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Autore: Leila 95    23/02/2018    1 recensioni
Trascorriamo la vita ad aspettare cose che non arriveranno mai, e dalle quali facciamo dipendere la nostra felicità. Poi accade l'inaspettato...e allora tutto assume una piega diversa, lasciandoci interdetti.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Reise Nach Deutschland
“Avresti dovuto dirmelo” disse Hans, così piano che lei quasi stentò a sentirlo. Le parve di percepire una punta di risentimento nelle sue parole, ma non ne era sicura.
“Che cosa?”
“Che non lo avevi mai fatto.”
Sabrina si voltò fra le sue braccia per guardarlo negli occhi. “Da cosa lo hai capito?”
Avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa, per esempio che si era accorto della sua esitazione o che l’aveva sentita tremare fra le sue braccia, ma la sua risposta fu molto più banale. “Ho visto il sangue sul lenzuolo.”
“Avrebbe fatto la differenza se lo avessi saputo?”
Hans annuì. “Questo non sarebbe successo.”
“No?”
“No. Avrei dovuto immaginare che dalle vostre parti queste cose vanno diversamente e…” lasciò cadere la frase, non sapendo come continuare.
La ragazza invece fu più diretta. “Se intendi dire che in Italia le ragazze restano vergini fino al matrimonio, per quanto viva in un paese arretrato non è certo il Medioevo!” E così si trattava semplicemente di un fraintendimento culturale, dove i sentimenti non c’entravano proprio nulla? Una gaffe dovuta alla non conoscenza delle sue tradizioni, delle usanze del paese da cui proveniva?
“Scusami, non volevo essere offensivo” si giustificò prontamente lui. “Né nei confronti del tuo paese né tantomeno nei tuoi.”
Per un po’ tacquero entrambi, per calmare la tensione che era nata fra di loro. “Questo non sarebbe dovuto succedere in ogni caso” continuò la giovane dopo qualche momento. Abbassò la testa sul suo petto, incapace di sostenere il suo sguardo per la vergogna che stava provando. Sarebbe stata assai dura continuare a frequentarlo dopo ciò che era accaduto.
“Perché?” le chiese. “Non abbiamo fatto nulla di illegale.”
Sabrina si chiedeva se non la stesse prendendo in giro. A volte ancora non riusciva a capire quando scherzava e quando faceva sul serio…ci sarebbero voluti anni prima di capire il senso dell’umorismo dei tedeschi, forse non lo avrebbe capito mai. L’ironia è insita in ciascuna cultura ed è quasi impossibile da tradurre in un’altra lingua con lo stesso risultato.
In Italia non c’era nessuna legge che vietasse a un professore di portarsi a letto un proprio studente – ovviamente maggiorenne e consenziente. Probabilmente una tale legge non esisteva neanche in Germania, eppure le sembrava tremendamente immorale, eticamente scorretto. Fare sesso col proprio insegnante non era illegale, ma era certamente una delle cose più sbagliate che avesse potuto fare da quando aveva messo piede in Germania.
Era in Germania solo da sei settimane, anche se le sembrava di viverci da sempre. Aveva lasciato il piccolo paese del sud Italia dove viveva con la sua famiglia per frequentare una Sommerschule – uno di quei corsi estivi di lingua tedesca che le università organizzavano per gli studenti stranieri: otto settimane di corso intensivo di lingua per migliorare il tedesco appreso negli anni dell’università e per approcciarsi ad una cultura finora conosciuta solo attraverso i libri. I suoi genitori avevano voluto regalarle quell’opportunità di crescita professionale e personale, nonché una bella esperienza da mettere nel suo bagaglio, e lei non poteva che essergli grata per questo.
Era partita con la valigia piena di vestiti pesanti – benché fosse piena estate, tutti a casa sua e lei stessa erano convinti che in Germania facesse sempre freddo – e con la testa piena di obiettivi – primo fra tutti, capire chi fossero davvero quei tedeschi che aveva conosciuto solo studiando, di cui sapeva la lingua e null’altro: avrebbe parlato il più possibile con le persone, visitato parchi e musei, sarebbe andata al cinema e a teatro, avrebbe assaggiato ogni tipo di pietanza tipica, per assorbire il più possibile quella Kultur di cui il professor Corrado aveva diffusamente parlato durante le sue lezioni al primo anno di letteratura tedesca.
 
Aveva scelto Lipsia come meta del suo soggiorno.
Si trovava nella ex-DDR e questo significava uno stile di vita abbastanza economico per la media tedesca. Era una città dal grande e importante passato: tanto per fare un esempio si narrava che il Faust stesso, assieme a Mefistofele, avesse bevuto in una Kneipe a Lipsia e ne fosse fuggito dopo una rissa in sella ad una botte di vino. Inoltre, era a misura d’uomo – o, almeno, questo era ciò che si poteva immaginare dalle fotografie viste su internet. Anche la sua professoressa di tedesco I, con la quale si era consultata prima di decidere definitivamente dove andare, aveva proposto Lipsia: l’università cittadina era una delle più antiche e importanti di tutta la Germania, e lì avrebbe potuto frequentare corsi di elevato livello qualitativo e essere seguita nel suo percorso di studi in maniera adeguata.
Era partita all’inizio di giugno, una settimana prima dell’inizio dei corsi, per darsi il tempo di ambientarsi nella nuova nazione e di conoscere la città che l’avrebbe ospitata per i successivi due mesi. In pochissimi giorni, malgrado il suo pessimo senso dell’orientamento che la portava a perdersi a volte persino nel suo paese, aveva esplorato con successo tutte le strade del quartiere in cui alloggiava. In meno di una settimana aveva imparato ad utilizzare al meglio la U-Bahn per spostarsi e aveva già visitato quasi tutti i luoghi di maggiore interesse storico-artistico segnalati dalla sua guida.
All’inizio dei corsi all’università, la settimana seguente, credeva di essere pronta a qualsiasi cosa l’ateneo avesse voluto offrirle – e forse lo era. Ma certamente non era pronta a quello che di lì a poco le sarebbe successo.
Fra i tanti docenti messi a sua disposizione dall’ateneo, ce n’era uno che attirò immediatamente la sua attenzione. Hans Nikolaus Schmeisser era il suo insegnante di scrittura creativa, un corso che seguiva il martedì e il giovedì. Non era la prima volta che le capitava di frequentare un corso del genere in tedesco – già al secondo anno di università il suo ateneo aveva offerto la possibilità di un corso mirato allo sviluppo delle abilità scrittorie degli allievi di tedesco, ma Frau Münter si era rivelata una vecchia acida assolutamente incapace di insegnare a scrivere in modo creativo, abile solo a demotivare gli studenti e a fare a pezzi la loro autostima per un suo perverso diletto.
Herr Schmeisser non era esattamente un professore, nel senso italiano del termine, ma un Lektor, ovvero un insegnante che si occupa di spiegare ai suoi studenti la grammatica e la sintassi tedesca: figura di rilievo all’interno dell’ateneo, ma non troppo quindi, trattandosi solo di un madrelingua senza cattedra di docente e senza troppe tutele sindacali.
Non appena Sabrina lo vide, il primo martedì di corso, la colpì in modo inspiegabile. Nonostante il suo aspetto maturo, si capiva che era giovane – aveva trent’anni al massimo: lineamenti severi, mascella spigolosa, quei capelli tagliati troppo corti per i suoi gusti, la pelle così chiara da essere quasi trasparente e gli occhi del colore del ghiaccio…era decisamente lontano dagli standard dei ragazzi italiani che aveva avuto modo di frequentare in passato, e anche da quelli dei suoi precedenti Lektoren di tedesco della sua università in Italia. Forse non era di Lipsia, si trovò ad ipotizzare, forse era originario del nord – Sassonia o Holstein, probabilmente. Incuteva rispetto e timore anche se non faceva nulla che mettesse paura, anzi: parlava sempre con un tono di voce moderato, non urlava mai, non costringeva gli studenti a parlare se non volevano né a leggere ad alta voce le loro Produktionen. Del resto, erano in un ambiente accademico, e i docenti non potevano costringere i loro alunni a svolgere i compiti o a frequentare le loro lezioni.
Tuttavia c’era qualcosa nel suo modo di fare così tranquillo e pacato che gli assicurava naturalmente il rispetto e l’attenzione di tutta la classe: aveva indubbiamente carisma, e sapeva come catalizzare su di sé i pensieri dei suoi studenti.
 
All’inizio pensò che la sua attrazione fosse dovuta al fatto che aveva sempre avuto un debole per i professori affascinanti e al tempo stesso intelligenti e dotati di grande cultura. Herr Schmeisser era davvero un bell’uomo, quando spiegava aveva una voce bassa e profonda – baritonale, come piaceva a lei, e sembrava sempre sicuro di sé…cosa c’era di male a fantasticare un po’ su di lui?
Ben presto, però, capì che non era solo una semplice infatuazione quella che provava e, cosa ancora più grave, si rese conto che il suo interesse per il professore era ricambiato. Con molta discrezione Herr Schmeisser aveva iniziato a intrattenere conversazioni con lei che andassero oltre il rapporto docente-alunno che li legava. Con qualche scusa spesso la invitava a restare nell’aula alla fine della lezione, per godere della sua compagnia da solo: perlopiù le restituiva le Produktionen corrette, elogiandola ogni volta per la completezza delle sue espressioni, per la scelta del lessico, per i contenuti molto validi. La riteneva la migliore allieva di quell’estate, se non la migliore di sempre. Fu assai breve il passo che li portò dal parlare dei compiti al chiacchierare di tutt’altro – del suo percorso universitario in Italia, degli esami che aveva sostenuto, di come si stesse trovando a Lipsia, di quali fossero i suoi interessi. Alla fine di ogni lezione, o quando capitava che si incontrassero nei corridoi dell’università, non rinunciavano mai a scambiare due parole e a godere intimamente di quella compagnia inaspettata quanto preziosa.
Come attività di studio extracurriculare, che si svolgeva ogni giovedì pomeriggio, era stata proposto agli studenti la visione di film tedeschi sottotitolati. Sabrina aveva aderito all’iniziativa e Hans – Herr Schmeiser – si era offerto di accompagnarla con la propria auto. Videro “Der Himmel über Berlin” e mangiarono popcorn caramellati, poi lui la riaccompagnò all’ostello dove alloggiava. Questo fu in breve il loro primo appuntamento.
A questo incontro ne fecero seguito altri, via via sempre più frequenti, dopo le lezioni della mattina o nel weekend. L’ateneo organizzava per gli studenti delle Sommerschulen gite a luoghi di interesse o alle città vicine il sabato e la domenica. Sabrina partecipò solo alla prima di quelle visite guidate, quella allo zoo di Lipsia. I weekend successivi li trascorse tutti in compagnia del suo docente di scrittura creativa, a cui si stava affezionando sempre di più.
Nelle loro uscite Sabrina si accorse che non era molto loquace fuori dalle mura dell’università: spesso era taciturno, immerso in chissà quali pensieri o forse imbarazzato dal fatto di stare solo con lei. Quando erano in macchina, per esempio, non parlava mai, e lei si ritrovava a fissare il paesaggio dal finestrino; anche quando passeggiavano insieme vi erano dei lunghi silenzi fra di loro. Stranamente questa cosa non le creava imbarazzo, benché fosse di sua indole una gran chiacchierona, le infondeva anzi tranquillità e pace: con Hans si sentiva a proprio agio, completamente, e le chiacchiere le apparivano superflue.
 
La quarta domenica di corso Hans la portò a Berlino. Andarono in macchina fino alla stazione, poi da lì presero il treno per raggiungere la capitale. Visitarono i monumenti più importanti – il Rathaus, il Parlamento, Potsdamer Platz, la porta di Brandeburgo – ma anche luoghi che passavano inosservati alla maggior parte dei turisti, scorci caratteristici e poco conosciuti. Evidentemente il professore conosceva quella città piuttosto bene: senza bisogno di cartine o di guide turistiche le mostrò il meglio che Berlino potesse offrire al suo sguardo curioso, senza farla annoiare mai.
In quell’occasione scoprì che Hans era un appassionato di fotografia: aveva portato con sé la sua macchina fotografica e le insegnò come scattare delle foto decenti, che valesse la pena di conservare – non i soliti scatti da cartolina, ma fotografie che avessero un’anima, che trasmettessero delle emozioni. Non era così difficile in una città particolare come quella. Davanti ai graffiti su una delle poche porzioni di Muro ancora in piedi Hans aveva fermato un passante e gli aveva chiesto di scattare loro una foto. Fino a quel momento, era l’unica fotografia che si erano fatti insieme, e Sabrina non aveva ancora il coraggio di chiedergliene una copia. Dopo quella foto lui la baciò, in mezzo alla folla di turisti e passanti, davanti a quei mattoni che per troppo tempo avevano diviso due pezzi di uno stesso popolo, con dolcezza e trasporto allo stesso tempo.
Quando la riaccompagnò all’ostello, quella sera, si salutarono con un lungo e languido bacio. Se il bacio scambiato a Berlino era stato di prova, questo non lasciava spiragli di dubbio sul nuovo stato della loro relazione.
 
Quel pomeriggio erano stati insieme al Bach-Museum, poi avevano fatto una passeggiata nel Clara-Zetkin-Park. In silenzio avevano attraversato il cuore della città che si preparava al Feierabend, con i lampioni che si accendevano, le serrande dei negozi che si abbassavano e le persone che uscivano dagli uffici e si preparavano a tornare a casa o a fermarsi in qualche Kneipe per una birretta con amici e colleghi – e poi si diceva che i tedeschi non sapevano come divertirsi. Avevano mangiato una bistecca con l’insalata di patate in un’osteria particolarmente affollata – del resto, era venerdì sera e la maggior parte delle persone si era riversata nei locali per dare inizio al weekend.
Dopo la cena si erano rimessi in macchina. Ti va se andiamo a casa mia? le aveva chiesto. Non c’erano veli in quella sua proposta, tuttavia lei aveva accettato, nonostante le evidenti implicazioni che ciò avrebbe comportato.
L’aveva portata lontano dal centro, oltre le bicocche di lusso e gli edifici post-unificazione, nella zona della città che ancora mostrava i segni del suo passato socialista attraverso uno stile architettonico davvero deprimente. Erano saliti nel suo appartamento all’ultimo piano di uno di quei casermoni che parevano tutti uguali: una casetta modesta e sobria, ma al contempo molto graziosa – non sembrava la casa di un professore, ma piuttosto quella di un artista. Ciò che aveva colpito l’attenzione di Sabrina fu un cavalletto sistemato accanto alla finestra socchiusa, con un quadro lasciato ad asciugare, e un piccolo tavolino dove giacevano tubetti di colori, barattoli pieni di pennelli e uno straccio tutto macchiato. Il quadro rappresentava una donna che sembrava assomigliarle, ma la ragazza sperò con tutto il cuore di sbagliarsi.
L’aveva presa per mano e l’aveva portata nella stanza da letto, poi aveva iniziato a baciarla. La barba non fatta da un paio di giorni le pungeva sulla pelle delle guance e del collo, ma non gli aveva detto di smettere. Con garbo le aveva chiesto il permesso di toglierle i vestiti che indossava, di poter toccare la sua pelle nuda, di poter entrare dentro di lei, senza mai smettere di guardarla negli occhi e di cercare i suoi baci.
 
Quella prima volta non era andata come Sabrina se l’era aspettata – ma, del resto, c’era da aspettarselo.
Tutto era stato così naturale, spontaneo, come se fossero nati per stare insieme e per fare l’amore. Per istinto le loro mani si erano cercate e le loro dita si erano intrecciate, mentre i loro cuori battevano all’unisono e i loro corpi si davano reciproco piacere. Non c’era stato niente da dire, perché in quel momento avevano fuso le loro anime in qualcosa di più grande di loro.
Solo dopo, quando la loro unione si era inevitabilmente interrotta, la realtà si era manifestata come un demone cattivo ed era piombata ad opprimerle il cuore: per quanto fosse stato bello, non sarebbe dovuto accadere e di certo non poteva accadere mai più. Ora il suo cuore era scosso dalla rabbia contro se stessa, per essersi lasciata andare così facilmente, e dalla vergogna, tanto da riuscire più a guardare il suo amante negli occhi.
 
Io ti amo” disse Hans ad un tratto. Pronunciò quelle parole in italiano, una lingua per lui straniera ma per lei intima e familiare, ciononostante le suonarono strane e lontane: era impreparata alla carica emotiva dietro quella semplice affermazione e quasi stordita da essa. Il suo cuore perse un paio di battiti mentre considerava le implicazioni di quello che lui le aveva detto.
Io ti amo” ripeté più convinto, scandendo bene le parole per fare in modo che il messaggio le arrivasse chiaramente. “Mi hai capito?”
La ragazza annuì.
“Mi sono innamorato di te il primo giorno che ti ho vista, in prima fila alla mia lezione. Non avevo mai conosciuto un’allieva tanto brillante e talentuosa. Lavorare con i ragazzi stranieri è sempre una scoperta, è la parte che mi piace di più del mio mestiere. Ho conosciuto tanti studenti da quando ho iniziato a insegnare, ma nessuno è stato come te – dico davvero. Non è mia abitudine avere relazioni con le mie studentesse, né tantomeno portarmele a letto per divertimento…spero che te ne sia resa conto.” Non gli era mai successo di portarsi il lavoro a casa, né che si trattasse di avvenenti studentesse, né di graziose colleghe – e le occasioni non gli erano certo mancate. Sabrina rappresentava per lui un’eccezione su tutta la linea: con la sua intraprendenza e il suo entusiasmo gli aveva fatto perdere la testa, e se n’era innamorato perdutamente. “Sei anche molto bella, lo sai?”
Il rossore che si manifestò sulle guance della ragazza fu visibile anche nella quasi totale oscurità in cui si trovavano in quel momento. Si sollevò un poco e si mise stesa su di lui. La sensazione di contatto con la sua pelle calda, con il suo fisico asciutto e snello, era meravigliosa. Gli prese il volto fra le mani e lo guardò negli occhi, cercando di decifrare il suo sguardo e di capire se fosse sincero o se le stesse mentendo, ma i suoi occhi di ghiaccio non tradivano null’altro che non fosse amore. Non poteva più negare quel sentimento che li univa indissolubilmente e che anche lei sentiva agitarsi nel petto, tanto profondo e intenso da aver ignorato qualsiasi barriera sociale e culturale e da averli portati a quella dolcissima notte d’amore. Non sarebbe finito tutto una volta tornata in Italia – ne era certa.
Lo baciò a lungo, senza fretta, accarezzandogli le guance leggermente ispide e godendo delle sue mani che si muovevano lente lungo la schiena.
“Cosa mi suggerisce di fare, Herr Schmeisser?” chiese.
“Non andare via. Resta qui.”
“Sarebbe bello…ma sai che non è possibile, Hans. Devo tornare a casa, nel mio paese, finire l’università e…”
“Potresti iscriverti qui all’università. Dicono che Lipsia offra alcuni tra i migliori insegnanti di tutta la Germania.”
La ragazza ridacchiò di quella improvvisa presunzione del suo docente e gli batté una pacca sulla spalla.
“Potresti fare la domanda per la borsa di studio e vivere per un po’ a spese del nostro governo, che è molto generoso con gli studenti meritevoli” continuò il giovane. “E poi…potresti venire a vivere qui, se non hai dove stare.”
Qui…intendi da te?”
Hans annuì. “Qui. A casa mia.”
Era troppo da assorbire in una sola volta per Sabrina. La richiesta di Hans in quel momento implicava un cambiamento radicale nella sua vita: avrebbe dovuto lasciare il suo paese, la sua famiglia e i suoi affetti, per andare a vivere con quell’uomo che in effetti non conosceva, in un paese per lei straniero. Forse avrebbe fatto il passo più lungo della gamba ad accettare – non era affatto nelle sue corde prendere decisioni che non fossero state prima adeguatamente ponderate e analizzate in tutti i risvolti, positivi e negativi. “Perché stai mi stai proponendo tutto questo?” chiese con un filo di voce.
“Perché ti amo” le rispose. “Credo di avertelo già detto prima, e questo significa che non posso più stare senza di te. Non posso vivere questi giorni che ci restano insieme sapendo che partirai e che non potrò più averti con me.”
La ragazza lo guardò stranita. Quella poteva essere la svolta che stava aspettando da sempre, o rivelarsi il suo più grande fallimento: non era in grado di dirlo ora, poteva solo scegliere di fidarsi di ciò che stava provando in quel momento e lanciarsi nel vuoto, oppure tornare a casa – a quella quotidianità tanto rassicurante quanto banale – e cercare di dimenticare quella piccola parentesi. Non le fu difficile fare quella scelta. Gli sorrise, poi disse: “Fa davvero freddo qui in inverno, come dicono?”
“Perché?”
“Perché io vengo dal paese del sole, e sarà molto difficile adattarmi al vostro clima.”
“Si gela” disse Hans sorridendo. Gli aveva detto sì, a suo modo. “Pensa che non è strano trovare la neve qui a Lipsia nel periodo di Natale. Ma non temere, saprò come tenerti caldo.”
Si baciarono di nuovo, appagati dai piaceri carnali quanto dalle reciproche rivelazioni d'amore di quella notte. Lei sarebbe andata via, alla fine della Sommerschule, ma sarebbe tornata per restare, di questo Hans era sicuro. La abbracciò forte, accarezzandole la testa ora poggiata sul suo petto, mentre immaginava come sarebbe stata la loro nuova vita insieme.
FINE
 
   
 
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