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Autore: bimbaemo    29/06/2009    0 recensioni
Una fanfiction che ho scritto da molto.. Su Tokio Hotel e Jennifer Rostock. Ecco un piccolo assaggio: "Appena rimase sola, Kris si guardò allo specchio, provando a fare il punto della situazione. Era scappata di casa, stava seguendo sua sorella in un tour, probabilmente per i seguenti cinque mesi avrebbe dormito sul divano di un bus. Tutto pur di non stare a casa e diventare come i suoi genitori. E magari, se ci fosse stato il tempo, imparare bene a suonare. Era proprio pazza." Spero che possa piacervi.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, nè offenderle in alcun modo'

 

’’Hast du Feuer? Hast du Feuer? Gib mir Feuer und dann steck dein Streichholz wieder ein
Hast du Feuer? Hast du Feuer? Gib mir Feuer, dann geh bitte wieder heim
Die Zigarette danach rauch ich lieber allein“

’Feuer’, Jennifer Rostock*

 

PrologO

PieCes.

Dedicato a Giù=8

 

 

«Sei sicura?»

«Sono sicura.»

«Se no ti riporto indietro…»

«Jeeen…» sbuffò Kris.

«Va bene, va bene, andiamo!»

Era la terza volta che Jen fermava la macchina per chiedere a sua sorella se voleva tornare indietro. E ogni volta Kris le diceva di andare avanti, alzando gli occhi al cielo, sbuffando, cercando di farle capire che di tornare indietro non ne aveva la minima intenzione. Quella mattina c’era caldo, troppo caldo, considerato che erano nella Germania del nord. Jen non ce la faceva più a guidare con quel caldo, e il sole non era ancora sorto! In quel momento la cosa che più desiderava era una birra gelata, magari da bere nella grande piscina dell’albergo dove aveva alloggiato quella notte con la band, e che non aveva avuto l’occasione di provare. Ma avrebbe fatto di tutto per la sua Kris. Jen e Kris erano quasi identiche, caratterialmente. Indole ribelle, carattere forte, sapevano far valere la propria posizione. E se avevano un idea, chi andava loro contro poteva finire molto  male. Solo una cosa non avevano in comune. Mentre Jen pianse solo una volta nella sua vita, tre anni prima, quando morì Ina, la sua migliore amica, ciò che caratterizzava Kris era la sensibilità. Aveva la lacrima facile, piangeva ogni volta che rivedeva Titanic**, o leggeva qualcosa di triste, o di romantico. E forse era proprio quello il motivo della forza interiore di Jen: l’aver dovuto consolare una sorellina frignona, come diceva lei, alla quale voleva un bene dell’anima.

 Fisicamente erano diverse, ma si vedeva che erano sorelle. Jen aveva splendenti occhi azzurri, capelli biondo scuro tinti di nero, zigomi alti e pronunciati, pelle bianca e diafana. Senza contare che aveva in tutto il viso sei piercing –due al lato destro del labbro inferiore, due al lato sinistro, uno alla gengive e uno nel setto nasale- e molti tatuaggi. Kris aveva profondi occhi marroni, quasi neri, capelli castano scurissimo , la carnagione bianca esattamente come quella della sorella; a differenza di sua sorella, non aveva né un piercing né un tatuaggio. Per il resto erano molto simili: entrambe alte e con le gambe lunghe, avevano le stesse mani e le stesse labbra.

Gli occhi azzurri di Jen si soffermarono, senza farsi notare, sul viso tirato di Kris. Passarono alcuni minuti silenziosi.

«Da quand’è che non dormi, Kris?» sospirò Jen.

«Perché me lo chiedi?» ribattè Kris con  voce forte, ma fissando il finestrino. Jen sorrise. La sorella aveva la brutta abitudine di rispondere alle domande con altre domande. E d’altronde, quel vizio l’aveva preso da lei.

«Perché non mi rispondi?»

«Non so cosa risponderti.»

Jen rimase zitta. Era meglio lasciarle il suo tempo, prima di porle altre domande.

«Kris, ma che fai di notte?»

Vedendo che non rispondeva, Jen si preoccupò. Insistette:

«Sù, non sarà una cosa così grave…»

Le palpebre di Kris, cerchiate da occhiaie scure, si abbassarono.

«No, Jen, ti prego. Se te lo dico mi prendi per il culo a vita.»

“Ah, allora non si è cacciata nei guai…” pensò Jen. Trattenne a stento un sospiro di sollievo.

«Giuro di no. Prometto.»

Kris riprese a guardare fuori dal finestrino, titubante.

«Io… oh, no Jen, per favore…»

“Bene” pensò Jen. Quando Kris faceva quella faccia implorante e diceva per favore voleva dire che ormai aveva deciso di sputare fuori il rospo.

«Guarda che ti chiamo Sissy davanti a Christoph!» minacciò Jen, scherzosa.

Kris aveva una cotta per Christoph, il bassista del gruppo di Jen, da quando aveva undici anni, e anche se ora le era passata le dava comunque fastidio che qualcuno sapesse che la sua famiglia la conosceva con il nomignolo di “Krissy”-che, sinceramente, a lei sembrava un nome da gatto-. L’unica eccezione alla regola, ovviamente, era Jen, che l’aveva sempre chiamata Kris.

Kris, intanto, pensava a un modo per sviare il ricatto.

«Non mi piace più Christoph» borbottò «E poi io non vado mica in giro chiamandoti Fefy!»

Beh, neanche con sua sorella erano stati troppo magnanimi, riguardo a nomignoli.

Jen guardò sua sorella. Stava cercando di cambiare argomento.

«Kris… dai…» sfoderò l’espressione da cucciolo e sbatté le lunghe ciglia.

Kris riabbassò lo sguardo e si voltò verso il finestrino. Sospirò.

«E va bene. Io di notte… beh… non dormo perché… io… suono.»

Jen aggrottò le sopracciglia.

«Suoni? Tu? E cosa il triangolo?» domandò sarcastica. Ogni volta che Kris aveva provato a prendere lezioni di qualsiasi strumento (i loro genitori le avevano fatto provare dal piano alla tromba) era finita con urla della serie: «No, mamma, io non voglio imparare a suonare il clarinetto!»  “E il clarinetto giaceva per terra spezzato a metà..” ricordò Jen.

«Ecco, lo sapevo che mi avresti presa in giro!» le lacrime premevano agli occhi di Kris ed erano pronte ad uscire. Jen la guardò. Era bella sua sorella; Jen le aveva sempre invidiato quegli occhi scuri, quasi neri, quei capelli che al sole avevano dei bellissimi riflessi, quell’aria da ragazza matura, anche se era solo una ragazzina.

«Che dici, Kris, stavo scherzando! ((sbamm!)) Mi sembrava solo un po’… strano.»

Tornò il silenzio, che durò per un bel po’, fino a quando non arrivarono.

«Un albergo?» domandò Kris. «Vivi in un albergo?»

«Ti ricordo che oggi comincio il tour.»

«Oh, già, è vero.» A volte era così facile per Kris dimenticarsi che sua sorella era famosa.

«Dai, andiamo a prendere un caffè. Sto morendo di sonno.» propose Jen, dopo aver dato le chiavi della macchina verde a un parcheggiatore dell’albergo.  Kris l’aveva chiamata, quella notte:

«Jen, ti prego, vieni a casa! Vieni a prendermi, mi hanno rinchiusa in casa e non mi fanno uscire!»

«E perché?» aveva chiesto Jen, strabiliata.

«Perché mi hanno beccata con Nick!»

E Jen non aveva esitato a prendere la macchina e guidare attraverso la Germania per due ore e mezzo alle due di notte solo per andare a prendere sua sorella. Ed ora che erano le nove stava per crollare. Non che non fosse abituata a stare sveglia tutta la notte, ma guidare per cinque ore non era proprio il massimo.

Kris seguì lentamente sua sorella fino al bar dell’albergo.

«Beh, allora, me lo dici cosa suoni?» chiese di nuovo Jen, con voce dolce, dopo che ebbero ordinato due caffè doppi con molto zucchero.

«Chitarra.» sbuffò Kris.

«Ah…e… ehm… perché suoni di notte?»

Kris strabuzzò gli occhi.

«Immaginati per un secondo la reazione di mamma e papà se sapessero che la loro piccola Krissy suona uno strumento così chiassoso e inopportuno quale la chitarra.»

Jen ci pensò un attimo… la mamma con le mani nei capelli che urlava, papà che diventava tutto rosso e cominciava a sgridare a bassa voce e con gli occhi lucidi….

«Beh, si forse hai fatto meglio a farlo di nascosto.»

Kris annuì.

«Ma quindi dove vai a suonare?»

«A casa di nonna Miel.» rispose Kris con un’alzata di spalle. Jen sorrise al ricordo. Nonna Miel era un’anziana signora che abitava nel loro quartiere, che era stata fondamentale quando Jen, Christoph, Alex, Joe e Baku avevano formato il loro gruppo. Non solo perché li sosteneva moralmente, ma anche perché permetteva loro di suonare in casa sua. Aveva addirittura fatto insonorizzare una stanza della grande casa, tutto a sue spese, pur di aiutare i ragazzi. E ora aiutava Kriis per lo stesso motivo. Continuarono a bere i loro caffè in silenzio.

«Jen, senti, non ti ho detto la verità quando ti ho chiesto di venirmi a prendere.» sbottò a un certo punto Kris. «Non…non è vero che mi hanno beccata con Nick… io volevo solo… seguirti… tu… tu sei sempre stata così… diversa da tutti loro, loro sono … privi di ogni immaginazione, insomma, sono così pallosi… io voglio essere libera, come sei tu, Jen!»

Jen fissava il piano del tavolo, in silenzio. Kris la guardava insistentemente, aspettando una qualche reazione.

«Jen…mi mancavi… mi mancava la tua presenza a casa…»

Vedendo che la sorella non rispondeva, aggiunse: «Mi dispiace di averti mentito, Jen.»

Jen alzò lo sguardo, lentamente. Le due ragazze si guardarono. Poi Jen scattò, si sporse di colpo e abbracciò Kris da sopra il tavolo, incurante del fatto che in quel modo aveva fatto cadere la zuccheriera, solo per stringere forte quella sedicenne pazza che aveva deciso di seguirla, solo perché voleva essere come lei.

«Ti voglio bene, Kris.» mormorò Jen prima di sciogliere l’abbraccio.

«Anche io, Jen. Sono felice che tu ti sia presa l’impegno di avermi in mezzo ai piedi a tempo indeterminato!» lo disse per provocarla, ma Jen aveva la risposta pronta.

«Oh, stai tranquilla, quando mi rompo ti regalo ai Tokio Hotel.»

Kris aggrottò le sopracciglia.

«Che c’entrano i Tokio Hotel?»

«Non te l’ho detto? Io e i ragazzi apriamo i loro concerti!»

 

°°°°°°°°°°°°°

 

«Jen, ma dove dormirà? Il nostro tourbus è pieno! Siamo in cinque!» disse Baku.

«Dormirà con me!» ribatté Jen per la quarta volta.

«Non ci stai neanche tu in quel letto, Jenni.» le ricordò tranquillamente Alex.

«Allora dormo io in uno dei divani.» si propose Kris.

«Non dire sciocchezze!» esclamarono in coro tutti e cinque i Jennifer Rostock.

«Io dico di parlarne con Josty il pazzo.» disse Joe. Tutti furono d’accordo.

«Chi è Josty il pazzo?» sussurrò Kris all’orecchio della sorella.

«Oh, è solo David Jost, il manager dei Tokio Hotel… secondo noi è un po’ nevrotico, perciò lo chiamiamo Josty il pazzo. E’ lui che gestisce il tour.»

«E se non ci sto nel vostro bus?»

Jen scrollo le spalle e si morse il labbro. Kris si girò incrociò lo sguardo di Christoph che la fissava. Alzò un sopracciglio lanciandogli uno sguardo interrogativo, ma lui distolse gli occhi. Poi la ragazza si rivolse di nuovo a Jen.

«Senti, però, dove posso lasciare la mia roba?» sbuffò.

Lo zaino e il borsone stavano iniziando a pesare.

«Oh, si, scusami! Per ora puoi metterla nel nostro bus. Vieni, ti faccio vedere dov’è il mio letto, poi se vuoi puoi farti una doccia…»

Il tourbus era, a detta di Jen, il luogo più irritante in cui vivere: i letti erano minuscoli, il bagno era minuscolo, ogni spazio era minuscolo, ed era tutto in comune; se uno voleva stare da solo, non poteva farlo. In compenso era utile al suo scopo: dopo un concerto il letto, anche se piccolo, era di certo un alternativa migliore al sedile di una macchina.

Kris prese un cambio di vestiti dal borsone e seguì Jen che le mostrava il minuscolo bagno del bus.

 

Appena rimase sola, Kris si guardò allo specchio, provando a fare il punto della situazione.

Era scappata di casa, stava seguendo sua sorella in un tour, probabilmente per i seguenti cinque mesi avrebbe dormito sul divano di un bus. Tutto pur di non stare a casa e diventare come i suoi genitori. E magari, se ci fosse stato il tempo, imparare bene a suonare. Era proprio pazza.

 

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noTe:  * traduzione:   “Hai da accendere? Hai da accendere? Dammi da accendere e allora stacca nuovamente la spina
Hai da accendere? Hai da accendere? Dammi da accendere e poi torna a casa per favore.
La sigaretta amo fumarmela da sola” fonte:
http://jenniferrostockitaly.forumcommunity.net/

** le parole in grassetto, nel testo, non hanno una funzione particolare, sono solo parti che mi piacciono particolarmente o sono riferite alla mia vita e ai miei amici.

Questo è solo il prologo. Presto arriveranno nuovi capitoli.

Bye.

Cecilia

 

  
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