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Autore: FRAMAR    14/02/2018    30 recensioni
Non mi sembrava vero, nel cuore di Justin c'era ancora posto per me, nonostante i miei trascorso da "dongiovanni".
Storia di Brandon e Justin. Continuazione del Libro Ti voglio ma non posso.
Auguri di Buon San Valentino
Genere: Commedia, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lacrime d'amore




 
Qualche ora dopo uscii di casa furioso, sbattendo la porta, girando a casaccio per la città. Sbollita la rabbia decisi a tornare.

Aprii la porta: silenzio. Andai in camera, il letto era sfatto e l’armadio era aperto: gli abiti di Ryo non c’erano più.

Bene, era finita. Il cuore non soffriva, ma il mio amor proprio sì. Perché  io, l’affascinante avvocato di cui lodavano l’intelligenza a cui donne e uomini soprattutto, non potevano resistere, mi ero comportato come uno sciocco sprovveduto. Ed era questo che proprio non mi andava giù. La mia autostima era a un limite storico.

Non mi era più capitato di essere scaricato da quando Justin, il mio compagno di infanzia, un sacco di tempo fa, mi aveva detto di amare l’altro mio amico Ben. Quella volta ci avevo patito tanto, ero veramente innamorato di Justin. Non come in quel momento, perché Ryo, in fondo, per me era stato solo un capriccio.
La cosa che mi dava fastidio della storia con Ryo era essere stato ingannato. Justin non mi aveva mai ingannato. Ero stato io, troppo sicuro di me a dare per scontato che lui avrebbe preferito me e non il mio amico Ben. Invece no, tra noi due alla fine aveva scelto lui, il più affidabile, il più saggio. Quello più adatto a renderlo felice. Hanno adottato anche due meravigliosi bambini Karin e Caleb.

Sono passati tanti anni da allora e ormai per Justin sono solo un fratello, come lo eravamo da ragazzi. Del resto, continuando a lavorare nello stesso studio commerciale, di cui i miei genitori Mark e Liam erano i titolari, non potevamo che mantenere buoni rapporti. Non era stato facile, ma ci eravamo riusciti. E da quando Ben  morì, diventai zio affettuoso dei suoi bambini.

Non riuscivo a scacciare dalla mente ciò che era successo con Ryo. Tornavano in mente le sue parole: «Tradirti non è stato difficile, sei talmente pieno di te. Consideri normale che un ragazzo cada ai tuoi piedi e non contempli nemmeno la possibilità che possa preferirti qualcun altro…»

In effetti avrei dovuto, visto i precedenti. Ma presuntuoso lo ero sempre stato,  dovetti ammetterlo. E forse la lezione che Ryo mi aveva dato mi sarebbe stata salutare, mi avrebbe aiutato a capire cosa avrei voluto veramente dalla vita. Era da un po’ che sentivo di dover dare un’altra direzione alla mia vita. E un giorno magari pensare a Ryo come a una cura dolorosa, ma necessaria. Forse avrei pensato a lui con riconoscenza.

Il giorno in cui l’ho conobbi, pochi mesi fa, mi trovavo al ristorante Italiano, dove andavo tutti i venerdì a mangiare il pesce che cucinavano in modo fantastico. Me ne stavo seduto al solito posto quando sentii le voci alterate di una coppia che stava litigando al tavolo accanto al mio.

«È Tom, il fotografo che vive nella casa accanto con Ryo, il suo ragazzo», mi spiegò Mattia che mi stava servendo da bere.

Ad un tratto il ragazzo si alzò di scatto facendo cadere per terra la sedia, gridando in faccia al suo compagno alcuni epiteti ingiuriosi e se n’era andato. Il ragazzo cominciò a piangere. Notai che era molto bello.

«Ecco quello non ha pagato il conto e lui di soldi non ne ha» commentò Mattia, sospirando.

Il ragazzo continuò a singhiozzare. Non sapevo che cosa fare, poi mi decisi a rivolgergli la parola.

«Non faccia così… Posso essergli di aiuto?» gli chiesi.

Lui mi squadrò facendomi mezzo sorriso.

«E che non ho nemmeno i soldi per pagare il conto» disse.

Mi offrì di pagare il pranzo, e pure quello  del suo accompagnatore, che se n’era andato senza passare dalla cassa.

Solo quando il ragazzo si era alzato notai il suo corpo, notai che era decisamente bello.

In conclusioni uscii dal ristorante con Ryo aggrappato al mio braccio. E mentre camminavamo si mise a raccontare la sua vita.  Lui e il suo ragazzo, quello con il quale aveva litigato, un anno prima avevano lasciato il paesino di campagna dove erano nati per venire a vivere in città.

«Tom fa il fotografo e aveva promesso che mi avrebbe aiutato a entrare nel mondo dello spettacolo. Ma finora non è successo nulla. E questa volta abbiamo litigato sul serio, credo che tra noi sia davvero finita. Non so dove andare, mi potresti ospitare per questa notte?» Mi chiese a bruciapelo.

Potevo dirgli di no?

Finimmo a letto e Ryo era veramente passionale.

«Tu conosci qualcuno nel mondo dello spettacolo?» Mi domandò la mattina dopo, mentre facevamo colazione.

«No. Però ho un amico a che lavora in una TV e ha un sacco di agganci. Potrei chiedere a lui.»

Ryo corse ad abbracciarmi.

«Davvero faresti questo per me?» mi sussurrò, coprendomi il viso di baci.

«Potrei…» gli risposi, sornione.

«Ti è piaciuto questa notte?» mi sussurrò all’orecchio. «Per me è stato meraviglioso!»

Era tardissimo e mio malgrado, mi sentii costretto a dirgli che dovevo scappare in ufficio.

«Posso restare qui? Così quando torni riparliamo» propose.

Nonostante fosse bello e amante esperto, anche se lontano mille miglia da ragazzi raffinati ed eleganti che frequentavo, in un primo momento provai, l’impulso di dirgli di no: lui mi piaceva, ma ancora di più mi piaceva la mia libertà. Ma Ryo, con mille moine, riuscì a ottenere ciò che voleva, quel giorno e i giorni seguenti.

In realtà gli concessi di vivere a casa mia, nel mio sacrario di scapolo, perché mi ero messo in testa di trasformare quel ragazzo in un uomo di classe. In effetti, in quei mesi, estetiste e parrucchieri lo trasformarono in una bellezza sofisticata. I migliori negozi di abbigliamento dove l’ho avevo accompagnato per acquistargli alcuni vestiti alla moda fecero il resto. Solo a quel punto chiamai il mio amico e gli parlai di Ryo e del suo desiderio di lavorare nel mondo dello spettacolo.

Come prevedevo il mio amico, si era detto disposto a presentarlo per un provino.

«Potremmo vederci giovedì prossimo, ti va bene?» mi aveva proposto.

Quando poco dopo lo dissi a Ryo che il mio amico si era offerto  di aiutarlo, si mise a fare salti di gioia. Il mio primo pensiero fu quello che finalmente questa storia stava per concludersi. Mi mancava la mia libertà e poi la coscienza cominciava a rimordermi. Negli ultimi tempi a causa di Ryo, avevo trascurato il lavoro. I miei genitori Mark e Liam si erano più volte lamentati e conoscendoli immaginavo fossero furiosi con me.
Ryo mi stava ancora ringraziando quando il mio cellulare si mise a squillare. Era Justin.

«Brandon, si può sapere che ti succede? Anche ieri non sei venuto in ufficio, quando ci sei, sei altrove con la testa… Ti dico solo che i tuoi genitori sono parecchio arrabbiati. Ci vediamo al solito bar fra mezz’ora.
Così parliamo un po’.


Justin faceva una vita super attiva, sempre di corsa tra ufficio, straordinari, casa e i due figli adottati con Ben, Karen e Caleb, adorabili ma scatenati. Però non si lamentava mai ed era sempre preciso e puntuale. La persona più affidabile che conoscessi. A lui non avevo mai detto di no, non mi era mai riuscito.

Così mi precipitai al solito bar. Lui era arrivato subito dopo, indossava  jeans e un camicia  bianca, come al solito ben pettinato. Elegante e di classe anche senza abiti costosi. Si sedette e mi sorrise. Il sorriso di Justin era qualcosa di speciale. La prima volta che lo vidi quando eravamo ancora bambini, pensai che fosse il ragazzo più bello del mondo.

«Brandon, i tuoi genitori sono una furia» mi disse , dopo a che avevamo ordinato due caffè. «Ieri Mark ha proprio perso le staffe. E poi si è sentito male. Lo sai che ha avuto problemi di cuore e che dovrebbe cercare di stare il più tranquillo possibile… Che ti succede?»

 
In poco tempo gli raccontai di Ryo.

«Ne sei innamorato?» mi chiese.

«Non ne sono innamorato. Per me è stato un gioco… Che ora sta per finire, e va bene così.»

Justin mi guardò serio, anzi con aria severa.

«Tu hai giocato, ma lui? Se lui si fosse innamorato di te non credi che soffrirebbe?»

«A questo non ho pensato» risposi, abbassando lo sguardo. Mi riusciva difficile sostenere il suo.
Justin scosse la testa. «Non cambierai mai . Brandon, e mi dispiace molto. Continuai a pensare solo a te stesso, senza farti scrupolo di giocare con i ragazzi, con i loro sentimenti.»

«Non è colpa mia se l’unico uomo  che ho amato si è innamorato del mio miglior amico.» esclamai.

Justin scoppiò a ridere. «Ancora con questa storia!»

Poi tirò fuori dalla cartella una pratica e si mise a parlare di lavoro.

«C’è bisogno di te in ufficio. Subito. Guarda qui, ci sono dei problemi con questa pratica e dobbiamo risolvere tutto per domani…»

Le parole di Justin ebbero su di me più effetto delle urla di Papà Mark e delle critiche del papà Liam. L’ho seguito in ufficio e ci siamo messi al lavoro.

La pratica era davvero difficoltosa e la sera ancora non eravamo riusciti a trovare il bandolo della matassa. All’ora di cena ordinammo dei panini e chiamai Ryo per dirgli che non sarei rientrato a dormire, sicuro che avremmo fatto mattino su quella pratica. Invece alla fine, terminammo prima del previsto.

«Vuoi che ti accompagni?» chiesi a Justin mentre stavamo per uscire dallo studio.

«Ma no, non importa…»

«Dai, ti accompagno. Ho voglia di fare due passi, allungo un po’ la strada.»

La notte era fresca, c’erano la luna piena qualche stella e un gran silenzio. Niente turbava la quiete.
«Sembra di essere tornati indietro nel tempo, ti ricordi? Sei stato sempre il mio migliore amico».

Gli presi la mano.

«Ami sempre Ben?» gli chiesi.

Mi guardò.

«Una parte del mio cuore sarà sempre sua.»

Continuammo a camminare senza dire una parola. Davanti al suo portone ci salutammo.

Era notte fonda quando arrivai a casa. Aprii piano la porta per non svegliare Ryo. E quando entrai in camera al buio, intravidi nel mio letto due persone che dormivano avvinghiate. Accesi  subito la luce. Il ragazzo saltò su a sedere, corse a prendere i vestiti e li indossò in tutta fretta.

«Hai detto che non saresti tornato!» gridò Ryo sgattaiolando via.

Non fiatai.

L’avevo visto bene, era l’uomo che stava con lui il giorno che l’ho conosciuto, il fotografo. Ryo si rannicchiò su se stesso e si mise a piangere.

«Ecco ho rovinato tutto. Adesso non mi porterai più dal tuo amico» piagnucolò.

Mi sedetti sul letto accanto a lui.

«Questo è certo» gli dissi, calmo.

Mi guardò con odio. La cosa non mi turbò. Provai solo una gran rabbia per essere stato ingannato.
«Siete tornati insieme, a quanto vedo…» gli dissi.

«Non è mai finita. Tom è il mio uomo, anche se è un morto di fame. Credevi che mi fossi innamorato di te solo perché sei elegante e hai i soldi?» mi urlò.

«Hai finto bene» osservai.

«Non è stato difficile, sei talmente pieno di te. Consideri normale che un ragazzo cada ai tuoi piedi e non contempli nemmeno la possibilità che possa preferirti qualcun altro…»

Ryo si alzò coprendosi col lenzuolo. Era bello, provocante, ma ormai non mi intrigava più, il suo fascino mi sembrava improvvisamente sparito.

«Non capisco perché te la prendi tanto,» ha continuato. «So benissimo che non sei stato innamorato di me. Hai giocato con me, è diverso. Ti piaceva l’idea di trasformare una ragazzo di campagna in un uomo di classe. «Bel divertimento, vero?»

Incassai il colpo in silenzio.

«Posso portar via i vestiti che mi hai regalato?» mi chiese.

Gli feci cenno di sì. E mentre lui correva ad aprire l’armadio, io uscii di casa sbattendo la porta.

 
Squillò il telefono, era il mio amico che mi confermava l’appuntamento. Stavo per dirgli di lasciar perdere, poi cambiai idea.

«Io non posso venire, ho un impegno improvviso, ma Ryo verrà puntuale, probabilmente con un suo amico, un fotografo.»

Non sapevo perché mi sentivo magnanimo. Mandai un messaggio a Ryo al cellulare, gli confermai l’appuntamento con il mio amico e gli detti tutte le indicazioni per arrivare da lui. Gli dissi di farsi accompagnare dal suo amico e gli augurai un buon provino e che andasse bene. Punto. Per me Ryo non sarebbe esistito più.

Mi sedetti sul letto a fissare il vuoto che nell’armadio e subito squillò il cellulare.

«Sarà Ryo» pensai. «Invece era Karen, la bimba di Justin.

«Zio Brandon, perché non vieni da noi? È tanto che non vieni, ci avevi promesso di portarci in piscina.»

Aveva ragione e mi sentii un verme.

«Che ne dite di andarci oggi che è sabato?» chiesi.

«Io e Caleb con la mamma andiamo alle giostre.»

«E non posso venire anch’io? Così facciamo le gare sull’autoscontro. Papà e Caleb contro noi due, l’altra volta abbiamo vinto!» proposi.

«Eh no, non possiamo perché viene anche Mark e poi siamo in cinque.»

Pensai subito, scaricato anche dai bambini. E chi era poi questo Mark?

«Sei contenta di andare alle giostre con Mark?» chiesi, cercando di carpire qualche informazione in più.

«Mm… No, a me piaci tu, zio Brandon. Però mi sa che ci hai dimenticato…»

«No, Karin, non vi ho dimenticato,» sussurrai.

Pensai a Justin, alle parole che mi aveva detto la scorsa notte, cercai di ricordarle esattamente. Io gli ho chiesto se amava ancora Ben e lui mi aveva risposto «una parte del mio cuore sarà sempre suo.» Aveva detto una parte, e questo era normale, non potevo pensare che dimenticasse Ben, lui era veramente il migliore. Ma se quella parte di cuore ancora libero lo avesse dato a quel Mark?

Gli avvenimenti delle ultime ore mi avevano creato  una gran confusione in testa.  Non sapevo più cosa volevo e da dove cominciare, perché non da una doccia?

L’acqua che scorreva scacciava un sacco di pensieri  recenti, ma non i ricordi di quei momenti della mia vita, in cui ero ancora capace di amare. Dolore e dolcezza erano  dentro di me, insieme a una gran voglia di piangere. Lasciai scorrere le lacrime e i ricordi…

Justin aveva otto anni quando lo conobbi. Eravamo amici per la pelle, amici intimi. Eravamo molto legati, direi fratelli. Anche Ben frequentava la nostra casa, e spesso capitava di incrociarci tutti quanti. E tutti e due, Ben ed io, ci innamorammo di Justin. Ero così sicuro che scegliesse me! Ero più alto, più bello, più brillante, più ricco. Ma Ben era migliore, e Justin lo capì subito. Fu un fidanzamento lungo e tranquillo, il loro, senza una nube. Non accadde mai che litigassero, che si lasciassero almeno per un po’, in modo che io potessi sperare. Si sposarono quando Justin si fu laureato anche lui e Ben e io già lavoravamo nello studio di mio padre. Dopo un po’ adottarono Karen e tre anni dopo Caleb, erano felici, una famiglia completa. Poi quello stupido incidente, e il più piccolo dei bambini aveva appena due anni…

Guardai l’orologio, avevo il tempo di mangiare un panino al bar e mi avviai verso le giostre. Appena mi videro Karen e Caleb mi corsero incontro. Mi chinai e li presi in braccio tutti e due.

Justin mi presentò Mark, un su vicino di casa che probabilmente gli faceva la corte. Era un uomo cortese, ma si vedeva che gli seccava che io fossi lì. Iniziò una sorta di duello tra noi per accaparrarci le simpatie dei bambini: io proposi la giostra dei cavalli, lui l’autoscontro, io un gelato lui la merenda con le paste, cosa che ottenne un gran successo. Ci avviammo tutti insieme verso la pasticceria, ma io non entrai con loro. A un tratto mi sentii uno sciocco: Come ci stavamo comportando?

«Vi aspetto qui fuori» dissi.

Justin mi guardò e si fermò con me.

«Hai smesso di fare la gara?»
Era serio e bellissimo.

«Mi consideri un uomo infantile?» Gli chiedo.

«Per certi versi, lo sei, ma sei anche buono, generoso, capace di vera amicizia. Me l’hai dimostrato in tutti questi anni.»

«Dopo di te non ho mai amato nessun altro uomo. Justin, non ho potuto. Ora lo so che Ben avrà sempre una parte del tuo cuore, e anche del mio, ma ti chiedo se… c’è un piccolo posto anche per me» dissi, con la voce che mi tremava per l’emozione.

Justin aveva le lacrime agli occhi.

«Che cosa ti è successo? Dov’è finito il dongiovanni sempre sicuro di se?» chiese.

«Il dongiovanni ha ricevuto una lezione salutare».

Mi accarezzò dolcemente una guancia.

«Non voglio perderti un’altra volta, Justin» sussurrai.

Finalmente mi sorrise.

«Ho sempre sospettato che tu avessi un sacco di qualità e voglio scoprirle tutte, una per una» disse.

«Non mi hai risposto chiaramente. Non ho capito bene…»

Lui rise e fece cenno di sì. Mi sentii il cuore volare.

«Ho una voglia pazza di baciarti» gli dissi.

«Anch’io, ma direi che dobbiamo pazientare un po’».

Entrammo in pasticceria: Karen si stava facendo colare la crema di un cannolo sulla maglietta, Caleb leccava con impegno la glassa di un bignè. Mi vennero incontro, mi abbracciarono con le loro mani sudice.

Mark ci chiese cosa avremmo preso, avrebbe offerto lui. Quando uscimmo ci salutò in fretta e se ne andò. Doveva aver compreso tutto.

«Ciao Mark, ci sentiamo» gli disse Justin.

Ce ne andammo anche noi. Ci incamminammo per mano, tutti e quattro.

«Brandon, diventerai il mio papà?» mi chiese ad un tratto Karen.

«Sì, sì, che bello!» gli fece eco Caleb.

Feci di sì col capo e intanto cominciai a ridere e piangere, e anche Justin rise e pianse con me. Avevamo otto anni quando ci giurammo eterno amore.

Pensai a Ben, il mio amico, e lo ringraziai. Perché quello che in quel momento avevo era merito suo.

   
 
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