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Autore: gemelliweasley    26/02/2018    1 recensioni
Inspirato al libro di Valentina D'Urbano, il rumore dei tuoi passi.
-Ti conviene non toccarla quella scatola-
Sobbalzai e mi girai verso il punto dal quale proveniva la voce.
Davanti a me un ragazzino poco più alto di me, con i capelli corvini, gli occhi verdi e una maglia troppo larga, mi parlava con aria seria cercando di essere minaccioso.
-Scusa... io non volevo farti arrabbiare...- bisbigliai a mezza voce
-Sei nuova?- chiese.
-Si, sei tu il bambino che corre per tutto il palazzo suonando continuamente ai campanelli delle altre case?-
-Perchè lo vuoi sapere?-
-Vorrei conoscere qualcuno con cui giocare. La fidanzata di papà e mio padre non vogliono mai lasciarmi uscire a giocare, sono mesi che sono chiusa dentro casa...- gli risposi asciugandomi le lacrime.
-Perchè non ti fanno uscire?- chiese curioso.
-Dicono che sono strana, che vedo cose nella testa che non esistono, ma non è vero! Vedo i mostri, sento che vogliono farmi del male e non so come scappare!- risposi piangendo ancora più forte.
Questa one-shot è un What if sulla vita di Percy e Annabeth da bambini
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Quando ero piccola vivevo con mio padre in una piccola casetta in campagna, che papà aveva ereditato da qualche suo zio morto diversi anni prima, quando ero poco più che una lattante. Mio padre era stato costretto a prendersi cura di me, ma non mi aveva mai nascosto che mi deterstava. Mia madre mi aveva lasciato davanti casa sua senza lasciargli un biglietto, ne una spiegazione, dicendogli soltanto che quella che aveva davanti era sua figlia e che lei non poteva prendersi cura di me perchè i genitori divini non possono interferire con la vita dei loro figli semi-divini.

Il posto in cui vivevamo era molto lontano dalla città, la casetta era circondata di terra arida e solo alcuni ciuffi di gramigna erano sopravvissuti in quella desolazione che era casa nostra. Nei dintorni di quella casa non viveva nessuno, e anche gli animali parevano aver paura di quel posto.

Mio padre era un appassionato di Guerra Civile, aveva studiato per diversi anni all'università diverse materie storiche ed era riuscito a laurearsi con il massimo dei voti prima che conoscesse mia madre. La sua passione lo aveva spinto a cercare tutto il possibile riguardo alla guerra, così aveva iniziato a collezionare oggetti appartenenti a quel periodo storico ed era diventato un noto storico. Durante i suoi studi, non si era limitato solo a leggere o a riprodurre sulle mappe gli schemi di avanzamento delle truppe, delle trappole e delle avanzate di carri armati e cavalieri, aveva cominciato addirittura a creare riproduzioni artigianali di bombe, armi, missili e proiettili, cercando di realizzarli nella maniera più precisa e perfetta possibile impiegando anche diversi mesi per la creazione di un solo pezzo.
Mio padre era sempre stato più interessato alla storia che a me e non me ne aveveva mai fatto mistero. Spesso e volentieri si dimenticava persino della mia esistenza e se era particolarmente preso da un libro o da un articolo si dimenticava che avevo bisogno di mangiare e di lavarmi, così all'età di sette anni cominciai a cucinare da sola e a provvedere ai miei bisogni in maniera autonoma senza che papà se ne accorgesse.

Non avevo giochi con cui potevo passare il tempo, così spesso prendevo i libri di papà e mi mettevo a scarabocchiare e a disegnare, a volte anche solo per richiamare la sua attenzione. Avevo iniziato a leggere all'età di quattro anni, quando papà mi obbligava a stare seduta nel passeggino per non fare troppi danni diceva, in realtà non voleva lasciarmi da sola in qualche angolo della casa per paura che mi potessi fare male e mia madre non glielo avrebbe mai più perdonato.
Ogni volta che si accorgeva delle mie marachelle si infuriava così tanto da urlarmi contro, tirarmi diversi schiaffi sul sedere e da chiudermi in camera per giorni, senza farmi uscire nemmeno per usare in bagno.
Avevo appena sette anni, ma già odiavo mio padre e la sua voglia di sbarazzarsi di me per rimanere a studiare i suoi preziosi libri, di vivere come se io non esistessi, come se non fossi un suo problema.

Un pomeriggio di fine luglio mio padre tornò a casa da lavoro prima del solito. Parcheggiò la macchina davanti l'ingresso di casa e sbattè forte la portiera, avviandosi a passo svelto verso la porta di casa e aprì con le chiavi. Non appena rientrò si mise a correre per le scale senza degnarmi di un saluto, ma me lo aspettavo, prese una valigia e cominciò a riempirla con i suoi vestiti, le cravatte e un po di cibo.
Lo seguivo come un ombra cercando di non farmi scoprire, ero curiosa di sapere cosa stava tramando. Perchè stava togliendo i suoi vestiti dall'armadio?

-Annabeeeth!- gridò all'improvviso. Mi nascosi dietro la porta della sua camera da letto e probabilmente se ne accorse perchè non mi chiamò più. Trascorsero pochi minuti prima che spostasse la porta, poi mi tirò per un braccio e con voce arrabbiata mi gridò contro.
-Vai in camera tua e prendi i tuoi vestiti, questa sera ce ne andiamo via, ho trovato una casa in città, fila a preparare la tua borsa. Fa in fretta, non abbiamo tempo!-

Feci come mi era stato ordinato, troppo scossa per poter replicare e presi un vecchio borsone logoro che riempii con i miei pochi vestitini e qualche pupazzo, poi scesi in salotto dove papà mi stava aspettando arrabbiato.

-Tutto questo tempo ti ci è voluto per preparare uno stupido borsone? Quanto diamine sei lenta! Muoviamoci prima che si faccia troppo tardi.-

Uscimmo di casa, papà chiuse la porta a chiave e non so perchè, ma sapevo che quella sarebbe stata l'ultima volta che sarei stata li, lo sentivo.

-Perchè stiamo andando via papà?- chiesi cercando di non farmi tremare la voce.
-Ho trovato una donna a New York, abbiamo deciso di convivere e presto ci sposeremo, ha accettato anche il fatto che avessi una figlia strana come te e non ne ha fatto un affare di stato. Stasera andiamo a stare da lei. Guai a te se le fai qualcosa di strano o giuro che questa volta ti accoppo.-

Cominciai a tremare inconsciamente e non parlai più. Mio padre mi prese di peso e mi mise in un vecchio seggiolino che aveva visto sicuramente tempi migliori, mi allacciò la cinta e poi partimmo. Mi affacciai dal finestrino e vidi una strana donna con una gamba da asino e una di metallo che si stava nascondendo dietro un albero, un brivido mi fece tremare la schiena, quando mi riaffacciai la donna non c'era più e guardai la strada.
Non so quanto tempo durò il viaggio, mi addormentai non appena mettemmo piede in autostrada, quando mi risvegliai eravamo arrivati in città. Papà parcheggiò la macchina vicino al portone di un vecchio palazzo molto vecchio e salimmo fino al quinto piano. Li, sull'uscio, una donna con i capelli scuri e l'aria cattiva ci aspettò sul pianerottolo guardando mio padre con una strana luce negli occhi, poi lui la baciò, e mi costrinse ad entrare dentro.

La donna mi portò in quella che sarebbe diventata la mia camera e li sperai davvero che fosse tutto solo un bruttissimo incubo.

La stanza era spoglia, vuota; l'unico arredo presente era formato da un vecchio materasso buttato a terra e un piccolo armadio a muro, una finestra alquanto piccola faceva abbastanza luce da permettermi di vedere i bordi sfocati del materasso. I muri erano scrostati e sui pavimenti si vedevano i calcinacci che erano caduti dal soffitto, la casa puzzava di muffa e di chiuso, come i libri che papà teneva chiusi in cantina, nella nostra vecchia casa. Avevo sempre detestato quella puzza, mi faceva male allo stomaco.

Ero molto stanca, così presi una vecchia copertina che avevo messo nel borsone e mi rannicchiai sul vecchio letto di fortuna e chiusi gli occhi, all'epoca non ancora lo sapevo, ma quella sarebbe stata la mia casa per pochi mesi ancora.

***

I mesi di luglio ed agosto furono abbastanza lenti e noiosi, mio padre e la sua “fidanzata” cercavano di evitarmi il più possibile, mi annoiavo così tanto che trascorrevo i pomeriggi seduta sul pavimento vicino il portone di ingresso dell'appartamento, sentendo i bambini che correvano urlando per le scale, fingendo di essere anche io come loro.

Mi sentivo un'appestata e non avevo conosciuto nessuno di quei bambini. Un pomeriggio, troppo annoiata e sudata per rimanere in camera, aspettai che la fidanzata di papà si distraesse per sgattaiolare di casa e salìi in soffitta. La stanza era piccola e angusta, piena di vasche corrose dalla ruggine e piene di polvere e ragnatele. Odiavo i ragni, ma mi feci forza per non scappare, non volevo tornare a casa così in fretta. Perlustrai un po la zona, aprii alcuni scaffali e dei bauli polverosi e trovai vecchie foto e abiti logori che probabilmente appartenevano o erano appartenuti a qualche vecchio inquilino del palazzo. Spostai una vecchia coperta di lana bucherellata dalle tarme e sotto trovai una vecchia scatola di scarpe contenenti giochini, disegni e una collana.

-Ti conviene non toccarla quella scatola-

Sobbalzai e mi girai verso il punto dal quale proveniva la voce. Davanti a me un ragazzino con i capelli corvini, gli occhi verdi e una maglia troppo larga e logora che mi parlava con aria seria cercando di essere minaccioso.

-Scusa... io non volevo farti arrabbiare...- bisbigliai a mezza voce.
-Sei nuova?- chiese.
-Si. Sei tu il bambino che corre per tutto il palazzo suonando continuamente ai campanelli delle altre case?-
-Perchè lo vuoi sapere?-
-Vorrei conoscere qualcuno con cui giocare. La fidanzata di papà e mio padre non vogliono mai lasciarmi uscire a giocare, sono mesi che sono chiusa dentro casa...- gli risposi asciugandomi le lacrime.

Avevo cercato di essere forte, ma ero pur sempre una bambina, non volevo stare sola tutto il giorno. Volevo giocare, ridere, disegnare... fare le cose che fanno i bambini a quell'età.

-Perchè non ti fanno uscire?- chiese curioso.
-Dicono che sono strana, che vedo cose nella testa che non esistono, ma non è vero! Vedo i mostri, sento che vogliono farmi del male e non so come scappare!- risposi piangendo ancora più forte.
-Anche tu vedi i mostri?- mi domandò incredulo -Pensavo di essere l'unico! Figo!-
-La tua mamma non ti dice nulla? Ti fa uscire lo stesso?- chiesi ad un certo punto smettendo di piangere.
-No, mamma mi dice sempre che sono speciale, e che un giorno diventerò un eroe!- rispose allegro venendo a sedersi affianco a me.
-Un eroe?-
-Siii! Hai presente Ercole, Achille, Perseo? Un eroe come loro!- continuò convinto.
-Papà dice che sono una... semi-dia? Semi-dea? Non so come si dice, ma ne parla come se fosse una cosa tanto brutta...-
-Vieni, ti faccio conoscere la mia mamma, lei sa tante cose sugli eroi!- il bambino si alzò in piedi e mi prese la mano, io la accettai e mi accompagnò fino a casa sua, poi suonò al campanello.

Trascorsero pochi minuti prima che una donna con i capelli castani e ricci, alta, di media corporatura, venisse ad aprire.

-Mamma, mamma! Guarda, ho trovato un altra bambina come me!- esclamò il bambino abbracciando le gambe alla donna.
-Percy, sai che è pericoloso raccontare in giro quello che ti ho detto? Non sai mai chi potrebbe ascoltarti- gli rispose la mamma dolcemente scompigliandogli i capelli.
-Mamma ma è vero! Anche sei è una dia!- esclamò facendo ridere la mamma.
-Venite bambini, entrate dentro così parleremo meglio! Percy si dice semidea, è una femminuccia la tua amica, tu che sei un maschietto sei un semidio!- disse mettendosi a ridere.

Sally, la mamma di Percy, quel pomeriggio ci preparò la merenda e mi chiese di mia madre, spiegandomi la faccenda degli dei anche se non la capii molto bene, e mi disse che anche lei da giovane vedeva i mostri, ma non era come noi. Non aveva un papà o una mamma divini, lei era nata così, per vedere attraverso qualcosa che aveva chiamato foschia.

-Quindi non sono matta o pericolosa?- chiesi timidamente.
-Oh no Annabeth, quello che vedi nella testa è tutto vero! Esiste un posto dove allenano i bambini come voi, prima o poi verranno a prendervi dei custodi e vi porteranno li, non aver paura bambina mia, voi siete gli eroi che un giorno proteggeranno questo mondo.-

Mi sentii stranamente felice.
Avevo incontrato per la prima volta in vita mia delle persone che non avevano paura di me, che non pensavano che fossi solo una matta bugiarda, mi sentivo bene con me stessa per la prima volta dopo molti molti anni.

-Mamma, Annabeth può rimanere a cena da noi questa sera? Voglio farle vedere i miei giochi, ha detto che il suo papà non le compra i giochi, che cattivo che è!-
-Certo, per me non ci sono problemi, ma forse è il caso che Annabeth vada ad avvisare il papà prima, che ne dici?-

Presa dall'euforia aprii la porta e corsi fino a quella che era ormai era la nostra nuova casa e picchiai diverse volte sul portone. Percy mi aveva raggiunto in fretta e ora aspettava con me che qualcuno venisse ad aprire. Da dentro l'appartamento provenivano urla e rumori di cose che cadevano a terra, poi qualcuno venne ad aprire.

-Se la prendo questa volta giuro che la picchio quella piccola disgraziata che non è altro!- urlava la voce maschile da dietro la porta. Avrei voluto correre giù per le scale, ma sapevo che era troppo tardi, avevano sentito bussare, e mi resi conto di aver fatto una cavolata. Mio padre mi stava aspettando per picchiarmi, aveva aperto la porta e si era fiondato su di me tirandomi schiaffi sul sedere, tirandomi i capelli. L'avevo fatta grossa.

-Figlia disgraziata e degenere, si può sapere dove diavolo sei stata tutto il pomeriggio? Ti abbiamo cercata per tutta casa, in tutti gli armadi, ovunque e tu eri con quest'altro teppista a far chissà cosa! Giuro che questa volta ti ammazzo!- gridò sul pianerottolo delle scale, attirando l'attenzione dei dirimpettai e degli altri inquilini che accorrevano per vedere cosa stava succedendo.
Percy si mise tra me e mio padre, cercando di liberarmi dalla morsa di pugni e schiaffi con il risultato di essere colpito e strattonato anche lui.

-Percy vattene!- gli urlai, dopo aver visto cosa gli aveva fatto quella bestia che chiamavo papà, ma lui non si muoveva, era rimasto a terra guardando l'uomo che mi picchiava con astio.
-Lasci stare Annabeth subitooo!- gridò correndogli incontro cominciando a tirargli pugni alla pancia e calci alle gambe, cosa che servì solo ad innervosire quell'uomo, era troppo piccolo Percy per potergli fare davvero del male.
-Lasci stare i bambini! Che diamine sta facendo a mio figlio e ad Annabeth! Guardi come li ha ridotti!- urlò Sally venendo verso me e Percy -Si aspetti pure una denuncia, questa non gliela farò passare liscia!- Sally prese per mano Percy, che era quello che dei due aveva preso meno botte, e poi prese me in braccio, portandomi via da quel mostro.

Non avevo mai avuto una madre, ma Sally aveva l'odore della mamma, Borotalco e biscotti caldi e in quel momento sperai che mi prendesse a casa con lei e che non mi facesse più tornare da mio padre.
Conoscevo Sally e Percy da poco meno di un pomeriggio e già nutrivo grande affetto e ammirazione nei loro confronti. Sally mi portò a casa sua e mi distese su un lettino, poi prese garze e cerotti e medicò le ferite che papà mi aveva lasciato addosso, mi pulì anche il sangue al naso e mi mise una pomata. Per fortuna non ci era andato giù troppo pesante, non mi aveva rotto alcun osso. Ero talmente stremata che non avevo la forza nemmeno di piangere...

Sally rimase accanto a me fino a che non mi addormentai, poi tornò in cucina e iniziò a preparare la cena, mentre Percy si addormentò accanto a me.
Quando mi svegliai, diverse ore più tardi, sentii addosso l'abbraccio di Percy e lo vidi sveglio accanto a me.

-Ti sei svegliata! Come stai?- chiese preoccupato.
-Grazie per avermi salvato Percy, sei il mio migliore amico- risposi abbracciandolo di rimando, mentre lui mi diede un bacino innocente sulla guancia.
Sally entrò proprio in quel momento e rimase a guardarci teneramente per qualche minuto, poi ci aiutò ad alzarci dal letto e andammo a cenare. Non avevo mai mangiato così tanto, mai in tutta la mia vita! Sally era una cuoca fantastica e le ero davvero grata per quello che stava facendo per me. Quella fu una delle prime notti che trascorsi a casa dei Jackson, la prima di una lunga serie.

Dall'episodio del pianerottolo non tornai più a casa, Sally e Percy mi avievano invitato a restare a casa loro e mio padre era venuto a lasciarmi il borsone con i miei vestiti due giorni dopo senza dire una parola. Fui sollevata di non essere più costretta a vederlo.

L'ottavo compleanno di Percy arrivò piuttosto in fretta, Sally per l'occasione mi aveva chiesto di tenere occupato il mio amico per tutta la giornata, così decidemmo di andare al parco giochi vicino casa. Percy era simpatico il più delle volte e ogni volta che rimanevo indietro quando facevamo la corsa, o quando non riuscivo ad arrampicarmi, mi aspettava e mi aiutava.
Quando la notte non riuscivo a dormire per gli incubi, lui mi stringeva a se e mi metteva tra le braccia un vecchio peluches a forma di delfino e mi ripeteva all'orecchio “Bessie ti protegge dai brutti sogni, non aver paura” e in quei momenti mi sentivo così amata, così coccolata che mi veniva da piangere per tutte le sue attenzioni.
Era molto carino nei miei confronti.

Sally organizzò una piccola festicciola a sorpresa e invitò alcuni dei bambini del palazzo, ma non eravamo più di sei o sette in totale. Quando tornammo dal parco giochi Percy era contentissimo, sapeva che la madre stava tramando qualcosa, tutti gli anni gli organizzava una festa a sorpresa, solitamente però erano solo loro due e passavano il tempo a vedere i suoi cartoni animati preferiti e a decorare la torta con la glassa azzurra.

Mancava poco più di un isolato prima di mettere piede nel palazzo, quando all'improvviso io e Percy venimmo strattonati da due Dracene, due donne con le code di serpente al posto delle gambe, che cercavano in tutti i modi di imprigionarci. Fui più veloce di Percy e riuscii a spostarmi appena in tempo prima che una delle due mi conficcasse un pugnale nella pancia, Percy cercava di scappare dall'altra che lo aveva bloccato contro l'asfalto tenendogli un piede sul petto, impedendogli di respirare.

-Percy dobbiamo scappare subito, aiutami a distrarle, ci penso io a metterci in salvo, al mio via corri!- gridai trafelata cercando di riprendere aria, sperando che il piano funzionasse.

Corsi verso il vicolo cieco e presi il coperchio di un bidone e un vecchio coltello sporco e arrugginito che qualcuno aveva buttato nella spazzatura. In quel momento non pensai a quanto potesse far schifo, dovevo salvare la mia vita e quella del mio migliore amico.

-Sono pronto, dimmi cosa devo fare!- -Corri verso di me, fai in modo che ti seguano, posso farcela!- Si trattò di pochi istanti, Percy corse verso di me, come gli avevo ordinato, le dracene lo stavano seguendo e io avevo in mano il coltello e l'unico regalo che mia madre mi aveva lasciato prima di spedirmi da mio padre, un berretto degli Yeenkies che mi permetteva di diventare invisibile. Lo presi dalla tasca e lo indossai, sparii subito alla vista di tutti, Percy cominciò a chiamarmi a gran voce, aveva paura, lo sapevo, ma non potevo farmi scoprire. Mi avvicinai di soppiatto alla prima e le infilzai il coltello nella schiena, subito una polvere grigiastra scoppiò intorno a noi, poi corsi dalla seconda che si stava avvicinando pericolosamente al mio amico e le tagliai prima un braccio, poi la testa, anche quest'ultima scoppiò in una nebbiolina di polvere.
Aiutai Percy a rialzarsi da terra e ci scrollammo di dosso tutta quella polvere.

Mi accorsi che Percy si era sbucciato le ginocchia e che aveva alcuni tagli sulle mani.

-Ti fanno male?- gli chiesi indicando le sbucciature.
-No, non tanto. Annabeth sei stata bravissima, grazie per avermi salvato!-
-Lo hai fatto anche tu per me, è il minimo che potessi fare per sdebitarmi!-
-Facciamo un patto?- mi chiese cospiratorio con voce molto bassa.
-Dimmi, oggi è il tuo compleanno, puoi chiedermi tutto-
-Facciamo un patto di sangue.- mi disse serio.
-E come si fa?-
-Dammi la tua mano- disse prendendo la mano con cui avevo preso il coltello e che, senza accorgermene mi ero tagliata
-Siamo già feriti, quindi non abbiamo bisogno di farci un taglietto di proposito. Metti la mano così- disse, e congiunse le nostre ferite facendo in modo che il mio sangue toccasse il suo e viceversa.
-Da adesso in poi- pronunciò con solennità -io sono te e tu sei me. Da adesso in poi nulla potrà dividerci, se muoio io, muori anche tu.-
-E viceversa- aggiunsi.
-E viceversa, certo.-

Lasciammo l'uno le mani dell'altro e ci pulimmo il sangue sugli abiti sporchi e sgualciti, sicuramente Sally avrebbe fatto domande, ma decidemmo di non pensarci subito. Corremmo fino all'appartamento ed entrammo di corsa dentro casa, Sally stava finendo di allestire la sala, così Percy entrò ad occhi chiusi e io lo guidai fino in bagno. Sally ci raggiunse e, vedendo come eravamo conciati, fece uscire l'acqua e riempì la vasca, ordinandoci di fare il bagno mentre lei andava a prendere i vestiti puliti ad entrambi.

-Dovremmo dire alla mamma delle dracene?- chiese Percy sottovoce.
-Penso di si, forse sarebbe il caso, ma lo facciamo dopo la festa, va bene?-
-Va bene- rispose lui, e insieme ci tuffammo nella vasca e ci spruzzammo l'acqua e poi ci lavammo.

La festa fu molto semplice e Sally regalò a Percy e a me una piccola collanina con una pallina di terracotta.

-Per i greci questo simbolo rappresentava la forza e la fortuna, e direi che ne avete molto bisogno bambini miei, la vostra vita sarà difficile, ma se resterete uniti sarete in grado di affrontare tutti i problemi che il futuro vi riserva. Buon compleanno ometto!- disse Sally, poi si alzò e andò verso il frigo per prendere la torta.

***

Anche agosto passò, e io e Percy cominciammo scuola. La madre di Percy ci aveva segnato nella stessa classe, non volevamo essere divisi per nessuna ragione al mondo, e lei ci aveva supportato. Entrambi ripetemmo la seconda elementare, io ero quella che dei due andava meglio, mi piaceva leggere e il pomeriggio cercavo di aiutare Percy che invece proprio non riusciva a leggere per via della sua grave dislessia.
A scuola avevamo conosciuto Tyson, un bambinone alto e robusto che solitamente rimaneva seduto sempre all'angolo della classe e poi era arrivato Jason.
inizialmente trascorrevo parte della ricreazione a parlare con Tyson, cercando di farlo ridere e non farlo sentire solo dato che mi ero sentita come lui per troppi anni e faticavo ancora a riprendermi da quell'esperienza.
Percy invece era solito trascorrere la ricreazione sempre attaccato a Jason, parlavano di tante cose e ogni volta che mi avvicinavo loro smettevano di parlare e mi urlavano contro di andare via, che stavano parlando di cose da maschi.

Cercavo di non farlo vedere a Percy, ma mi sentivo ferita. Aveva cominciato ad allontanarmi e mi sentivo tanto triste. Aveva un altro migliore amico che non ero io. Passarono alcune settimane, io continuavo ad aiutare Percy a studiare, Sally era stata avvisata dalle maestre che se non si fosse messo in pari con gli altri bambini avrebbero dovuto bocciarlo ancora, così sempre più convinta di quello che facevo, passavo tutto il pomeriggio ad aiutare il mio amico a leggere.
Trascorremmo in quel modo tutto l'anno, e in un batter d'occhio la scuola finì.
Ero riuscita nella mia missione. Io avevo superato la seconda elementare con tutte A e A-, mentre Percy aveva la media della C, ma almeno potevamo continuare ad andare in classe insieme!

Nonostante la scuola fosse finita però, Percy continuava a vedere quell'odioso di Jason che lo costringeva ad allontanarsi da me e a fare cose da maschio, io così ero costretta a rimanere chiusa in camera giocando con qualche pupazzo, sperando di far passare il tempo abbastanza in fretta.

Quel pomeriggio Percy rientrò molto tardi e mi trovò sul divano a guardare la tv stando stravaccata sul divano.

-Mamma non vuole che ci mettiamo così a guardare la tv, ti fa male!- mi disse.
-Sally non è la mia vera mamma, non può comandarmi su tutto- gli risposi senza guardarlo in faccia.
-Non eri dello stesso parere qualche mese fa-
-Non siamo più migliori amici, quindi lasciami perdere e vai a giocare da un'altra parte, mi dai fastidio!- gridai.
-Perchè non siamo più amici?-
-Tu non mi vuoi più bene, non vuoi più passare il tempo con me, parli solo con Tyson e Jason, non voglio più ascoltarti, uffa!-
-Ti da fastidio che abbia un altro amico?-
-Non posso più giocare da sola con te...-
-Annabeth, non devi avere paura che voglio bene più a lui che a te, tu sei mia amica più di lui, ma sei anche una femmina, voglio giocare con lui ogni tanto!-
-Lo so ma da quando è cominciata l'estate hai passato quasi tutti i giorni con lui e non vuoi più nemmeno che ti abbraccio la notte- gli confessai.
-Fa troppo caldo per dormire così abbracciati, sento caldo!-

Venne a sedersi vicino a me e mi fece posare la testa sulle sue gambe e cominciò a toccarmi i capelli, sapeva che adoravo quando lo faceva, sapevo che stava arrivando il momento del compromesso.

-Facciamo così, io cercherò di vedere di meno Tyson e Jason, ma tu verrai con me tutte le volte che vado a trovarli-
-Nooo! Loro non mi vogliono nemmeno vedere!-
-Ci parlo io con loro, o vogliono bene a tutti e due oppure non ci giocherò più.-
-Grazie Percy, ti voglio bene- gli dissi dandole un bacino sulla guancia, poi ci addormentammo stretti l'uno a l'altra.









Note dell'autrice
Salve gente! 
Spero che questa mia piccola fanfiction vi sia piaciuta, se vi va recensite o mettetela tra le piaciute/preferite, inoltre, se c'è qualche lettrice appassionata anche del fandom di Harry Potter, più in particolare della coppia Fred/Hermione mi piacerebbe avere un parere sulla storia che ho iniziato a scrivere. Sono propensa anche ad una collaborazione! :)
grazie per essere arrivati fin qui, un bacione!
  
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