«È successo, tutto qui. Finché non accade nulla, e penso lo sappia anche
tu, porsi delle domande non ha molto senso. Ma quando succede qualcosa allora
diventa inevitabile chiedersi cosa si vuole davvero. L’ho fatto e ho trovato
delle risposte.»
USS
Enterprise
Data: 2
Agosto 2264
Fra le lenzuola di un letto disfatto, si svegliò Bones. Era mattina, almeno
così pensava, dato che la luce artificiale sempre presente a bordo della nave spaziale
rendeva le ore confuse e il tempo indefinito. Guardò l’ora, notando che le nove
erano da poco passate perciò, sì, era mattina.
Si mise a sedere e, nel compiere quel gesto, sentì una fitta alla spalla
sinistra; il dolore non se ne era ancora andato, ma per sua fortuna quel giorno
era l’ultimo del suoi pensieri.
Guardandosi intorno si rese conto di essere solo e ne rimase sorpreso. Dopo
un’intera notte trascorsa con Eve, non si aspettava di non trovarsela accanto
al risveglio. Arrivò addirittura a dubitare del fatto che fosse avvenuto tutto
realmente. Tuttavia le sensazioni che stava provando gli permisero di essere
certo del fatto che quella notte era stata reale; su di sé sentiva ancora il
profumo della ragazza. Guardando con più attenzione si rese conto che alla sua
sinistra era stato lasciato un piccolo promemoria, che lampeggiava celeste
sullo sfondo blu dell’ologramma.
Avevo promesso a
Scott che avrei iniziato a lavorare all’alba oggi. Buon risveglio.
Il breve messaggio non era firmato, ma per Bones fu abbastanza semplice
intuire chi fosse il mittente.
Si mise a sedere sul letto, cercò di sistemarsi i capelli in qualche modo e
finì inevitabilmente col pensare. Ripercorse alcuni dei momenti che, dal bacio
iniziale fra lui e Eve, lo avevano portato al risveglio e, proprio a quei
pensieri, la sua parte più razionale fece ritorno.
Si era lasciato andare; lo aveva volutamente fatto e ora gli toccava
confrontarsi con le conseguenze che, la sera prima, aveva deciso di ignorare.
Non che si fosse pentito di ciò che era avvenuto, solo che il tutto si era
fatto complicato.
Non sarebbe stato visto di buon occhio dalla Flotta Stellare un
coinvolgimento sentimentale fra lui, sull’Enterprise ormai da anni e a capo
della sezione medica, e una ragazza di dieci anni più piccola appena giunta
nell’equipaggio. Con tutta probabilità a Kirk non sarebbe importato nulla, ma
lui non era la Flotta Stellare.
Mentre si rivestiva, McCoy ci stava ancora pensando. Quando una parte di sé
riusciva ad avere la meglio sull’altra, quest’ultima rimontava con impeto,
surclassando il pensiero che si era formato nella mente del medico, positivo o
negativo che fosse. Infastidito da quell’inconcludente situazione, l’uomo pensò
bene di rimettersi al lavoro.
Soffocò un’imprecazione fra i denti quando si rese conto che non riusciva a
ignorare la situazione in cui si trovava. Pensò al da farsi e concluse che c’era
una sola cosa possibile: doveva parlarne con Eve. Magari, capendo le intenzioni
della ragazza, anche lui avrebbe potuto rendere più chiare le sue, anche se
solo a se stesso. Tuttavia non poteva piombare in sala macchine in cerca
di Eve per chiederle chiarimenti su quello che era accaduto fra loro.
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da una chiamata proveniente dalla
plancia. Il medico rispose.
«Bones ci sono possibilità di vederti in plancia questa mattina?»
Era Kirk, il quale, con sottile ironia, ci teneva a ricordare all’amico che
era in ritardo sulla loro, ormai abituale, routine giornaliera.
McCoy si lasciò sfuggire un rapido sbuffo. «Sì arrivo. Prima devo solo
fare una deviazione» rispose poi.
«Sarebbe?»
«Jim anche se sei il capitano non vuol dire che debba dirti tutto. Fra poco
sono lì» disse e chiuse la comunicazione prima che l’altro potesse replicare in
qualche modo. Capì che era ora di darsi da fare e si avviò fuori dalla
propria stanza, diretto verso il cuore dall’Enterprise.
Giunto in sala macchine si ritrovò circondato da divise rosse e chiese di
Scott finché non lo trovò.
«Oh, ehi» lo salutò l’ingegnere vedendolo. «Cosa ti porta fin qui?»
Bones fece del suo meglio per rimanere serio come suo solito quando parlava
di medicina e pazienti. Mentre si apprestava ad andare fin lì, aveva pensato a
cosa dire affinché la sua ricerca di Eve non suonasse sospetta. Sentiva che
avrebbe fatto meglio a non sbandierare ai quattro venti ciò che era successo
fra loro, anche con uno come Scotty.
«Sto cercando Eve» disse solo. Come si era aspettato, l’ingegnere gliene
chiese il motivo.
«Riguarda la trasfusione di sangue. Te lo hanno detto che è lei la
donatrice?» replicò il medico, ostentando tutta la sua sicurezza.
Scotty annuì con la testa un paio di volte, l’espressione di chi si ricorda
della cosa solo in quel momento.
«Ti porto da lei» disse infine, avviandosi per fare strada all’altro.
I due si addentrarono fra motori e componenti elettriche, in quel labirinto
che era l’Enterprise anche nei suoi meandri più profondi.
Quando Scott si fermò erano in prossimità di un gran numero di cavi in
gomma, tenuti insieme da fasce in metallo, le quali si arrampicavano su per un
lungo tubo, perdendosi chissà dove.
Proprio dentro quel tubo si era infilata una ragazza, riconoscibile dall’uniforme
che sbucava dalla vita in giù. Lì accanto, appoggiata con il fianco alla
parete, c’era Jaylah. Teneva le braccia incrociate e una serie di chiavi in
mano. Salutò Bones con un cenno della testa mentre ancora masticava una gomma.
Scott batté un paio di colpi sulla superficie del tubo. «Eve quando tiri
fuori la testa da lì, hanno bisogno» disse.
«Un secondo» rispose lei, la voce rimbombò per alcuni secondi.
Scott annuì e si allontanò, facendo segno a Jaylah di seguirlo. McCoy li
guardò allontanarsi e si complimentò con se stesso: tirare in ballo la medicina
dava sempre garanzia di privacy. Nonostante tutto, però, di privacy non ce n’era
ancora molta; il un via e vai di meccanici era costante, un continuo svolazzare
di divise rosse.
«Ci sono.» Eve si inginocchiò per riuscire a venire fuori dallo stretto
posto in cui si era infilata. Posò in terra la chiave che aveva in mano, si
rimise in piedi, si lisciò la divisa e infine si voltò.
Come si trovò davanti McCoy, la ragazza si bloccò. Lo guardò stupita, sorpresa
di trovarlo insieme alla sua divisa blu in quel posto. Gli sorrise.
«Ciao» disse.
Bones la guardò; gli parve di essere rimasto solo con lei, pareva quasi che
intorno a loro tutto il resto non esistesse. Erano anni che non si sentiva
così, combattuto, impotente ma, al contempo, anche interessato a sapere come le
cose si sarebbero evolute, seppur preoccupato da quelle possibili conseguenze.
Era in procinto di chiederle come stesse, tuttavia pensò che fosse meglio non
rimanere lì con lei troppo a lungo; l’aveva raggiunta solo per chiederle di
incontrarsi con calma più tardi. Per tale motivo fu piuttosto rapido ad
arrivare al punto.
«Vorrei che parlassimo di-» esordì, ma un giovane passò accanto a loro e il
medico si zittì. «Beh, lo sai» concluse poi.
Eve si lasciò sfuggire un sorriso. Si sentiva tranquilla nonostante tutto,
poiché, quando la sera prima si era avvicinata a Bones fino a baciarlo, sentiva
di stare facendo un errore che, certamente, avrebbe solo complicato tutto.
Invece ciò che era avvenuto fra loro aveva superato ogni sua aspettativa, al
punto che avrebbe accettato qualsiasi conseguenza.
«Sì, credo sia doveroso parlarne» rispose lei, stringendosi appena nelle
spalle.
«Solo non qui» Bones lanciò un’occhiata accanto a loro, dove alcune persone
stavano passando lungo il corridoio.
Eve lo capì perfettamente – e, in fondo, anche lei era dello stesso parere.
«Che ne dici di trovarci nella T3? Dopo le dieci di sera non c’è mai
nessuno, credimi, lo so per esperienza.»
Aveva abbassato la voce sul finire della frase, anche lei preoccupata che
qualcuno potesse sentirli.
Bones pensò alla stanza che la ragazza aveva proposto; era una di quelle
stanze piccole e arredate esattamente per fare due chiacchiere, un tavolino,
una credenza piena di bicchieri – anche se non vi era nulla da bere. Era uno di
quei posti dove lui si trovava ogni tanto insieme a Jim, quando quest’ultimo
aveva voglia di parlare.
Acconsentì alla proposta di Eve e si diedero appuntamento per quella sera,
infine lui si allontanò, dirigendosi verso la plancia.
Il resto della giornata del medico trascorse come un’accozzaglia di strane
sensazioni. A differenza di come avveniva sempre, il lavoro non era riuscito a
distrarre McCoy che, quasi a intervalli regolari, controllava l’ora e
borbottava mentalmente alcune imprecazioni. Appena arrivò il momento di andare,
si congedò da Jim e raggiunse la stanza T3. Era piuttosto risoluto quando varcò
la soglia e colpito – nel senso buono del termine – quando vide Eve. Lei era
seduta al tavolino, fra le mani teneva il bicchiere in parte pieno di un
liquido ambrato; alle sue spalle, oltre la finestra, lo spazio avanzava lento.
«Non ti facevo una da whisky» esordì lui, quasi ad annunciarsi.
Eve non sollevò neanche lo sguardo. «Infatti è bourbon.»
Alzò gli occhi solo in quel momento, proprio quando Bones si sistemò nello
sgabello vuoto davanti a lei, sorridendo alla sua affermazione La ragazza
allora versò un po’ di quel liquore in un bicchiere che aveva preparato in
precedenza e lo fece scorrere sul piano fino alla mano di McCoy.
Lui ne bevve un sorso. «Ottimo sentenziò.»
«Lo so. Ne ho fregate alcune bottiglie dalla riserva di mio padre e poi le
ho nascoste fra i vestiti prima di imbarcarmi.»
Bones sollevò il bicchiere, esprimendosi in un gesto che aveva tutta l’aria
di lodare la scelta della ragazza.
Lei bevve un sorso del suo bourbon, dopodiché prese fiato.
«Che ne dici se smettessimo di girare intorno all’argomento?»
Era calma, quasi rilassata. Non aveva aspettative da quell’incontro,
proprio come McCoy. Il medico posò il suo bicchiere sul ripiano. «Sì, hai
ragione.»
«Beh, io» esordì Eve, con una sicurezza che, in buona parte, poteva
dipendere dal liquore che aveva ingerito, «penso che sia abbastanza palese
quello che provo. So che ci sono dodici anni di differenza fra noi e, insomma,
non potrei biasimarti se per te questo fosse un fattore rilevante. Tuttavia la
verità credo di avertela mostrata abbastanza chiaramente ieri sera.»
Si mise a ticchettare lievemente con le dita sul vetro del bicchiere,
producendo un suono appena percepibile.
«Mi sono sempre sentita attratta da te» ammise, distogliendo lo sguardo. «E
dopo quello che è successo su Ummei, beh...»
Eve si interruppe, non sapendo come altro proseguire. Si era appena aperta
e si sentì d’improvviso vulnerabile, quasi si fosse resa conto solo in quel
momento di ciò che aveva appena pronunciato.
Di fronte a lei, Bones guardò il profilo della ragazza, spostando lo
sguardo fino al punto in cui lei stava osservando; lo spazio oltre l’Enterprise
continuava a muoversi lento, illuminato da migliaia di stelle lontane.
Dopo diversi secondi di silenzio, il medico capì che Eve non avrebbe mai
concluso la sua frase, tuttavia aveva compreso alla perfezione quello che
intendeva dire. Bones si fece forza e, quasi arrendendosi alla situazione,
disse: «Per quanto mi riguarda, era da tempo che non incontravo una donna
in grado di incuriosirmi tanto quanto te.»
Lei tornò a guardarlo, sorpresa e lui riprese a parlare: «Sai dopo quello
che mi è successo – la faccenda del divorzio intendo – inizi a vedere tutto il
genere femminile con diffidenza. Come se le donne non aspettassero altro che
pugnalarti alle spalle.» Nella sua ultima frase c’era una leggera nota di
rimprovero, rivolta esclusivamente a se stesso. «Solo che con te è stato tutto
diverso, fin da subito. E sento di essere abbastanza intelligente per capire
che ciò vuol dire qualcosa.»
Un sorriso leggero illuminò il volto di Eve al suono di quelle parole e le
gote le si fecero più rosee. Tuttavia Bones sospirò, cosa che fece intuire
alla ragazza che c’era dell’altro.
«Quanto hai detto, però, è vero. Ci sono dodici anni di differenza fra noi.
E non si tratta solo di questo; non so quanto la Flotta Stellare possa vedere
di buon occhio una relazione fra una cadetta e uno che ricopre il mio ruolo
facenti parte dello stesso equipaggio.»
Eve si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo. Sapeva che Bones
aveva ragione ma, per lei, fu più doloroso comprendere attraverso le sue parole
che fra loro non sarebbe potuto accadere nulla. Si fece forza,
ripetendosi nella mente il fatto che lei sapeva sarebbe andata a finire così,
anzi, era accaduto molto più di quanto si fosse aspettata.
Annuì con la testa alle parole del medico. «Perciò facciamo come se non
fosse avvenuto nulla?» chiese.
McCoy la guardò a lungo. Dentro di lui c’era una lotta, ma dal tono sicuro
usato da Eve comprese che la ragazza aveva fatto la sua scelta.
«Sì» rispose monosillabico. Terminò il contenuto del suo bicchiere,
lasciando intuire a Eve che era meglio chiudere lì la conversazione. Lei lo
capì; senza che Bones le dicesse nulla si alzò in piedi, si sistemò la divisa e
afferrò la bottiglia di bourbon. Anche il medico si alzò e si avviò accanto
alla ragazza.
Davanti alla porta Eve si fermò e sollevò lo sguardo su Bones. «Quanto
dobbiamo fingere che non sia accaduto?» gli chiese. «Anche la nostra
disavventura su Ummei, o solo di questa notte?»
Il medico non capì se la sua domanda si potesse considerare o meno una
provocazione, ma dal tono con cui era stata pronunciata comprese che non lo
era; era una curiosità, nulla di più.
«Non so tu, ma per me sarà pressoché impossibile dimenticare quanto
successo su Ummei» replicò lui, strappando un leggero
sorriso a Eve. «E poi mi hai salvato.»
Al suono di quelle ultime parole la ragazza si fece seria. Alla mente le
tornarono, inevitabili, i ricordi di ciò che era successo fra loro da quel
giorno. Il pensiero che tutto sarebbe finito così la rattristava, ma voleva
rispettare la scelta di McCoy.
Il loro contatto visivo durò un istante di troppo e Eve non arrestò l’ultimo
fremito che la percorse. Si alzò in punta di piedi e posò le labbra su quelle
di Bones; le schiuse in modo da percepire tutto il sapore del bourbon ancora
presente sulla bocca dell’uomo. Quest’ultimo, in un primo momento, si disse di
resistere, ma subito dopo decise che non c’era nulla di male a vivere quel
bacio con la giusta intensità. Si avvicinò a Eve, le sfiorò il collo e fece
scorrere la mano destra fino alla nuca, affondando le dita fra i suoi capelli. Eve
si portò ancora più vicina, stringendosi a lui come fosse vitale.
Nonostante quello dovesse essere il loro ultimo, intimo, momento insieme,
fu proprio mentre si baciavano quell’ultima volta che entrambi capirono che
nessuno dei due poteva fare a meno dell’altro.