Capitolo
10 – Sottosopra
Era
passata un’ora quando finalmente la vide scendere da
una piccola utilitaria e salutare con un grande sorriso la persona che
l’aveva
accompagnata. Con quel buio non riuscì a vedere chi fosse,
ma dall’affetto con
cui si erano congedati dedusse che si doveva trattare di qualcuno di
speciale
per lei. Ancora una volta un morso di gelosia gli attanagliò
lo stomaco, anche
se dovette ricordarsi di non aver alcun diritto di essere possessivo
nei suoi
confronti.
Le
si avvicinò e la raggiunse prima che entrasse
nell’albergo. La chiamò: “Ehy,
Stana…”
La
donna sobbalzò al sentire il proprio nome: non si
aspettava certo di trovarselo davanti a quell’ora di notte.
“Nathan, mi hai
fatto prendere un colpo! Che ci fai qui?” esclamò,
portandosi una mano al
petto, quasi a voler impedire che il cuore, battendo così
forte per la paura,
le saltasse fuori dalla cassa toracica.
“Sì,
scusami, lo so, non è l’orario tipico delle visite
di cortesia, ma mi è successa una cosa e te la volevo
raccontare” le confessò,
rendendosi conto solo in quel momento di che ora fosse veramente e
della
freddezza con cui si erano congedati al loro ultimo incontro.
Raggiungerla in
albergo era stata una pazzia, però cercò di
trasmetterle con lo sguardo quanto
fosse importante per lui poter condividere con lei la notizia che aveva
ricevuto e incrociò mentalmente le dita affinché
lei lo comprendesse.
Stana
si prese qualche istante per osservarlo con
attenzione e percepì quanto ci tenesse. Sospirò.
“D’accordo, entriamo in
albergo così evitiamo il congelamento” disse,
facendogli strada.
Monsieur
Dupont li vide attraversare l’ingresso e sollevò
impercettibilmente un
sopracciglio, seguendo i loro movimenti. La bella signora americana lo
salutò educatamente
come sempre e lui fece altrettanto. Sembrava a suo agio con
quell’uomo,
pertanto dedusse che non era necessario tenerli sotto controllo. Si
accomodarono sul divanetto posto nella piccola sala di lettura situata
oltre la
reception. Era una stanza accogliente: l’arredamento era un
po’ retrò e i libri
messi a disposizione degli ospiti non erano certo i best-seller
dell’ultimo
momento, ma c’erano diversi volumi illustrati su Parigi e i
classici della
narrativa europea, sia in lingua originale che nella traduzione in
francese,
oltre ai capisaldi delle opere nazionali: testi teatrali di
Molière, romanzi di
Victor Hugo e di Marcel Proust, poesie di Baudelaire.
Stana
si tolse la giacca e il foulard, sistemandosi più
comodamente sul divano e gli rivolse uno sguardo interrogativo. I suoi
occhi
sapevano parlare in modo chiaro e inequivocabile, esprimendo interi
concetti e
profonde sensazioni senza dover far ricorso alla parola. Persino gli
autori di
Castle avevano sfruttato questa sua capacità con il
celeberrimo look-look di Kate
Beckett.
“Mi
ha chiamato Paul, il mio agente” le disse. “Mi
è
stata offerta la parte del protagonista in una nuova serie”
aggiunse,
trattenendo a stento l’entusiasmo, anche se non
riuscì a nascondere il
luccichio nello sguardo.
Stana
lo abbracciò d’impulso: “Oh Nate, sono
così felice
per te!” gli sussurrò in un orecchio, sfiorandolo
con le labbra. Quel contatto
così intimo provocò delle sensazioni sconvolgenti
in entrambi, tanto che si
staccarono immediatamente, come se si fossero avvicinati a una
superficie
incandescente. Ancora preda di quel profondo turbamento che lo aveva
scosso fin
nelle viscere, l’uomo riprese: “Appena ho saputo
dell’offerta, la prima persona
a cui lo volevo dire sei tu”
Quella
dichiarazione sincera aumentò lo stato
confusionario di Stana, che si rischiarò la gola e non
sapendo come reagire si
limitò a chiedergli: “Che ruolo dovrai
interpretare?”
“Oh,
non lo so ancora. Paul mi manderà maggiori
informazioni via mail e mi chiamerà nei prossimi giorni.
Parigi mi ha portato
fortuna. Tu mi hai portato fortuna!” le disse entusiasta,
prima di avvicinarsi
a lei, prenderle il volto fra le mani e stamparle un bacio sulla bocca.
Quel
semplice sfiorare di labbra, durato solo un paio di secondi,
lasciò entrambi
disorientati.
“Ehm…
ecco, adesso penso che sia proprio l’ora di
andare…
buonanotte, Stana” e con queste parole si alzò e
si avviò alla porta. Passò
davanti a Monsieur Dupont cui fece
un
cenno di saluto con la testa e la notte di Parigi lo
inghiottì.
Si
ritrovò nel suo albergo nel Quartiere Latino senza nemmeno
sapere come ci fosse arrivato. Era ancora frastornato.
L’istinto di baciarla lo
aveva colto alla sprovvista, ma quel desiderio covava in lui da
così tanto
tempo che non aveva potuto fare altro se non soccombere
all’impulso. Però poi
non aveva saputo come comportarsi e se l’era filata, in modo
impacciato e,
siamo sinceri, per nulla dignitoso. Era stata un’uscita di
scena davvero
imbarazzante.
Si
sedette sul letto e si passò le mani fra i capelli,
mentre il cuore gli batteva all’impazzata. Aveva rovinato
quel minimo che era
riuscito a ricostruire. Poco ma sicuro.
“Maledizione!” imprecò a voce bassa,
sbattendo un pugno sul piumone. Cercò di escogitare qualcosa
che gli
permettesse di recuperare almeno il rapporto di amicizia, ma il fluire
dei suoi
pensieri venne interrotto dallo squillo del cellulare. Era Paul. Pur
avendo ben
altro per la testa, in quel momento non poteva certo permettersi di
ignorare la
sua chiamata.
Anche
Stana aveva raggiunto in qualche modo la sua
stanza, dopo essere rimasta pressoché pietrificata sul
divanetto della sala di
lettura per un tempo che non avrebbe saputo calcolare. Il gesto di lui
l’aveva
sconcertata.
Si
sfilò gli abiti ed entrò nel box doccia,
lasciando che
l’acqua calda le bagnasse i capelli e le scorresse lungo il
corpo, con la
speranza che il getto portasse via anche la confusione che
l’agitava.
Ripercorse con la memoria ogni secondo di quella scena.
Avrebbe
potuto impedirgli di baciarla?
Teoricamente
sì.
Avrebbe
voluto
impedirgli di baciarla?
No.
No?!?!?
Macché
no!
Sì.
Certo che sì.
Razionalmente
lo avrebbe voluto. Peccato che le sue
labbra avessero deciso di gettare la razionalità alle
ortiche, preferendo
seguire l’istinto. In quel nanosecondo la sua idea di giusto
e sbagliato si era
liquefatta ed era sparita. Puff. Dissolta nell’etere. Per
fortuna, Nathan se
n’era andato prima che le venisse la tentazione di prendere
l’iniziativa e
baciarlo a sua volta.
Oddio,
e questo pensiero da dove usciva fuori?
No
no no no no, non se ne parlava nemmeno.
Prese
un respiro profondo, versò il bagnoschiuma sulla
spugna e si concentrò sulla doccia, mettendo da parte le
emozioni che il
ricordo di quel bacio aveva scatenato dentro di lei. Per esigenze di
scena si
erano baciati tante volte nel corso degli anni, ma stavolta era
diverso. Era
stato spontaneo, non c’era nessun copione da rispettare,
né un regista che
avesse detto loro come mettersi a favore di telecamera, né
una troupe sullo
sfondo. Ed era stato splendido. Naturale.
Scosse
la testa e cercò di non pensarci più, dedicando
la
propria attenzione alla cura dei capelli, con shampoo, balsamo e
persino una
maschera ristrutturante. Tutto considerato, era stato solo la reazione
istintiva a una bella notizia. Non ci doveva leggere altro.
Finita
la doccia, indossò l’accappatoio, avvolse i
capelli in una salvietta e recuperò il cellulare dalla
borsa, per controllare i
messaggi e chiamare i suoi genitori. Non si era accorta che si fosse
scaricato,
così collegò il caricabatteria alla rete
elettrica e il display si rianimò,
mostrandole le numerose chiamate perse da Nathan.
Corrugò
la fronte: questo cambiava le cose.
Non
era stato un impulso immediato.
L’aveva
cercata più volte ed era andato fino al suo
albergo per poter parlare con lei, a un orario fuori dalla grazia del
cielo.
Allora forse il suo gesto aveva significato qualcos’altro?
Finì di asciugarsi,
si applicò la sua crema idratante preferita, massaggiando
con attenzione tutto
il proprio corpo, e andò a dormire, mentre uno stormo di
farfalle impazzite
volava nel suo stomaco. Dopo quel bacio la pelle sembrava aver assunto
un nuovo
livello di sensibilità.
La
mattina dopo si svegliò ancora sottosopra come se
fosse appena uscita da una centrifuga: il suo sonno era stato popolato
di
immagini vivide ed inequivocabili che la vedevano protagonista di
performance ad
alto tasso erotico in compagnia di Nathan. La sua libido le stava
lanciando dei
segnali inconfondibili, che lei invece si ostinava a ignorare.
Controllò il
cellulare ma questa volta non c’erano né messaggi
né chiamate da parte sua.
Meditò un po’ sul da farsi, poi decise che quel
giorno avrebbe visitato
Montmartre, dopo aver fatto una rapida colazione, sbocconcellando un
croissant
senza gustarlo. Aveva risposto a monosillabi persino a
Hélène, con cui di
solito amava chiacchierare. Ma quel bacio aveva toccato qualche corda
nel suo
cuore e le vibrazioni che ne erano scaturite continuavano a riverberare
in lei,
trasportandola in un’altra dimensione.
La
sera prima lei e Rosalie avevano parlato a lungo del
film “Le fabuleux destin
d’Amélie Poulain”,
di cui entrambe adoravano la poesia e la tenera assurdità di
alcune scene, e le
era venuta voglia di ricercare i luoghi in cui era ambientato: prese la
metropolitana e raggiunse il Café
des 2
Moulins, il locale in cui lavorava la protagonista,
annotandosi mentalmente
di scovare anche il negozio di frutta e verdura del signor Collignon,
oltre
alla straordinaria basilica del Sacre Coeur. Il meteo era dalla sua
parte: un
cielo azzurro terso avrebbe fatto risaltare la pietra calcarea con cui
era
stato costruito il santuario, regalandole un’immagine
meravigliosa da serbare
con cura nei suoi ricordi.
La
visita del quartiere richiese buona parte della
giornata e contribuì a distrarla, anche se ogni tanto non
riusciva a resistere
alla tentazione di controllare il cellulare, senza alcun esito. Inutile
negarlo: era contrariata che lui non l’avesse ancora
chiamata. Forse per lui
davvero non aveva significato nulla? A un certo punto però
si disse che il
Medioevo era passato da tempo e che avrebbe anche potuto prendere lei
l’iniziativa
e dissipare ogni dubbio sulle reali intenzioni di Nathan,
così da evitare di
proiettarsi dei film nella mente. Entrò in una piccola boulangerie, la cui fragranza di pane
appena sfornato le sollecitò
le narici, ordinò una baguette calda che le venne servita su
un delizioso
piatto di ceramica bianca bordato di blu e accompagnata dal burro
bretone, e un
café au lait.
Scattò una foto a cibo
e bevanda e gliela inviò con il messaggio “ti va
di condividere per festeggiare
il tuo nuovo ruolo?”
Il
beep del cellulare lo informò di aver ricevuto un
whatsapp. Si stropicciò gli occhi e guardò
l’orologio. Quasi le tre del
pomeriggio??? Com’era possibile? Ah sì, la
telefonata con Paul era durata a
lungo ed era stata seguita dalla lettura approfondita della
sceneggiatura di
“The Rookie”, nel quale avrebbe dovuto interpretare
una recluta che decide di
realizzare il suo sogno e diventare un agente di polizia, pur essendo
molto più
anziano degli altri commilitoni. L’entusiasmo iniziale aveva
lasciato lo spazio
a una depressione sempre crescente, man mano che si faceva strada nel
suo cuore
un’unica, devastante consapevolezza: gli avevano affidato
quel ruolo perché era
un uomo di mezza età. Aveva impiegato ore per analizzare il
copione avanti e
indietro, alla disperata ricerca di qualche indizio che indicasse un
esito
diverso, ma il risultato era sempre il solito: il suo personaggio era
un
vecchio.
Del
resto, doveva fare pace con l’idea che il tempo passa
per tutti. Tranne che per lei. Lei era bellissima, forse addirittura
più di
quando l’aveva incontrata la prima volta, quasi dieci anni
prima. E le sue
labbra erano ancora più morbide e dolci di quanto
ricordasse. Per non parlare
del suo profumo: gli era rimasto nelle narici. Un mix di shampoo, eau de toilette e un qualcosa di
unicamente suo.
L’insieme
delle sensazioni lo aveva lasciato così
scombussolato che era riuscito a prendere sonno solo quando il sole era
ormai
sorto da tempo. Era precipitato in una specie di coma, dal quale lo
aveva fatto
emergere solo la suoneria del cellulare che gli annunciava
l’arrivo di un
messaggio.
Già,
non aveva ancora visto chi gli aveva scritto!
Si
tirò a sedere sul letto, prese il telefono e il cuore
gli si riempì di gioia. Era di Stana! Lo aprì e
sorrise, come un ebete. Non era
arrabbiata con lui per quel bacio, anzi, aveva voglia di incontrarlo!
Quell’invito lo rincuorò, anche se non era
così sicuro che ci fosse un vero
motivo per festeggiare. Anzi, sì che c’era una
ragione per celebrare! Era stata
lei a cercarlo! OK, animo: doveva raggiungerla. “Ciao
splendore! Dove siete tu
e quella fantastica baguette?” Premette invio e subito gli
venne in mente che forse
aveva esagerato con quel saluto… Per fortuna, la risposta
non si fece
attendere. L’emoji di una faccina imbarazzata che arrossisce
precedeva le
parole “A Montmartre, in una boulangerie
di ispirazione bretone” e la sua posizione.
Calcolò la distanza e il tempo
richiesto, tramite l’apposita applicazione, e le rispose:
“Fra mezzora sono lì.
Aspettami, ti prego.”
Nota
dell’autrice
Eh
sì, le buone notizie vanno festeggiate con le persone che
contano...
Non
so voi, ma io adoro “Il favoloso mondo di
Amélie” e lo riguardo ogni volta che
viene trasmesso in tv! Il giro per Montmartre continua anche nel
prossimo
capitolo ;-)
A
presto e grazie per essere arrivati fino qui!
Deb