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Autore: MadAka    25/02/2018    0 recensioni
Jim Kirk e Leonard McCoy sono seduti uno di fronte all'altro, un bicchiere davanti, il silenzio intorno.
Un racconto è l'ultima cosa che i due si sono scambiati, che ripercorre gli ultimi nove mesi sull'Enterprise.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Montgomery Scott, Nuovo Personaggio, Spock
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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«È successo, tutto qui. Finché non accade nulla, e penso lo sappia anche tu, porsi delle domande non ha molto senso. Ma quando succede qualcosa allora diventa inevitabile chiedersi cosa si vuole davvero. L’ho fatto e ho trovato delle risposte.»

 

 

 

USS Enterprise

Data: 2 Agosto 2264

 

 

Fra le lenzuola di un letto disfatto, si svegliò Bones. Era mattina, almeno così pensava, dato che la luce artificiale sempre presente a bordo della nave spaziale rendeva le ore confuse e il tempo indefinito. Guardò l’ora, notando che le nove erano da poco passate perciò, sì, era mattina.

Si mise a sedere e, nel compiere quel gesto, sentì una fitta alla spalla sinistra; il dolore non se ne era ancora andato, ma per sua fortuna quel giorno era l’ultimo del suoi pensieri. 

Guardandosi intorno si rese conto di essere solo e ne rimase sorpreso. Dopo un’intera notte trascorsa con Eve, non si aspettava di non trovarsela accanto al risveglio. Arrivò addirittura a dubitare del fatto che fosse avvenuto tutto realmente. Tuttavia le sensazioni che stava provando gli permisero di essere certo del fatto che quella notte era stata reale; su di sé sentiva ancora il profumo della ragazza. Guardando con più attenzione si rese conto che alla sua sinistra era stato lasciato un piccolo promemoria, che lampeggiava celeste sullo sfondo blu dell’ologramma.

 

Avevo promesso a Scott che avrei iniziato a lavorare all’alba oggi. Buon risveglio.

 

Il breve messaggio non era firmato, ma per Bones fu abbastanza semplice intuire chi fosse il mittente.

Si mise a sedere sul letto, cercò di sistemarsi i capelli in qualche modo e finì inevitabilmente col pensare. Ripercorse alcuni dei momenti che, dal bacio iniziale fra lui e Eve, lo avevano portato al risveglio e, proprio a quei pensieri, la sua parte più razionale fece ritorno.

Si era lasciato andare; lo aveva volutamente fatto e ora gli toccava confrontarsi con le conseguenze che, la sera prima, aveva deciso di ignorare. Non che si fosse pentito di ciò che era avvenuto, solo che il tutto si era fatto complicato.

Non sarebbe stato visto di buon occhio dalla Flotta Stellare un coinvolgimento sentimentale fra lui, sull’Enterprise ormai da anni e a capo della sezione medica, e una ragazza di dieci anni più piccola appena giunta nell’equipaggio. Con tutta probabilità a Kirk non sarebbe importato nulla, ma lui non era la Flotta Stellare. 

Mentre si rivestiva, McCoy ci stava ancora pensando. Quando una parte di sé riusciva ad avere la meglio sull’altra, quest’ultima rimontava con impeto, surclassando il pensiero che si era formato nella mente del medico, positivo o negativo che fosse. Infastidito da quell’inconcludente situazione, l’uomo pensò bene di rimettersi al lavoro. 

Soffocò un’imprecazione fra i denti quando si rese conto che non riusciva a ignorare la situazione in cui si trovava. Pensò al da farsi e concluse che c’era una sola cosa possibile: doveva parlarne con Eve. Magari, capendo le intenzioni della ragazza, anche lui avrebbe potuto rendere più chiare le sue, anche se solo a se stesso. Tuttavia non poteva piombare in sala macchine in cerca di Eve per chiederle chiarimenti su quello che era accaduto fra loro. 

Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da una chiamata proveniente dalla plancia. Il medico rispose.

«Bones ci sono possibilità di vederti in plancia questa mattina?»

Era Kirk, il quale, con sottile ironia, ci teneva a ricordare all’amico che era in ritardo sulla loro, ormai abituale, routine giornaliera.

McCoy si lasciò sfuggire un rapido sbuffo. «Sì arrivo. Prima devo solo fare una deviazione» rispose poi.

«Sarebbe?»

«Jim anche se sei il capitano non vuol dire che debba dirti tutto. Fra poco sono lì» disse e chiuse la comunicazione prima che l’altro potesse replicare in qualche modo. Capì che era ora di darsi da fare e si avviò fuori dalla propria stanza, diretto verso il cuore dall’Enterprise.

Giunto in sala macchine si ritrovò circondato da divise rosse e chiese di Scott finché non lo trovò.

«Oh, ehi» lo salutò l’ingegnere vedendolo. «Cosa ti porta fin qui?»

Bones fece del suo meglio per rimanere serio come suo solito quando parlava di medicina e pazienti. Mentre si apprestava ad andare fin lì, aveva pensato a cosa dire affinché la sua ricerca di Eve non suonasse sospetta. Sentiva che avrebbe fatto meglio a non sbandierare ai quattro venti ciò che era successo fra loro, anche con uno come Scotty.

«Sto cercando Eve» disse solo. Come si era aspettato, l’ingegnere gliene chiese il motivo.

«Riguarda la trasfusione di sangue. Te lo hanno detto che è lei la donatrice?» replicò il medico, ostentando tutta la sua sicurezza. 

Scotty annuì con la testa un paio di volte, l’espressione di chi si ricorda della cosa solo in quel momento.

«Ti porto da lei» disse infine, avviandosi per fare strada all’altro.

I due si addentrarono fra motori e componenti elettriche, in quel labirinto che era l’Enterprise anche nei suoi meandri più profondi. 

Quando Scott si fermò erano in prossimità di un gran numero di cavi in gomma, tenuti insieme da fasce in metallo, le quali si arrampicavano su per un lungo tubo, perdendosi chissà dove. 

Proprio dentro quel tubo si era infilata una ragazza, riconoscibile dall’uniforme che sbucava dalla vita in giù. Lì accanto, appoggiata con il fianco alla parete, c’era Jaylah. Teneva le braccia incrociate e una serie di chiavi in mano. Salutò Bones con un cenno della testa mentre ancora masticava una gomma.

Scott batté un paio di colpi sulla superficie del tubo. «Eve quando tiri fuori la testa da lì, hanno bisogno» disse.

«Un secondo» rispose lei, la voce rimbombò per alcuni secondi. 

Scott annuì e si allontanò, facendo segno a Jaylah di seguirlo. McCoy li guardò allontanarsi e si complimentò con se stesso: tirare in ballo la medicina dava sempre garanzia di privacy. Nonostante tutto, però, di privacy non ce n’era ancora molta; il un via e vai di meccanici era costante, un continuo svolazzare di divise rosse. 

«Ci sono.» Eve si inginocchiò per riuscire a venire fuori dallo stretto posto in cui si era infilata. Posò in terra la chiave che aveva in mano, si rimise in piedi, si lisciò la divisa e infine si voltò.

Come si trovò davanti McCoy, la ragazza si bloccò. Lo guardò stupita, sorpresa di trovarlo insieme alla sua divisa blu in quel posto.  Gli sorrise.

«Ciao» disse. 

Bones la guardò; gli parve di essere rimasto solo con lei, pareva quasi che intorno a loro tutto il resto non esistesse. Erano anni che non si sentiva così, combattuto, impotente ma, al contempo, anche interessato a sapere come le cose si sarebbero evolute, seppur preoccupato da quelle possibili conseguenze. Era in procinto di chiederle come stesse, tuttavia pensò che fosse meglio non rimanere lì con lei troppo a lungo; l’aveva raggiunta solo per chiederle di incontrarsi con calma più tardi. Per tale motivo fu piuttosto rapido ad arrivare al punto. 

«Vorrei che parlassimo di-» esordì, ma un giovane passò accanto a loro e il medico si zittì. «Beh, lo sai» concluse poi.

Eve si lasciò sfuggire un sorriso. Si sentiva tranquilla nonostante tutto, poiché, quando la sera prima si era avvicinata a Bones fino a baciarlo, sentiva di stare facendo un errore che, certamente, avrebbe solo complicato tutto. Invece ciò che era avvenuto fra loro aveva superato ogni sua aspettativa, al punto che avrebbe accettato qualsiasi conseguenza.

«Sì, credo sia doveroso parlarne» rispose lei, stringendosi appena nelle spalle.

«Solo non qui» Bones lanciò un’occhiata accanto a loro, dove alcune persone stavano passando lungo il corridoio. 

Eve lo capì perfettamente – e, in fondo, anche lei era dello stesso parere.

«Che ne dici di trovarci nella T3? Dopo le dieci di sera non c’è mai nessuno, credimi, lo so per esperienza.»

Aveva abbassato la voce sul finire della frase, anche lei preoccupata che qualcuno potesse sentirli.

Bones pensò alla stanza che la ragazza aveva proposto; era una di quelle stanze piccole e arredate esattamente per fare due chiacchiere, un tavolino, una credenza piena di bicchieri – anche se non vi era nulla da bere. Era uno di quei posti dove lui si trovava ogni tanto insieme a Jim, quando quest’ultimo aveva voglia di parlare.

Acconsentì alla proposta di Eve e si diedero appuntamento per quella sera, infine lui si allontanò, dirigendosi verso la plancia.

Il resto della giornata del medico trascorse come un’accozzaglia di strane sensazioni. A differenza di come avveniva sempre, il lavoro non era riuscito a distrarre McCoy che, quasi a intervalli regolari, controllava l’ora e borbottava mentalmente alcune imprecazioni. Appena arrivò il momento di andare, si congedò da Jim e raggiunse la stanza T3. Era piuttosto risoluto quando varcò la soglia e colpito – nel senso buono del termine – quando vide Eve. Lei era seduta al tavolino, fra le mani teneva il bicchiere in parte pieno di un liquido ambrato; alle sue spalle, oltre la finestra, lo spazio avanzava lento.

«Non ti facevo una da whisky» esordì lui, quasi ad annunciarsi.

Eve non sollevò neanche lo sguardo. «Infatti è bourbon.»

Alzò gli occhi solo in quel momento, proprio quando Bones si sistemò nello sgabello vuoto davanti a lei, sorridendo alla sua affermazione La ragazza allora versò un po’ di quel liquore in un bicchiere che aveva preparato in precedenza e lo fece scorrere sul piano fino alla mano di McCoy. 

Lui ne bevve un sorso. «Ottimo sentenziò.»

«Lo so. Ne ho fregate alcune bottiglie dalla riserva di mio padre e poi le ho nascoste fra i vestiti prima di imbarcarmi.»

Bones sollevò il bicchiere, esprimendosi in un gesto che aveva tutta l’aria di lodare la scelta della ragazza. 

Lei bevve un sorso del suo bourbon, dopodiché prese fiato.

«Che ne dici se smettessimo di girare intorno all’argomento?» 

Era calma, quasi rilassata. Non aveva aspettative da quell’incontro, proprio come McCoy. Il medico posò il suo bicchiere sul ripiano. «Sì, hai ragione.»

«Beh, io» esordì Eve, con una sicurezza che, in buona parte, poteva dipendere dal liquore che aveva ingerito, «penso che sia abbastanza palese quello che provo. So che ci sono dodici anni di differenza fra noi e, insomma, non potrei biasimarti se per te questo fosse un fattore rilevante. Tuttavia la verità credo di avertela mostrata abbastanza chiaramente ieri sera.»

Si mise a ticchettare lievemente con le dita sul vetro del bicchiere, producendo un suono appena percepibile.

«Mi sono sempre sentita attratta da te» ammise, distogliendo lo sguardo. «E dopo quello che è successo su Ummei, beh...»

Eve si interruppe, non sapendo come altro proseguire. Si era appena aperta e si sentì d’improvviso vulnerabile, quasi si fosse resa conto solo in quel momento di ciò che aveva appena pronunciato.

Di fronte a lei, Bones guardò il profilo della ragazza, spostando lo sguardo fino al punto in cui lei stava osservando; lo spazio oltre l’Enterprise continuava a muoversi lento, illuminato da migliaia di stelle lontane.

Dopo diversi secondi di silenzio, il medico capì che Eve non avrebbe mai concluso la sua frase, tuttavia aveva compreso alla perfezione quello che intendeva dire. Bones si fece forza e, quasi arrendendosi alla situazione, disse:  «Per quanto mi riguarda, era da tempo che non incontravo una donna in grado di incuriosirmi tanto quanto te.»

Lei tornò a guardarlo, sorpresa e lui riprese a parlare: «Sai dopo quello che mi è successo – la faccenda del divorzio intendo – inizi a vedere tutto il genere femminile con diffidenza. Come se le donne non aspettassero altro che pugnalarti alle spalle.» Nella sua ultima frase c’era una leggera nota di rimprovero, rivolta esclusivamente a se stesso. «Solo che con te è stato tutto diverso, fin da subito. E sento di essere abbastanza intelligente per capire che ciò vuol dire qualcosa.»

Un sorriso leggero illuminò il volto di Eve al suono di quelle parole e le gote le si fecero più rosee. Tuttavia Bones sospirò, cosa che fece intuire alla ragazza che c’era dell’altro.

«Quanto hai detto, però, è vero. Ci sono dodici anni di differenza fra noi. E non si tratta solo di questo; non so quanto la Flotta Stellare possa vedere di buon occhio una relazione fra una cadetta e uno che ricopre il mio ruolo facenti parte dello stesso equipaggio.»

Eve si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo. Sapeva che Bones aveva ragione ma, per lei, fu più doloroso comprendere attraverso le sue parole che fra loro non sarebbe potuto accadere nulla.  Si fece forza, ripetendosi nella mente il fatto che lei sapeva sarebbe andata a finire così, anzi, era accaduto molto più di quanto si fosse aspettata.

Annuì con la testa alle parole del medico. «Perciò facciamo come se non fosse avvenuto nulla?» chiese.

McCoy la guardò a lungo. Dentro di lui c’era una lotta, ma dal tono sicuro usato da Eve comprese che la ragazza aveva fatto la sua scelta.

«Sì» rispose monosillabico. Terminò il contenuto del suo bicchiere, lasciando intuire a Eve che era meglio chiudere lì la conversazione. Lei lo capì; senza che Bones le dicesse nulla si alzò in piedi, si sistemò la divisa e afferrò la bottiglia di bourbon. Anche il medico si alzò e si avviò accanto alla ragazza.

Davanti alla porta Eve si fermò e sollevò lo sguardo su Bones. «Quanto dobbiamo fingere che non sia accaduto?» gli chiese. «Anche la nostra disavventura su Ummei, o solo di questa notte?»

Il medico non capì se la sua domanda si potesse considerare o meno una provocazione, ma dal tono con cui era stata pronunciata comprese che non lo era; era una curiosità, nulla di più.

«Non so tu, ma per me sarà pressoché impossibile dimenticare quanto successo su Ummei» replicò lui, strappando un leggero sorriso a Eve. «E poi mi hai salvato.»

Al suono di quelle ultime parole la ragazza si fece seria. Alla mente le tornarono, inevitabili, i ricordi di ciò che era successo fra loro da quel giorno. Il pensiero che tutto sarebbe finito così la rattristava, ma voleva rispettare la scelta di McCoy. 

Il loro contatto visivo durò un istante di troppo e Eve non arrestò l’ultimo fremito che la percorse. Si alzò in punta di piedi e posò le labbra su quelle di Bones; le schiuse in modo da percepire tutto il sapore del bourbon ancora presente sulla bocca dell’uomo. Quest’ultimo, in un primo momento, si disse di resistere, ma subito dopo decise che non c’era nulla di male a vivere quel bacio con la giusta intensità. Si avvicinò a Eve, le sfiorò il collo e fece scorrere la mano destra fino alla nuca, affondando le dita fra i suoi capelli. Eve si portò ancora più vicina, stringendosi a lui come fosse vitale.

Nonostante quello dovesse essere il loro ultimo, intimo, momento insieme, fu proprio mentre si baciavano quell’ultima volta che entrambi capirono che nessuno dei due poteva fare a meno dell’altro.

 

 

  
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