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Autore: Mimithe_Moonlight    04/03/2018    0 recensioni
E se le avventure di Elisabeth e delle sue sorelle si svolgessero nel presente mentre le ragazze frequentano il liceo?
E' iniziato un nuovo anno alla PRIDE HIGH SCHOOL e le giovani Bennet si preparano a fare incontri che cambieranno le loro vite.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Bingley, Elizabeth Bennet, Fitzwilliam Darcy, Jane Bennet, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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-Anne?-
Elizabeth sconcertata faceva scorrere lo sguardo fra i due. Lei, una giovane dal viso pallido incorniciato da sottili capelli scuri, si stava avvicinando inciampando nei suoi stessi piedi e tendendo le braccia verso William. Non appena li raggiunse subito si lanciò in avanti stringendogli le mani intorno al collo mentre lui se ne stava immobile come se fosse improvvisamente diventato di pietra. I suoi occhi cercarono quelli di Lizzie in una muta preghiera ma la ragazza lo osservava ora con uno sguardo di ghiaccio, impenetrabile muro ai suoi pensieri che per la prima volta non riusciva a leggere come fissero i suoi. Come se si fosse appena accorta della sua presenza, Anne si voltò verso di lei tendendole la mano con un sorriso radioso sotto gli occhiali dalla montatura rotonda.
-Mi dispiace tanto sono proprio una maleducata, mi chiamo Anne De Bourgh, sono la futura signora Darcy- esclamò con voce civettuola afferrando la mano di Lizzie e scuotendola mentre la ragazza la osservava spalancando gli occhi. Non aveva uno specchio ma fu sicura che il suo viso fosse sbiancato.
-Futura...Signora Darcy?- bisbigliò in un sottile sussurro sollevando gli occhi verso l’amico, ancora frastornata dopo la sua dichiarazione e l’arrivo di Anne.
-Certo! Willy caro,non le hai parlato del nostro fidanzamento?-
-No, non l’ha mai fatto-rispose Elizabeth con voce fredda e tagliente come coltelli, nei suoi occhi William vide mille mute parole che si agitavano come nuvole di tempesta. E il maggiore dei fratelli Darcy capì in quel momento che tutto quello che era riuscito a costruire si stava sgretolando davanti a lui, impotente mentre quel briciolo di fiducia che si era guadagnato veniva schiacciato da un segreto mai rivelato.
-Il mio Willy così sbadato!- esclamò zuccherosa e civettuola.
-Scusatemi, improvvisamente non mi sento molto bene. William potresti avvertire mia sorella che torno a casa, per piacere?-
Senza dargli il tempo di rispondere si voltò e affrettò il passo sulla ghiaia del breve sentiero. Sentiva gli occhi inumidirsi e si stupì quando una lacrima solitaria discese accarezzandole il collo. Stava piangendo per William Darcy e ancora si chiedeva come fosse arrivata a quel punto. Poi sentì alle sue spalle la sua voce chiamarla, implorandola di fermarsi ma non lo fece. William era però molto più veloce di lei, impacciata sui suoi tacchi e in pochi passi la raggiunse afferrandola per un polso e costringendola a voltarsi.
-Lizzy per favore aspetta!- sentì la bile salirle alla gola mentre i suoi occhi affogavano in quelli del ragazzo.
-Perchè Darcy? Cossicchè tu possa raccontarmi altre bugje? Confessare che mi ami quando sei già impegnato con un'altra ragazza, una ragazza che a quanto pare sposerai,oltretutto? Perché allora mi hai detto quelle cose, volevi qualcuno per divertirti quando lei era lontana?-
-No,No,No! Ti prego lascia che ti spieghi ogni cosa!-Elizabeth scosse la testa
-Sono stanca di sentire scuse. Pensavo potessi essere diverso ma mi sbagliavo. Mi hai ingannato proprio come tutti gli altri. Torna da lei William, io sono stanca di sentirti mentire-
-Non ti ho mentito quando ti ho confessato quello che provavo- lei lo guardò, avrebbe voluto rispondergli che anche lei aveva scoperto un legame più profondo dell'amicizia con lui ma non ci riuscì. Intorno al suo cuore si stava ricostruendo, mattone dopo mattone, il muro che lui era riuscito a scalfire e abbattere, dunque sollevò il viso con orgoglio ignorando le lacrime che silenziose scivolavano sul suo viso
-Sin dal primo momento, William Darcy, la tua arroganza, la presunzione e il disdegno per i sentimenti altrui mi hanno fatto capire che eri l’ultimo uomo sulla terra che avrei mai potuto amare-
Lo vide impallidire diventando come di ghiaccio mentre la sua presa sul suo braccio si allentava. Lizzy non attese oltre e si allontanò di corsa con le lacrime silenziose pronte a riversarsi sulle sue guance, sulla schiena fissi gli occhi di quel ragazzo che per la prima volta le aveva davvero fatto credere che sarebbe potuta essere finalmente felice.

Elizabeth camminava veloce lungo la strada deserta, i piedi scalzi e in una mano le scarpe che si era sfilata imprecando dopo pochi metri. Si sentiva come vuota, inconsistente e per la prima volta dopo tanto tempo non riusciva più a fingere. Fingere di stare bene. Fingere di essere forte, perché non lo era, non lo era mai stata o forse non sarebbe ricaduta nei soliti schemi dimenticandosi della sua regola fondamentale: mai affezionarsi a qualcuno. Lo aveva imparato in quel vicolo anni fa, quando persone che amava le avevano fatto del male. Quando persone di cui si fidava l’avevano tradita. Ora le pareva quasi di essere tornata indietro nel tempo a quei giorni. Aveva confessato a William le sue paure, aveva riso e pianto con lui stupendosi di come avesse potuto legarsi a qualcuno che sembrava così diverso da lei, eppure, mentre camminava sola lungo quella strada, non poteva fare a meno di chiedersi come avesse fatto ad essere così stupida da pensare che avrebbe potuto essere diverso. Maledisse se stessa per essersi costretta a sentirsi così di nuovo. Strinse con rabbia i denti ignorando il dolore ai piedi per il lungo cammino e percorse il vialetto di casa con la consapevolezza che qualcosa dovesse cambiare. Ignorò il fastidioso cinguettio delle voci delle sue sorelle minori e di sua madre, ignorò persino le domande di suo padre.
-Per una volta nella vostra vita, lasciatemi in pace!- urlò correndo su per le scale e sbattendosi la porta della sua camera alle spalle. Il cuore le sembrava uscirle dal petto mozzandole il respiro mentre si lasciava scivolare sulla porta, le mani fra i capelli spettinati. Avrebbe voluto gridare ma la voce sembrava essersi sgretolata insieme alla fiducia che aveva sempre trovato in quegli occhi blu ora probabilmente fissi in quelli della giovane ragazza che non aveva idea di quanto la sua vita fosse una bugia. Al solo pensiero di loro insieme sentì l’impellente bisogno di vomitare e dopo essersi trascinata fino al piccolo bagno che condivideva con Jane si accasciò contro il gabinetto scossa dai conati. Non riusciva a comprendere come mai tutto quello che era successo la stesse provando cosi tanto, lui non le doveva nulla, non erano fidanzati forse nemmeno erano amici ma quel segreto, scoperto così all’improvviso, l’aveva riportata a quella realtà che aveva dimenticato. La realtà in cui gli uomini l’avevano sempre ferita, lasciata sanginante ai lati della strada. Si rialzò a fatica guardando il suo viso pallido riflesso nello specchio appannato. Gli occhi brillanti ora freddi pezzi di ossidiana offuscati da lacrime trattenute. Con rabbia sfregò via il trucco e si strappò di dosso il vestito tornando nella sua vecchia pelle di jeans sgualciti e felpe slargate. Afferrò la giacca e le sigarette poi aprì la finestra come aveva già fatto tante volte e si issò fino alla grondaia e poi sul tetto facendo attenzione a non scivolare sulle tegole bagnate dalla pioggia che aveva iniziato a cadere sottile come spilli. Lasciò che le bagnasse il viso senza preoccuparsi di sollevare il cappuccio mentre si accendeva una sigaretta aspirando affannosamente il fumo come un naufrago che cerca di respirare quando l’onda lo sommerge. Sperava che quel poco di calore avrebbe potuto riempire quel buco gelato che le divorava lentamente il petto giungendo al cuore. Inalò osservando il cielo tumultuoso illuminato dai lampi improvvisi. Si strinse le gambe al petto rabbrividendo alla carezza gentile di una goccia che le scorreva lungo la schiena. Jane sarebbe rimasta a dormire da Charles, la porta di camera sua era chiusa a chiave. Nessuno sarebbe venuta a cercarla, nessuno avrebbe controllato che stesse dormendo nel suo letto o che gli incubi non la stessero tormentando. E così quasi senza accorgersene, sdraiata sulle tegole del tetto sotto quella pioggia di spilli, Elizabeth Bennet si addormentò cullata da un sonno semza sogni.

Quando si svegliò era da poco passata l’alba. Le grosse nuvolone scure si erano svuotate e galleggiavano nel cielo come palloncini sgonfi. Si stropicciò gli occhi maledicendosi per aver avuto la straordinaria idea di dormire su un tetto durante un temporale. La felpa era zuppa nelle aree che la giacca impermeabile non aveva coperto. Facendo peso sui gomiti si sollevò leggermente osservando il quartiere che ancora dormiva. Sospirando si passò una mano sul viso prima di rientrare goffamente in casa, lasciando sul pavimento delle piccole pozzanghere, e dirigersi a ciondoloni fino alla doccia. Si spogliò stancamente degli abiti fradici che indossava e lasciò che l’acqua bollente le scaldasse la pelle scorrendo lieve in sottili fiumiciattoli lungo il corpo magro mentre lentamente capiva che quello che la stava provando così tanto non era altro che la consapevolezza di aver sbagliato un’altra volta a fidarsi delle persone. La consapevolezza di essere tornata ad essere una debole ragazzina indifesa. Aveva di nuovo infranto la promessa che aveva fatto a sè stessa: tieni le persone fuori dal tuo cuore, questo si era giurata ingenuamente convinta che in questo modo avrebbe tenuto lontano anche il dolore ma non accorgendosi che in egual modo si privava della possibilità di amare ed essere amata davvero. Non ce l’aveva fatta però, non del tutto e così Jane, suo padre e William erano riusciti a farsi strada fino a quel punto più profondo dove nessuno riusciva mai ad arrivare: il suo cuore. Con una mano scostò il sottile strato di vapore che si era formato sullo specchio osservando con la curiositá di un bambino le sue occhiaie scure e il trucco sbavato che nè la pioggia nè la doccia erano riuscite a cancellare. Si infilò dei vecchi jeans strappati e una felpa e uscì dal bagno tamponandosi i capelli con un asciugamano.
Uscì appena in tempo per trovarsi davanti Jane, le braccia incrociate davanti al petto, gli occhi pieni di rimprovero e preoccupazione. Elizabeth si bloccò, stupita.
-Si può sapere che diavolo ti è preso?- lo urlò quasi, e dalla sua voce traspariva un sentimento che Lizzie aveva più volte visto dipinto sul suo volto. La preoccupazione di chi sente il dovere di prendersi cura di qualcuno. E in quel momento si rese conto di quanto le avesse fatto male senza accorgersene. Di quanto fosse stata egoista con lei. Jane con la sua generosità immensa, aveva preferito occuparsi di lei, Elizabeth, piuttosto che di sè stessa. Le aveva impedito di vivere senza la preoccupazione di una sorella fragile, spezzata. 
-Calmati, Jane, va tutto bene Sto bene-
-Puoi almeno dirmi perchè sei scappata così ieri sera?- Elizabeth strinse i pugni voltandosi e dandole la schiena.
-Non mi sentivo molto bene- rispose fredda.
-E quest’improvviso malessere non ha nulla a che fare con l’arrivo di Anne alla festa di William vero?-
-E perchè dovrebbe? Non c’è nulla fra noi. Siamo solo amici-
-Lizzie...-
-Smettila Jane. Sto bene, non c’è bisogno che ti preoccupi per me-
-Sono tua sorella è mio dovere farlo- 
-No, non lo è e vorrei tanto che smettessi di farlo. Non ho più dieci anni, so badare a me stessa e non ho bisogno che tu o qualcun altro vi prendiate cura di me. Sto bene! Non sono qualcosa che potete aggiustare, non sono uno dei vostri proggetti. Sono io, sono sempre la solita Elizabeth e vorrei così tanto che ti accorgessi che non puoi farmi tornare quella di prima, sono spezzata irrimediabilmente, Jane! Quello che é successo mi ha cambiata e sono così stanca di fingere il contrario. Non sono più la stessa e devi accettarlo, lascia andare quel ricordo Jane e smettila, smettila, smettila ti prego di tentare di aggiustarmi perchè non puoi. Nessuno può- si interruppe di colpo, col fiatone che le mozzava il respiro sordo esalato da labbra tremanti. Jane la guardava con i grandi occhi blu spalancati per lo stupore, un velo di lacrime ad offuscarne l’usuale brillantezza. Elizabeth si sentì morire vedendo il dolore in quello sguardo così familiare, avrebbe voluto dirle che le dispiaceva che non intendeva davvero quello che aveva detto ma ormai aveva passato la linea e non poteva più tirarsi indietro. Le parve che il suo cuore si facesse di ghiaccio mentre afferrava le sue cose e correva fuori da quella camera, da quella casa, lontano da quegli occhi segnati da un dolore di cui era lei la colpevole. Corse finchè non sentì le gambe cedere e i polmoni implorare aria. Corse con il vento fra i capelli ancora bagnati che le frustavano il viso,gelati. Il muro si erigeva spesso intorno al suo cuore mentre si lasciava cadere su una panchina ormai sfinita. Questa volta, aveva deciso, non avrebbe infranto la sua promessa. Uscire dalle vite di tutti era la cosa migliore che potesse fare e, mentendo a sè stessa, cercava di convincersi che quella fosse l’unica possibilità di agire correttamente. Che quella fosse davvero la strada giusta per donare alle persone che amava la felicità. 

Jane non riusciva a muoversi. Le parole di Elizabeth che le rimbombavano nella testa all’infinito e lacrime silenziose che le scorrevano lungo il viso. Le sembrò di non riconoscere più sua sorella, era stata così fredda e furiosa, quegli occhi oscurati da una tempesta di pensieri che per la prima volta non era stata in grado di leggere. No, non era la prima volta ed era questo a spaventarla di più: il fatto che quello sguardo fosse proprio come quello di anni prima della ragazzina che si stringeva al petto le ginocchia in una stanza di ospedale. Afferrò velocemente la borsa e corse fuori sotto lo sguardo attonito della famiglia che non riusciva a spiegarsi cosa stesse succedendo. Non tentò nemmeno di seguire le tracce di Elizabeth, la conosceva abbastanza bene da sapere che sarebbe stato completamente inutile, così si diresse a passo veloce verso una casa che conosceva bene. Casa Bingley. Ad aprirle la porta non fu però Charles ma l’infida Caroline che con una smorfia annoiata la invitò ad entrare. Avrebbe voluto colpirla. Per la prima volta nella sua vita desiderava ardentemente fare del male a qualcuno ma si trattenne e si affrettò subito alla ricerca del suo vero obbiettivo. William Darcy era come previsto, seduto in cucina con l’amico davanti ad una tazza di caffè e discuteva fittamente con Charles, il viso incupito da un espressione nervosa che lo spingeva a contrarre la mascella digrignando i denti. Con sicurezza si avvicinò e ignorando le domande del fidanzato afferrò uno sbalordito William per il colletto costringendolo a girarsi verso di lei.
-Ora tu mi dirai cosa hai fatto a mia sorella, e farai meglio ad essere molto sincero e molto conciso- Il ragazzo la guardava senza capire, stupito dall’aggressività che mai si sarebbe aspettato di vedere in una persona come Jane.
-Di cosa stai parlando, scusa?- 
-Non fare finta di niente. Ieri stava bene, era felice o almeno lo sembrava, poi parla con te e improvvisamente diventa fredda e aggressiva. Ritorna quella di tanti anni fa. Cosa le hai detto?-
William distolse lo sguardo ricordando le parole che avevano lasciato le labbra di Elizabeth la sera prima, taglienti come coltelli poi guardò il viso di Jane che esprimeva tutta la sua rabbia e la sua preoccupazione, notò allora il sottile segno delle lacrime sulle sue guance e gli occhi arrossati a confermare che aveva pianto. 
-Cos’è successo Jane?- domandò calmo.
-Non tentare di cambiare discorso non intendo andarmene senza una risposta-
-Jane, perchè stai piangendo?- tentò di nuovo e la vide ammutolire passandosi una mano sul viso, stupendosi di ritrovarla bagnata di lacrime. Charles si fece avanti premuroso, stringendola a sè sotto gli occhi comprensivi di William. 
-Credo di averla persa, questa volta non credo che riuscirò a guarirla...-sussurrò Jane e, stretta fra le braccia del giovane Bingley, gli raccontò tutto.
Quando si interruppe tirando su con il naso, William si sporse in avanti posandole una mano sulla spalla. 
-La terrò d’occhio. Ti prometto, Jane, che mi prenderò cura di lei- 
E Jane fu sicura, guardando quegli occhi blu, scuri di una tempesta indomabile, che non avrebbe mai infranto quel giuramento.

I giorni che seguirono quella mattinata, che aveva inevitabilmente e indelebilmente crepato il rapporto delle sorelle Bennet, quella mattinata che avrebbe per sempre segnato un prima e un dopo nella loro vita, videro il piano di Lizzie attuarsi lentamente. Ogni giorno era sempre più distante, più fredda. E mentre le malelingue bisbigliavano del nuovo amore dall’aria malaticcia di William Darcy, qualcuno  aveva già notato come da qualche tempo Elizabeth Bennet aveva preso a scomparire da scuola all’improvviso e la situazione non era poi tanto diversa da quando invece a scuola c’era, sempre da sola, sempre sfuggevole come il vento. Inutilmente Jane aveva tentato di parlarle. Non voleva ascoltarla, toccarla nemmeno guardarla  e sotto gli occhi impotenti di Charles, la maggiore delle due si consumava nella sua tristezza e nello sconforto per non riuscire a salvare la sorella che stava cadendo di nuovo  nel vortice indomabile della parte oiù oscura della sua anima ferita. Senza molti risultati nel frattempo Elizabeth tentava di convincersi che quella fosse la scelta migliore, per tutti. Nessuno vide più Elizabeth Bennet parlare con i suoi amici e tutti si chiesero, sviluppando le teorie più assurde, cosa aveva potuto separarli. Ma non c’erano risposte sensate e tutti si limitavano a pontificare sul nulla, spettegolando e gracchiando come rane in uno stagno.
Poi una sera tutto precipitò. 
Come ogni notte Elizabeth si calò dalla sua finestra sotto lo sguardo di Jane che inutilmente cercava di fermarla. Si sollevò il cappuccio sul capo e corse via guardandosi alle spalle, quasi fosse un fuggitivo braccato dalla polizia. Ma c’erano solo un paio di occhi a fissarla preoccupati mentre si allontanava verso la periferia della città, sola con la sigaretta in bocca e le cuffie nelle orecchie a riempire quel silenzio che la stava consumando. Aveva ricevuto un messaggio da un vecchio amico e quell’invito che una volta avrebbe cancellato senza pensarci due volte, l’aveva accettato. Sapeva che era un errore ma non aveva intenzione di tirarsi indietro. Ormai era diventata la regina degli errori volontari. Per questo non si voltò indietro spingendo i suoi passi lungo la strada deserta. 
La festa era più affollata di quanto aveva inizialmente immaginato. Tutti stretti in quel minuscolo locale, in un groviglio di braccia e gambe che si muovevano al ritmo martellante della musica che rimbombava dalle casse gigantesche fissate al soffitto. Un spessa coltre di fumo appesantiva l’aria del bar che, manco a dirlo, non rispettava le regole sul fumo all’interno dei locali pubblici. Elizabeth con gli occhi chiusi, ondeggiava costantemente fuori tempo, troppo presa dai suoi pensieri e dal coktail non meglio definito che teneva in una mano. Non era ubriaca, solo un po’ alticcia ma iniziava a non sopportare più il caldo soffocante, così strisció fra le persone riuscendo finalmente ad uscire dal locale. L’aria fuori in confronto sembrava gelata. Il quartiere degradato era il teatro delle lotte di territorio di gatti spelacchiati e di un gruppo di ragazzi col volto coperto, probabilmente drogati, che si affannavano risultando non poi tanto diversi dagli animali. Sospirando si accese un sigaretta portandola alle labbra umide di alcool e sudore. Si passò una mano fra i capelli alzando gli occhi verso le stelle che osservavano silenziose il disagio sociale della zona, con i barboni gettati su cartoni sporchi di fango e le siringhe come un tappeto intorno ad un altro gruppo di ragazzi. Si chiese se davvero ci fosse qualcuno a vegliare su tutti loro e se anche ci fosse stato qual’era il suo geniale piano. Scosse il capo stancamente e stava per allontnarsi verso casa quando una voce le gelò il sangue nelle vene.
-Elizabeth Bennet, chi l’avrebbe mai detto!-
Si voltò e i suoi occhi incontrano quelli di lui. Gli stessi di tanti anni fa. Gli stessi che bruciavano come fiamme in quel vicolo, quella notte. Il cuore cessò quasi di battere mentre il respiro le si mozzava in gola. Non era cambiato da allora, nulla di lui sembra mutato, quasi come a volerle ricordare cosa aveva dovuto passare per riuscire a riconquistare una parvenza di normalità. Le si avvicinò con quel suo sorriso che le faceva scorrere brividi lungo la schiena mentre ancora sentiva la sua voce bisbigliarle nell’orecchio che doveva stare zitta o gliel’avrebbe fatta pagare cara. Strinse i pugni cercando di impedirsi di tremare.
-Cosa vuoi?- domandò con voce roca, la gola improvvisamente secca. Lui allungò una mano accarezzandole la guancia ed Elizabeth sentì il sapore amaro della bile in bocca.
-È così che si saluta un vecchio amico? Dov’è la tua perfetta educazione ora?-
-Toglimi le mani di dosso- mormorò ma poi raggelò vedendo stretto, nella sua mano destra, il suo coltello. 
-Sai non credo di averti mai ringraziato per quello che hai fatto. Denunciarmi. Non si tratta cosí la propria gente e tu sai bene cosa facciamo ai traditori non è vero?- la lama del coltello salì ad accarezzarle la pelle della pancia mentre lui le avvicinava la bocca all’orecchio sussurrandole quelle parole che Elizabeth aveva già sentito. 
-Ti prego, lasciami andare- mormorò e sentì una lacrima scorrerle lungo il viso mentre tornava la ragazzina di tanti anni prima, che non riuscì a proteggere suo padre da chi pensava essere amici.
-Perchè Liz? Ci stiamo divertendo così tanto, non è vero? Non ti sono mancato nemmeno un po’?- le sue labbra le si posarono sul collo mentre con il coltello le sollevava la maglia. Senti l’aria fredda della sera sul ventre mentre la lama saliva e così anche la mano del ragazzo che le stringeva il collo non tanto forte da strozzarla ma abbastanza da farle capire che non avrebbe avuto vie di fuga. Ma ad un tratto lui si scostò un poco, forse perchè qualcuno si era avvicinato, forse per spingerla in un vicolo, Elizabeth non lo sapeva ma colse comunque l’occasione e lo spinse lontano da sè. Il coltello le tagliò la pancia ma non le importava mentre indietreggiava correndo e incespicando nei suoi piedi ritrovandosi in mezzo alla strada. 
Fu un attimo. 
Non scorse la macchina ne sentì il fischiare delle ruote sull’asfalto quando cercò di fermarsi. La prese in pieno con abbastanza forza da spingerla per terra, stordita. La testa le girava e i suoni le parevano ovattati mentre si guardava attorno stringendo gli occhi. Il guidatore nel frattempo aveva fatto retromarcia ed era scappato via lasciandola lì sdraiata. Si guardò le mani sporche di sangue e le ginicchia contuse cercando di capire cosa stesse succedendo poi due mani la presero per i fianchi aiutandola ad alzarsi. Si voltò cercando di divincolarsi.
-Vedi vosa ti succede quando scappi da me?- 
urlò tentando di spingerlo via ma la testa le girava così tanto...
-Lasciala andare-sentì ringhiare da una voce familiare poi lui venne strattonato lontano da lei e ricadde sull’asfalto coprendosi il viso. Elizabeth sollevò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono il suo viso. Quello di William Darcy. I suoi occhi sembravano un mare in tempesta e aveva il fiatone mentre la osservava. La sua espressione mutò dalla rabbia più furiosa alla preoccupazione mentre si avvicinava a lei e, dopo averla presa per mano la tirava sul marciapiede. Lizzy incespicò sorretta subito da William che la condusse fino alla sua macchina aiutandola a salire. Tutto si muoveva a rallentatore ed era come se Elizabeth non riuscisse più a riconoscere i particolari. Era tutto sfocato, assurdo. Lui la guardava preoccupato controllandole le braccia, le gambe, la testa con attenzione frenetica.
-Lizzie!- lei si voltó a guardarlo e sollevò una mano verso il suo viso accarezzandolo come in trance.
-Grazie-sussurrò. Lui la guardava stupito e sembrava sul punto di dire qualcosa quando abbassò lo sguardo e vide il sangue che le bagnava la maglietta all’altezza del fianco.
-Cristo Santo! Sanguini!-esclamò -Lizzie ti devo portare in ospedale! Ora!- lei sembro riscuotersi e scosse forte il capo.
-Se lo fai, chiameranno i miei genitori e loro si preoccuperanno a morte. Non posso fargli questo. Loro sono convinti che vada tutto bene-
-NON VA TUTTO BENE ELIZABETH!- urlò lui stringendo le dita intorno al volante. -Sei stata aggredita e investita. Non va tutto bene. Anzi va tutto fuorchè bene! Potevi morire lo capisci questo almeno?-
-Sto bene, È solo un graffio- mormò lei sollevando la maglia e mostrando il taglio che aveva già smesso di sanguinare. 
-Visto? Sto bene-
-L’hai detto così spesso che ha smesso di sembrare una frase di senso compiuto- sospirò voltandosi a guardarla negli occhi.
-Sei sicura di non voler andare in ospedale?- Elizabeth annuì con un lieve sorriso nel vederlo cedere così velocemente.
-Ti porto a casa allora?- 
-Ovunque ma non lì, ti prego, non posso affrontare Jane. Non in queste condizioni- lo vide esitare prima di mettere in moto l’auto.
-Va bene, ti porto a casa mia- Lizzie lo guardò stupita mentre guidava con gli occhi concentrati sulla strada e la mascella stretta come se si stesse sforzando di non urlare.
-Mi dispiace, William- sussurrò e lui si voltò un secondo. La sua espressione si fece più dolce mentre allungava una mano accarezzandole il viso. 
-E’ tutto a posto. Stai bene. Sei al sicuro- disse forse più per rassicurare sè stesso che lei. Elizabeth sorrise lievemente e si appoggiò contro il finestrino addormentandosi qualche minuto dopo. Il respiro rilassato e un espressione serena sul volto sporco di lacrime e polvere. 
-Va tutto bene- mormorò William un’ultima volta mentre il suo cuore si faceva finalmente più leggero.

Il telefono vibrò insistente nella tasca della felpa che William aveva indossato appena arrivato a casa. Appoggiato alla ringhiera del terrazzo, guardava le stelle che brillavano lontane, la sigaretta stretta fra le labbra mentre abbassava lo sguardo sullo schermo. 
-Ciao Jane-
-Sta bene?- 
-Sì, sta dormendo in camera mia. Le ho dato una mia maglietta e le ho medicato i tagli. Fisicamente sta bene. Psicologicamente non lo so- la sentì sospirare dall’altro capo del telefono.
-Cosa le sará passato per la testa? Accettare quell’invito, andare da sola...Dio, William se non ci fossi stato tu...-
-Jane, Elizabeth sta bene ed è questa la cosa più importante. Solo che...-
-Cosa c’è William?-
-È solo che mi è sembrato che si conoscessero. Come se fossero vecchi amici-
-O mio Dio...alto e capelli scuri?-
-Sì perchè?-
-È Peter, il capo della piccola banda che ha aggredito lei e nostro padre- William sentì la rabbia montargli dentro come cavalli imbizzarriti.
-Io lo ammazzo...-
-William stai calmo. È inutile, contro di loro non si puó fare niente. Sono ben protetti, hanno conoscenze altolocate. Te lo dico per esperienza, lascia perdere-
-Senti, vado a vedere come sta. Ti chiamo se ci sono novità okay?-
-Va bene e William...-
-uhm?-
-Grazie per aver mantenuto la promessa-

Quando Elizabeth si svegliò la mattina dopo, la stanza era vuota. Le tende si muovevano leggere spinte dal sottile vento che entrava da una delle finestre, accostata. Si alzò maledicendo il malditesta che le stava distruggendo il cervello mentre si sollevava poggiando i piedi sul pavimento freddo. Si passò una mano fra i capelli stancamente mentre cercava di rimettere insieme i pezzi della sera prima. La festa,  poi Peter e l’incidente, ricordava il sapore del sangue nella bocca e l’odore dell’asfalto bagnato. E infine c’era stato William. Il suo insolito cavaliere dalla sfavillante armatura che ancora una volta l’aveva salvata. Non aveva idea di come lui potesse sapere dove cercarla né del perché continuasse a volerla aiutare dopo tutto quello che gli aveva detto. Dopo quella sera quando le parole le erano sfuggite fuori dalle labbra leggere come piume ma pesanti come mattoni. Trattenendo il respiro e il dolore per i muscoli indolenziti e i lividi che sapeva percorrerle tutto il corpo, si alzò dal letto e con andatura barcollante si avvicinò alla porta. Si affacciò timidamente fuori socchiudendo gli occhi sotto la luce calda dei primi raggi del sole. Cercando di fare piano uscì dalla stanza, i piedi nudi che rabbrividivano contro il pavimento in marmo, gelido. 
-Ti sei svegliata! Però Will avrebbe potuto anche darti un pigiama completo- esclamò una voce allegra e Elizabeth sobbalzò colta alla sprovvista. La ragazza che aveva appena parlato spuntò da dietro uno scaffale con in mano una scatola di cereali e addosso un’improbabile maglietta del pigiama con degli anatroccoli addormentati disegnati sopra. Era giovane, di qualche anno più piccola di Lizzy probabilmente, con lunghi capelli biondi e ondulati che le accarezzavano il viso perfetto illuminato da un sorriso sincero e da due enormi occhi blu mare. 
-Oh, scusami non volevo spaventarti. Will mi aveva avvertito che saresti stata un poco confusa- “un poco confusa” era un eufemismo considerando l’espressione della giovane Bennet mentre si avvicinava alla zona della cucina mentre l’altra posava sull’isola in granito due tazze decorate da faccine buffe. 
-Non vorrei essere scortese ma potresti dirmi chi sei?- domandò Elizabeth mentre la ragazza le versava del caffè nella tazza aggiungendoci latte e cannella.
-Oh, giusto, che stupida. Io sono Georgiana, Georgiana Darcy. La sorella di Will, la parte simpatica della famiglia detto fra noi. Ah scusami non ti ho chiesto come volevi il caffè se non ti piace lo rifaccio!- esclamò lei tutto d’un fiato sotto gli occhi stupiti di Elizabeth che aveva portato alle labbra la sua tazza e guardava Georgiana come si guarda una creatura esotica, o qualcuno che riesce ad essere pieno di energia la mattina, il che più o meno era uguale. Un unicorno insomma. 
-Va benissimo, grazie mille. William è in casa?- la sorella scosse il capo sbuffando mentre masticava i suoi cereali. 
-E’ uscito, credo avesse da fare a lavoro. Mi ha detto di trattenerti qui finché non fosse tornato e ho intenzione di concludere la mia impresa con successo. Allora, che rapporti ci sono fra te e mio fratello?- Elizabeth si sentì avvampare mentre nascondeva il viso nella tazza.
-State insieme vero? Spero di sì, magari gli togli quel broncio noioso…-
-No, no non stiamo insieme, siamo solo…amici- si chiese se fosse ancora vero dopo le sue parole dell’altra sera. Forse questa volta aveva davvero rovinato tutto sia con lui che con Jane e quel suo stupido tentativo di allontanarli non era servito a nulla se non a distruggere sé stessa. 
-Ah, scusa è che sei uscita dalla sua camera, con addosso una sua maglietta…ho frainteso perdonami- si scusò lei imbarazzata con le guance gonfie di cereali.
-Allora tu sei la famosa Georgiana di cui ho tanto sentito parlare- commentò invece Elizabeth riempiendo quell’imbarazzante silenzio.
-Beh, anche tu sei famosa, Elizabeth Bennet. Mio fratello mi ha parlato di te. Sei passata dall’essere un’irritante ragazzina ad essere una persona fantastica nel giro di pochi mesi. Sono colpita, non sono in molti quelli che riescono a far cambiare idea a Will, è così testardo-
-Fidati, ne so qualcosa- commentò Elizabeth e Georgiana rise, un suono cristallino e puro, la risata di una bambina anche se ormai lei non lo era più. Ora capiva come mai William fosse così deciso a proteggere quel fragile bocciolo di gioia che era sua sorella. Si sentì il rumore delle chiavi che giravano nella serratura e la porta si spalancò. William entrò con un sorriso che si smorzò non appena vide Elizabeth seduta al tavolo della cucina con sua sorella e con indosso solo una sua maglietta.
-Georgiana giuro che non è come sembra-
-Tranquillo abbiamo già chiarito quel punto fratellone- lo zittì lei con un gesto stanco della mano. Lui sospirò di sollievo avvicinandosi alle due ragazze e accarezzando i capelli della sorella dopo averle poggiato un veloce bacio sulla testa. Elizabeth sorrise guardando quel piccolo quadretto famigliare mentre sorseggiava il suo caffè. 
-Ehi, G, ti dispiace se te la rubo per qualche minuto? Io ed Elizabeth dovremmo parlare-
-Fai pure, credo di averla un pochino stordita con le mie chiacchiere- William sorrise alla sorella poggiando un sacchetto della spesa sul tavolo. 
-Non ne dubito-commentò ricevendo un’occhiataccia offesa dalla sorella -Elizabeth potresti venire con me per favore?- Lei annuì seguendolo sul terrazzo. Davanti a loro la città ormai sveglia iniziava a darsi da fare. Erano piuttosto in alto, tanto che Lizzy riusciva a vedere persino il suo quartiere, lontano, oltre il ponte sul lungo fiume che serpeggiava illuminato dal sole.
-Allora hai conosciuto la mia sorellina!- commentò il ragazzo accendendosi una sigaretta e porgendo il pacchetto a Lizzie che lo accettò di buon grado, cercando un modo per stemperare tutta la tensione che si era accumulata quando lui le aveva chiesto di seguirlo.
-E’ fantastica, capisco perché Caroline ne fosse così colpita- 
-Caroline sarebbe colpita anche da qualcuno che avesse la spudorata idea di vestirsi con abiti della scorsa stagione. Georgiana grazie a Dio è molto diversa da lei-
-Senz’altro- commentò e quella sterile conversazione si interruppe in un silenzio opprimente.
-Senti Elizabeth mi puoi spiegare cosa diavolo ti è preso? Scappi di casa, vai in quartieri poco raccomandabili la notte, te la prendi con tua sorella…Non riesco a capire perché stai cercando così disperatamente di autodistruggerti- sentì il velo di preoccupazione che si nascondeva dietro quel tono stanco di chi ormai non sa più dove sbattere la testa.
-Io… volevo solo che Jane smettesse di preoccuparsi per me, che per una volta vivesse la sua vita senza pensare alla sorellina disturbata che non riesce più a fidarsi di nessuno- 
-Beh, se volevi che Jane non si preoccupasse più per te hai ottenuto l’effetto contrario. Complimenti, davvero- non lo aveva mai sentito parlarle così, con tutta quella cattiveria che malamente cercava di celare. 
-Non puoi farmi la predica William, sei tu il primo ad essere un bugiardo. Ti devo forse ricordare di come ho conosciuto la tua fantastica “futura moglie”?- Lui si voltò a guardarla confuso.
-Anne? E’ per questo che ce l’hai con me?-
-William, tu hai detto che ti eri innamorato di me e due secondi dopo è saltata fuori la tua fidanzata ufficiale. Come puoi far finta di niente?- 
-Anne non è la mia fidanzata-
-E lei lo sa per caso?-
-Dio mio! Anne è mia cugina okay?! Mia cugina! Quando eravamo piccoli mia zia le disse che da grandi ci saremmo sposati e lei ci ha creduto. Non è proprio un genio quella ragazza- 
-Tua cugina?- lui annuì.
-Te l’avrei detto quella sera se non fossi scappata via. Ti prego, ti prego, dimmi che non hai fatto tutto questo per colpa mia. Ti prego- C’era disperazione nella sua voce, disperazione nei suoi occhi mentre la guardava trattenendo il fiato in attesa della sua risposta.
-Non è stata colpa tua, solo che… Io mi sono fidata di te, Will, sei stato il primo di cui mi sono fidata dopo tanto, tanto tempo e, quando ti ho raccontato quello che mi era successo, all’inizio mi sembrava la cosa giusta ma poi…Mi sono sentita esposta, vulnerabile e ho avuto paura così, quando ho visto Anne, ho pensato che anche tu mi avessi mentito. Ho pensato di aver sbagliato ancora una volta a giudicare le persone e così sono andata in panico. Ho realizzato quanto fossi stata stupida a credere di essere cambiata, di aver imparato dai miei errori. Ho deciso che non mi sarei più fatta coinvolgere da nulla e ho ritenuto che allontanare Jane fosse meglio per lei, cosicché non si dovesse più preoccupare di me. Lo so che sembra un’idiozia ma ero davvero convinta che fosse la scelta migliore e più andavo avanti più mi trovavo invischiata nelle conseguenze di quello che stavo facendo. Se ieri tu non fossi stato lì io…-Lui si avvicinò e le accarezzò il viso con delicatezza.
-Non dirlo nemmeno. Però Elizabeth ti devo portare in ospedale, questo lo sai vero?- lei annuì  abbassando lo sguardo. 
-Vorrei convincerti anche a fare un’altra cosa in realtà… Sporgere denuncia- Lei spalancò gli occhi scuri stupita e confusa. 
-Sai benissimo che è inutile. Sono persone importanti che conoscono persone importanti. E’ come combattere contro un plotone di panda armati, con solo un cucchiaino!-
-Lo era prima, ma ora hai dalla tua parte un testimone e ti assicuro che anche io conosco persone piuttosto importanti- 
-Io…William non credo che serva a qualcosa…- 
-Impedirai ad altre persone di passare quello che tu hai dovuto passare. A me pare già qualcosa. Fidati di me, non ti tradirei mai. Te lo prometto- Lei esitò i suoi grandi occhi fissi in quelli del ragazzo poi sospirò e annuì decisa. 
-Spero per te che funzioni o questa volta potrei concentrare la mia rabbia su di te- William rise e la tirò verso di sé, stringendola in un abbraccio. 
-Funzionerà ma, Lizzy…un plotone di panda armati?-




   
 
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