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Autore: Echocide    15/02/2018    0 recensioni
Dai lombi fatali di questi due nemici
toglie vita una coppia d'amanti avventurati,
nati sotto maligna stella,
le cui pietose vicende seppelliscono,
mediante la lor morte...

Agreste e Dupain sono due famiglie nobili di Paris, una città ricca di mistero e magia.
Una notte, il patriarca degli Agreste condanna i Dupain alla morte e dalla strage della famiglia, una bambina si salva: il suo nome è Marinette.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.045 (Fidipù)
Note: Penultimo capitolo ed anche quello che conclude la vicenda principale della storia (l'ultimo sarà un epilogo dove...beh, lo leggerete la prossima settimana) e non so che dire. Veramente non ho parole per questo capitolo, quindi vi lascio alle solite e noiose informazioni di rito, ricordandovi la pagina facebook, l'account instagram e quello twitter dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri, trovare i link delle playlist delle storie e tanto altro ancora. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92.
Per concludere, un grazie grosso quanto una montagna a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!
Grazie tantissimo!

 

Marinette inspirò, tenendo la spada davanti a sé e fissando l'uomo, cercando di non prestare particolare attenzione al corpo ormai senza vita di Gabriel: «Perché fate tutto questo?» domandò, sebbene dentro di sé fosse già a conoscenza della risposta: «Per il potere? Per governare su tutta Paris?»
«Che dire? Vedo che siete sveglia» commentò André, portandosi una mano al volto e massaggiandosi il mento flaccido: «Sì, voglio il potere. Voglio che il mio nome sia l'unico che i parisien ricorderanno: niente Tom Dupain, niente Gabriel Agreste. Solo André Bourgeois.»
«Solo il fatto che quei due uomini siano esistiti, che i parisien li abbiano conosciuti, farà sì che essi verranno ricordati, nel bene o nel male.»
«La storia si può cambiare, mia piccola principessina, ed è compito dei vincitori» André sorrise, allargando le braccia e facendo un passo verso di lei: «Quando salirò al trono di Paris, nessuno ricorderà i Dupain o gli Agreste, nessuno farà nome alle due famiglie, la cui sciocca faida ha dato vita alla tragedia di due amanti, segnati da una cattiva stella. Sto parlando di te e Adrien, mia principessina. Quasi quasi sentirò un menestrello, forse potrò far ricordare questa storia con una ballata ed io riderò ogni volta che l'ascolterò.»
«Voi siete malato.»
«Io sono sano, mio giovane fiore» André piegò gli angoli della bocca verso l'alto, muovendo un passo nella sua direzione e tenendo il pugnale ben stretto nella mano, cercando di eseguire un affondo; Marinette lo parò, facendo cozzare la propria lama con quella del nemico, tentando poi di eseguire un affondo a sua volta ma fallendo quando, nonostante la mole, l'uomo scattò di lato: «Vedo che siete stata addestrata all'uso dell'arma bianco.»
«Ho avuto un ottimo insegnante» dichiarò Marinette, serrando maggiormente la presa attorno alla guardia e passandosi la lingua sulle labbra, avvertendo qualcosa di diverso in quello scontro: quell'uomo voleva la sua morte, esattamente come Gabriel Agreste, ma lei si sentiva capace di macchiarsi dell'uccisione, cosa che non aveva avuto il coraggio di fare con l'altro.
«Mi dispiace che tutto finirà così, però» dichiarò André, muovendosi ancora una volta molto velocemente rispetto al proprio fisico e affondando il pugnale: Marinette lo parò nuovamente, sentendosi però mancare il pavimento sotto ai piedi e cadendo, avvertendo il dolore irradiarsi dal suo fianco destro che aveva cozzato sulle mattonelle.
Cercò di alzarsi, ma si ritrovò solo a scivolare con le mani sul suolo, sentendo la viscosità del sangue sulle dita e notando il corpo di Gabriel vicino a lei: «Morirai per colpa del sangue del tuo nemico» dichiarò André, calando su di lei e prendendola per un braccio, infilzando il pugnale nelle sue carne e facendola boccheggiare, muovendo il pugnale nel petto, poco sopra il seno destro e osservandola in volto, socchiudendo gli occhi quando urlò dal dolore: «Addio, mia piccola principessa» le bisbigliò, posandole la mano sulla spalla e spingendola all'indietro.
Marinette osservò il soffitto della stanza, ascoltando i passi dell'uomo che si allontanavano da lei e voltando appena la testa, guardando la figura imponente del suo carnefice andarsene, senza curarsi della sua vita o della sua morte.
 
 
Delirio.
Nino si tolse il cappello, passandosi il braccio sulla fronte e osservando ciò che si palesava davanti a lui e non riuscendo a comprendere come la situazione potesse essere degenerata in così poco tempo: della sommossa più o meno tranquilla che aveva visto, quando era giunto in quel luogo con Marinette, non c'era più niente. La gente sembrava impazzita e, dopo aver preso e ucciso le guardie del palazzo assieme ad alcuni nobili, ora combattevano gli uni contro gli altri come se tanti piccoli demoni stessero aizzando l'intera folla: «Perché non fate niente?» domandò alla donna al suo fianco e notando che anche lei fissava con crescente sorpresa e paura ciò che aveva scatenato: «Marinette e Adrien non avrebbero mai lasciato che si giungesse a tutto questo» decretò, voltandosi quando le urla si fecero più forti.
Un uomo era uscito dal castello, un braccio alzato e qualcosa che penzolava nella sua mano, marciando fra il caos e il delirio, Nino notò come la gente si fosse calmata, quasi che quel gesto avesse fatto comprendere loro qualcosa: non capiva cosa lo sconosciuto teneva in mano, almeno fino a quando non fu a pochi passi da lui.
Ringraziò il fatto di essere a stomaco vuoto e di non poter rimettere nulla, mentre si portava una mano alla bocca e fissava inorridito la testa di André Bourgeois che penzolava fra le dita dello sconosciuto: il collo era stato tagliato e la ferita frastagliata faceva intendere che c'era stato bisogno più di un colpo.
Indietreggiò, pensando a ciò che l'uomo aveva sofferto nei suoi ultimi momenti di vita: non era stato un buon uomo, uno di quelli di cui suo padre si fidava, ma una morte del genere non l'avrebbe data a nessuno, neanche al suo peggior nemico.
«E Gabriel Agreste?» domandò la donna, osservando quasi con malcelato disgusto la testa che gli era stata offerta: «Dov'è?»
«Morto, mia regina» dichiarò l'uomo, chinando la testa: «Lo abbiamo trovato in una delle stanze del secondo piano con la gola tagliata.»
Nino distolse l'attenzione dalla testa, voltandosi verso Sabine e osservandone i lineamenti del volto tirati, lo sguardo senza alcuna emozione: suo padre gli aveva parlato tante volte di quella donna, enfatizzando la sua dolcezza e gentilezza, eppure adesso si trovava incapace di collimare l'idea che aveva avuto di Sabine Dupain con l'algida regina che aveva davanti a sé.
«Avete per caso visto Marinette e Adrien?» domandò, continuando a fissare la donna e sperando in un qualcosa che la rendesse umana, incapace di osservare il boia di Bourgeois e, dopo una mancata risposta, deglutì e portò l'attenzione sull'uomo, cercando di guardare il meno possibile la testa mozzata: «Il principe Adrien e la principessa Marinette.»
«No. Se avessi visto il principe, ci sarebbero state due teste nella mia mano» dichiarò l'uomo, accompagnando le parole con una risata sguaiata e venendo imitato da coloro che lo circondavano: «Perché? Sei un Agreste?»
«Non sono un Agreste, sono…» Nino scosse il capo, osservando il castello e stringendo i pugni: «…nessuno.»
 
 
Si accasciò, tossendo e avvertendo sulla lingua il sapore metallico del sangue, le orecchie erano piene dei suoi respiri pesanti e affannati, mentre l'odore di morte, che aleggiava ovunque, le aveva invaso le narici; inspirò, stringendo le dita e socchiudendo gli occhi, ascoltando distratta i rumori che provenivano da fuori e le urla concitate: dopo che André se n'era andato, anche lei aveva lasciato la stanza, sopportando il dolore della ferita e cercando di allontanarsi il più possibile, con la paura che quell'uomo potesse tornare e finirla.
Non che ci fosse un destino ben diverso per lei.
Stava morendo. Lo sentiva, lo avvertiva di più a ogni passo: era troppo il sangue che aveva perso e non ce l'avrebbe mai fatta a sopravvivere; solo arrivare all'entrata del palazzo sarebbe stato un qualcosa di impossibile per lei, in quelle condizioni.
Chinò la testa, mordendosi le labbra per impedire ai singhiozzi di uscire, sapendo benissimo che non era quello il momento di lasciarsi andare, di perdere ogni speranza e voglia di combattere: doveva andare avanti, doveva continuare a credere in una qualche sorta di miracolo.
Poteva farcela, perché lei non voleva morire.
Non voleva andarsene senza aver visto Adrien, almeno per un'ultima volta.
Voleva rivedere i suoi occhi, carezzare il suo viso e sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, che lei sarebbe sopravvissuta e avrebbe continuato la sua vita al fianco di lui.
Strinse i denti, posando la mano sul muro e inspirando a fondo, cercando di ignorare le fitte di dolore che si palesavano a ogni suo respiro: Si rialzò e mosse un piede, poi l'altro, avanzando con lentezza lungo il corridoio, spinta da quel bisogno di lottare che era nato in lei.
Non si sarebbe arresa, non in quel momento.
Si fermò, tenendo la mano sempre ben ferma sul muro e inspirò a fondo l'aria, tossendo appena e portandosi una mano alla bocca, mentre abbassava il capo e osservava alcune gocce del suo sangue macchiare il marmo candido del pavimento: «Marinette?» il suo nome, quel richiamo appena accennato, le fece alzare la testa e rimase immobile, mentre osservava il giovane che, la camicia chiara completamente imbrattata di sangue, avanzava verso di lei con una mano premuta sull'addome.
«Adrien?» bisbigliò, quasi non credendo a ciò che aveva davanti a sé e rimanendo immobile, mentre lui si affrettava a raggiungerlo: «Sei ferito» bisbigliò, allungando una mano e cercando di scostare quella del ragazzo.
«Anche tu» dichiarò Adrien, tenendo lo sguardo verde sulla camiciola di Marinette, in gran parte zuppa di sangue: «Che cosa è successo? Perché sei qui?»
«Per te.»
«Non dovevi venire» bisbigliò il giovane, lasciandosi cadere per terra e venendo imitato da Marinette: la guardò mentre lei allungava la mano verso di lui e le carezzava il volto: «Mio cugino mi ha ferito» riuscì a dirle, stringendo appena le labbra e continuando a tenere le dita premute sull'addome: «Io non credo che…»
Marinette scosse il capo, sistemandosi fra le gambe di Adrien e poggiandosi contro di lui, sapendo benissimo cosa le avrebbe detto: non voleva semplicemente sentirlo, non voleva ascoltare quella verità che già sapeva. Posò la testa contro la spalla, inspirando e lasciando andare l'aria.
Sarebbe rimasta lì con lui.
Non aveva più senso continuare ad andare avanti. Non aveva più forze per farlo e tutto ciò che voleva era semplicemente abbandonarsi.
«Fu non la prenderà bene» bisbigliò, la voce rotta dai respiri, e sorridendo appena al pensiero che aveva avuto e alla sua mente che andava a posarsi sulle sciocchezze: «E neanche Alya o Nino.»
Adrien sorrise appena, scostando una ciocca di capelli dal volto della ragazza e poi passandole il braccio attorno alla vita, posandole entrambe le mani in grembo: «Non volevo che finisse così» bisbigliò, sentendo le palpebre farsi pesanti e trovandosi incapace di combattere ancora per molto la voglia di abbandonarsi: «Avrei voluto vivere con te per sempre.»
Marinette sorrise, osservando la finestra davanti a sé e notando il cielo rosato che si vedeva al di là del vetro: quella notte maledetta era dunque finalmente giunta alla sua conclusione.
«Dovresti andare» le mormorò Adrien, il respiro pesante e affannato: «Se ti trova qualcuno potresti salvarti…»
«No.»
«Marinette…»
«Non ho più forze, Adrien» bisbigliò la ragazza, alzando con lentezza una mano e portandola al petto, scostandosi non senza dolore la camiciola e vedendo che, in parte, si era attaccata alla ferita: «Non ce la farò.»
«Non doveva finire così.»
«L'hai già detto.»
Adrien annuì appena, alzando la testa e poggiandola contro il muro, inspirando profondamente e lottando contro il suo stesso corpo che, ormai, era giunto al limite: «Ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti?»
«Come dimenticarlo?»
«Ti ho amata fin dal primo istante» bisbigliò Adrien, lasciando andare un sospiro e abbandonando la presa attorno alla sua vita; Marinette rimase immobile, chiudendo con forza le labbra quando si accorse che non c'era più nessun fiato caldo che le provocava brividi lungo la schiena e che il petto contro cui era poggiata non si muoveva più.
Si portò una mano alla bocca, soffocando il proprio gemito e lasciò che le lacrime scorressero lungo le sue guance; strinse i denti, respirò profondamente più volte e cercò di voltarsi, impedita dal corpo che cominciava a non risponderle e a trovare faticoso il più minimo movimento.
Adrien teneva gli occhi chiusi e le labbra leggermente aperte, la testa era reclinata di lato e i capelli completamente spettinati: avrebbe potuto dire che stava dormendo, mentre allungava le dita e sfiorava la sua bocca ancora calda. La morte non aveva portato via il suo calore, né la sua bellezza: «Vorrei averti incontrato in un mondo dove fossimo stati felici» bisbigliò, carezzandogli il volto e stringendosi più a lui, posando il volto contro la spalla e inspirando il profumo di Adrien, misto all'odore del sangue: «Un posto dove ci saremmo potuto amare ed essere felici» si allungò, sfiorandogli la guancia con le labbra: «Possano le nostre anime, ritrovarsi ancora una volta.»
Lo fissò, carezzandogli il volto e posando nuovamente la testa contro la sua spalla, chiudendo gli occhi e lasciando andare un sospiro: non aveva più voglia di lottare o combattere, semplicemente il bisogno e la voglia di lasciarsi andare.

 
   
 
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