'Con questo mio
scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare
rappresentazione veritiera del carattere di queste persone,
nè offenderle in
alcun modo'
’’Hast du Feuer? Hast du
Feuer? Gib mir Feuer und dann steck dein
Streichholz wieder ein
Hast du Feuer? Hast du Feuer? Gib mir Feuer, dann geh bitte wieder heim
Die Zigarette danach rauch ich lieber allein“
’Feuer’, Jennifer Rostock*
PrologO
PieCes.
Dedicato
a Giù=8
«Sei
sicura?»
«Sono
sicura.»
«Se
no ti riporto indietro…»
«Jeeen…»
sbuffò Kris.
«Va
bene, va bene, andiamo!»
Era
la terza volta che Jen fermava la macchina per chiedere a sua sorella
se voleva
tornare indietro. E ogni volta Kris le diceva di andare avanti, alzando
gli
occhi al cielo, sbuffando, cercando di farle capire che di tornare
indietro non
ne aveva la minima intenzione. Quella mattina c’era caldo,
troppo caldo,
considerato che erano nella Germania del nord. Jen non ce la faceva
più a
guidare con quel caldo, e il sole non era ancora sorto! In quel momento
la cosa
che più desiderava era una birra gelata, magari da bere
nella grande piscina
dell’albergo dove aveva alloggiato quella notte con la band,
e che non aveva
avuto l’occasione di provare. Ma avrebbe fatto di tutto per
la sua Kris. Jen e
Kris erano quasi identiche, caratterialmente. Indole ribelle, carattere
forte,
sapevano far valere la propria posizione. E se avevano un idea, chi
andava loro
contro poteva finire molto male.
Solo
una cosa non avevano in comune. Mentre Jen pianse solo una volta nella
sua
vita, tre anni prima, quando morì Ina, la sua migliore
amica, ciò che
caratterizzava Kris era la sensibilità. Aveva la lacrima
facile, piangeva ogni
volta che rivedeva Titanic**, o leggeva qualcosa di
triste, o di
romantico. E forse era proprio quello il motivo
della forza interiore di
Jen: l’aver dovuto consolare una sorellina frignona, come
diceva lei, alla
quale voleva un bene dell’anima.
Fisicamente erano diverse,
ma si vedeva che
erano sorelle. Jen aveva splendenti occhi azzurri, capelli biondo scuro
tinti
di nero, zigomi alti e pronunciati, pelle bianca e diafana. Senza
contare che
aveva in tutto il viso sei piercing –due
al lato destro del labbro
inferiore, due al lato sinistro, uno alla gengive e uno nel setto
nasale- e
molti tatuaggi. Kris aveva profondi occhi marroni, quasi neri, capelli
castano
scurissimo , la carnagione bianca esattamente come quella della
sorella; a
differenza di sua sorella, non aveva né un piercing
né un tatuaggio. Per il
resto erano molto simili: entrambe alte e con le gambe lunghe, avevano
le
stesse mani e le stesse labbra.
Gli
occhi azzurri di Jen si soffermarono, senza farsi notare, sul viso
tirato di
Kris. Passarono alcuni minuti silenziosi.
«Da
quand’è che non dormi, Kris?»
sospirò Jen.
«Perché
me lo chiedi?» ribattè Kris con
voce forte,
ma fissando il finestrino. Jen sorrise. La sorella aveva la brutta
abitudine di
rispondere alle domande con altre domande. E d’altronde, quel
vizio l’aveva
preso da lei.
«Perché
non mi rispondi?»
«Non
so cosa risponderti.»
Jen
rimase zitta. Era meglio lasciarle il suo tempo, prima di porle altre
domande.
«Kris,
ma che fai di notte?»
Vedendo
che non rispondeva, Jen si preoccupò. Insistette:
«Sù,
non sarà una cosa così
grave…»
Le
palpebre di Kris, cerchiate da occhiaie scure, si abbassarono.
«No,
Jen, ti prego. Se te lo dico mi prendi per il culo a vita.»
“Ah,
allora non si è cacciata nei guai…”
pensò Jen. Trattenne a stento un sospiro di
sollievo.
«Giuro
di no. Prometto.»
Kris
riprese a guardare fuori dal finestrino, titubante.
«Io…
oh, no Jen, per favore…»
“Bene”
pensò Jen. Quando Kris faceva quella faccia implorante e
diceva per favore
voleva dire che ormai aveva deciso di sputare fuori il rospo.
«Guarda
che ti chiamo Sissy davanti a Christoph!» minacciò
Jen, scherzosa.
Kris
aveva una cotta per Christoph, il bassista del gruppo di Jen, da quando
aveva
undici anni, e anche se ora le era passata le dava comunque fastidio
che qualcuno
sapesse che la sua famiglia la conosceva con il nomignolo di
“Krissy”-che,
sinceramente, a lei sembrava un nome da gatto-. L’unica
eccezione alla regola,
ovviamente, era Jen, che l’aveva sempre chiamata Kris.
Kris,
intanto, pensava a un modo per sviare il ricatto.
«Non
mi piace più Christoph» borbottò
«E poi io non vado mica in giro chiamandoti
Fefy!»
Beh,
neanche con sua sorella erano stati troppo magnanimi, riguardo a
nomignoli.
Jen
guardò sua sorella. Stava cercando di cambiare argomento.
«Kris…
dai…» sfoderò l’espressione
da cucciolo e sbatté le lunghe ciglia.
Kris
riabbassò lo sguardo e si voltò verso il
finestrino. Sospirò.
«E
va bene. Io di notte… beh… non dormo
perché… io… suono.»
Jen
aggrottò le sopracciglia.
«Suoni?
Tu? E cosa il triangolo?» domandò sarcastica. Ogni
volta che Kris aveva provato
a prendere lezioni di qualsiasi strumento (i loro genitori le avevano
fatto
provare dal piano alla tromba) era finita con urla della serie:
«No,
mamma, io non voglio imparare a suonare il clarinetto!» “E il clarinetto
giaceva per terra spezzato a
metà..” ricordò Jen.
«Ecco,
lo sapevo che mi avresti presa in giro!» le lacrime premevano
agli occhi di
Kris ed erano pronte ad uscire. Jen la guardò. Era bella sua
sorella; Jen le
aveva sempre invidiato quegli occhi scuri, quasi neri, quei capelli che
al sole
avevano dei bellissimi riflessi, quell’aria da ragazza
matura, anche se era
solo una ragazzina.
«Che
dici, Kris, stavo scherzando! ((sbamm!)) Mi sembrava
solo un po’…
strano.»
Tornò
il silenzio, che durò per un bel po’, fino a
quando non arrivarono.
«Un
albergo?» domandò Kris. «Vivi in un
albergo?»
«Ti
ricordo che oggi comincio il tour.»
«Oh,
già, è vero.» A volte era
così facile per Kris dimenticarsi che sua sorella era
famosa.
«Dai,
andiamo a prendere un caffè. Sto morendo di
sonno.» propose Jen, dopo aver dato
le chiavi della macchina verde a un parcheggiatore
dell’albergo. Kris
l’aveva chiamata, quella notte:
«Jen,
ti prego, vieni a casa! Vieni a prendermi, mi hanno rinchiusa in casa e
non mi
fanno uscire!»
«E
perché?» aveva chiesto Jen, strabiliata.
«Perché
mi hanno beccata con Nick!»
E
Jen non aveva esitato a prendere la macchina e guidare attraverso la
Germania
per due ore e mezzo alle due di notte solo per andare a prendere sua
sorella. Ed
ora che erano le nove stava per crollare. Non che non fosse abituata a
stare
sveglia tutta la notte, ma guidare per cinque ore non era proprio il
massimo.
Kris
seguì lentamente sua sorella fino al bar
dell’albergo.
«Beh,
allora, me lo dici cosa suoni?» chiese di nuovo Jen, con voce
dolce, dopo che
ebbero ordinato due caffè doppi con molto zucchero.
«Chitarra.»
sbuffò Kris.
«Ah…e…
ehm… perché suoni di notte?»
Kris
strabuzzò gli occhi.
«Immaginati
per un secondo la reazione di mamma e papà se sapessero che
la loro piccola Krissy
suona uno strumento così chiassoso e inopportuno
quale la
chitarra.»
Jen
ci pensò un attimo… la mamma con le mani nei
capelli che urlava, papà che
diventava tutto rosso e cominciava a sgridare a bassa voce e con gli
occhi
lucidi….
«Beh,
si forse hai fatto meglio a farlo di nascosto.»
Kris
annuì.
«Ma
quindi dove vai a suonare?»
«A
casa di nonna Miel.» rispose Kris con un’alzata di
spalle. Jen sorrise al
ricordo. Nonna Miel era un’anziana signora che abitava nel
loro quartiere, che
era stata fondamentale quando Jen, Christoph, Alex, Joe e Baku avevano
formato
il loro gruppo. Non solo perché li sosteneva moralmente, ma
anche perché
permetteva loro di suonare in casa sua. Aveva addirittura fatto
insonorizzare
una stanza della grande casa, tutto a sue spese, pur di aiutare i
ragazzi. E
ora aiutava Kriis per lo stesso motivo. Continuarono a bere i loro
caffè in
silenzio.
«Jen,
senti, non ti ho detto la verità quando ti ho chiesto di
venirmi a prendere.»
sbottò a un certo punto Kris. «Non…non
è vero che mi hanno beccata con Nick… io
volevo solo… seguirti… tu… tu sei
sempre stata così… diversa da tutti loro,
loro sono … privi di ogni immaginazione, insomma, sono
così pallosi… io voglio
essere libera, come sei tu, Jen!»
Jen
fissava il piano del tavolo, in silenzio. Kris la guardava
insistentemente,
aspettando una qualche reazione.
«Jen…mi
mancavi… mi mancava la tua presenza a
casa…»
Vedendo
che la sorella non rispondeva, aggiunse: «Mi dispiace di
averti mentito, Jen.»
Jen
alzò lo sguardo, lentamente. Le due ragazze si guardarono.
Poi Jen scattò, si
sporse di colpo e abbracciò Kris da sopra il tavolo,
incurante del fatto che in
quel modo aveva fatto cadere la zuccheriera, solo per stringere forte
quella
sedicenne pazza che aveva deciso di seguirla, solo perché
voleva essere come
lei.
«Ti
voglio bene, Kris.» mormorò Jen prima di
sciogliere l’abbraccio.
«Anche
io, Jen. Sono felice che tu ti sia presa l’impegno di avermi
in mezzo ai piedi
a tempo indeterminato!» lo disse per provocarla, ma Jen aveva
la risposta
pronta.
«Oh,
stai tranquilla, quando mi rompo ti regalo ai Tokio Hotel.»
Kris
aggrottò le sopracciglia.
«Che
c’entrano i Tokio Hotel?»
«Non
te l’ho detto? Io e i ragazzi apriamo i loro
concerti!»
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«Jen,
ma dove dormirà? Il nostro tourbus è pieno! Siamo
in cinque!» disse Baku.
«Dormirà
con me!» ribatté Jen per la quarta volta.
«Non
ci stai neanche tu in quel letto, Jenni.» le
ricordò tranquillamente Alex.
«Allora
dormo io in uno dei divani.» si propose Kris.
«Non
dire sciocchezze!» esclamarono in coro tutti e cinque i Jennifer
Rostock.
«Io
dico di parlarne con Josty il pazzo.» disse Joe. Tutti furono
d’accordo.
«Chi
è Josty il pazzo?» sussurrò Kris
all’orecchio della sorella.
«Oh,
è solo David Jost, il manager dei Tokio Hotel…
secondo noi è un po’ nevrotico,
perciò lo chiamiamo Josty il pazzo. E’ lui che
gestisce il tour.»
«E
se non ci sto nel vostro bus?»
Jen
scrollo le spalle e si morse il labbro. Kris si girò
incrociò lo sguardo di
Christoph che la fissava. Alzò un sopracciglio lanciandogli
uno sguardo
interrogativo, ma lui distolse gli occhi. Poi la ragazza si rivolse di
nuovo a
Jen.
«Senti,
però, dove posso lasciare la mia roba?»
sbuffò.
Lo
zaino e il borsone stavano iniziando a pesare.
«Oh,
si, scusami! Per ora puoi metterla nel nostro bus. Vieni, ti faccio
vedere
dov’è il mio letto, poi se vuoi puoi farti una
doccia…»
Il
tourbus era, a detta di Jen, il luogo più irritante in cui
vivere: i letti
erano minuscoli, il bagno era minuscolo, ogni spazio era minuscolo, ed
era
tutto in comune; se uno voleva stare da solo, non poteva farlo. In
compenso era
utile al suo scopo: dopo un concerto il letto, anche se piccolo, era di
certo
un alternativa migliore al sedile di una macchina.
Kris
prese un cambio di vestiti dal borsone e seguì Jen che le
mostrava il minuscolo
bagno del bus.
Appena
rimase sola, Kris si guardò allo specchio, provando a fare
il punto della situazione.
Era
scappata di casa, stava seguendo sua sorella in un tour, probabilmente
per i
seguenti cinque mesi avrebbe dormito sul divano di un bus. Tutto pur di
non
stare a casa e diventare come i suoi genitori. E magari, se ci fosse
stato il
tempo, imparare bene a suonare. Era proprio pazza.
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noTe: * traduzione: “Hai
da accendere? Hai da accendere? Dammi
da accendere e allora stacca nuovamente la spina
Hai da accendere? Hai da accendere? Dammi da accendere e poi torna a
casa per
favore.
La sigaretta amo fumarmela da sola” fonte: http://jenniferrostockitaly.forumcommunity.net/
**
le parole in grassetto, nel testo, non hanno una funzione particolare,
sono
solo parti che mi piacciono particolarmente o sono riferite alla mia
vita e ai
miei amici.
Questo
è solo il prologo. Presto arriveranno nuovi capitoli.
Bye.
Cecilia