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Autore: DarkYuna    01/03/2018    0 recensioni
"Tra la luce e le tenebre, nasce una linea sottile, un luogo senza nome,
sconosciuto ai più, che non esiste né in cielo e né in terra,
lì gli amanti separati dal fato continuano a vivere inscindibili.".
Genere: Malinconico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.
"Vita e Morte"








 
Sono una barca di carta, in un mare governato dal caso.
 
 
All'inizio ho creduto che ci fosse un motivo per ogni cosa, ero certo che ci fosse una ragione importante per aver incrociato la strada di Amelia, averla amata più della mia stessa vita e poi persa per sempre.
A tre anni da quel giorno a cui non voglio più pensare, capisco che una ragione non c'è, non c'è niente, a parte il vuoto che mi divora dall'interno e poi il nulla. La vita e la morte fanno parte di una ruota che ti travolge, schiaccia e lascia a terra, incapace di reagire.
 
 
Sono definitivamente sul fondo, non ho la forza di rialzarmi... e senza le medicine non riesco neppure a dormire. Ho la mente più vigile di sempre, il cervello invaso da ricordi che non riesco a sopprimere.
Il tempo ha cancellato il viso di Amelia, è come una caliginosa ombra che devasta l'anima. La violenza del dolore è l'unica cosa che mi resta di lei, che mi fa capire che non è stata solo frutto della fantasia, che per poco abbiamo camminato insieme e che me la porterò dentro fino all'ultimo.
Cosa resta davvero delle persone care che ci lasciano soli nel labirinto della vita?
Cosa resta di loro?
E di noi?
Di noi cosa resta?
 
 
Aspiro una profonda boccata della sigaretta che oggi ha portato Migé.
Nessuno l'ha presa bene, né lui, né la mia famiglia o gli amici più stretti.
Ho davvero tentato di uccidermi? Era sul serio questo che aspiravo? Con il senno di poi mi sono chiesto se non ho agito sotto effetto dei farmaci e quindi con una coscienza deviata, la depressione ha fatto il resto.
Voglio davvero morire?
 
 
Scatta la mezzanotte: 22 Novembre. Tanti auguri Ville, stai passando il tuo compleanno all'ospedale, perché sì, hai davvero cercato di farla finita con questo mondo.
 
 
Helsinki sonnecchia sotto una coperta di neve nivea, le luci dei lampioni lambiscono gli edifici sullo sfondo, ed è come trovarsi fuori dallo spazio e dal tempo. C'è una strana atmosfera nell'aria, come di attesa.
Getto la sigaretta dal parapetto, la guardo cadere giù, fin quando le tenebre la inghiottiscono. È parecchio alto da qui sopra, forse quarto o quinto piano, un salto e dovrebbero raccogliere con una pala le mie membra maciullate al suolo. Probabilmente si accorgerebbero dello scempio domattina.
Dio, quanto casino farebbe la mia morte!
Già me li vedo gli articoli di giornali, pieni di fanfaluche, menzogne ed idiozie e mi viene da ridere. Quante parole inutili a questo mondo, meccanismi subdoli e bugie inqualificabili, tutta finzione e nulla di più.
Le persone sono un teatrino pieno di maschere, di cui mi sono stancato di fare parte.
 
 
Sto nuovamente meditando di uccidermi, quando un trambusto nel silenzio dell'ospedale, declassa il proposito in secondo piano. Mi stringo nella vestaglia e rientro in corridoio, appena per sfiorare a stento la dottoressa Krista, che sta correndo in una stanza. Con lei ci sono due infermiere, una delle quale trasporta lesta un macchinario.
È da quando mi sono risvegliato che non ho avuto più modo di incontrarla.
Dovrei tornare in stanza, lo so, è la scelta migliore che possa fare, invece i piedi mi tradiscono e mi affaccio sulla stanza dove sta accadendo l'impensabile.
 
 
C'è un fastidioso bip bip che echeggia nell'aria, voci concitate che si susseguono, le infermiere sono nel panico, ma lei no, la dottoressa mantiene un controllo invidiabile. Prende gli elettrodi del defibrillatore, li poggia sul petto nudo dell'uomo privo di sensi e la scarica fa sobbalzare in maniera innaturale il busto del paziente.
Batto più volte le palpebre, sotto shock e rivedo come una proiezione a rallentatore, la notte in cui Amelia è morta. La violenza della scena si ripete in un loop infinito, fino a rischiare di friggermi il cervello.
Ad ogni tentativo della dottoressa di rianimare quell'uomo, in un flash rivedo la medesima scena, ma con Amelia come protagonista.
Poi un silenzio interminabile, i bip bip esagitati si trasformano in un lungo suono regolare e costante, che non smette di decretare la sconfitta.
 
 
La dottoressa sbianca, strabuzza gli occhi di ghiaccio e boccheggia distrutta. Lascia cadere gli elettrodi, indietreggia fino ad addossarsi alla parete alle sue spalle e, quando meno riesco ad intuire la prossima mossa, sferra un pugno brutale al muro.
<< Cazzo! >>, inveisce, però non è solamente un'imprecazione, è un lamento di dolore. Ho sbagliato nel giudizio poco obiettivo, non è gelida perché non vuole restarne invischiata, è così perché c'è dentro fino al collo. La morte di quell'uomo si ripercuote su di lei, come una pugnalata al centro del petto e quando si volta, il viso sottile è rigato di lacrime.
Si accorge di me, ed è indifesa, priva di ogni protezione, invulnerabile sotto il mio sguardo. Non è abituata ad essere vista in quello stato.
 
 
Qualcosa si annoda allo stomaco e stringe così tanto da farmi male.
 
 
Si asciuga rabbiosa i lucciconi, ma non è con me che parla.
<< Chiamate i parenti, voglio parlargli di persona. >>, decide, con una coraggiosa determinazione che mi fa rabbrividire. Sarà lei a dire alla famiglia che un loro caro non c'è più e non conosco niente di più difficile da fare. Non so se avrei lo stesso coraggio.
 
 
Torno scosso nella mia stanza, non voglio assistere alla scena, non voglio essere nei paraggi, eppure, per quanto prema forte le mani sulle orecchie, odo le urla atroci di chi ama ed è rimasto in vita. Echeggiano nelle orecchie e riportano a galla il fiume in piena del passato.
Un'ora più tardi, un silenzio spettrale è calato nel corridoio, è come se non fosse accaduto nulla, invece è successo l'inferno. Ho detto definitivamente addio a Morfeo per stanotte e sono di nuovo in piedi a vagare per l'ospedale.
Passo davanti la porta a vetri che da sul terrazzino, dove stavo fumando. La dottoressa Krista è lì, sola, che fissa il paesaggio innevato e fuma nervosa. Di primo acchito non voglio disturbarla, immagino voglia stare da sola dopo l'accaduto, d'altro canto qualcosa mi spinge a farle compagnia.
 
 
 
Schiarisco la voce, impacciato. Non sono mai stato bravo a consolare le persone, in realtà non sono mai stato bravo a niente, solo lamentarmi mi riesce perfettamente.
 
 
La dottoressa muove appena la testa, è come se sapesse che sarei venuto. Solo dopo mi accorgo che nell'altro orecchio ha una cuffietta collegata ad un mp3, che tiene in tasca. La musica resta un brusio di fondo.  
 
 
<< Com'è morire? >>, chiede ad un certo punto, tirando su con il naso e resto pietrificato, poiché un'altra persona ha posto la medesima domanda, in passato.
Ispiro interrogativi esistenziali, a quanto pare.
 
 
Poggio la schiena al parapetto freddo, dando le spalle alla città.
<< Dicono che sia come addormentarsi, dopo una lunga giornata stancante... quasi non te ne accorgi. >>. Incrocio le braccia, più per scaldarmi, che per altro. << Non ha sofferto, non hai nulla di cui incolparti, non avresti potuto fare nient'altro. >>.
 
 
<< Avrei potuto fare molto, invece... salvarlo, per esempio. >>.
<< Non puoi addossarti la colpa della sua morte. >>.  Conversiamo come se ci conoscessimo da anni, quando invece so a malapena come si chiama.
 
 
<< È quello che sto già facendo. Loro sono qui per essere curati, affidano la loro vita a me, si fidano di me. Il minimo che posso fare è assicurargli che torneranno a casa. >>. Alza gli occhi arrossati e mi fissa con una forza che mi confonde.
Anni fa ho avuto la medesima convinzione di poter salvare la ragazza che amo, ci ho creduto con tutto me stesso, malgrado ciò il destino ha deciso diversamente. Non possiamo niente contro la vita e la morte, siamo solo dei burattini inanimati, governati dalla sventura degli eventi.
 
 
<< Stanotte ti ho visto fare il massimo per quell'uomo... sarebbe sul serio magnifico se potessimo salvare chiunque desiderassimo, per puro egoismo o per eroismo. Dipende da come la vuoi vedere. Le cose accadono, senza motivo e noi dobbiamo solo accettarle. >>, concludo amareggiato. Io, però, non ho accettato la morte di Amelia.
 
 
<< Non credo che sia così semplicistico. Deve per forza esserci una casistica, una ragione, una motivazione. Per esempio, io sono venuta qui fuori per fumare e tu non sei passato qui davanti per fatalità. Se quell'uomo è morto, c'è una motivazione, così come c'è una motivazione sul fatto che fossi io di turno stanotte e che tu abbia assistito. >>. L'ultima frase viene fuori a mo' di rimprovero, ma non approfondisce l'argomento, siamo entrambe troppo scossi per cause differenti, nate da un episodio comune.  
 
 
Stropiccio il naso freddo, le concedo il beneficio del dubbio, anche se resto fermo sulle mie opinioni. Capisco che non è di un dibattito sulle misteriosi leggi della vita ciò di cui ha bisogno, niente riflessioni logistiche e spiegazioni dettagliate su pensieri ispirati da un forte ateismo, con cui mi approccio alla vita. Farebbe bene a tutti, per una volta, allentare la corda e concedersi una semplice chiacchierata senza senso.
<< Dici che c'è un motivo per tutto questo? >>, allargo le braccia, per far intendere la situazione complessiva che ci ha portato a questa notte strana.
 
 
Getta il mozzicone consumato al di là del parapetto, spegne l'mp3 ed infila le cuffiette nella tasca. Si gira ed assume la mia stessa posizione, solo che le mani sono nelle tasche del camice.
<< Se non avessi tentato il suicidio, questa sera non avresti visto quell'uomo morire e non avresti capito che non è questo che vuoi. Non desideri veramente provocare quel tipo di dolore in chi ami, perché tu sai bene cosa si prova. >>, spiega saggia e non mi sorprende che sappia. Quando è morta Amelia, nonostante gli sforzi di tutti, la notizia è trapelata ugualmente e finita dritta dritta sui peggiori giornali di gossip locali.
Per chi è finlandese, specialmente di Helsinki è a dir poco impossibile non sapere chi io sia, anche se non gliene importa un fico secco o non segue assiduamente il mondo della musica scandinava.
 
 
<< Già. >>, mormoro, più che altro perché non so che dire. Non parlo mai di Amelia, tuttavia mi sembra di aver trovato un'anima affine stanotte, una persona che penetra davvero cosa sento. Non inutili cliché da strizzacervelli, ma qualcuno che la morte l'ha provata sulla propria pelle.
 
 
<< Il dolore resta in chi è vivo. >>, continua, fissando un punto indefinito davanti a sé. È la prima volta che incontro un dottore con una così intensa sensibilità, anche se a vederla non si direbbe.
La morte lei l'ha vista in faccia, combatte contro di essa tutti i giorni, per strapparle via le vite delle persone ricoverate in ospedale.
 
 
Batto nervoso il piede, alzo il viso al cielo, ed è come se non riuscissi più a tenermi l'inferno dentro. Con lo psicologo non ho parlato, neppure con lo psichiatra abituale che mi segue da un paio di anni e mi intontisce di antidepressivi, non voglio raccontare di Amelia a chi ha sempre una risposta studiata a tavolino da rifilarmi, per cercare di quietare i demoni.
Lei sembra diversa, non una maschera, c'è una leggera e lancinante percezione che mi obbliga a fidarmi di un'estranea. Forse dipenderà dal fatto che mi ha salvato la vita, o perché l'ho vista così tanto lottare per la vita di qualcun altro. Non voglio dare alcuna spiegazione, è solo una sensazione e per stavolta seguo l'istinto. 
 
 
<< Le ho fatto una promessa... una promessa che non riesco più a mantenere. Io non voglio più vivere in un mondo dove lei non c'è. >>.
In questi tre anni ne ho sentite di tutte i colori, frasi vuote, stereotipi abbastanzi ovvi, stupidaggini infinite e nessuna di esse è servita davvero a confortarmi, all'opposto mi sono sentito solo ed emarginato.
 
 
La dottoressa mi guarda fisso, ha un'espressione affranta e spero che questa conversazione non sia solo lavoro per lei, ma più un contatto umano, dove sono le emozioni a parlare.
<< Anche io vorrei morire, se perdessi la persona che amo. >>, dice a bruciapelo, comprendendo sul serio ciò che si dibatte nel cuore in macerie, che giace nel petto. << Non ci sarebbero promesse, né ragioni sufficientemente valide da tenermi legata a questo mondo. Niente di niente, perché l'amore, quello vero, non le fandonie che si vendono a poco prezzo oggigiorno, ti violenta l'anima in ogni istante e non ti permette di respirare se l'altra persona non c'è più. >>.
 
 
Boccheggio sconcertato, perché nessuno fino ad ora, era stato in grado di mettersi sul serio nei miei panni.
 
 
<< Però, poi mi fermo un momento e ci rifletto su. Se tu ti uccidessi, come pensi la vivrebbero le persone a te care? E se si uccidessero anche loro, perché non sopportano la tua scomparsa? Diverrebbe come un terribile effetto domino. >>, continua a dire, sovvertendo completamente il mio modo di vedere la vicenda. << Mettiamo per un momento che fossi riuscito davvero a morire quella notte e che io non fossi mai stata lì. Tu vorresti che la tua famiglia compiesse il medesimo gesto? >>.
 
 
Non ho bisogno di rifletterci più di tanto, rispondo di getto.
<< No. >>.
 
 
Inarca un sopracciglio retorica, sorride con eloquenza, ed io capisco il nocciolo della faccenda.
<< La ragazza che porti nel cuore, ti ha chiesto di farle quella promessa perché ti amava sul serio e perché l'idea della tua morte era insopportabile da accettare. >>. Da un leggero buffetto al mio braccio, come per infondermi speranza. << Le persone vanno e vengono nella nostra vita, è una realtà. Puoi combatterla, arrabbiarti, inveirle contro, ma è così e non puoi farci nulla. I tuoi cari moriranno, io morirò... tu stesso morirai, e questa è la vita. Non conta l'inizio o la fine, conta ciò che è il durante e se, questa ragazza, ti ha lasciato una traccia così profonda ed indelebile dentro, non devi augurarti di morire, ma prendere quel sentimento indistruttibile e portarlo in ogni cosa che farai e dirai. Questo sentimento è il suo regalo per te. Ama forte, vivi forte, non lasciare che il giorno finisca senza aver fatto qualcosa che ti abbia reso felice. Non ci sarà mai più un giorno come quello appena finito e la cosa peggiore che tu possa fare adesso è lasciare che il tempo trascorra e svegliarti pieno di rimpianti. Hai fatto una promessa a quella ragazza, allora è il momento di mantenerla. >>.
 
 
Le sue parole non mi hanno guarito, non è avvenuta una portentosa magia, non ho smesso di desiderare di morire, però qualcosa è mutata, posso vederla perfettamente la luce accecante che filtra attraverso le crepe del mio essere. Le tenebre si rischiarano, adesso fanno meno paura.
 
 
 
L'infermiera viene a cercarla, interrompendo la conversazione più bella che abbia avuto negli ultimi anni; un paziente ha bisogno di lei, ma prima che se ne vada l'afferro per un polso.
 
 
<< Io sono Ville. >>, mi presento, poiché fino ad adesso nessuno dei due ha pronunciato il nome dell'altro.
 
 
I lineamenti si ammorbidiscono e sorride bonaria.
<< Lo so. >>, afferma sincera, sarebbe stupido nascondere chi io sia con stoltezze superflue e lei non ha l'aria di esserne il tipo. << Krista. >>.
 
 
Sorrido di rimando.
<< Lo so. >>.









Note: 
Eccoci qui con il terzo capitolo di questo mese. 
La stesura sta andando bene e sono a buon punto, non appena finisco aggiornerò più spesso, prometto. 

In questo capitolo inizia a modellarsi il carattere di Krista, donna tutta d'un pezzo, ma con una grande sensibilità. Non è debole, non è forte, è solamente se stessa in ogni situazione. 
Ville ne è affascinato, anche se fa difficoltà ad ammetterlo, anche con se stesso. L'ombra della morte di Amelia è sempre ben presente. 

Spero che il capitolo possa piacervi, ancora la trama in sé non ha ingranato, ci sto arrivando per gradi, così come tutta la storia in sé andrà per gradi. Non ci si può certo aspettare che Ville dimentichi il dolore con uno schiocco di dita: ci vorrà tantooooooooooo tempo. 


La storia può presentare errori ortografici.

 
Un abbraccio.
DarkYuna.  
 
  
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