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Autore: gattina04    28/02/2018    0 recensioni
Kathleen non è una ragazza come tante: sottoposta alla pressione di una famiglia che le chiede sempre troppo, ha un passato che non riesce a lasciare andare. Lei sa cosa vuole, sa qual è il suo sogno, ma ci ha rinunciato già da tempo per l'unica persona a cui sente di essere ancora legata.
Trevor invece è schietto, deciso, con un passato fin troppo burrascoso, che vorrebbe solo dimenticare. Trevor vuole voltare pagina e per questo si ritrova in un mondo, in una scuola, dove è completamente fuori posto.
Come potrà una ragazza legata al passato trovare un punto di contatto con un ragazzo invece che farebbe di tutto pur di recidere quel legame?
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La mia storia è pubblicata anche su WATTPAD
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 15
 
Dopo la notte appena trascorsa ero riuscita faticosamente a prendere sonno solo verso l’alba. Avevo sentito il respiro di Trevor, vicino al mio orecchio, farsi via via sempre più pesante, il suo corpo nudo avvinghiato al mio come una calda coperta. Invece il mio cuore aveva continuato a martellare in maniera frenetica, mentre nella mia testa seguitavano a susseguirsi le immagini dei nostri baci, delle carezze, dell’intimità di poco prima.
Quando finalmente le mie palpebre si decisero a chiudersi fu solo per poco tempo, perché presto un rumore sordo venne a disturbare il mio dolce riposo. Era un martellare ripetuto sempre più forte e sempre più concitato.
«Linny! Apri!». Una voce femminile e familiare fece capolino nella mia testa, ma io avevo troppo sonno per darle ascolto. Mi sembravano passati appena due minuti da quando avevo chiuso gli occhi.
Il martellare si ripeté insistente, sempre più forte. «Per la miseria! Kathleen vieni ad aprire». Quelle parole sembravano implicare il fatto che avrei dovuto alzarmi e io proprio non ne avevo nessuna intenzione. Accantonai quel pensiero e cercai di tornare nel mondo dei sogni; del resto Trevor era ancora accoccolato contro di me e sembrava che tutto quel fracasso non l’avesse per niente disturbato.
«Kathleen Jefferson! Se non apri subito la porta io… io…». La voce si interruppe con una nota di rabbia e frustrazione. «Svegliatevi cazzo!». Fu quella parola, pronunciata da quella voce femminile del tutto in disaccordo con il suo reale significato, a farmi svegliare e a farmi aprire gli occhi.
La prima cosa che notai fu la luce. Il bagliore filtrava dalla finestra: era bel tempo e il sole era già alto, probabilmente un po’ troppo alto. Mi resi immediatamente conto dell’implicazioni che quel semplice dato comportava: avremmo dovuto essere a fare colazione già da un pezzo e non vedendoci scendere gli insegnanti sarebbero potuti venire a controllare, trovando Trevor al posto di Lea e mandando a rotoli il nostro sotterfugio. Ed era proprio Lea quella che stava letteralmente cercando di buttare giù la porta nel tentativo di svegliarci.
Mi alzai di scatto a sedere con il cuore in gola, mentre Trevor continuava a dormire beatamente come se niente fosse. Avrebbe potuto franargli il soffitto addosso e lui non se ne sarebbe accorto.
Visto che Lea aveva ricominciato a bussare, mi affrettai ad alzarmi dal letto e, ritrovandomi nuda, cercai qualcosa per coprirmi prima di andarla ad aprire. Mi guardai intorno, ma i miei vestiti erano rimasti in bagno e non avevo certo tempo per frugare nella mia valigia. Istintivamente tirai via il lenzuolo dal letto e mi ci avvolsi, lasciando Trevor completamente scoperto. Lui mugolò per quel cambiamento, ma neanche quello riuscii a svegliarlo. Mi chiesi come diavolo facesse ad alzarsi per andare a scuola se neanche quel baccano o il freddo riuscivano a farlo uscire dal mondo dei sogni.
«Linny! Apri ti prego». Lea continuò a bussare, la sua voce sempre più scoraggiata.
Mi affrettai alla porta inciampando nel lenzuolo e nel miei stessi piedi. «Arrivo».
Quando aprii, Lea era fremente di rabbia, ma trasse comunque un respiro di sollievo. «Era l’ora! Fammi entrare presto». Si richiuse velocemente la porta alle spalle e, solo una volta al sicuro nella stanza, si soffermò a guardarmi. Non dovevo essere un bello spettacolo, avvolta nel lenzuolo, completamente nuda, con le labbra gonfie e i capelli arruffati.
Fece un profondo respiro per calmarsi prima di rivolgermi un piccolo sorriso e di riprendere a parlare. «Come è possibile che stavate ancora dormendo?».
«Ci siamo scordati di mettere la sveglia. Scusa». Mi accomodai il lenzuolo facendo in modo che non cadesse e che mi coprisse in maniera decente.
Lea sospirò di nuovo. «Va bene, ma guardate di sbrigarvi. Dov’è Trevor?». Il suo sguardo vagò per la stanza fino a che non si fermò sul letto, dove il diretto interessato continuava a dormire completamente nudo e con la mercanzia in bella mostra.
«Porca miseria!». Lea si girò di scatto diventando completamente rossa. Era una vera rarità vederla arrossire, al contrario della sottoscritta, ma purtroppo la situazione era alquanto strana e imbarazzante. Ora più che mai era evidente il motivo per cui non ci eravamo crollati e per cui non ci eravamo alzati in tempo.
Arrossii anch’io e mi affrettai ad andare a svegliare il diretto interessato. «Trev, svegliati!». Mi allungai su di lui afferrando un angolo del piumone per posarlo sulle sue parti intime. «Dai è tardi». Lo scossi più bruscamente, visto che le maniere gentili non funzionavano.
Lui finalmente iniziò a sbattere le palpebre mugolando qualcosa di incomprensibile. «Mmm Katy».
«Alzati! È tardissimo, dobbiamo scendere a fare colazione».
Quando finalmente comprese il senso delle mie parole si mise a sedere portando un braccio intorno alla mia vita per tirarmi a sé. «Buongiorno». Il suo tono era dolce ma anche roco, con un accento che mi ero decisamente abituata a sentire nell’ultimo periodo, soprattutto quella notte. Evidentemente avevo pensato troppo presto che avesse capito in che tremendo ritardo ci trovavamo. «Credo che diventerà uno dei migliori risvegli di sempre», continuò passando le dita lungo la mia schiena.
Solo quando alzò il sopracciglio col piercing e abbassò lo sguardo, capii che tremendo errore avessi commesso. Seguii i suoi occhi fino ad arrivare alla mia mano, che era ancora posata sulla coperta sopra le sue parti intime ed era evidente che in quel momento Trevor era completamente sveglio, in tutto e per tutto. Ogni parte di lui si era svegliata grazie a me e per quanto potesse essere gratificante avere quell’effetto su di lui, non era decisamente il momento adatto.
«Insomma volete sbrigarvi!». La voce di Lea ancora voltata di spalle mi riportò alla realtà, facendomi allontanare di lui con uno scatto.
L’effetto che ebbe su Trevor fu invece del tutto esilarante. Con molta probabilità non si era accorto che non eravamo più soli in camera e per questo lo vidi sussultare sentendo un’altra voce. Quando finalmente inquadrò Lea nella stanza, con lo sguardo fisso alla parete, lo vidi avvampare e, per la prima volta da quando lo conoscevo, diventare rosso come un peperone, raggiungendo tonalità che di solito facevano concorrenza alle mie. Era davvero comico che un ragazzo con molta esperienza come lui potesse sentirsi in imbarazzo trovandosi nudo e pronto all’azione con due donne in una stanza. Non era il sogno di ogni uomo un ménage à trois?
Appena formulai quel pensiero scoppiai a ridere senza più riuscire a fermarmi. Era paradossale che io, la regina delle guance rosse e dell’imbarazzo, mi trovassi in ogni caso più a mio agio di due persone decisamente disinvolte e spigliate.
«Non è divertente», borbottò Trevor alzandosi per andare alla sua valigia e tirandosi dietro il piumone per coprirsi.
«Sì che lo è», sghignazzai con le lacrime agli occhi.
«Che cosa hai da ridere Linny?», intervenne Lea. «Comunque se non vi sbrigate saremo nella merda tutti quanti».
«Sono riuscita a farvi arrossire tutti e due!», mi sbellicai. Cercai di riprendere fiato, mentre sentivo la pancia che iniziava a farmi male. Non ridevo così di gusto da tanto tempo. «La tua espressione è stata così buffa Trevor».
«Vado in bagno», bofonchiò lui, afferrando qualche vestito dal suo borsone, per poi chiudersi velocemente nell’altra stanza.
Solo quando sentì la porta sbattere, Lea si azzardò a voltarsi di nuovo. Mi osservò mentre mi sedevo sul letto, ancora ridendo e vedendo la mia espressione scoppiò a ridere anche lei. «È appena successo quello che immagino?».
«Sì. Prometto che non dirò una parola a Paul». Mi asciugai gli occhi e cercai di fare mente locale su ciò che mi serviva, eppure non riuscivo a smettere di pensare al modo in cui lui era arrossito.
«Oh non importa», mormorò Lea, aiutandomi e dirigendosi verso la mia valigia al mio posto. «Non gli interesserà cosa ho visto sentendo il resto, ricatterò Trevor per tutto la vita con questa storia». Così dicendo mi tirò dei vestiti aiutandomi a rendermi almeno un minimo presentabile.
 
Contro ogni aspettativa un quarto d’ora dopo riuscimmo ad arrivare nell’hall dell’albergo. Visto che era tardi fummo costretti a saltare la colazione – Lea compresa, visto che non era potuta scendere per non dare nell’occhio. Paul era sceso da solo e ci aveva coperto adducendo la scusa che Trevor si era fermato ad aspettarci dato che non avevamo sentito la sveglia; oltre a questo, riuscì a trafugare una brioche per Lea, ma come era prevedibile non ebbe la stessa accortezza per noi. Così oltre ad essere in deficit di sonno mi ritrovai anche affamata, con un enorme buco nello stomaco; immaginai che anche per Trevor la situazione dovesse essere altrettanto tragica.
Per nostra fortuna quella mattina si sarebbe svolta la gara di cheerleading per cui, chiunque non partecipasse attivamente alla competizione fu spedito sugli spalti di una palestra piuttosto affollata, ma per fortuna provvista di bar. Proprio per questo mentre io, Lea ed Evan sceglievamo i posti migliori per poter assistere alla competizione, ma anche per estraniarci liberamente dalla gara una volta che Queen avesse concluso la prova, i ragazzi andarono a procacciarsi del cibo. Così quando Trevor tornò con una tazza di caffè fumante ed un gigantesco cornetto ripieno di cioccolata il mio stomaco brontolò rumorosamente ed io mi illuminai.
«Ti amo tantissimo in questo momento», affermai facendo gli occhi a cuoricino più alla mia colazione che a lui.
«Lo stai dicendo a me o al cornetto?», mi domandò rivolgendomi un sorriso.
«A lui ovviamente, anche se penso di amare in egual misura anche il caffè». Trevor scoppiò a ridere e mi passò la mia adorata colazione, posizionandosi accanto a me. Bevvi subito un lungo sorso di caffè e poi mi tuffai con voracità sulla mia brioche, divorandola in tempo record.
«Qualcuno è molto affamato», scherzò Evan. «Deve aver bruciato tante calorie stanotte».
«Talmente tante da non riuscire neanche ad alzarsi stamattina», rincarò la dose Lea scherzosamente. Fino ad allora sarei arrossita e avrei balbettato qualche sciocchezza, ma dopo quello che era successo e ciò che era stato detto, anch’io avevo imparato ad essere più aperta. Per questo mi limitai a rivolgere loro una linguaccia e a finire il mio caffè.
«Sei sporca di cioccolata», mi fece notare Trevor, passandomi un dito là dove la mia faccia doveva essersi macchiata. Se lo portò alle labbra per leccarlo ed io mi sentii fremere; nonostante la notte appena trascorsa avevo di nuovo voglia di lui. Il sesso era stato bellissimo ed io stavo diventando davvero una ninfomane.
«Ora sei pulita», continuò passandomi l’altra mano nei capelli. «Ti senti meglio dopo colazione?».
«Sì decisamente, e tu?». Mi avvicinai di più al suo viso, strusciando il naso contro il suo, desiderando solo sentire la sua pelle calda sulla mia.
«Sì». Mi baciò dolcemente facendomi capire che anche lui provava le mie stesse sensazioni. Vidi i miei amici distogliere lo sguardo e per una volta lasciarci la nostra privacy. Era evidente come, dopo aver fatto l’amore, tra noi due si fosse creato un legame sempre più forte e che questo ci aveva riportati alla fase “luna di miele” del nostro rapporto.
«Stai bene?». Le sue dita mi pettinarono i capelli, mentre i suoi occhi azzurri mi scrutavano attentamente. Sapevo che si riferiva al fatto che avevo perso un po’ di sangue perdendo la verginità, ma in realtà stavo perfettamente.
«Benissimo», affermai smarrendomi nei suoi occhi.
Affondò il viso nei miei capelli prima di parlare di nuovo. «Ho dannatamente voglia di fare l’amore con te… di nuovo». Sorrisi riconoscendo in lui il mio stesso desiderio.
«Stasera amore, stanotte», affermai.
Lui ridacchiò. «Ricordiamoci solo di mettere la sveglia, non mi è piaciuta per nulla la sorpresa di Lea stamattina».
Risi di nuovo ricordando la scena. «Sarà meglio; comunque avresti dovuto vedere la tua faccia».
«Tesoro, tendo ad essere molto attivo la mattina sotto quel punto di vista, non mi aspettavo certo un intrusione del genere. Avevo previsto tutt’altro risveglio».
«Interessante informazione», mormorai baciandolo e mettendo fine al suo discorso. Purtroppo i nostri baci furono interrotti fin troppo presto dall’ingresso in campo delle varie squadre. Vidi Queen entrare per prima seguita dal resto delle cheerleader e osservare attentamente tra gli spalti, come se fosse stata alla ricerca di qualcuno. Pensai stesse cercando Sean che però era ben visibile, molto più in basso di noi con tutta la squadra di football; immaginate, invece, la mia sorpresa quando il suo sguardo si fermò proprio su di me, come se dal mio appoggio dipendesse l’esito della sua esibizione. Era qualcosa che forse neanche la vecchia Queen avrebbe fatto.
Non sapendo bene come comportarmi alzai una mano rivolgendole un gesto di saluto e anche un sorriso incoraggiante, che non sapevo se sarebbe riuscita a vedere. Nonostante ciò avrei potuto scommettere di averla vista sorridere prima di tornare a guardare dritta di fronte a sé.
«Che cos’era?», mi domandò Trevor in un orecchio riferendosi alla scena appena successa.
«Non lo so», ammisi. «Forse semplicemente la nostra resa».
 
L’esibizione di Queen e dell’intera squadra fu grandiosa, esattamente come mi aspettavo; purtroppo anche le altre scuole non furono da meno. Dovetti riconoscere che ci voleva una certa dose di allenamento per maneggiare quei pon pon e creare una coreografia degna di nota; fu uno spettacolo piuttosto interessante anche per una come me che era stata scettica fin da quando avevo scoperto l’esistenza di gare come quella.
Passammo buona parte della giornata ad assistere alle esibizioni – era incredibile quante scuole partecipassero – e buona parte del pomeriggio, che ci era stato concesso libero, a girare per Chicago con il nostro gruppetto di amici. Visto che le premiazioni si sarebbero tenute il giorno dopo, gli insegnanti ci avevano incredibilmente concesso varie ore di libertà. E per quanto io e Trevor avessimo voglia di fiondarci nella nostra camera di albergo, era davvero uno spreco non approfittare di un’occasione come quella. Per questo mettemmo da parte sia la stanchezza, che il nostro appetito sessuale, ed esplorammo liberamente la città.
Quando rientrammo in hotel era ormai ora di cena e fu davvero un sollievo quando dopo ci ritrovammo finalmente soli nella nostra stanza, con la prospettiva di una serata e di un’intera nottata tutta a nostra disposizione.
«Oh finalmente». Trevor si fiondò sulle mie labbra ancora prima che riuscissi ad appoggiare la borsa per terra. Ricambiai prontamente i suoi baci buttandogli le braccia al collo e lasciando che lui mi guidasse sul letto. Si portò sopra di me continuando a divorare le mie labbra per poi proseguire lungo la mia guancia fino al mio orecchio.
«Non ho fatto altro che desiderare di essere di nuovo dentro di te piccola». La sua voce roca mi face fremere ancora di più, portandomi istintivamente a strusciarmi contro di lui.
«Cosa aspetti allora?». Stentavo ancora a credere che quella ragazza così spigliata e disinibita potessi essere io, ma Trevor sapeva accendermi e trasformarmi in un modo unico.
Non ci occorse molto tempo prima di ritrovarci completamente nudi, intenti in un esercizio fisico decisamente alternativo. Fu solo dopo che fummo venuti entrambi che mi ritrovai accoccolata sul suo petto con la testa contro la sua spalla. All’improvviso, tuttavia, la fatica accumulata in quei due giorni si fece sentire e la stanchezza prese il sopravvento su tutto il resto. In effetti erano due notti che dormivo al massimo un paio d’ore, e se prima la voglia di Trevor era riuscita ad averla vinta, adesso, che era stata appagata, non c’era niente che mi vietasse di dormire.
Mi sistemai meglio contro di lui, riuscendo a stento a formulare un pensiero coerente. «Il sesso è davvero un’attività gratificante e per niente sopravvalutata», farfugliai.
La mia testa vibrò per la risata di Trevor. «Concordo». Non riuscii a dire altro perché le mie palpebre diventarono sempre più pesanti, facendomi abbandonare al mondo dei sogni.
«Dormi mia piccola Kathleen e sogni d’oro». Non capii se mi immaginai soltanto quelle parole o se le pronunciò davvero. Fatto sta che nel giro di un secondo caddi in un sonno profondo.
Tuttavia per la seconda volta in quella giornata il mio riposo fu disturbato da qualcuno che bussava alla porta. L’urgenza era sicuramente minore rispetto al picchiare frenetico di Lea, ma qualcuno voleva entrare nella mia camera ed io non avevo la minima idea di che ora fosse.
«Katy… amore». Stavolta la voce di Trevor venne a cullarmi dolcemente per riportarmi alla realtà.
«Mm… che succede?», mormorai sbattendo le palpebre ed aprendo gli occhi.
«Non lo so ma qualcuno ti sta cercando e temo che stavolta non sia Lea», sussurrò in modo da non farsi sentire, mentre il rumore dei colpi diventava più accentuato.
«Che ore sono?». Mi misi a sedere, cercando di fare mente locale.
«Passata mezzanotte, hai dormito per un paio d’ore. Stavo per spegnere la luce e addormentarmi anch’io, quando hanno iniziato a bussare. È una ragazza, ma non Lea altrimenti avrei aperto senza svegliarti».
«Kathleen?». Una voce femminile fece capolino da dietro la porta. «Ti prego apri, è importante». Sbattei le palpebre cercando di associare la voce ad un volto, ma forse ero ancora mezza addormentata. Nonostante ciò avrei dovuto aprire e Trevor non avrebbe dovuto essere lì.
«Nasconditi in bagno», ordinai mentre raccattavo i miei vestiti. Lui si alzò e fece altrettanto proprio mentre io rispondevo all’estranea fuori dalla camera. «Arrivo, un momento». Mi rivestii velocemente e sistemai meglio le coperte sul letto, in modo che non fosse evidente ciò che poco prima avevamo fatto là sopra.
Quando aprii la porta, dovetti sbattere le palpebre un paio di volte per accertarmi di non stare effettivamente sognando. Megan, la cheerleader Megan, non che migliore amica di mia sorella, era là di fronte a me, nel suo pigiama rosa e decisamente poco da cheerleader e mi guardava con aria preoccupata.
«Megan…», balbettai colta dalla sorpresa. «Che succede? Si tratta di Queen?». Quale altro motivo avrebbe potuto avere per disturbarmi a quell’ora e soprattutto in pigiama e senza un filo di trucco?
Rispose alla mia richiesta con un’altra domanda. «Posso entrare?».
Seppur sbalordita la buona educazione ebbe il sopravvento sul buon senso. «Sì certo». Non pensai che il borsone di Trevor era ancora in bella mostra, che una sua scarpa spuntava da sotto il letto o che alcuni preservativi erano ancora sul comodino.
Megan si guardò intorno notando quei particolari e sgamando così la mia copertura. Restava solo da chiedersi se mi avrebbe retto il gioco o avrebbe spifferato tutto ai professori o peggio a Queen.
Tuttavia le sue parole furono un’altra inaspettata sorpresa. «Puoi dire al tuo ragazzo di uscire dal bagno, se è presentabile. Lo sanno tutti che tu e Lea Marshall avete fatto a cambio di camera; tutti tranne gli insegnanti ovviamente. Non è questo l’importante adesso».
«Okay», mormorai iniziando decisamente a preoccuparmi. La sua espressione era troppo tesa perché fosse portatrice di buone notizie, soprattutto a quell’ora.
Non ebbi bisogno di chiamare Trevor, che avendo sentito tutto, rientrò nella camera completamente vestito e con un espressione piuttosto tesa. «Ciao Megan».
«Perché sei qui?», ripetei di nuovo. «È successo qualcosa a Queen?».
«Non lo so ed è proprio per questo che sono venuta a cercarti».
Sentii una fitta al cuore sentendo le sue parole criptiche. «Spiegati meglio, non capisco».
«Io e Queen siamo in camera con Rachel e Shana, loro non sospettano nulla, pensano che Queen sia con Sean, ma lei non è rientrata ed io sono preoccupata».
Cercai di seguire il filo del suo discorso ma c’erano alcune parti che non mi tornavano. «E non è davvero con Sean? Lui che dice?».
Megan mi guardò triste prima di parlare di nuovo. «Non hanno detto niente a nessuno, ma Sean e Queen si sono lasciati tre giorni fa». Quelle parole mi colpirono come una coltellata in pieno petto. Ora mi spiegavo tutti i comportamenti evasivi che mia sorella aveva avuto negli ultimi giorni quando avevo nominato il suo ragazzo. Come diavolo avevo fatto a non accorgermene? A non notare il fatto che una storia durata più di tre anni fosse inesorabilmente finita? Di chi era stata la colpa? Queen doveva esserne distrutta e se noi non fossimo state in rotta me ne avrebbe sicuramente parlato. Ero stata così presa a litigare con lei che non mi ero accorta dei suoi problemi: ero da considerarmi anch’io una sorella terribile.
«Lo so che voi due vi parlate a malapena ultimamente», continuò Megan, «ma ho provato a chiamarla e non mi risponde; l’ho cercata per tutto l’albergo e non ho la minima idea di dove sia. Credo che abbia resistito fino ad adesso per via della gara, ma dopo che tutta la tensione è sparita lei deve essere inevitabilmente…».
«Crollata», terminai la frase al suo posto. Mi voltai verso Trevor sentendo la preoccupazione crescere dentro di me e anche il senso di colpa. Se non fossi stata così presa dalla mia vita, dalla nostra lite, forse avrei potuto cogliere i segnali. Dovevo capire che ultimamente c’era qualcosa che non andava; più ci ripensavo più mi accorgevo di minuscoli particolari che avrei potuto notare. Avrei dovuto mettere da parte l’orgoglio e parlarle apertamente, in modo da chiarirci e tornare ad essere le sorelle di sempre. Avrei potuto starle accanto, invece avevo pensato solo a me e basta.
Trevor sembrò leggermi come un libro aperto. «Andiamo a cercarla Katy, vedrai che la troveremo e che si risolverà tutto».
«Sì, solo che avrei dovuto…». Non terminai la frase sentendomi sull’orlo delle lacrime.
«Non è colpa tua e non ha importanza adesso», tagliò corto lui. «Avrete la possibilità di chiarirvi. Andiamo a cercarla Katy». Senza più perdere tempo ci fiondammo fuori dalla camera, in un disperato tentativo di ricerca. Scoprimmo che Megan l’aveva già cercata in buona parte dell’albergo, compreso il tetto; dovevo darle atto di tenere veramente a mia sorella anche solo per il fatto di essersi abbassata a girare in pigiama per tutto l’hotel.
Avendo fatto un buco nell’acqua all’interno, immaginammo che potesse essere fuori. Anche se il vento forte ed il freddo avrebbero dovuto scoraggiarla ad uscire, dove altro sarebbe potuta essere? Megan provò a fare un altro disperato tentativo chiamando Sean, ma purtroppo aveva anche lui il telefono spento. Ci propose di andare da lui, ma io la fermai, sapendo che probabilmente era l’ultima persona con cui Queen potesse trovarsi. Mia sorella era orgogliosa e non si sarebbe abbassata ad andare a piangere dal suo ex, e tantomeno avrebbe voluto che noi lo informassimo della sua fuga e quindi del suo crollo emotivo. Era nella natura di Queen mostrarsi forte e avvisando Sean avremmo invece dimostrato il contrario.
Trevor stava per andare a prendere i nostri cappotti in camera, quando il mio sguardo cadde sul corridoio che portava alla piscina. Il portiere notturno sonnecchiava nella sua postazione proprio là davanti e stranamente in giro non si vedeva anima viva. Il coprifuoco imposto dai professori aveva in qualche modo dato i suoi frutti, almeno per quella sera.
La piscina era chiusa e l’ingresso sorvegliato e per Queen non doveva essere stato facile passare là davanti, soprattutto prima, quando il portiere doveva essere sveglio e doveva esserci più vitalità. Eppure era uno dei pochi luoghi in cui non avevamo cercato e in cui avrebbe potuto trovarsi in tutta solitudine e tranquillità. Perché uscire se a Chicago conosceva poco o nulla? Per andare in qualche bar ad ubriacarsi da sola, rischiando di incontrare brutti ceffi che avrebbero potuto farle del male? Non era da Queen, per quanto triste e disperata potesse essere. Non era il tipo di persona che amava dare spettacolo in quel genere di situazione, in questo ci assomigliavamo.
«Credo che sia in piscina», affermai, riconoscendo subito quanto quelle parole fossero vere.
«Ne sei certa?», mi domandò Trevor.
«Se ci beccano mentre ci intrufoliamo là dentro, saranno guai», mi fece notare Megan.
«Lo so, ma lo sento». Non ero mai stata così sicura in tutta la mia vita; tra me e Queen non c’era quell’affiatamento che mi avrebbe potuto far intuire la sua esatta posizione, eppure era come se sapessi che l’avrei trovata là.
«D’accordo andiamo», concluse Trevor. «Ma sbrighiamoci prima che il portiere si risvegli dal suo pisolino e speriamo che non ci siano telecamere di sorveglianza o allarmi vari». Le sue parole resero la mia decisione meno determinata. Potevano esserci davvero dei controlli del genere? Forse Queen era semplicemente rimasta lì prima che chiudesse. Tuttavia dovevo andare, dovevo trovarla, starle accanto e chiarire una volta per tutte quello che si era incrinato tra di noi.
Per nostra fortuna, il percorso parve momentaneamente privo di ostacoli. Dopo aver passato silenziosamente l’ingresso, facendo attenzione a non svegliare il portiere, ci intrufolammo negli spogliatoi e raggiungemmo senza problemi la porta che portava alla vasca. Tuttavia quando feci per aprirla la trovai chiusa; era bloccata ed avendo un maniglione antipanico era possibile aprirla solo dall’interno.
«Merda», mi scappò detto. «Credevo proprio che fosse qua».
Trevor si sporse sopra di me, allungando il collo per vedere attraverso il vetro. «Ed infatti avevi ragione. È laggiù». Indicò un punto posando il dito contro il vetro; sia io che Megan ci alzammo in punta di piedi per guardare là dove aveva indicato, ma eravamo comunque troppo basse. Quando emisi uno sbuffo esasperato, Trevor mi sollevò per un momento quel tanto che bastava per poter vedere la figura di Queen seduta a bordo vasca, con la testa appoggiata sulle ginocchia. Aveva un’aria così triste che mi colpì profondamente, facendomi sentire un’egoista ancora di più.
«Queen!», sussurrai visto che non potevo urlare per paura di essere scoperti. Però battei forte un pugno sulla porta, sperando che quel rumore nel silenzio assoluto della piscina bastasse ad attirare la sua attenzione. Anche gli altri fecero altrettanto, iniziando a tempestare la porta di colpi.
«Ci ha visto», ci informò Trevor, sporgendosi. «Si sta alzando e sta venendo qua».
Feci un sospiro di sollievo per poi voltarmi subito verso di loro. «Sentite è meglio se le parlo da sola. Megan torna in camera prima che le vostre compagne si accorgano di qualcosa. Trevor accompagnala alla hall e poi torna qua a fare da palo».
«Ma…», protestò subito lei.
«Ti prego ho bisogno di un momento da sola con mia sorella. Se sta così è anche colpa mia». Queen non era il tipo da fughe o da isolarsi; era strano che ci avesse fatto preoccupare in quella maniera e proprio per questo dovevo capire e parlarle a quattr’occhi.
Megan studiò la mia espressione nell’oscurità. «D’accordo», acconsentì alla fine. Si allontanò proprio nell’esatto istante in cui Queen apriva la porta, permettendomi di entrare. Non si fermò, semplicemente aprì per poi tornare a sedersi sul bordo vasca.
Prendendo coraggio entrai lasciando la porta accostata per Trevor, quando fosse tornato. Mi diressi verso di lei e mi sedetti lì accanto assumendo la sua stessa posizione: gambe contro il petto e sguardo rivolto alla piscina.
«Che ci fai qui?», domandò in un sussurro.
«Ti cercavo, mi pare ovvio. Megan era talmente preoccupata da venire a chiamarmi».
«Come sapevi dove trovarmi?».
«Sesto senso, siamo sorelle d’altronde». Queen non aggiunse altro ed io cercai le parole giuste per continuare. Tuttavia quelle che trovai furono le più banali che potessi dire.
«Mi dispiace».
Queen sospirò, mostrandomi quanto fosse effettivamente a terra. «Megan te l’ha detto?».
«Ha dovuto; non avercela con lei, era molto preoccupata».
«Lo so».
«Ma non mi dispiace solo per quello», continuai. «Mi dispiace per tutto». Queen voltò la testa verso di me, appoggiando la guancia sulle ginocchia.
«Mi manchi», affermai. «Mi manca mia sorella».
«Anche tu mi manchi», ammise e inaspettatamente scoppiò a piangere. L’abbracciai di slancio, sentendo anch’io gli occhi lucidi; Queen ricambiò l’abbraccio, affondando la testa sulla mia spalle e lasciandosi andare ad un pianto liberatorio. Era un comportamento così poco da lei che per un po’ non seppi bene cos’altro fare se non consolarla e cullarla tra le mie braccia. Queen non era mai stata una di quelle ragazze che scoppia facilmente in lacrime, quella ero io di solito; lei avrebbe preferito donare un rene prima di cedere a quella debolezza. Anche quando James aveva avuto l’incidente Queen non aveva pianto, non aveva versato neanche una lacrima, almeno in mia presenza; con molta probabilità si era sfogata da sola, nella sua camera, ma di fronte agli altri era stata la posata e imperturbabile Queen. Il fatto che mi mostrasse quel lato del suo carattere era una novità assoluta e forse era dovuto a tutto ciò che ci era successo: alla fine era semplicemente esplosa, crollata, distrutta in mille pezzi.
«Mi dispiace tanto Linny», singhiozzò alla fine, alzando la testa e cercando di asciugarsi gli occhi. «Io… io…». Nuove lacrime vennero ad appannarle la vista e ad impedirle di continuare.
«Non importa, va bene se piangi con me».
«No, non per questo». Tirò su con il naso e cercò di riprendere il controllo, almeno quel tanto che bastava per parlare. «Io ti chiedo scusa Linny… sono stata una persona orribile… una sorella orribile». Fui sorpresa da quella confessione, ma sapevamo entrambe di aver sbagliato in due.
«Anch’io sono stata una sorella orribile, non ci siamo comportate bene né io né te».
«Forse sì», ammise, prendendo un altro profondo respiro. «Ma avevi ragione quando mi hai dato della stronza, mi sono comportata male e tu avevi tutto il diritto di essere arrabbiata con me».
Non seppi cosa rispondere a quella ammissione inaspettata, perciò restai a guardarla senza sapere bene cosa dire. Ero andata lì per chiarirci, ma non mi aspettavo che lei si assumesse tutte le sue colpe così apertamente.
Queen si asciugò definitivamente gli occhi e mi fissò con sguardo deciso. «Voglio spiegarti, voglio dirti tutto».
«D’accordo». Non capivo se si riferiva solo a noi due o anche a Sean, comunque ero più che pronta ad ascoltarla.
«So che può sembrarti assurdo ma tutto è successo per uno stupido motivo: ero gelosa Linny». Quelle parole non potevano sembrarmi più ridicole: stava davvero dicendo una cosa del genere?
«Eri gelosa di me?». Era la cosa più irrazionale che avrebbe potuto ammettere.
«Già, lo sono sempre stata».
«Di me?», ripetei incredula. «Ma tu sei… tu! Dio sei capo cheerleader, sei bellissima, intelligente, perfetta. Se c’è qualcuno che dovrebbe essere gelosa quella sono io».
Queen fece una mezza risata che morì subito. «Non sei mai riuscita a vederti in modo razionale. Sei bella e intelligente almeno quanto me, se non di più. Ma non era per questo che ero gelosa: invidiavo il tuo rapporto con James, il modo in cui riuscivate a comunicare soltanto guardandovi, il fatto che per te gravitava ogni cosa intorno a lui e che per lui tu eri la perla più preziosa di tutte».
«Ma James ha sempre voluto tantissimo bene anche a te. Non puoi credere che preferisse me».
«Certo lo so che James mi amava tanto, ero la sua sorellina anche io, ma Linny tu eri un’altra cosa. Non ho mai potuto reggere il confronto con te, non ho mai avuto neanche una possibilità. Forse perché siamo due caratteri diversi, tu risultavi più timida e indifesa e l’istinto di protezione di James scattava, mentre io ho sempre saputo cavarmela da sola».
«Anch’io posso cavarmela da sola», ribattei, infastidita dall’essere considerata debole.
«Sì lo so, e anche Jamie, ma questo non è il punto. Il rapporto che avevi con lui io non ce l’ho mai avuto e lo invidiavo da morire. Mi sono disegnata questo ruolo di figlia perfetta e la cosa mi sta bene, ma certe volte vorrei semplicemente essere te per non dover sentire tutta la pressione che la nostra famiglia mi mette addosso».
«Ma quella pressione la sento anch’io!», protestai. «Queen forse io la sento molto di più, visto che devo sempre reggere il confronto con te».
Lei sbatté le palpebre assimilando quello che avevo appena detto. «Non l’avevo mai vista in questo modo».
«Eh già», affermai ironicamente. «Ma questo cosa c’entra con noi?».
«Ero gelosa ma dopo l’incidente… beh non potevo certo esserlo più. James è in quel letto ed io e te siamo rimaste senza nostro fratello. Tuttavia quando è arrivato Trevor, lo sono stata di nuovo».
«Di Trevor?», cercai di capire.
«No, ero… sono invidiosa di quello che c’è tra voi due».
Riflettei sul significato delle sue parole prima di parlare di nuovo. «Per via di Sean?».
«Anche», ammise.
«Cos’è successo con Sean? Ti ha lasciata lui? Ti ha tradita per caso?». Un fatto del genere avrebbe spiegato molte cose compresa la sua reazione.
«No, affatto. Non avercela con Sean, Linny, perché lui non è il cattivo della situazione. Sono stata io a lasciarlo, lui ha il cuore spezzato più di me». Quella sì che era una rivelazione degna di nota: non avrei mai detto che tra i due fosse stata proprio Queen quella decisa a troncare. Lei sembrava così innamorata, la loro storia durava da più di tre anni: cosa c’era che non andava?
Anche se avevo mille domande, lasciai che fosse lei a raccontare la storia come meglio credeva. «Negli ultimi tempi le cose tra di noi non andavano più così bene. Non che andassero male, ma eravamo caduti nella solita e triste consuetudine. Stavo con lui per abitudine, i sentimenti che provavo all’inizio non erano più così forti».
«Per questo l’hai lasciato?».
«Sì, ma lascia che ti spieghi dall’inizio. Quando hai conosciuto Trevor ero contenta che qualche ragazzo ti considerasse, non ero gelosa, anche se un po’ offesa per il fatto che tra noi due avesse preferito te senza neanche parlarmi. Comunque mi andava bene, non mi preoccupava il fatto che fosse pieno di piercing o di tatuaggi; mi sono sempre fidata della tua capacità di giudizio, a prescindere da ciò che ho ammesso in seguito.
Poi però mi sono accorta che le cose tra di voi stavano progredendo velocemente. Lui iniziava a guardarti in un modo, sembrava completamente cotto ed io ho iniziato un po’ ad esserne gelosa. Non volevo credimi, ma era più forte di me. Sean non mi guardava in quel modo da un bel pezzo e non perché non mi amasse, semplicemente noi due avevamo già vissuto tutto. Così quando c’è stato il ballo di inverno ho accettato di farti uscire con John anche se sapevo che era un idiota; è stato un tentativo per recuperare il mio rapporto».
«Potevi dirmelo», proruppi. «Potevi dirmi che John mi portava al ballo solo perché voi due gli avevate fatto una promessa, potevi dirmi che l’avevi fatto perché tu e Sean avevate dei problemi e che avevi bisogno di quella serata con lui. Lo avrei capito, invece mi hai ingannata ed io mi sono sentita tradita dalla mia stessa sorella».
«Davvero avresti capito? Avresti fatto una scenata e alla fine avresti fatto di testa tua facendo arrabbiare la mamma. E poi non ero ancora pronta ad ammettere che il mio rapporto con Sean era arrivato al capolinea». Stavo per ribattere ma dovetti riconoscere che forse aveva ragione; forse anche se mi avesse spiegato la situazione non l’avrei accettato.
«E dopo le cose sono degenerate», continuò. «Io ho visto come ti stavi innamorando ed ero, nonostante non lo volessi, invidiosa. Dio avrei fatto di tutto per non esserlo, ma non ci riuscivo. Per cui per evitare di pensare a ciò che mancava nel mio rapporto e che mi rendeva tanto gelosa, ho messo i bastoni nelle ruote nel tuo. Ti ho reso la vita impossibile, a te e anche a Trevor, e mi dispiace, mi dispiace tanto. Quando la mamma poi si è schierata dalla tua è stato un pugno in faccia. All’inizio non capivo, ma poi l’ho visto».
«Cosa?».
«Quello che ha visto lei, il motivo per cui ha accettato Trevor senza battere ciglio. Sei felice Linny e lo sei davvero, senza James non lo eri più stata. Ti ho vista sorridere, ridere e scherzare, e il modo in cui lo guardi, in cui lui ti guarda… Siete innamorati, perdutamente, lo capirebbe anche un cieco. Per questo potrai mai perdonarmi di aver cercato di farvi lasciare?».
«Certo che ti perdono». Era naturale, soprattutto dopo quello che mi aveva detto.
«Sai è vedendo te e Trevor che ho capito che tra me e Sean era finita. L’ho amato tantissimo Linny devi credermi; lui c’è stato nei momenti peggiori della mia vita, mi è stato accanto senza battere ciglio e probabilmente avrei affrontato le cose in maniera completamente diversa senza di lui, sarebbe stato tutto più difficile. Mi si spezza il cuore a pensare di… non credere che abbia preso la decisione di chiudere con lui alla leggera, ma non provo più quello che all’inizio mi faceva pensare che Sean fosse l’uomo della mia vita. In un certo qual modo lo amerò sempre, ma non sono più innamorata di lui. Dio non sono più innamorata ma fa male lo stesso». Si stropicciò gli occhi cercando di non ricominciare a piangere.
«È normale». Capivo quella sua reazione molto meglio di quanto potesse credere: era ovvio che soffrisse anche se aveva deciso lei di chiudere quella relazione. Erano pur sempre stati insieme per tantissimo tempo: stava chiudendo con tre anni di abitudini, con tre anni in cui aveva condiviso tantissimo con lui, in cui aveva imparato a conoscerlo forse meglio di chiunque altro.
«Sai Sean non l’ha presa bene», continuò. «Quando sono andata da lui tre giorni fa con questa tremenda decisione, lui non se l’aspettava. Certo aveva capito anche lui che tra noi non era più come prima, ma non immaginava che scegliessi un taglio così drastico. All’inizio si rifiutava di capire quello che stavo dicendo, poi ha urlato, mi ha detto cose di cui poi si è pentito e poi se ne andato con il cuore a pezzi e solo per colpa mia. Vederlo così è stato terribile perché anche se lo stavo lasciando non avrei mai voluto ferirlo». Immaginai se fosse capitata una cosa simile tra me e Trevor, probabilmente io non avrei avuto la forza per compiere da sola quel passo decisivo; il solo pensiero di poterlo far soffrire mi avrebbe fermato. Ma forse ragionavo così perché ero talmente innamorata da non riuscire neanche ad immaginare come sarebbe stato non amarlo più.
«Poi la sera prima della partenza», riprese dopo qualche secondo di silenzio. «Sean è venuto a casa nostra per parlarmi. Mi ha detto di averci pensato e di aver capito le mie motivazioni; mi ha chiesto scusa, ma mi ha detto anche che nonostante negli ultimi tempi fosse stato più distante lui mi amava ancora. Mi ha chiesto se magari potevamo prenderci una pausa, per capire meglio, ma gli ho detto che sarebbe stato inutile. Presto andremo al college, affronteremo strade diverse; in un certo senso non voglio avere nessuno che mi trattenga o che influenzi in qualche modo le mie scelte, né voglio essere quella persona per Sean». Era comprensibile che volesse affrontare quella nuova parte della sua vita liberamente e per farlo aveva in qualche modo dovuto ferire una delle persone a cui teneva di più.
«Gli ho spezzato il cuore e sto malissimo per questo». Ecco il punto della questione.
«È per questo che non hai detto niente a nessuno?».
«No, è stato per via della gara. Ho chiesto a Sean di aspettare almeno fino al nostro ritorno, perché non volevo che le ragazze si preoccupassero o anche che i pettegolezzi iniziassero a girare. Almeno sarò classificata come la stronza che ha spezzato il cuore al quarterback solo tra qualche giorno». Tentò di fare un mezzo sorriso, ma ne uscì una smorfia.
«Non sarai la stronza», ribattei, accarezzandole la testa, «sarai solo la ragazza saggia che ha deciso di chiudere una storia quando non vedeva più un futuro possibile».
«Vorrei che tutti la pensassero così». Poggiò il capo sulla mia spalla e fece un profondo respiro.
«Ragazze». La voce profonda di Trevor alle nostre spalle ci fece sobbalzare. «Non vorrei mettervi fretta, ma credo che forse dovremo andarcene da qua. Ho paura che il portiere si risvegli».
Queen tirò su con il naso e si alzò, cercando di mostrarsi il più composta possibile. «Forse hai ragione, dovrei tornare in camera». Sapevo che quella era l’ultima cosa che voleva fare: il dover mostrare una facciata alle sue amiche, dato che solo Megan conosceva la verità, doveva essere terribile.
Nonostante desiderassi un po’ di intimità con Trevor, non potevo lasciare mia sorella da sola. Aveva bisogno di me e in qualche modo io avevo bisogno di farlo per lei. Anche se ci eravamo chiarite, non ero fiera di come mi ero comportata e avevo bisogno di rimediare. Proprio per questo puntai lo sguardo su Trevor, pregandolo silenziosamente; lo vidi studiare il mio volto nonostante la penombra e poi annuire impercettibilmente. Mi stava dando un consenso che valeva molto più di qualsiasi altro gesto.
«Queen non devi tornare in camera con le altre. Puoi dormire con me… il letto è grande».
«Io non voglio disturbare, non ce n’è bisogno Linny».
«Sì invece», ribattei, «ti prego Queen resta con me stanotte». Sapevo che lo desiderava e che ne aveva bisogno e se per farla accettare dovevo pregarla, l’avrei fatto.
«Io…».
«Camera nostra è grande», intervenne Trevor. «Non ci saranno problemi».
Queen lo guardò spalancando gli occhi impercettibilmente; studiò il suo volto e poi si limitò ad annuire, accettando quell’invito inaspettato.
Solo quando ci ritrovammo di nuovo al sicuro per i corridoi dell’hotel, con Trevor ad una decina di metri di distanza davanti a noi, Queen parlò di nuovo. «È successo Linny, non è vero? Tu e Trevor?».
Sapevo a cosa si riferiva. «Sì, è successo».
Fece una mezza risata che sembrò più un singhiozzo. «Sono stata terribile, avrei tanto voluto esserci per te». Avevo capito quello che voleva dirmi anche se si era espressa con poche parole.
«Beh sei in tempo», affermai. «È successo ieri sera».
«Dovevo capirlo che la voce che tu e lui condividevate la stanza doveva essere fondata. Solo non ti credevo capace di ingannare i professori, pensavo non fosse da te».
«Volevo lui», mi giustificai in un sussurro. «Voglio lui».
«Lo so», ammise rivolgendomi un piccolo sorriso sincero. «Ed è stato bello?».
«Di più». Non avevo parole per descriverlo.
«La seconda volta è anche meglio», affermò.
«Beh in realtà c’è già stata anche quella». Arrossii leggermente, ma mi sentii stranamente bene ad ammetterlo con lei.
Queen fece una mezza risata. «L’ho sempre detto a James che una volta sbocciata saresti stata una vera forza della natura, in grado di dare i peggiori grattacapi a nostro fratello».
«A James, Trevor sarebbe piaciuto», affermai convinta.
«Forse prima di sapere del sesso. Se avesse potuto James ti avrebbe chiuso in casa a doppia mandata o ti avrebbe costretto ad indossare una cintura di castità».
«Esagerata, lui non l’avrebbe mai fatto».
«Mi manca tanto, lo sai», affermò improvvisamente.
«Anche a me». Era sempre una parte di me che non sarebbe mai scomparsa.
«Lo so, ma stai andando avanti Linny. Stasera è stata la prima volta in cui ti ho sentito parlare di lui al passato, non lo avevi mai fatto prima». Mi stupii quell’affermazione, ma mi era venuto spontaneo, come se la sua assenza e la quasi impossibile ripresa fossero ormai dati certi anche per me. Non avrei voluto, eppure l’avevo appena fatto.
Lei mi lesse subito nel pensiero. «Non è una cosa negativa Kathleen, era giusto che iniziassi a farlo. Non sentirti in colpa per quello e non ci rimuginare troppo sopra».
«D’accordo», potei solo affermare prima di raggiungere Trevor davanti alla nostra camera.
Fu una ventina di minuti più tardi, stesa al buio sul letto tra Queen e Trevor, che compresi quanto la situazione tra me e mia sorella fosse cambiata nel giro di poche ore. C’era stata una resa completa e inaspettata che non avevo minimamente sperato di avere.
«Trevor?», sussurrò Queen credendo che io dormissi.
«Sì?».
«Volevo chiederti scusa… per tutto».
Lo sentii rigirarsi leggermente verso di lei, passandomi la mano su un fianco. «Okay».
«E ti ringrazio».
«Non devi, Katy aveva bisogno di stare con te stanotte e tu avevi bisogno di lei. Io sono solo un effetto collaterale che vi ruba la maggior parte del posto in questo letto».
«Non mi riferivo solo a questo. Grazie di renderla felice».
«Non c’è di che, farla felice è l’unica cosa che voglio».
«Bene», affermò. «Perché sappi che se le farai del male dovrai vedertela con me. Sono una donna, ma James mi ha insegnato a picchiare piuttosto forte».
Trevor ridacchiò. «Non ne dubito e credimi non saresti la sola a volermi picchiare in quel caso. Dovresti metterti in coda dopo Lea ed Evan».
«Ti faremmo nero», concordò chiudendo il discorso.
«Queen?». Trevor parlò di nuovo dopo qualche secondo.
«Sì?».
«Azzardati di nuovo a farle del male e non mi importerà se sei una donna né tantomeno sua sorella». La sua voce era profonda e la sua minaccia nemmeno tanto velata.
«Ricevuto e credimi non voglio che capiti di nuovo». E così dicendo concluse la questione, siglando per sempre il nostro armistizio.
  
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