino per lasciarsi trascinare da quel bacio che sapeva di passione e necessità.
Sentiva solo le proprie mani tra i capelli di lui, le sue mani che le carezzavano lente i fianchi, la sua bocca e la sua lingua che le tracciavano il contorno delle labbra in un modo che la faceva implorare per qualcosa di più.
Il bacio terminò più per necessità di ossigeno che altro.
Amelia si ritrovò senza fiato, la fronte appoggiata contro quella di lui, i propri occhi scuri che si riflettevano in quelli chiari dell’altro – occhi chiaramente confusi, chiaramente di un ubriaco, chiaramente non consci di ciò che aveva fatto.
La sua mente recepì all’improvviso il gesto – o meglio, la sua gravità – e la costrinse ad alzarsi di scatto. Era come se avesse ricevuto una secchiata d’acqua in testa.
«Io…» iniziò, evitando di guardarlo a causa dell’imbarazzo che provava. Sentiva ancora le sue labbra sulle proprie! «Io devo andare, c’è la mia amica che mi aspetta.» disse solo.
E poi fuggì, decisa a lasciare tutto lì: il bicchiere, la sensazione del bacio, la paura di quello che aveva fatto, Alessandro.

 
  
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