1. Il
Racconto Di Angel!
Sentiva
dentro di se che presto sarebbe arrivato quel momento in cui avrebbe avuto
l’occasione di dimenticare tutto e sentirsi finalmente libero. Aspettava quel
giorno da molto tempo, troppo per ricordare ancora. Dalla sua nascita aveva
capito che non poteva nulla per opporsi al suo destino, nulla per cambiare la
sua storia e quella di chi gli stava accanto. Incessantemente, in ogni istante
della sua vita ricercava la verità che non aveva mai trovato, al meno sino ad
allora. Non sopportava più l’attesa, non riusciva più a distinguere l’amore
dall’odio, ed era stanco. Non molti erano in grado di comprendere cosa
nascondesse dietro il suo sguardo freddo e distaccato; ora gli restava solo il
calore del fuoco, solo lo sguardo rassicurante che vegliava su di lui. Era
stata costretta ad abbandonarlo per volere altrui, ma ora sentiva che il
momento stava arrivando.
Abbandonato
ad un sonno leggero e appoggiato al tronco di un albero sulle rive del fiume
che lo aveva salvato, sentiva la fine sempre più vicina. Non opponeva alcuna
resistenza al suo destino e si lasciava cullare dal suo sonno, protetto dal
tepore delle calde ali dell’aquila.
Allora,
ecco la luce splendente di un angelo avvolgere il bosco. L’acqua del fiume
inizia a scorrere più lentamente e, su questo, compare il riflesso di una
sagoma avvolta dalla luce. Porge la mano candida verso il volto stanco del
giovane che riposa ai piedi dell’albero e gli sorride serena. L’aquila volta lo
sguardo verso la luce che, a poco a poco, prende la forma di un’aggraziata
figura femminile. I profondi occhi color nocciola, scintillanti ed espressivi,
la rassicurano mentre i lunghi capelli argentei si muovano sinuosi seguendo il
ritmo del vento, come in arcana magia. Il candido vestito bianco-argentato, lungo
fin sotto le ginocchia, e lo scialle nero decorato con fili d’argento,
suscitano nell’aquila antichi ricordi profondi. La mano calda della figura,
snella e affusolata, dai piedi scalzi e le sottili ali bianche, si posa
dolcemente sul viso del giovane. Una luce bianca e candida lo avvolge e, benché
il calore avvertito da lui non corrisponde a quello dell’aquila, il giovane si
lascia trasportare da questo, così dolce e affettuoso. Le sue ferite si
sanarono lentamente, dolcemente, come per magia mentre la voce dolce e delicata
dell’angelo che gli aveva salvato la vita sussurrava semplici parole:
-no,
non è ancora giunto il momento, attendi, cercami, ascoltami, figlio mio!- Detto
questo lasciò scivolare il volto del ragazzo sulla spalla ferita appena rimarginata.
L’aquila si alzò in volo per poi chinare il capo, in segno di devozione,
all’angelo che aveva appena salvato la persona a lei più cara al mondo.
Il
dolce sorriso dell’angelo la rassicurò ancora una volta placando i suoi incubi.
Chiamò a se l’aquila e le carezzò dolcemente la fronte mentre le sottili ali
che portava sulla schiena scomparivano lentamente. La dolce voce dell’angelo le
narrò lo scopo della sua missione: far conoscere l’amore a chi ne è colmo, ma
non sa di esserlo. Poi, a piccoli passi leggeri, s’incamminò verso la città, in
cerca dei suoi ricordi, i ricordi che l’avrebbero guidata e aiutata sempre,
ovunque si fosse trovata.
Una
voce familiare gli risuonò nella mente, ma lui non ci badò. Continuava a
restare immobile, anche se aveva la sensazione di trovarsi in una posizione
diversa da quella precedente. Tentò di ricordare ma nella sua mente non vide
altro che una luce sprigionata da un angelo,e, tra i ricordi più lontani, la
voce di quella creatura riusciva ancora a renderlo più sereno.
Poi,
come se tutto fosse stato solo un bel sogno destinato a concludersi, aprì
lentamente gli occhi. Le figure attorno a lui erano confuse, sfocate, e lui non
distingueva ne riconosceva il luogo in cui si trovava. Tentò di alzarsi ma il
suo movimento fu troppo brusco e il dolore al petto riprese, incessante come lo
era prima. Si strinse la mano al petto dolorante e notò le bende che
ricoprivano le sue ferite. Non sapeva chi potesse averlo curato ma, in ogni
caso, era certo che avrebbe dovuto guarire del tutto al più presto possibile.
Le
figure attorno a lui cominciarono a prendere forma e colore e quella stanza,
seppure molto familiare, non suscitava in lui ancora alcun’emozione. Accanto
alle coperte, illuminata dai raggi del sole che penetravano attraverso le
finestre, l’aquila riposava in attesa che il suo padrone si svegliasse.
Lui
restò immobile per alcuni istanti, cercando di ricordare cosa gli fosse
accaduto, ma non ci riusciva: il ricordo di quella creatura gli offuscava la
mente.
I
suoi amici si allenavano in giardino ma la confusione che provocavano, lui
sembrava non sentirla. Immobile in quella posizione, con la mano sul petto e il
volto spento, ora riusciva a ricordare anche il calore provato quando quella
creatura gli aveva avvolto il viso in un tenero abbraccio. Non ricordava cosa
fosse successo prima, ma ebbe la sensazione che tentare di spingersi altre
sarebbe stato un grosso sbaglio.
Prese
l’aquila e lentamente tentò di alzarsi; dovette appoggiarsi alla parete per
atre in piedi; con gran fatica si diresse verso la porta e tentò di aprirla. I
suoi compagni di squadra si stavano allenando in giardino, e il capitano si
stava subendo l’ennesima ramanzina da parte del nonno che li osservava.
Appoggiato
di spalle alla parete, con il fiatone e un forte dolore al petto, ascoltava la
ramanzina con un leggero sorriso, soffocato dal dolore causatogli dalle ferite.
Pensò che ogni singolo giorno che passava era tutto uguale in quella casa di
cui era ospite. Erano stati dunque loro a salvarlo?
Tentò
ancora una volta di aprire la porta, spingendola di lato, utilizzando gran
parte delle forze rimaste, a poco a poco la porta cominciò a muoversi
permettendo alla luce calda abbagliante dell’estate di entrare nella stanza.
Quasi accecato dallo splendore del sole ricordò il caldo e tenero abbraccio di
quella creatura.
Riuscì
ad aprire quasi totalmente la porta e avanzò, portando la mano destra sul
petto. Fece pochi, pochissimi passi lenti, appoggiandosi alla parete, e poi
Nonno J lo vide. In quel momento il giovane si sentì privato di tutte sue forze
e svenne. Fu Nonno J a prenderlo e a riporlo a terra, dicendo ad Ilari di
andare a prendere dell’acqua, mentre gli altri attendevano in silenzio che si
riprendesse. Lui, nella sua mente, formulava ancora domande che, rivolte all’angelo,
sarebbero rimaste senza risposta, ancorare un po’ di tempo.
E
lui si chiedeva:
-Perché?-
Le
risposte a questa sua domanda erano ancora lontane e sempre più difficili da
trovare. Ora, più forte che mai, sentiva dentro di se qualcosa che non aveva
mai provato. Per lui era una sensazione nuova: simile alla tristezza,
paragonabile ad un senso di smarrimento e di conforto, fredda come la
solitudine. Gli parve tutto chiaro e logico, tutto senza segreti, tutto così
semplice e comprensibile. Poi, improvvisamente, quella strana sensazione svanì
nel nulla e il dolore riprese, incessante e forte come lo era prima. Ora le
voci che sentiva non erano più lontane e sfocate, bensì vicine e chiare, e lui
riusciva a distinguerle. Si sentì chiamare sempre più forte trovò la forza di
riaprire gli occhi. I suoi compagni erano tutti attorno a lui e lo fissavano
con aria preoccupata. Ilari si fece strada tra loro, porgendo una brocca
contenente dell’acqua al nonno.
-ecco
qui, come ti senti ora?-gli chiese passandogli uno straccio umido sulla fronte.
Con bassa voce rispose semplicemente dicendo “meglio” e tentò di rialzarsi
aiutato dal nonno.
-dovresti
riposare ancora un po’!- suggerivano il nonno e gli altri suoi compagni, ma a
lui interessava sapere perché si trovava lì. Formulò la domanda ma in un primo
istante non ottenne alcun risposta. In seguito fu Nonno J a dargli spiegazioni.
Disse che una sera una donna aveva chiesto di poter conferire con lui (e
naturalmente non si fece pregare). Quella donna gli disse che avrebbe dovuto
seguirla poiché qualcuno aveva bisogno d’aiuto. Lo portò nel bosco dove la
donna scomparve misteriosamente. Il suo racconto terminò con le parole
-fu
in quel bosco che ti trovai, in pessime condizioni, e mentre mi accingevo a
raggiungerti, la donna che mi aveva condotto sin lì era scomparsa senza
lasciare tracce!-concluse. Kei rimase scioccato dal racconto del nonno e ben
presto decise di andare a fare una passeggiata. Rassicurò gli altri e uscì con
l’intento di tornare dopo aver trascorso un po’ di tempo assieme a Mariam, la
ragazza che amava. Ma le sue gambe lo condussero nella direzione opposta, verso
i quartieri alti, dove una volta viveva assieme alla sua famiglia. Immaginava
di vedere la sua casa ancora rovinata e non curata, l’erba alta e il muschio
sulla fontana, ma ciò non avvenne! La sua villa era bella e splendente come una
volta: il giardino fiorito, il vialetto pulito, la fontana e persino e il
cancello lucente. Immaginò con gran tristezza che qualcuno avesse comprato la
sua villa, l’unico ricordo che gli restava della sua vita, della sua famiglia.
Fece per proseguire nella direzione opposta ma si sentì chiamare. Si voltò e
riconobbe il volto del maggiordomo che per anni lo aveva servito fedelmente.
-entrate
signorino, lei vi sta aspettando da molto tempo!- sorpreso ed incuriosito da
quelle parole entrò in casa. Attese per qualche istante in piedi, davanti alle
sale,finché non apparve la figura snella a agile di una donna. I capelli
argentei, gli occhi color nocciola, la serenità del suo volto e la felicità
presenti nel suo sguardo gli fecero tornare alla mente i giorni passati con la
sua famiglia. Poi, non riuscendo più a trattenere le lacrime per la gioia,
mentre la figura scendeva le scale, lui le corse incontro, stringendola forte, chiamandola
semplicemente:
-madre!-
La
donna tese le braccia e strinse a se il figlio, consapevole della sua missione.
I
giorni passarono felici, forse troppo in fretta, e Mariam fece la prima visita
a quella casa rinvigorita. Qui vi ritrovò Kei, immerso nella più esilarante
felicità, mentre lei faticava a ritrovare tutti i dettagli del suo viso dopo
quell’interminabile lontananza. Il maggiordomo venne a chiamarli molto presto:
Angel voleva vederli!
L’ufficio
del padre di Kei pareva immenso, luminoso e pieno di vita. Angel cominciò a
parlare trattenendo lo sguardo sugli scaffali.
-figlio
mio, è giunta l’ora che tu sappia la verità! Tuo padre ti avrà sicuramente
narrato degli eletti, le straordinarie creature custodi dei poteri supremi.
Ebbene, tu sei uno di questi! Dranzer ti ha scelto e tu sei diventato il suo
maestro, un eletto!il tuo destino era già deciso ed era già deciso che tu
incontrassi Mariam! Il corso dei vostri destini è legato ma, esiste qualcuno in
grado di spezzare questo legame: tuo nonno, mio padre! Costui è in grado di
ribaltare i vostri destini ed è per questo motivo che sono venuta sin qui. Ho
avuto l’ordine di vegliare su di voi e quella di tornare è stata una mia
scelta, solo una mia scelta. Io sono un’eletta, come te e tuo padre, tu discendi
da una stirpe di eletti custodi dei poteri supremi, autori di storie
inverosimili. Ora sei chiamato a compiere la tua missione, una missione che
devi portare a termine da solo!-