Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug
Segui la storia  |       
Autore: AlnyFMillen    13/02/2018    2 recensioni
"Sta tranquilla, Ladybug. Va tutto bene. I miei occhi sono sempre rimasti chiusi, non ho visto nulla"
Desiderava più di qualunque altra cosa sapere chi in realtà si celasse dietro la maschera a pois neri che tanto lo aveva conquistato, credeva fosse quello lo scopo più grande cui bramava. Eppure solo ora... Solo ora capiva quanto si stesse sbagliando.
"Non sei pronta e va bene. Sono qui, ci sarò sempre: quando e se mi vorrai, resterò al tuo fianco"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quanto di più confuso

[Adrien]

 

 

 

 

Buio.

Tentò di articolare qualcosa, una qualsiasi parola nata dal movimento delle proprie labbra, con scarsi risultati.

Oscillazione di un corpo, terreno assente sotto i piedi.

Dischiuse le palpebre, cercando, non senza molte difficoltà, di mettere a fuoco la situazione.

Una mano, dita mosse a fatica.

Forzò la vista per osservare le piccole goccioline d'acqua che pendevano dai polpastrelli, poi lasciò ricadere mollemente il palmo sul ventre. Davanti a lui, gli era parso di vedere lo spettro di qualche palazzina ingrigita.

Avrebbe voluto chiedere cosa stesse succedendo, non era abituato a sentirsi tanto confuso. Eppure, semplicemente, non poteva. Forse, rifletté, con un piccolo sforzo, ci sarebbe riuscito. Eppure, semplicemente, non ne aveva voglia. Come quando si sta per addormentarsi, in un limbo di dormiveglia consapevole e sogno: capiva confusamente ciò che stava accadendo, ma non vi partecipava; la mente era attiva, il corpo si rifiutava di collaborare.

Emise un lamento, poggiando il capo sulla superficie bagnata accanto la quale doveva trovarsi, mentre una fitta lancinante si propagava dal basso ventre fino al collo.

Serrò i denti con uno schiocco secco, nel vano tentativo di non urlare, e, mentre il sapore viscoso del sangue inondava il palato, Chat Noir portò una mano a tamponare la ferita.

«S-Siamo quasi arrivati. Davvero, Chat», singhiozzò una voce familiare.

Allora c'era davvero qualcuno, lì accanto a lui? Non se lo era immaginato, quel qualcuno a cui importava di lui?

Buio. Dolore: improvviso, micidiale.

Strinse un pugno al petto, artigliando la stoffa leggera della maglia per non gridare. Distrarsi, doveva distrarsi in qualche modo. 

Paradossalmente, gli tornò alla mente la lezione di storia che, poco tempo prima, la professoressa aveva assegnato in occasione della verifica. Se non ricordava male, i monaci shaolin avevano sempre sostenuto che il dolore fosse solo una mera questione mentale e che quindi potesse essere controllato. 

Passò un lembo del costume tra il pollice e l'indice, cercando di analizzarlo, e una nuova fitta si fece sentire. Ringhiò.

In quel preciso istante, ne avrebbe avute di cose da dire, agli accoliti. Nessuna, era certo, avrebbe confermato la loro assolutamente errata e priva di senso ipotesi.

Che poi proprio ai monaci shaolin sono dovuto andar a pensare?

«Ci siamo. È vicino». Di nuovo la voce. Vi si concentrò, studiandone ogni più piccola variazione: tutto pur di non pensare.

«Ce la faccio. Devo farcela».

Questa volta, il tono aveva assunto una marcata sfumatura di supplica.

Sporse appena un braccio nella direzione del suono, dilaniato da quella sofferenza appena percepibile e, nel farlo, entrò in contatto con un tessuto. Leggero, aderente. Non era solo l'effetto della pioggia, sotto la quale qualunque cosa bagnata diviene appiccicosa. Sembrava fatto su misura, di un materiale simile al lattice, forse allo spandex. Era per caso stato salvato da Superman? Probabilmente no. 

C'era un altro supereroe — una supereroina — di gran lunga preferibile nelle vicinanze.

Ladybug.

Non aveva idea del perché la ragazza fosse così addolorata, i suoi ricordi erano appena reperibili e perlopiù confusi. Una battaglia, un bacio, un colpo troppo ben assestato.

Il resto restava imprigionato all'interno della testa e, più si sforzava di portare alla mente gli ultimi avvenimenti, più la nuca pulsava. Troppe domande, troppe poche risposte.

Desiderava raggiungere la sua compagna d'avventure, alzarsi in piedi e affiancarla. Non sembrava stare bene e, anche se al momento ne ignorava il motivo, la cosa gli faceva più male di quanto già non ne facesse la ferita. Poteva sembrare strano, un'esagerazione bella e buona, ma di fatto era così che stavano le cose.

Con uno sforzo immane, schiuse le palpebre, intercettando lo sguardo di lei. Gli appariva, in qualche modo, diversa. Sorrise appena, pronunciò il suo nome.

Poi di nuovo buio.

*

Villa Agreste franava sotto il peso inesorabile del fuoco.

Pareti di cemento sciolte come fossero gesso; quadri inestimabili divorati senza alcuno scrupolo; ossigeno sottratto, senza chiedere, all'aria. Un intero regno, costruito col sudore della fronte nel corso degli anni, stava cedendo il passo al vuoto più totale. Non venne giù in un colpo solo, ma si frantumò con lentezza, granello per granello.

L'uomo in bianco osservò la figura della supereroina allontanarsi. Riuscì a distinguerla fin quando non balzò sull'ennesimo palazzo — il terzo, forse — poi la scarsa visibilità ed il fumo gli impedirono di seguirla ancora. Non avrebbe potuto essere altrimenti: i suoi occhiali erano rimasti schiacciati sotto qualche cumulo di legname, chissà dove, chissà quando.

Ladybug non sarebbe tornata indietro, lo sapeva. In fondo, stava facendo la cosa più giusta: lui conosceva i rischi sin dall'inizio, li aveva accettati.

Dopo la morte di Emilie, il solo dover ancora sopravvivere gli era parso faticoso, innaturale. Si sentiva stanco, immensamente stanco.

Aveva costretto Nooroo, quel piccolo esserino tanto remissivo quanto potente, ad assecondare il suo folle piano, ignorando qualunque opinione al riguardo. L'aveva reso schiavo della sua stessa natura, sottomesso sin all'inverosimile.

Mentalmente, per la prima volta, si scusò con lui. E così fece, subito dopo, con tutti coloro che avevano avuto la sfortuna di capitare sulla sua strada.

Non sapeva dove sarebbe finito e, a dirla tutta, non gli interessava poi granché. Accantonare l'orgoglio e cercare di rimediare, seppur vanamente, ai propri errori non poteva sicuramente peggiorare la sua condizione. Almeno, pensò, avrebbe avuto l'illusoria certezza di essersi pentito.

Barcollò all'indietro, braccia larghe. Cadde in ginocchio, occhi socchiusi.

Nulla di eclatante, non la morte in grande stile che credeva. Desiderava svanire, annullarsi, così da permettere alla gente di Parigi di ritrovare la propria normalità. Nessun supercattivo, Papillon avrebbe potuto dirsi solo un ricordo sbiadito sul fondo della mente. Tutto sarebbe tornato come era sempre stato prima e come avrebbe dovuto continuare ad essere.

Voleva dimenticare ed essere dimenticato. Bramava un nuovo inizio, al di là di ogni cosa materiale. E forse, paradossalmente, gli sarebbe stato concesso.

Pensò ad Adrien, giovane e promettente, frutto di un amore che aveva sempre dato troppo per scontato. Pensò alla moglie, chiedendosi se avrebbe davvero potuto rincontrarla, nonostante tutto.

Alla fin fine, i malvagi ricevono sempre quel che gli spetta, ma Gabriel sperò, nei pochi istanti che gli restavano, di riuscir a trovare la pace almeno nella morte. Niente più odio, basta distruzione.

Osservò Parigi, focalizzando l'attenzione sulle luci lontane della Tour Eiffel fin quando le voci imponenti dei pompieri non divennero ovattate.

Le palpebre fremettero, abbassandosi subito dopo. Il respiro si affievolì, scemando pian piano. Gabriel sorrise, finalmente sereno, e l'eco delle sue ultime parole si perse fra le fiamme.


Un grido terrorizzato irruppe nella quiete mattutina.

Il ragazzo si svegliò, buio a circondarne lo sguardo sconvolto. Strabuzzò gli occhi, lasciando dardeggiare le iridi smeraldo da destra verso sinistra. Disperato, ricercava qualcosa, qualunque cosa potesse cancellare dalla mente il sogno e lasciare spazio al reale. Eppure nulla, nemmeno un piccolo oggetto gli si parò davanti: solo sconfinata ed imperscrutabile oscurità, nessun'ancora cui aggrapparsi.

Portò una mano, avvolta da chissà quale stoffa, sul petto, tentando di regolarizzare il respiro.

Era solo un incubo, si ripeté, un sogno come un altro. Tuttavia, pareva essere estremamente veritiero. I colori, i suoni, perfino gli odori apparivano familiari. Ancora sentiva, nelle orecchie, la voce chiara e ben scandita del padre chiedere sommessamente perdono.

Mi dispiace.

Quelle parole continuavano a tornargli in mente, girovagando senza tregua da una parte all'altra del sistema nervoso. Avrebbe voluto scacciarle con un semplice gesto del capo, eppure sapeva che, in situazioni simili, non serviva a molto tentare di distrarsi. Il pensiero sarebbe rimasto sempre lì, cementificato in un angolo remoto della testa, pronto a riapparire di tanto in tanto.

Aveva già sperimentato una sensazione simile, il presentimento che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato. Poco dopo, sua madre era scomparsa. Ora riecco quella stessa ansia, soffocante e subdola, farsi largo nel petto. Non riusciva a scollarsela di dosso e questo non gli piaceva. Non gli piaceva affatto.

Mi dispiace.

Nonostante fosse pienamente a conoscenza dell'inutilità del gesto, scosse la testa e, causa il movimento scattante del collo, s'accorse di qualcosa.

Adrien sbatté le palpebre più e più volte, così da accertarsi che ci fosse effettivamente della stoffa davanti a lui, poco più in su del naso. Avvicinò le mani al viso, scoprendole poi coperte anch'esse, nel tentativo di capire quanto tessuto gli era stato avvolto intorno al corpo. Confuso, liberò le dita da quello che sembrava, al tatto, un guanto da forno bruciacchiato.

Forse, quella volta, scuotere il capo avrebbe aiutato a distrarlo.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug / Vai alla pagina dell'autore: AlnyFMillen