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Autore: Phoenomena    10/03/2018    0 recensioni
Flusso di coscienza di una notte passata a scrivere, piuttosto che impazzire.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E niente, inizio a scrivere alle 00:19 di un venerdì sera perché la mia vita sociale è ricca ed affascinante quanto, quanto… ho sempre detto che non so fare esempi. È successo qualcosa, qualcosa di profondamente viscerale, un taglio di bisturi non riuscirebbe ad evidenziare il problema, sempre se di problema si possa parlare. È un periodo di stasi incompleta, un crogiolo di emozioni e non-emozioni, di presenza ed assenza, di Eros e Thanatos, di oscillazioni. Si potrebbe chiamare vita o presunta tale. Oscillazioni che denotano un movimento cardiaco, un battito, creste su creste che si susseguono e confermano a chi le studia che l’individuo è vivo e vegeto. Non potete immaginare che occhi abbia. Due, ma ne sembrano infiniti, diventano un involucro che riesce a schermarmi dalla realtà stessa. Un bozzolo di sguardi che mi cullano in quest’infinito antro oscuro, profondo ed imperscrutabile. È proprio nel buio che riesco a poterla mirare, chiudendo gli occhi e figurandomela come in un sogno da cui non vorrei mai destarmi. La notte è divenuta un nido in cui potersi incontrare, in modo fugace, due anime che ogni notte entrano in contatto vero e proprio. Corpi immateriali che prendono sapori ed odori che non hanno mai potuto assaporare o annusare e che eppure riescono a riconoscere come familiari. Può un odore mai assaporato far parte così tanto di un individuo da renderlo proprio? Domande a cui non voglio alcun seguito ma che diventino la corrente che fa oscillare le creste di ossimori che fano battere ancora un qualcosa in pieno petto. Poggiare la punta del naso sul suo capo e niente più, un contatto così flebile da poter cementare qualsivoglia pensiero. Inspirare e trattenere un respiro così profondo da poter scrutare la luce degli abissi. Chioma che si dirama come onde su un letto di petali candidi, scaglie di tempo sospese tra ghiacci che imprigionano fiamme blu, eteree. Il viso lacerato da un sorriso che divide il volto. Occhi avvolti da una nebbia che si fa tersa, quasi un muro oltre il quale si può osservare il proprio sorriso accendersi. Un mosaico intarsiato da nervature auree che lasciano spazio a fili di fiamme laviche che sbuffano e creano un tappeto di incandescente divenire. Eppure è buio, luce non ve n’è, così come felicità o gioia raggiante. Schegge di felicità e candele soffuse vanno più che bene per delineare le sue forme. Non vi è più demoniaca forma ancestrale del suo seno che cattura il mio sangue e ne decide lo scorrere. Un suo singolo tocco potrebbe alterare il mio respiro, o ancora meno il suo respiro potrebbe solo che annullare il mio, tutt’un tratto. Sto ancora scrivendo e le dita si muovono da sole, senza che gli occhi seguano il fluire di parole che non vengono filtrate da pensiero alcuno ma semplicemente gettate su di uno sfondo biancastro. Vorrei regalarle una collana di petali di baci attorno al collo, disegnarle il corpo con morsi avidi che ne ritmano le forme assuefacenti, poterle dare un bacio che si perda nell’infinito e che non venga più ritrovato se non accennando un flebile sorriso che lo riporterebbe indietro. Un bacio che diventerebbe il bacio e poi un altro ancora e ancora e ancora. Ne ho appena sentito uno, di suo bacio, proprio sopra le mie labbra. Lo sfregare di due labbra incontratesi nei cicli addietro, magari eoni fa. Lo stomaco si divora, viene fagocitato da fiamme che divampano, inestinguibili. Percepire il colore del suo calore per poterlo vividamente usare per dipingere un quadro col suo sorriso. Una semplice pennellata che deflagra lo spazio ed irrigidisce il tempo, riesco a conteggiare fino a quella linea. L’arco che disegnano le sue labbra possono mettere a tacere molti sguardi, attoniti e pensierosi. Il mio sguardo è ormai suo, così come il colore dei miei occhi ed il mio respiro. Lo scorrere dell’emoglobina. Afferrare il tempo sfuggente per poi lasciarlo andare rendendosi conto che nulla ha più senso senza le fossette che tentano di incorniciare un sorriso che non si ferma alle sole labbra, ma a tutta l’esistenza stessa. È passata un’ora. Un’ora in cui avremmo potuto far l’amore, allungarci su di un letto e fissare un soffitto annebbiati dal Tabacco che avrebbe arso le nostre gole. Un’ora di baci, di carezze, di Bacco e di silenzi. Un’ora di sguardi e di fuga. Un’ora di ore. Comprimere in un’ora un universo in espansione, eppure, ho un sorriso, quasi come se quest’ora, fosse stata veramente… la nostra ora.
   
 
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