Come
seta
e cotone
«Resha-san,
Resha-san!» La ragazza in questione voltò il
capo, osservando con curiosità le due coetanee correrle
incontro in mezzo al
corridoio. I capelli rosso scuro, che raccoglieva sempre in una coda
alta, ben
si abbinavano alla cravatta dello stesso colore, ma facevano a pugni
con la
divisa blu.
«Cosa succede ragazze?» spostò i compiti
che il professore le
aveva chiesto di consegnare e aspettò, mano sul fianco, che
loro parlassero.
«Domani abbiamo il compito di matematica!»
esclamò la prima,
tirando le trecce scure con le mani, quasi volesse strapparle per
l’angoscia.
«Lo so. Qual è il problema?» le
squadrò entrambe con gli
occhi verde smeraldo, immaginando dove volessero andare a parare.
«Il problema è che non abbiamo ben capito alcuni
concetti.»
proseguì la più minuta, giocando con una ciocca
di capelli castani. «Potresti
chiedere alla sensei di rimandarlo? Lei ti ascolta e, in quanto
capoclasse,
parlerai in vece nostra.» terminò, osservandola
quasi supplichevole.
«Ti preghiamo.» entrambe si prostrarono in un
inchino,
com’era usanza nella loro cultura.
«In tal caso va bene.» annuì con un
sorriso convinto e
sollevò l’indice destro. «Non solo
chiederò di rimandarlo, ma domani svolgeremo
una sessione intensa di ripetizione. In questo modo nessuno
resterà
indietro.»
«Arigatou!» ringraziarono con occhi luccicanti,
sentendo un
coro di angeli cantare giulivi.
«Di nulla. Mi raccomando, domani niente lamentele.»
fece
l’occhiolino alle ragazze, che annuirono felici, e
tornò alle sue faccende. Era
conscia sia della fiducia che riponevano le sue compagne nel suo
carisma e sia
di essere una vera dittatrice in quanto a ripetizioni. Odiava perdere
tempo e
se decideva di aiutare un povero sventurato avrebbe fatto in modo che
apprendesse tutto. A costo di ammanettarlo al suo fianco. Motivo per il
quale
era la croce e la delizia della sua classe. Per quanto i maschi
tendessero a
lagnarsi dei suoi modi, funzionavano.
Dopo aver portato il materiale in sala professori fece
ritorno alla sua aula, dove gli studenti erano in pausa pranzo. Quel
giorno il
padre le aveva lasciato dei sandwich e insieme ad un dolce alle pesche
avrebbe
mangiato divinamente. Arrivò presso la propria aula quando
iniziò ad udire il
vociare dei suoi occupanti.
«Chi preferisci?» Un gruppetto di ragazzi
chiacchierava,
tutti seduti attorno ad un banco, ed a giudicare dagli sghignazzi
doveva
trattarsi indubbiamente di ragazze. «Io Rika-chan
è così kawaii!» altri ragazzi
gli fecero il coro mentre alcune ragazze li fissavano disgustate.
«Anche Shizuno è piuttosto simpatica!»
«Per non parlare delle sue tette!» e giù
con altre risate che
li rendevano simili a iene. «Non uscirei mai con Midori e
Ayaka.» le sedie
strisciavano sul pavimento a causa dell’eccessivo fervore, o
entusiasmo, che
sembrava animarli dinanzi a tali conversazioni. «Ma con
Azu-chan sì…»
«Siete ripugnanti.» bofonchiò una tipa
occhialuta, che
evidentemente non aveva gradito i commenti sulla sua persona.
«Smettetela, per favore.» li redarguì
l’ultima nominata
mentre continuava a pranzare indisturbata. Resha sbuffò
fuori dalla porta
mentre una vena pulsava minacciosa sulla tempia destra. Quando udiva
certi
commenti idioti rivolti alle ragazze iniziava a vedere rosso e questo
non era
un bene per loro. Afferrò l’anta scorrevole,
pronta per tirarla e dar loro una
bella lavata di capo, quando un’ulteriore commento la
bloccò.
«Neh, e Resha? Voi che dite?»
«Mah, quella è una che vuole solo vincere. Secondo
me vuole
un trofeo, non un maschio!» uno scoppiò di risa
più forte rimbombò sino al
corridoio mentre la suddetta stringeva la porta così forte
da rischiare di
romperla.
«Vero! E poi ha sempre quei modi di fare… fa
paura. Brrr!»
imitarono il verso di alcuni fantasmi, iniziando persino a rincorrersi
per la
classe. Al che Azul scostò la sedia e si alzò,
finendo di sistemare il suo
pranzo.
«Siete sciocchi e infantili, non mi meraviglia che nessuna
ragazza vi guardi.» parlò placida e col sorriso
sulle labbra, fatto che la
rendeva un tantino inquietante.
«Sciocchi è dire poco!» La capoclasse
spalancò la porta
circondata da un’aura funesta e la posa di chi è
pronta a compiere un massacro.
«Re-Resha…» i due buffoni smisero di
giocare e rimasero
immobili al centro della classe mentre altri studenti si scansavano,
per
evitare di essere travolti dalla giovane che, come un toro, puntava
esattamente
ai due.
«Se avete queste considerazioni di me, perché non
me lo dite
in faccia?» scandì attentamente; piedi ben piantai
a terra, mani si fianchi e
sguardo severo. La tipica aria che assumeva quando notava un
atteggiamento
scorretto. «Mormorate alle spalle delle vostre compagne e per
di più facendo
commenti stupidi e ridicoli. Almeno abbiate il coraggio di parlare a
viso
aperto. Questo è comportarsi da
uomini.» superò i due per andare a
prendere posto, tirando fuori dalla borsa il suo sacchetto. Non aveva
alcuna
intenzione di lasciarsi rovinare l’appetito da loro, ancor
meno per commenti
senza senso.
«Sai che ti dico? Meglio Yumi-chan…»
mormorò uno dei maschi,
ancora tremante per aver rischiato un linciaggio. «Lei
è graziosa e gentile,
non come te.» tornò al suo posto senza dire
più una parola dato che il
professore aveva scelto quel momento per fare la sua comparsa in
classe.
«Finché parli bene di lei possiamo ancora andare
d’accordo.»
fece il segno “ok” con le dita mentre riponeva il
sacchetto arancione. Era
riuscita a sbocconcellare almeno un tramezzino. «Ma questo
non vuol dire che
avrete il mio consenso per uscire con lei.»
un’occhiataccia fu l’ultima
risposta che ottennero, poiché il maestro
richiamò tutti all’ordine.
«Oggi distribuirò i risultati del compito
d’inglese.» Reshaam
sorrise contenta, poiché era certa di aver ottenuto il
massimo punteggio. Aveva
rimosso ogni brutto commento con un colpo di spugna, senza dargli
più alcuna
importanza. Finché lodavano i suoi affetti poteva anche
accettare certe
critiche, anche perché lei era convinta di sé
stessa e dei propri mezzi. Non
sentiva di sbagliare e per tanto non aveva nulla di cui scusarsi, tanto
meno
con sé stessa.
Tuttavia, nel profondo, dove a nessuno era concesso arrivare,
percepiva sempre quella piccola fitta. Ogni qual volta percepiva il
disagio
maschile verso la sua persona, sentiva nascere un nuovo germoglio per
il solo
fatto di non essere pienamente capita. Oppure di lasciarsi capire.
«Azu-san, buongiorno!» la salutò allegra
e gioviale come
sempre.
«Sh!» venne praticamente zittita da alcuni ragazzi
che stavano
uscendo alla chetichella dall’altra parte. In quel momento
ebbe
un’illuminazione: quel giorno avrebbero consegnato i
risultati di un compito.
«Yumi-chan, buongiorno.» la salutò con
un dolce sorriso
mentre altri studenti osservavano un punto preciso con espressioni
spaventate e
scocciate. I suoi sospetti divennero brutti presentimenti e con lo
sguardo volò
al posto della sorella, riconoscibile grazie alla carnagione
più abbronzata
rispetto alla sua. Resha era in piedi, stringeva tra le mani il foglio
bianco
con rabbia mal celata. Le sopraciglia ad ala di gabbiano erano
aggrottate al
punto tale da aver scavato un solco sulla fronte, nonostante fosse
coperta
dalla frangia.
«Il compito?» domandò sottovoce, in
cerca di conferma.
«Ha preso novantacinque.» L’altra
continuava a mostrare
un’espressione serafica, come se la faccenda non la
riguardasse; effettivamente
il problema sarebbe stato della minore delle Shell, non suo.
«Oh no…» bofonchiò afflitta,
sentendo la voglia di scappare
farsi impellente. Difatti si staccò lentamente dalla porta,
per indietreggiare
piano e magari sparire prima che la notasse.
«Yumi!» la chiamò -tuonò- la
consanguinea.
«Troppo tardi.» mormorò con un finto
pianto, prima di sospirare
ed entrare con stampato in faccia il suo miglior sorriso conciliante.
«Ciao
sorella. Com’è andata?»
«Novantacinque! Ho preso solo novantacinque.»
borbottò
indispettita per non aver raggiunto il massimo. Afferrò la
cartella e con passo
di marcia si diresse verso la più giovane, la quale non
poté che arrendersi e
rinunciare a farle presente che lei, un voto del genere, non lo avrebbe
mai
raggiunto in inglese. «Andiamo a casa, devo ripassare i
termini che ho
sbagliato.» annuì convinta che un ulteriore
sessione di studio l’avrebbe
aiutata a rimediare al suo momentaneo “fallimento”.
«Buona fortuna, Yumi-chan.» Azul la
salutò col suo più
cordiale sorriso mentre alcune ragazze se la ridevano di nascosto,
sapendo che
l’avrebbe mandata al manicomio sino al prossimo compito.
«Come procedono le cose con oto-san?»
domandò la sedicenne
con tono allegro, sperando che cambiare argomento avrebbe aiutato Resha
a
staccare gli occhi dal foglio.
«Tra alti e bassi.» rispose senza abbandonare i
cerchi rossi
che evidenziavano i suoi errori. «È sempre
più intollerante e a momenti quasi
mi vieta di uscire di casa. Sembra quasi abbia paura che io svanisca
nel
nulla.» sbuffò riponendo il compito nella borsa.
«Dovrebbe sapere che non ho la
tendenza a cacciarmi nei guai. Neanche tu, se per questo.»
«È semplicemente iperprotettivo come ogni padre,
suppongo.»
Anche se lei stessa doveva ammettere che in quegli anni aveva notato
qualcosa
di strano. Un’ondata di panico che lo sommergeva ogni qual
volta facevano
riferimenti a viaggi e nuove conoscenze. «Vedrai che gli
passera. Sa che può fidarsi
di noi.» sorrise e mostrò il palmo alla sorella,
che subito capì.
«Ovvio!» le diede il cinque e il buon umore
riemerse sotto la
coltre di frustrazione in cui cadeva ogni volta che sentiva di aver
perso. «Tra
poco ci saranno i campionati di ginnastica artistica, per cui da domani
devo
riprendere a fare jogging mattutino.» strinse il pugno destro
galvanizzata
dalla nuova possibilità di vincere e superare una sfida.
Fosse stato per lei
avrebbe partecipato anche a quelli di basket, dato che la squadra le
aveva
chiesto aiuto, ma sfortunatamente si sarebbero svolti nello stesso
periodo e
quindi aveva dovuto rinunciare. Tuttavia niente le vietava di
partecipare
saltuariamente a qualche partita, idem per la pallavolo. Svolgere tante
attività non le creava problemi, al contrario. Il suo
“io” interiore gioiva
ogni qual volta riusciva a dimostrare le proprie capacità,
non solo perché era
una “Regina della vanità”, ma
soprattutto per vincere ogni suo limite. Resha
era il genere di persona costantemente in gara con sé
stessa. Poco le importava
che faceva impazzire amici e familiari quando si esercitava, per lei un
miglioramento valeva più di ogni suo sacrificio.
«Io invece ho atletica leggera e non vedo l’ora di
cominciare.» sollevò i pugni al cielo per
stiracchiarsi e assaporare l’aria
tiepida e profumata dai ciliegi. Quel tratto di strada le piaceva
particolarmente, sia perché era l’unico che
potevano percorrere assieme,
dovendo separarsi all’incrocio, e sia perché era
tranquillo.
«Domani c’è il test di storia. Hai
studiato come si deve,
vero?» volle indagare la maggiora, inarcando un sopraciglio e
osservandola con
aria fintamente sospettosa.
«Certo, ho studiato quel che basta.» rise per
rassicurarla,
ma dentro di sé percepiva il solito ago di dolore. Al
contrario di Reshaam, lei
non desiderava primeggiare e si accontentava dei suoi successi, che
seppur non
eclatanti erano sufficienti a renderla felice. Tuttavia, dinanzi alla
schiera
di premi e vittorie che puntualmente l’altra collezionava,
percepiva un
malessere dovuto al sentirsi inferiore a lei. Non che la consanguinea o
chiunque altro avesse mai avuto da ridire, ma per lei era comunque
difficile
vivere nell’ombra di una sorella che, per quanto potesse
risultare esagerata a
volte, raggiungeva sempre dei traguardi.
«Potresti ottenere di più volendo.»
annuì con finta aria
saputa e le rivolse un occhiolino. «Perché non
studi con me? Arriveresti
sicuramente ad un bel novanta.» Yumi rabbrividì al
pensiero di essere presa in
ostaggio da lei per un intero pomeriggio di studio. Certo, per quanto
difficile
le avrebbe inculcato in testa qualsiasi argomento, ma la sola idea di
ammazzarsi più del necessario le faceva desiderare di andare
a ballare nuda in
spiaggia. Cosa che non avrebbe mai fatto.
«Ti ringrazio, ma va benissimo così,
tranquilla.» sorrise ad
occhi chiusi e compì alcune giravolte tenendo la cartella
con entrambe la mani.
«Otterrò un punteggio di tutto rispetto!»
«E se non sarà
così…» mormorò la sorella
prima di puntarle un
dito contro, gesto imitato dall’altra.
«Sarai punita!» ripeterono in coro, squadrandosi
con aria
seria e indici a poca distanza l’uno dall’altro.
Dopo un secondo scoppiarono a
ridere in sincrono, tenendosi la pancia per l’eccessivo
attacco di ridarella.
Ci vollero alcuni minuti prima che riuscissero a recuperare abbastanza
fiato da
parlare nuovamente.
«Meno male che otosan è partito. Almeno per tre
giorni starò
con voi.» La diciassettenne storse il naso di fronte alla
lunga salita che la
conduceva alla villetta dove abitava col padre. Lui l’aveva
scelta in centro e
quindi lontana dalla spiaggia, vicino alla quale abitavano madre e
sorella. Per
cui, quando lui partiva per un viaggio, lei doveva farsi più
di mezz’ora a
piedi per raggiungerle e stare con loro. Prendere il treno sarebbe
stato più
semplice ma avrebbe perso l’occasione di trascorrere del
tempo con Yumi e
questo per lei era inaccettabile. Camminare non aveva mai ammazzato
nessuno,
ancor meno avrebbe ucciso lei.
«Già, okaasan è molto
contenta.» svoltarono l’angolo e
proseguirono tra le casette dai toni vivaci che costeggiavano la
spiaggia,
ammirando il sole che pian piano tramontava verso
l’orizzonte. «Senti Resha, mi
presteresti uno dei tuoi nastri?» Essendo il loro padre un
commerciante di
tessuti erano abituate a sguazzare nella seta, che alla maggiore
piaceva a tal
punto da aver nastri esclusivamente di tale stoffa. Difatti legava i
capelli
nella solita coda alta e sempre con i medesimi.
«Va bene, ma mi raccomando…»
iniziò, per poi essere seguita a
ruota dall’altra.
«Non devi romperlo e neppure rovinarlo.»
terminò per lei,
conoscendo a memoria i soliti ammonimenti.
«Esatto.» risero ancora ed entrarono nella casetta
che la più
giovane divideva con la madre, liberandosi delle scarpe per un paio di
pantofole. «Okaasan, ci sei?»
«Sono qui.» Jade era in salotto, comodamente seduta
su un
divano che leggeva qualcosa dal suo portatile. Tolse gli occhiali e non
appena
le vide sorrise, facendo illuminare gli occhi verdi.
«Bentornate ragazze.
Resha, come stai?»
«Bene, anche se devo migliorare su alcune cose. A proposito,
ti ho mostrato il premio che ho vinto all’ultima
gara?»
«Non ancora. Di cosa si tratta?» Le due
chiacchieravano
liberamente, dato che avevano molto da dirsi, e Yumi scelse quel
momento per
allontanarsi.
«Torno subito.» sparì oltre la porta per
salire al piano di
sopra, o meglio, era ciò che le due pensarono. La sedicenne
era invece rimasta
nel corridoio, parzialmente illuminato dalla luce del tramonto,
fissando il
muro con una certa tristezza. Ogni volta che la sorella giungeva da
loro aveva
sempre qualche riconoscimento da mostrare alla madre. Non che le
dispiacesse,
tutt’altro, le sue vittorie erano sudate e meritate, ma
essere imparentata con
chi possedeva tante abilità a volte diventava un peso troppo
opprimente e di
cui sentiva il bisogno di liberarsi. Sapeva che le sarebbe bastato
parlare,
ribellarsi forse, buttare fuori il suo malessere, ma non riusciva
proprio a dar
voce a ciò. L’idea di ferire la sorella o dare
dispiacere a qualcuno le
impediva di esternare i suoi problemi.
«Dimmi tesoro, tuo padre come sta?»
seguì la figlia in
cucina, mentre questa rovistava nei ripiani alti alla ricerca della sua
bevanda
preferita.
«Come sempre. Il lavoro procede alla grande, sai quanto sia
un perfezionista, le relazioni vanno e vengono, di donne neanche
l’ombra, e con
me oscilla tra l’affetto e la tirannia.»
spostò alcune confezioni di tea,
cercandone una precisa. «Pesca no, mirtillo…
pompelmo… frutti di bosco!»
afferrò la scatoletta vittoriosa e pose un bollitore sul
fuoco.
«Capisco.» la donna mostrò un pallido
sorriso, per poi
sospirare e passare una mano tra i capelli verde scuro. «Tu e
Yumi a volte mi
ricordate me e Shaka.»
«Dici? Però noi siamo più simpatiche di
lui.» scherzò mentre
infilava tre bustine in tre tazze con i rispettivi colori: arancione,
verde e
color menta.
«Resha, a proposito di voi due…» Jade
era una giornalista e
per tanto abituata ad indagare e mettere insieme i pezzi di diversi
puzzle,
compresi gli atteggiamenti umani. Da tempo aveva notato una nota
stonata nella
figlia minore e allo stesso tempo sentiva che mancava qualcosa alla
maggiore;
se da una parte sentiva di dover intervenire, dall’altra
preferiva che fossero
loro stesse a risolvere tali questioni.
«Cosa c’è? Tieni.» le porse la
sua tazza ed andò a sedersi
sul divano, rilassandosi un po’ prima di iniziare il ripasso.
«Arigatou.» La donna restò in piedi a
sorseggiare la bevanda,
stanca di restare nella stessa posizione per ore. «Andate
sempre d’accordo,
vero?» optò per una via laterale e meno diretta.
«Certo. Prima mi ha chiesto uno dei miei nastri e sai bene
che non li presto a persone di cui non mi fido.» si
accomodò meglio, stendendo
le gambe e appoggiando la schiena ad un cuscino blu. Iniziava a sentire
la
stanchezza bussare alla porta e per tale motivo aveva scelto un
deteinato, in
modo da conciliarle quel poco di riposo che si concedeva ogni tanto.
«Capisco. Sono contenta che riusciate a comunicare senza
problema, ma…»
«Ma? Okaasan, parla chiaro. Non mi piacciono i giri di
parole.» la guardò in attesa di una risposta,
anche se una parte di sé
immaginava dove volesse andare a parare.
«Io credo che Yumi stia attraversando un periodo difficile ed
avere una sorella così competitiva non la aiuti.»
Tale madre, tale figlie. O
sceglieva vie traverse per essere delicata come Yumi oppure ti stendeva
con una
frase diretta ma assolutamente sincera come Resha. Jade sciolse la
treccia in
cui aveva raccolto la chioma, studiando la figlia maggiore mentre ella
scattava
in piedi e si avvicinava lentamente alla grande finestra che affacciava
sul
mare.
«Yumi ha la bocca ed un cervello, se ha problemi con me deve
soltanto dirlo.» annusò l’aroma dei
frutti rossi che la rilassava meglio di una
camomilla.
“Lo so, ma non è facile!”, una parte
della sedicenne, ancora
in attesa accanto alla porta, avrebbe voluto gridare la propria
frustrazione,
ma decise di tacere anche in quell’occasione. Prima o poi
sarebbe riuscita a
tirar fuori lo stesso carattere di sua sorella, ed allora avrebbe
dimostrato a
tutti, a lei per prima, quanto in realtà valesse. Si rendeva
conto che l’altra
cercava di essere responsabile per entrambe e di proteggerla, ma a
volte
risultava soffocante come un telo di plastica. Stringeva e non riusciva
a
respirare; anziché proteggerla la opprimeva ancor di
più.
«Forse non le risulta così semplice.» La
madre tradusse i
pensieri della figlia, dato che la conosceva molto bene.
Appoggiò la tazza al
tavolino, superandolo per andare ad affiancarsi alla ragazza.
«Forse sì, ma a maggior ragione deve essere lei a
parlare per
prima. Non posso porre un freno a dei miei atteggiamenti se nessuno
esprime
fastidio al riguardo.» terminò la sua bevanda,
sentendosi in pace col mondo
nonostante la conversazione importante. «Sono consapevole di
non avere un
carattere facile, di prevaricare a volte col mio modo di
essere… ma io ho
fiducia in me stessa ed è ciò che voglio Yumi
impari ad acquisire. Otosan dice
che le difficoltà della vita sono indispensabili per
imparare a crescere e
credo che abbia ragione.»
«Però…» non parlò
oltre perché Resha le puntò contro la
tazza, in atteggiamento deciso.
«Yumi non è una persona debole. Lei possiede la
forza
necessaria per realizzare qualsiasi sua aspirazione, deve solo
rendersene
conto.»
«Non tutti posseggono la tua tenacia.» tenne a
precisare la
trentasettenne, incrociando le braccia sotto al seno mentre studiava la
figlia.
Nessuno più di lei conosceva l’intraprendenza che
la caratterizzava poiché era
gran parte un’eredità paterna… tuttavia
era anche consapevole che sotto
quell’ondata, quello tsunami che ti travolge indipendente
dalla tua volontà,
esisteva un oceano limpido e profondo, capace di accoglierti con
inaspettato
calore. Quando ancora lei e Shaka stavano insieme, spesso lo paragonava
ad uno
tsundere perché non sempre riusciva ad esprimere i suoi
sentimenti, mostrando
per lo più la parte più forte e spigolosa del suo
carattere. Resha poteva
mostrare una carenza di dolcezza, così come Yumi di forza,
ma semplicemente non
sapevano come esternare tali qualità senza sentirsi inadatte
ad esprimerle.
L’una completava l’altra e forse era per tale
motivo che la vita aveva deciso
di separarle. Per far sì che imparassero a camminare da
sole, spezzando il
cordone ombelicale che le univa, a volte intralciando il rispettivo
percorso
perché influenzate dalla sorella. Nel bene e nel male.
«Ne sono consapevole, ma a maggior ragione non
smetterò di
essere me stessa senza un valido motivo. Se devo porre un freno o
cambiare
rotta basta parlarne con me.» agitò il braccio per
tutta la durata del
discorso, per enfatizzare meglio le sue parole. Per lei era difficile
ingoiare
una sconfitta, fosse anche ammansire una parte del suo carattere, ma
ciò non
significava che fosse una persona con cui non era possibile discutere.
Tutt’altro. Lei per prima cercava il confronto
perché detestava le
incomprensioni e desiderava capire al meglio l’altra parte
prima di emettere un
parere. Poiché doveva essere quello gusto e vincente;
purtroppo la sua smania
di primeggiare bussava anche in quella direzione.
«Va bene. In tal caso non mi intrometterò
più e lascerò fare
a voi.» sorrise e chiuse gli occhi, rincuorata. Dopotutto non
erano più bambine
e potevano cavarsela da sole. Anzi, dovevano farlo per imparare ad
affrontare
sfide ancora più dure un giorno.
«Noi due siamo come seta e cotone… anzi no, come
un’ambra e uno
smeraldo.» rifletté mentre osservava la luce
aranciata del tramonto, catturando
con gli occhi ogni suo riflesso.
«Mh?» Jade si volto a guardarla.
«Una gemma che magari…»
mormorò sempre soprappensiero. Yumi decise
di lasciar da parte la tristezza e tornare in salotto, ma nessuna delle
due la
vide mentre metteva mano alla porta.
«Un giorno brillerà
più
di qualsiasi ambra al mondo.» Resha sorrise
osservando il proprio riflesso
nel vetro, prima di voltarsi verso la madre. Era brava con le parole ma
non
tanto ad esternare i propri sentimenti, per quel motivo sperava che il
messaggio fosse arrivato.
«Ho capito.» ricambiò il sorriso,
mostrandone uno decisamente
più dolce e materno, mentre la figlia le passava accanto.
«Ma sia chiaro che per tutti la migliore sono io!»
indicò sé
stessa col pollice e posò la tazza sul tavolino prima di
gettarsi sul divano e
stiracchiarsi. «Che sonno…»
La sedicenne, appena udite le parole della maggiore, era
tornata in corridoio per non farsi vedere. Stringeva entrambi gli occhi
per
fermare le lacrime che lente ma decise scendeva sulle guance. Aveva
sempre dato
per scontato che tutti la considerassero la sua ombra e che lei stessa
avesse
così poca considerazione di Yumi da sentire di doverla
proteggere… invece
credeva davvero nella sua sorellina. Per Resha ammettere il valore di
qualcuno
era segno di rispetto per l’altro, ma considerarlo
addirittura superiore al suo
era quasi fantascienza.
«Un
giorno brillerò di luce
soltanto mia, lo prometto.» mormorò
a sé stessa,
asciugando le lacrime con le mani e recuperando il sorriso. Udire il
solito
chiacchiericcio tra le consanguinee le fu d’aiuto per
ritrovare la tranquillità
e tornare da loro senza traccia di pianto.
«Resha, dormi abbastanza la notte?»
domandò la donna quasi
sconsolata mentre vedeva la figlia stendersi sul divano e chiudere gli
occhi semi
assopita.
«Qualche ora… quando c’è una
qualsiasi prova mi esercito fino
a tardi, lo sai.» sbadigliò, rilassando le membra
in cerca di Morfeo. Aveva
evitato di dirle che si alzava alle cinque e mezzo per ripassare o
allenarsi.
L’avrebbe fatta preoccupare e basta. «Svegliami tra
mezz’ora che devo
studiare.» la madre sospirò ma andò a
prendere un plaid per coprirla.
«Tu e tuo padre non perderete mai questa abitudine barbara di
prepararsi fino alla morte.» bofonchiò prima di
avviarsi in cucina per
preparare la cena.
Ebbene,
alla fine ci sono riuscita.
Era da un po’ che desideravo scrivere qualcosa su Resha, Yumi
e
famiglia. Nel prossimo capitolo, perché ci sarà
un altro, parlerò del suo
rapporto con Raito Tethys. Altro personaggio particolarmente odiato. XD
Preciso che questa shot è ambientata alcuni mesi prima di
“Mermaid
melody – Pearls of destiny”, scritta da Crazy Chick
Kelly_chan ed Elsiria.
Vi è capitato di capire meglio un oc man mano che scrivete
su lui/lei? È
ciò che sta succedendo con Resha e Raito. Li sto
comprendendo in un modo più
viscerale, ecco perché ho scelto di cimentarmi in questa
prova. Ho voluto anche
sottolineare alcune particolarità della mia sirena arancione:
-Incredibile a dirsi, ma Resha ha problemi con i maschi come tutte le
ragazze. Anche se non lo ammette a voce, il fatto di attirare
più consensi
femminili che non maschili le crea un cruccio. I ragazzi giapponesi
prediligono
la ragazza schiva, timida e gentile. Ciò che lei non
è, ecco perché nel
profondo sente difficoltà nel mettere i maschi a disagio.
-Resha crede in Yumi, ma non lo dice a parole. Vuole che sia la sorella
a trovare la forza per porle un freno o comunque affermarsi come
persona
indipendente.
-È una specie di tsundere. Non ha problemi ad affermare
sé stessa,
aiutare, consigliare etc… ma ne ha parecchi nel mostrare la
propria dolcezza o
comunque la parte più morbida del suo carattere.
Personaggi
apparsi:
-Yumi Shell
appartiene a Kioccolat.
-Resha Shell e
Azul appartengono a me.
- Arigatou: grazie.
-Kawaii: carina, intesa come pucciosa.
-Otosan: papà.
-Okaasan: mamma.
Spero
che sia piaciuto questo sprazzo di vita delle sorelle Shell. Grazie
a chiunque abbia letto e lasciato un commentino. ^^
Un saluto da Scarlett
Sakura.