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Autore: Argus_Apocraphex    18/02/2018    0 recensioni
La dose dell’ottantacinquesimo giorno era perché probabilmente non aveva sperato abbastanza e doveva farlo con più forza e visualizzare il suo volto e se avesse voluto avrebbe potuto far ritornare anche nella stanza il profumo di lei. Per essere sicuro di essere salvato da lei solo e soltanto e che nessuno lo imbrogliasse,anche stramazzato a terra avrebbe potuto riconoscere la sua voce delusa. Se fosse tornata l’avrebbe distrutta ma almeno sarebbe stata lì,ancora.
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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                                                                                              CAPITOLO UNO 




 In un altro universo avrebbe scelto l’altra strada del bivio. Non avrebbe voluto ricominciare del tutto la sua vita,avrebbe semplicemente voluto deviare verso un’altra realtà. O forse voleva solo l’ assaggio di un’altra realtà per sentire più dolce quella che già gli apparteneva? Se qualcuno gli avesse chiesto di immaginare la sua vita probabilmente, dopo un minuto di silenzio per trovare il coraggio di aprirsi, avrebbe risposto con un’ immagine. Quella di una scacchiera, in cui sentiva suoi solo gli spazi neri. Quelli bianchi non gli appartenevano,erano estranei alla sua immaginazione. Inconcepibile per chiunque non riuscire a trovare il contrario di se stessi per migliorarsi. Anche l’uomo più testardo avrebbe saputo indicare il proprio contrario, sarebbe poi tornato sui propri passi e mescolando le proprie certezze a quelle che stava imparando a tenere fra le mani,tra le dita come seta lieve, sarebbe diventato il meglio di quello che poteva essere. Teoria fragile. Perché i giorni passano e le opinioni cambiano e in tutto questo trasformarsi e divenire, preferiva rimanere fermo al sicuro aspettando quel domani che prima o poi sarebbe arrivato e avrebbe rivoluzionato la sua intera vita. Aspettava nella penombra del suo monolocale. L’ombra bruna delle tende riciclate dalla casa di sua madre copriva metà del suo volto. L’altra metà era illuminata dalla pallida luce che filtrava dal finestrone che affacciava sul marciapiede. Ipnotizzava la sua mente osservando da quella finestra sul mondo le gambe che correvano, passeggiavano e ogni tanto alzavano l’acqua delle pozzanghere quando pioveva e le pareti in cui aveva deciso di isolarsi iniziavano ad avere l’odore di umidità. Sarebbe stato capace di rimane per tutto l’ inverno su quella poltrona che ormai lo accoglieva come se fosse parte integrante del suo telaio, tra le braccia la chitarra che non aveva voglia di accordare. Ogni tanto sfiorava le corde colpevole,come guardando in uno specchio si ritrovava a testimoniare l’aridità del sangue che gli scorreva nelle vene. Una volta era tutto fuoco,adesso era tutto vuoto. Furono esattamente 83 i giorni passati in compagnia dei respiri strozzati dall’angoscia. Furono esattamente 83 i giorni passati in compagnia dei fogli bianchi che lo terrorizzavano quasi quanto l’assenza di lei. Fu un attimo che decise di tornare tra le mani viscide dell’ amante da cui era convinto di essere sfuggito. Era sicuro che nonostante lei non potesse più vederlo, sarebbe tornata per fermarlo.
La dose dell’ottantaquattresimo giorno fu per lei, per la convinzione che l’avrebbe salvato di nuovo come quando aveva avuto venti anni. Lui era quasi un uomo, ma nonostante lei avesse ancora il sorriso delle bambine era riuscita a salvarlo nel silenzio di un vicolo di periferia che puzzava di piscio, semplicemente con il suo sguardo e con il suo profumo.
La dose dell’ottantacinquesimo giorno era perché probabilmente non aveva sperato abbastanza e doveva farlo con più forza e visualizzare il suo volto e se avesse voluto avrebbe potuto far ritornare anche nella stanza il profumo di lei.
Per essere sicuro di essere salvato da lei solo e soltanto e che nessuno lo imbrogliasse,anche stramazzato a terra avrebbe potuto riconoscere la sua voce delusa. Se fosse tornata l’avrebbe distrutta ma almeno sarebbe stata lì,ancora.
La dose dell’ottantaseiesimo giorno fu per l’angoscia , per l’abbandono e per l’incredulità del suo non-ritorno.
La dose dell’ottantasettesimo giorno fu per la solitudine e il vuoto che lei gli stava causando e che pesavano come il suo corpo nell’angolo della sua stanza che non riusciva più a spostare senza provare dolore alle articolazioni.
Il novantesimo giorno finalmente la vide davanti a sé con la sua maglia preferita e i capelli rossi tinti che si mettevano sempre tra i loro baci. Non poteva toccarla ma avrebbe voluto tirarle quei capelli e farle capire quanti secondi avevano perso per colpa di quella chioma fitta in cui le sue mani rimanevano sempre bloccate e che stringeva sempre mentre lei si muoveva sotto di lui permettendogli qualunque oscenità pur di farlo sentire parte di un qualcosa che lo soddisfacesse.
L’aveva vista sdraiata sul suo letto più di quante volte lui meritasse di essere amato da quella ragazzina.
L’ultima dose fu per lei,perché per tutte le volte che l’aveva vista sdraiata sul suo letto, non aveva mai avuto il coraggio di andare a vedere la sua lapide e immaginarsela un’altra volta sdraiata. Fredda,come solo i morti possono esserlo. Avrebbe voluto passare una notte a dormire sulla lapide sussurrandole quanto la odiava per essere morta e averlo lasciato solo ad amarla. “Xandra Faramir,  11/05/1998– 27/10/2017” recitava  probabilmente la sua lapide, “trova la pace tra gli Angeli” gli faceva ridere solamente a pensare ad un posto in cui lei potesse convivere con gli Angeli. Se fosse esistito un posto,quello sarebbe stato sicuramente l’Inferno. E secondo le credenze, chi faceva la fine di Xandra, finiva dritto all’Inferno.  Si era ripromesso, mentre l’effetto dell’eroina gli intorpidiva il cervello che sarebbe andato a trovarla per farle vedere, ovunque quella ragazzina stronza fosse, che lui non sarebbe mai stato un vigliacco. Non sarebbe mai stato un vigliacco nonostante la sua paura più grande fosse quella di uscire di casa e ritrovare il viso di lei all’improvviso,spuntare dall’angolo e  poi sparire nella folla,proprio come aveva scelto di sparire dalla sua vita. Senza fargli capire nulla, senza avvisarlo. Avrebbe potuto fare qualcosa,probabilmente avrebbe potuto restituirle il favore e salvarla. Ma da cosa? Era sicuro che se fosse rimasto accanto a lei, non sarebbe successo nulla. Era anche colpa sua se lei non c’era più e se un giorno d’autunno all’appartamento in cui viveva insieme a suo padre erano state recapitate le sue ceneri in una di quelle urne bianche e sterili tipiche del Saint Paul Hospital. Il bianco significava suicidio. Ma nessuno credeva a quell’urna. Quell’urna poi aveva viaggiato per tutto il paese fino ad arrivare a lui,con una lettera di Will Faramir in cui si scusava per non aver avvisato prima della morte della figlia. Tipico di un alcolista mercenario. Prima di addormentarsi aveva preso l’abitudine di provare a suonare la sua canzone preferita dei Nirvana. Ma le dita tremavano e finivano per essere solo articolazioni furiose che non rispondevano più agli ordini del proprietario. Avrebbe voluto scriverle anche una canzone. Non era mai riuscito a farlo,nemmeno quando era viva e gironzolava per il suo monolocale. Non sapeva come riassumere in pochi minuti quello che voleva dire. Non perché lei fosse perfetta, ma perché era troppo di tutto alcune volte e la grafite, il foglio bianco e la sua voce non sempre intonata limitavano il tutto. Lo faceva impazzire il fatto che ciò che lui sapeva fare meglio non poteva descrivere ciò che lui aveva più amato. Era come sentirsi inutile per se stesso.  Nel cassetto a destra del divano, c’era ancora la cintura che gli aveva il giorno del suo ventunesimo compleanno. Spesso l’aveva legata stretta ad un cavo che usciva dal soffitto,l’aveva guardata ciondolare e aveva continuato ad immaginare di vedere il proprio corpo oscillare. Era tormentato dalla sua voce nella notte, non lo lasciava dormire. Non lasciarmi,diceva. Quella stronza anche da morta giocava con lui. Gli chiedeva di non lasciarla mentre era se stesso che in quel momento non doveva lasciare andare. E poi, lui non l’aveva mai lasciata. Era stata lei a morire. Durante il giorno invece calava sulle spalle la consapevolezza di averla abbandonata nella zona Nord del Paese, la zona di guerra, mentre lui era partito per cercare la fortuna e la fama. Cercava la fama in un paese che lasciava morire di fame il suo popolo. E lui voleva cantare, voleva sfidare l’Oppressione con le sue canzoni, ma l’aveva lasciata morire da sola. Il suo amore era morto per un’illusione vana. L’idea di raggiungerla lo tentava da morire. Poi tornava ad ipnotizzasi e guardare dalla finestra che dava sul marciapiede le gambe che correvano, passeggiavano e ogni tanto alzavano l’acqua delle pozzanghere quando pioveva e le pareti in cui aveva deciso di isolarsi iniziavano ad avere l’odore di umidità.





 


 
  
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