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Autore: Alicat_Barbix    10/03/2018    1 recensioni
Nel 2130 il mondo non è più contaminato dalle diversità. Diversità che hanno portato a lotte e guerre sanguinose nel corso dei tempi. La nuova società si impegna ad eliminare tutti gli Incompleti. Il diverso deve essere schiacciato. Ma come in ogni organizzazione, anche in questa c'è una falla.
Sherlock Holmes e John Watson si incontreranno quando meno se l'aspettano, ma saranno dalla stessa parte? Ma se così non fosse, cosa comporterebbe la nascita di qualcosa di forte, qualcosa di pericoloso?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CUORE SUL GRILLETTO
Capitolo 21


 
Sette giorni. Sette lunghi giorni. Cercò di ripetersi che andava tutto bene, che non doveva preoccuparsi, che sarebbe arrivato… Ma il sole tramontava, la luna sorgeva, un giorno volava via e una notte imperava. Le stelle pulsavano ora serene ora tristi, i loro occhi luminosi rivolti a quello stupido ometto che se ne stava seduto sulla sommità di una collinetta, di fronte ad una graziosa locanda da cui proveniva una musica allegra e festosa.
Era una settimana che se ne stava lì, John Watson, che non viveva la sua vita, che si limitava a svegliarsi la mattina presto, a buttar giù un caffè nero, e a trascorrere una giornata intera con gli occhi all’orizzonte, persi a scrutare un nulla infinito. Arriverà, si ripeteva, andrà tutto bene, iterava ancora.
Infine, arrivò il nono giorno. Il calore del sole lo aveva costretto a spogliarsi dei suoi soliti maglioni e ad indossare una camicia azzurra leggera. Particolari futili che però contribuivano al facilitamento dello scorrere del tempo. Come ogni dì, si accomodò a terra, l’erba verdeggiante che gli solleticava le mani. Attese. Attese. Attese. Il sole percorse il suo intero ciclo: salì, dominò sul cielo, e poi ridiscese, tingendo il cielo di un carminio che si mescolava al rosa delle nubi spumose. Quel giorno, il sole sembrava avere il colore del sangue. Il sangue di chi? No, di lui no. Lui aveva promesso, lui stava bene. Ma le tenebre cominciavano a stendere le loro grinfie con efferatezza, inutili le preghiere di John perché il giorno ritardasse il suo ciclo ineluttabile. Chiedeva tempo, altro tempo, tempo a sufficienza. Sarebbe tornato a Londra, avrebbe demolito Buckingham Palace, eliminato ogni singolo inquisitore sulla sua strada, si sarebbe ripreso Sherlock e insieme avrebbero vissuto felici e contenti a Cuba, come in ogni fiaba che si rispetti. Ma quella non era una fiaba, lui non era affatto il protagonista di una storia d’amore indistruttibile… era solo un medico, un ometto insignificante che attendeva.
Quando il sole raggiunse il suo punto più basso, i suoi occhi ormai allenati a cercare, scorsero qualcosa, una figura. Si alzò di scatto, quasi incespicò nel farlo. Ai piedi della collina, lo vide. Era lui, ne era certo. Sherlock dovette vederlo, perché cominciò a sbracciarsi e ad urlare il suo nome. Il peso enorme che gli era gravato sul petto per nove, lunghi giorni, scomparve. John prese a correre giù per la collina, inciampando, rotolando a terra come un idiota, e rialzandosi con la camicia sporca del verde dell’erba. Sherlock lasciò andare il suo bagaglio e scattò a sua volta verso di lui. L’impatto fu traumatico. John sormontò il corpo dell’altro, facendogli perdere l’equilibro e causando una rovinosa caduta all’indietro. Si ritrovò sopra di lui, scosso da dolci risate di euforia e sollievo. Il consulente investigativo dovette balbettare qualcosa riguardo al fatto che gli pesasse, ma a lui non importava più niente se non il fatto che stessero bene e fossero lontani da ogni minaccia. Catturò le labbra del fidanzato in un bacio ardente e nostalgico. Aveva dimenticato com’era avvertire le labbra di Sherlock sulle sue – bello, bellissimo. Sentì le sue mani spingerlo dolcemente contro di lui, incurante del peso che esercitava sul suo corpo a terra, e si lasciò guidare nell’approfondimento di quel bacio disperatamente sollevato. Sospirarono entrambi, come se avessero ricominciato a respirare solo in quell’istante. Si staccarono, ma John non si mosse e rimase immobile a guardare uno Sherlock senza fiato, sotto di sé. I suoi occhi quel giorno erano verdi, verde speranza, verde libertà. Le labbra ancora schiuse erano circondate da un velo di barbetta incolta che gl’infondeva l’aspetto di un qualche narcotrafficante, e la pelle pallida era lievemente abbrustolita a causa, sicuramente, del potente sole africano.
“Devi raderti. Picchi.”
Sherlock scoppiò ridere e passò la mano tra i capelli del medico. “E questo ciuffo all’insù? Non è proprio nel tuo stile.”
“Mi permetto di dissentire: non c’è stata una ragazza che non si sia voltata a guardarmi.”
“Probabilmente avevi qualcosa sulla faccia.” Il detective tacque per un istante, come se stesse riflettendo in merito a qualcosa, poi con un colpo di reni riuscì a rotolare su un fianco, spostando il baricentro del fidanzato e facendolo crollare a terra. Con una risata si portò sopra di lui, riguadagnando una posizione di favore. “E così delle ragazze ti guardavano…”
“Praticamente tutte. Mi sembrava di essere tornato al liceo.”
“Ah, già… John tre continenti Watson.”
“E tu come fai a…”
“Mike.”
John scosse la testa, fintamente esasperato. Un qualcosa di insano, però, prese a logorargli il petto: la paura, anzi, il terrore di non rivedere più Sherlock gli piombò addosso inesorabile e i suoi occhi s’inumidirono di tutte le lacrime che aveva trattenuto durante quell’attesa debilitante e di tutte le lacrime di gioia che stavano crescendo ora che sapeva che l’altro stava bene. Il detective se ne accorse, il suo sguardo s’adombrò, la sua mano corse ad accarezzare la guancia di John con amore sconfinato. “Ehi…”
“Scusa… Scusa, scusa, scusa…”
Il medico si passò il dorso della mano sugli occhi, cancellando ogni traccia del pianto imminente. Sherlock gli sfiorò le labbra dolcemente. “Va tutto bene. Non devi vergognarti, non con me.”
“Lo so, ma mi sento comunque un idiota…” John fece perno sugli avambracci e riuscì a levarsi a sedere, scansando il corpo di Sherlock. “Ad ogni modo, dobbiamo sbrigarci.”
“Non sapevo avessimo un programma.”
“Eccome se l’abbiamo. Per prima cosa io prenoto un tavolo sperando che non sia troppo tardi, tu intanto sali in camera e ti prepari…”
“Mi preparo, eh? E per che cosa?”
John ignorò la provocazione celata in quella domanda, e lo tirò su senza troppa grazia. “Ti prepari a dire addio alla tua barba.”
“Cosa!? Ma a me piaceva! Non mi dà un’aria da… cattivo ragazzo di strada?”
“Appunto, non ho alcuna intenzione di farmi vedere in giro con un barbone.” replicò il medico prendendo la mano dell’altro e trascinandolo su per la collina, in direzione della locanda.
“Se io mi rado, tu ti tiri giù il ciuffo.”
“Ma ha stile!”
“Non è vero. Mostra il tuo desiderio di sembrare un ventenne, quando ventenne, caro mio, non lo sei più da un pezzo.” lo schernì affettuosamente il consulente investigativo mentre il loro momentaneo alloggio si affacciava, sempre più vicino.
“Solo per stasera.” lo pregò John mentre entravano nella locanda e salutava Gary, uno dei proprietari, con un cenno del capo e un sorriso.
Anche Sherlock rivolse un accennato saluto all’uomo al bancone, ma subito tornò a fissare John, le sopracciglia inarcata. “Perché? Cosa succede stasera?”
“Non posso dirti sempre tutto. Muoviti, stanza 10, secondo piano, ecco la chiave. Arrivo fra due minuti.”
Non gli diede altre spiegazioni e con pochi, ampi passi si diresse verso Gary. “Ehilà.”
“Ehi, John. Allora è lui l’uomo misterioso che aspettavi!”
Un sorriso sognante e timido al tempo stesso schiuse le labbra del medico che si appoggiò con sguardo felice al bancone. “Già… Non è… meraviglioso? Uno così che sta con uno come me…”
“Suvvia, John!” lo rimbeccò amichevolmente il locandiere, intento ad asciugare un boccale di birra appena sciacquato. “Anche io a volte mi chiedo come fa un tipo fantastico come me a stare con uno come Billy, sono punti di vista!”
E John rise. Per la prima volta, dopo lunghe settimane di viaggio, lasciò che la sua felicità fuoriuscisse da lui sotto forma di una dolce risata. Sapeva che Gary scherzava: era perso per Billy, il suo compagno. Anche loro erano inglesi, scappati quando ancora le linee con Cuba non erano state tagliate, poi però avevano deciso di mettere su un attività lì, in quella zona brulla protettorato dell’isola e quindi libera. Un ricovero per i bisognosi in fuga come lo erano stati loro tempo addietro. John ammirava i loro sforzi e il loro amore, adorava scherzare con Billy e raccontare di Sherlock a Gary. Li aveva conosciuti e con loro aveva da subito stretto un legame solido e puro, scoprendo di ritenerli amici.
“Ti ho sentito!”
La voce di Billy fece sussultare entrambi. Gary balzò indietro, leggermente impaurito dal volto infastidito del compagno che gli si avvicinò con occhi minacciosi. “E così tu saresti troppo per me?”
“Scherzavo, Billy, davvero…”
“Lo spero bene, altrimenti stanotte dormirai col cane.”
John si estraniò per qualche istante da quel battibecco domestico. La sua vita con Sherlock… se la immaginava più o meno così, con i soliti bisticci, i momenti dolci, le notti d’amore, magari anche un cane – a Sherlock piacevano da matti i cani –. C’erano quasi. La sera del giorno dopo, con tutta probabilità, sarebbero entrati a Cuba, in salvo, e avrebbero cominciato quella vita.
“Ad ogni modo, John.” si ricompose Billy scansando malamente il compagno. “Volevi prenotare un tavolo?”
“Sì, sempre se non vi crea troppo disturbo…”
“Oh no, affatto! Ve ne riserviamo uno nella stanzina privata? Renderebbe tutto molto più romantico.”
“Sarebbe l’ideale.” rispose subito John, cinguettando quasi. “Stasera sarà la sera.”
Billy aggrottò la fronte, mentre il volto di Gary s’illuminò immediatamente. “Santo cielo, John! Gli farai la proposta?”
A quelle parole, anche l’altro si animò. “Sul serio?”
Il medico arrossì lievemente e si limitò a far scivolare una mano in tasca. Ne estrasse un cofanetto rivestito da un pezzo di velluto viola. Quando lo aprì, scintillarono due fedi d’oro puro, all’interno delle quali vi erano scritti il suo nome e quello di Sherlock. Le aveva acquistate in segreto poco prima di partire, quando lui e il consulente investigativo si erano separati per un paio di ore con la scusa di raccattare le cose che aveva lasciato nell’appartamento di Clara. All’anello di fidanzamento aveva rinunciato visto che non ne facevano della misura e dello stile per un uomo.
L’entusiasmo dei due locandieri, però, sfumò a poco a poco, così come le loro espressioni esaltate, e Billy prese la parola: “John… non so se lo sai, ma anche a Cuba ci sono delle difficoltà. La gente crede di giungere in un Paese libero e pacifico, ma le cose non stanno realmente così: le coppie gay per sposarsi impiegano anni e anni di firme, tasse, incontri con magistrati e quant’altro.” I due si scambiarono un’occhiata triste. “La maggior parte di loro, per questo motivo, rinuncia per evitare di raggiungere livelli di stress elevati e nocivi. Anche a noi è successo…”
John abbassò gli occhi. Perfetto, no? Andavano in un Paese che sulla carta era libero ma che poi, per un fottuto matrimonio, rovinava delle famiglie. Stentava quasi a crederci. Forse, era meglio tacere la proposta. Non sapeva neanche se Sherlock avrebbe accettato, considerato il suo cinismo. E se anche lo avesse fatto, probabilmente avrebbero gettato la spugna in seguito.
“John.” lo chiamò Gary poggiandogli una mano sulla spalla. “Non devi rinunciare ai tuoi sogni. Se quello di sposarvi è ciò che desideri… allora non guardare in faccia a nessuno. Credo che nessuno meglio di uno come te o come il tuo ragazzo sappia che cosa significhi lottare per qualcosa.”
Quelle parole risvegliarono il suo desiderio di rivalsa. Ma sì, che aveva da perdere? Avrebbe fatto la proposta e comunque sarebbe andata, lui amava Sherlock e questo non sarebbe cambiato mai.
“Grazie, ragazzi. Allora, conto su di voi.”
“Puoi stare tranquillo.”
Si volse e, mentre si dirigeva verso le scale, udì il dolce schiocco di un bacio sicuramente altrettanto dolce.
 
***
 
“Avevi detto due minuti.”
“Sì, e allora?”
“Ci hai impiegato cinque minuti e tre secondi.”
John raggiunse Sherlock in bagno, dove se ne stava seduto sul bordo della vasca da bagno con le guance già ricoperte di schiuma da barba. “Sei sempre così melodrammatico.” lo sfotté affettuosamente il medico mentre si muniva di rasoio e si avvicinava all’altro studiando per un attimo quel volto perfetto.
“Se mi radi un sopracciglio sei un uomo morto.”
John non rispose e cominciò la sua opera. Con estrema delicatezza, passò lo strumento sulla mascella del detective, accarezzandola quasi, e trovandosi a sorridere nel farlo.
“John?”
“Eh?”
“Ti ricordi il nostro primo bacio?”
“Credo che fossi leggermente sbronzo.”
“Io me lo ricordo.” si vantò invece Sherlock, riaprendo appena le palpebre.
“Ah sì? E com’è stato?”
Il consulente investigativo cercò le parole adatte, arricciando lievemente le labbra e rischiando di far tremare la mano di John, ancora munita del rasoio affilato. “Non lo so. Non credo neanche di averci fatto realmente caso. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era…”
Oh mio Dio, sta succedendo davvero.” completò il medico riponendo lo strumento e porgendogli una ciotola d’acqua in modo che si sciacquasse il viso.
“Esatto.”
Restarono immobili per svariati istanti, l’uno di fronte all’altro, due sorrisi talmente eguali da sembrare dei riflessi su una pozza d’acqua limpida.
Dopo qualche tenero istante di silenzio, John bagnò un panno nell’acqua e si adoperò per sciacquare il volto ormai vellutato del fidanzato, ma lui gli afferrò improvvisamente il polso e lo tirò a sé con uno sguardo serio e concentrato.
“Sherlock, che stai…”
“Ho contato i giorni.” sussurrò Sherlock a poca distanza dalle sue labbra in modo che il fiato caldo si infrangesse contro il suo volto. “Li ho segnati con delle crocette ovunque andassi – sul muro di un ostello, sulla sabbia del deserto, sul tronco di un albero avvizzito. Ho contato i giorni e le notti e mi sono sembrati secoli.” John ricambiò quello sguardo così profondo e si chiese se dovesse dire qualcosa, magari anche di stupido e ovvio, ma gli occhi di Sherlock erano calamite insondabili e ineluttabili che lo attiravano verso di lui, spingendolo però a mantenere il silenzio. Le loro labbra si toccarono appena, ma nessuno dei due chiuse gli occhi o cercò di approfondire quel semplice e banale sfregamento. “Per tutto questo tempo” continuò il consulente investigativo in un sussurro. “non ho fatto altro che pensare a te.” La sua voce tremolò appena, come scossa da una lenta agonia. “E’ stato orribile, perché sapevo di essere in ritardo, sapevo che mi stavi aspettando, ma semplicemente, non riuscivo a raggiungerti. Ho temuto così tanto di non riuscire a rivederti, di perderti.” E a questo punto, John avrebbe davvero voluto rispondere che no, non lo avrebbe mai perso, che il loro amore era così forte da non poter essere spezzato, ma di nuovo fu costretto al silenzio da quello sguardo grave e ombroso. La bocca di Sherlock, lievemente screziata del bianco della schiuma, accarezzò l’angolo destro della sua, infondendogli il desiderio di baciarlo e di dimenticare i suoi piani per quella sera, di rivangare le lontane nottate londinesi trascorse a scambiarsi baci e carezze passionali. “Quello che sto cercando di dirti…” riprese Sherlock poggiando la fronte contro la sua e socchiudendo dolcemente gli occhi. “… è che senza di te non vivo.”
A quelle parole, John si riscosse e gli prese il volto tra le mani; lo baciò con disperazione, cercando di scacciare quel celato timore, come se avesse potuto in qualche modo fare irruzione nelle loro vite, concreto e terribile. Lo dilaniava udire quel tono malinconico e perso nella voce del fidanzato, gl’infondeva una sensazione di malessere che gli pompava all’altezza dello stomaco e lo ribaltava con efferatezza.
Lo strinse come se da quell’abbraccio dipendesse la loro intera vita, aspirò l’odore dolciastro del sudore misto a quello della schiuma da barba sulla maglietta bianca e sozza.
“Neanche io.” rispose istintivamente a fil di voce invece di qualcosa come non accadrà o andrà tutto bene, non preoccuparti o cose simili, perché se c’era una cosa che aveva imparato da tutte le loro vicissitudini, era che nessuno di loro aveva davvero il controllo della loro vita, che erano solo pedine in uno schema più grandioso – che fosse quello dell’Inquisizione, del dinamitardo o di chissà che Dio. “Preferirei morire piuttosto che vivere senza di te.”
Sherlock non rispose e rimasero così per chissà quanto. Per John era come… come nascere una seconda volta, vivere nuovamente. Un tempo, prima che i due grandi ceppi dell’Islamismo e del Cristianesimo prendessero il sopravvento sugli altri Paesi e di conseguenza sugli altri culti durante e dopo la Terza Guerra Mondiale, esisteva una religione che credeva in qualcosa di simile, gli sembrava si chiamasse Induismo. Secondo gli induisti, quando l’anima di un morto lasciava il corpo, dopo un certo periodo di tempo si reincarnava in un altro e ogni vita futura dipendeva dalle azioni in quella precedente, fino ad arrivare alla fusione con l’Assoluto. E John, da laico qual era, sapeva con certezza che quello, quell’abbraccio, quella comunione di due anime e di due cuori, quel tremendo e meraviglioso consulente investigativo, fossero il suo Assoluto. E se c’era un’altra vita ad aspettarlo, da qualche parte nel corso degli eventi e della storia, allora non poteva fare altro che pregare affinché anche allora con lui ci sarebbe stato Sherlock.
Dopo alcuni secondi, Sherlock gli depositò piccoli baci sul collo, facendolo sorridere per la sensazione di solletico provocata, ma non ebbe la prontezza per sottrarsene.
“Sherlock…”
“Mmm-hmm?”
“Sherlock, non possiamo, dai…”
“Perché no, dottor Watson?” ridacchiò Sherlock zittendo i suoi patetici mugugni con le labbra, spostandosi poi alla mascella e poi ancora alla bocca.
John sorrise ancora di più e fece quasi per lasciarsi andare, ma un minuscolo contenitore di velluto gli saettò in mente. Si ritrasse a fatica, cercando di contenere il desiderio di rimanere lì, col suo fidanzato.
“Su, su, Sherlock.” lo esortò tirandolo su a forza. “Muoversi che manca appena un’ora alla cena.”
“Sì, ma in un’ora si possono fare tante cose, perché semplicemente non riprendiamo dove eravamo rimasti?” rispose con voce provocante l’altro, rifilandogli uno sguardo di sfida.
“Non se ne parla. Ti devi ancora fare la doccia, io mi devo vestire e tutto il resto, poi devo prepararmi…”
“Prepararti non è uguale a vestirsi, infatti.” osservò ironicamente Sherlock, divertito dalla piega che il discorso di John stava prendendo.
“Prepararmi in un altro senso, Sherlock, ma a te non deve importare. Coraggio, fila dentro la doccia e lavati via anche quell’espressione divertita oltre che lo sporco.”
Finalmente l’ex inquisitore si decise a demordere e con un’occhiata maliziosa si guardò allo specchio, constatando il lavoro dell’altro. “Non sei efficiente come barbiere, non mi hai neanche sciacquato la faccia.”
“Ci stavo provando, sei tu che… lascia perdere e sbrigati.”
“Va bene, va bene, basta che te ne vai. O hai intenzione di farmi compagnia? Lo spazio c’è.”
John si limitò ad alzare gli occhi e a masticare un fintamente frustrato Sherlock Holmes, infine si defilò dal bagno, richiudendosi dietro la porta. Una volta solo nella camera, l’adrenalina del grande passo che si apprestava a compiere gli montò addosso e si ritrovò a saltellare allegramente per il vano, intento a disfare lo scarno bagaglio di Sherlock. Una volta trovato quello che cercava, si adoperò per vestirsi in fretta, temendo che l’altro potesse irrompere da un momento all’altro e vederlo con smoking e gel per i capelli. Prima di schizzare via, si osservò compiaciuto allo specchio, uno stupido sorriso felice sulle labbra: sì, si sentiva davvero bene e affascinante, capace di conquistare il mondo con un semplice occhiolino.
“Quando hai fatto, mettiti quello che trovi sul letto e scendi.” urlò contro la porta del bagno in modo che l’altro potesse sentirlo. Non attese la risposta, anche perché con lo scroscio dell’acqua avrebbe avuto difficoltà a sentirla, e uscì dalla camera per osservare da vicino i preparativi. Era trepidante, emozionato – come mai era stato prima – felice – come mai era stato prima – e innamorato – come mai era stato prima.
 
***
 
 
Si rigirava la scatolina sulla tavola minuziosamente apparecchiata, meravigliandosi di come un qualcosa di così piccolo potesse contenere promesse così grandi. Certo, fare la proposta con le fedi nuziali non era il massimo, ma doveva accontentarsi. L’entusiasmo aveva lasciato il posto ad un nervosismo cieco che quasi lo faceva tremare mentre sorseggiava febbrilmente dell’acqua; neanche quando aveva chiesto a Mary di sposarlo era stato così agitato. E tra l’altro, Sherlock era in ritardo di mezz’ora.
Dove diavolo s’era cacciato?
Quasi chiamata da quei pensieri, la sua figura fece improvvisamente capolino sull’uscio della stanzetta a loro riservata. John sgranò appena gli occhi e si trovò a deglutire convulsamente a vuoto, cercando della saliva che non c’era.
Un sorrisetto vincitore sfilò sulle labbra dell’altro che aveva incrociato annoiatamente le braccia e ora lo stava guardando con aria di sfida. Oh, che bastardo.
“Stavo per chiederti come sto, ma credo che non ce ne sia bisogno.” esordì avvicinandosi al tavolo senza cancellarsi dal viso quel maledetto sorriso.
“Oh, Sherlock, sei davvero…”
“Meraviglioso? Grazie, lo so già.”
John corrugò la fronte e incrociò a sua volta le braccia, nella vana speranza che gli conferissero quella sicurezza che dominava sul volto dannatamente incantevole dell’altro. Sapeva che Sherlock era bello, eccome se lo sapeva, ma quella sera era… non sapeva nemmeno descriverlo.
“Mi spieghi cos’è tutta quest’atmosfera? E perché mi hai fatto vestire come un pinguino?”
Il viso del medico s’illuminò di stupore. “Come un… Sherlock, sono abiti tuoi ed è uno smoking!”
“Noto con piacere che non ti sfugge niente come al solito.”
Non sapeva spiegarsi il perché Sherlock avesse indossato quella maschera ironica e saccente che lo contraddistinguevano con gli estranei o con persone che lui non sopportava, eppure il sorrisetto sulle labbra rosee gli comunicava il necessario da sapere, e cioè che quella era una sfida. Sherlock Holmes lo stava sfidando. Del perché, non ne aveva idea, ma sapeva che era così.
“Eccolo qua!” esclamò la voce calorosa di Gary che sfrecciò verso di loro non appena Sherlock si fu accomodato al suo posto. “Non ci siamo presentati – anche se onestamente conosco praticamente tutto di te grazie a John, qui presente.” Ammiccò con aria complice in direzione di John che gli rispose con un’occhiata truce. “Ad ogni modo, io sono Gary.”
“Sherlock.” rispose il consulente investigativo stringendo compostamente la mano che il locandiere gli stava porgendo.
“E’ un piacere conoscerti, Sherlock. Oh, e questo è…”
“Billy.” lo anticipò il compagno, appena arrivato furtivamente da loro, allungando a sua volta la mano. “Vi state godendo l’atmosfera?”
“Sarebbe tutto delizioso se qualcuno si degnasse di darmi qualche spiegazione…” rispose Sherlock scoccando un’occhiata al fidanzato.
“Cristo, Sherlock, ho solo voglia di passare una serata con te!” sospirò il medico alzando gli occhi al cielo mentre intorno al loro si diffondevano le risatine infantile dei due locandieri.
“Non ne consegue che sia quello che voglia anche io, c’hai mai pensato?”
“Adesso stai esagerando…”
“No, sei tu che mi hai trascinato dentro, privato della mia amata barba, spinto in una doccia a forza e fatto vestire come uno stupido pinguino. Ho diritto di essere perlomeno irritato.”
Stavolta, quella di Gary fu una risata grassa vera e propria che andò a contagiare anche il compagno e, in parte, Sherlock stesso. John rimase a bocca semiaperta di fronte a quella risposta secca, ma di nuovo gli occhi dell’altro lo attirarono: erano vivi, splendenti, e lanciavano sprizzi di allegria mista a malizia.
“Scusatelo, di solito non è così.” sospirò in direzione dei due locandieri, accennando loro un sorrisetto. “E’ anche peggio.”
Per la stanza si diffuse una seconda risata che stavolta estraniò il consulente investigativo, intento a giocherellare con i bottoni della giacca scura, gli occhi ora ridotti a due fessure.
“Ad ogni modo.” glissò il medico per non rischiare che si scatenasse un’apocalisse. “Possiamo ordinare?”
“Qualunque cosa, John, offre la casa. Angelo, il nostro cuoco, sarà lieto di dare sfoggio delle sue abilità culinarie.” rispose serenamente Billy.
Ordinarono sbrigativamente, senza neanche prestare troppa attenzione al menù finemente rilegato e aggraziatamente scritto. Quando i due locandieri si defilarono, calò qualche istante di teso silenzio, in cui Sherlock non smetteva di tormentarsi i bottoni e John sorseggiava nervosamente l’acqua, in attesa di una buona bottiglia di rosso.
“Perché ti comporti così?” domandò infine il medico, spezzando il silenzio.
“Così come?” chiese di rimando il consulente investigativo senza smettere di guardarlo come se fosse un trofeo lucido da guadagnarsi.
“Come un idiota.”
Sherlock scrollò innocentemente le spalle, un’espressione angelica improvvisamente impressa sul suo volto prima insolente e tracotante. “Mi annoio…”
“Ti annoi?”
“Mi annoio.”
“Ma… è un appuntamento. Il nostro appuntamento.” balbettò confusamente John.
Sherlock si sporse verso di lui, abbandonando ogni traccia di ironia o di innocenza. “E allora sorprendimi, dottore.”
Si ritrasse appena in tempo per lasciare spazio a Billy affinché poggiasse la bottiglia di rosso chiesta in precedenza dal medico. Gli occhi del consulente investigativo incontrarono l’etichetta e finalmente un’espressione stupita gli sfilò sul viso. A quella vista, John sogghignò.
“Sto cominciando a farlo.” disse solo mentre versava il Merlot in entrambi i loro calici. “E adesso, puoi smetterla di atteggiarti come una prima donna mestruata?”
“Sono ufficialmente offeso.”
Contro ogni aspettativa, in seguito a queste parole all’apparenza fredde se non addirittura acide, la sua mano scivolò sotto quella di John, nervosamente intenta a tamburellare le dita contro il tavolo. Il medico lo guardò attonito, ma dal viso dell’altro era scomparsa ogni traccia di qualunque cosa non fosse lo Sherlock innamorato di sempre. Intrecciò le dita con le sue e si concesse finalmente un sospiro. Come inizio era stato… inatteso e sperò con tutto il suo cuore che la fine non fosse altrettanto… o che lo fosse in senso buono.
Nell’attesa si scambiarono reciprocamente la propria esperienza di viaggio, i momenti più difficili, i momenti più stupefacenti, i momenti in cui non credevano di farcela, e fu così che quando Gary portò loro i piatti richiesti, si trovarono entrambi sorpresi e colpevolmente colti in flagrante a scambiarsi lievi carezze e sguardi amorevoli. Si staccarono di scatto, arrossendo uno più dell’altro e schiarendosi agitatamente la gola.
Gary sorrise tra sé e sé a quella visione, mentre sistemava le pietanze di fronte ai legittimi consumatori, e una volta terminato il suo compito esclamò: “Non temete, non siete più in quel posto. Qui nessuno vi farà del male solo perché vi tenete per mano.”
Sherlock sorrise di rimando, colpito dall’arguzia di quell’uomo. “Dobbiamo solo farci l’abitudine.” biascicò di rimando e riprendendo dolcemente la mano del fidanzato. “Ma forse lo stiamo già facendo…”
Il locandiere si posizionò alle sue spalle e si chinò su di lui, dandogli un’amichevole pacca alla schiena. “Oh, Sherlock, sei proprio un uomo da sposare. Vero, John?”
Il viso del medico si colorò immediatamente della tonalità del vino e si sventolò nervosamente con il tovagliolo lindo, attribuendo quell’inconveniente al Merlot e ai condizionatori del locale, ma l’espressione compiaciuta dell’amico nell’andarsene era semplicemente troppo da gestire. Aveva bisogno di vuotare il sacco. Non ce la faceva più. Così, appena Sherlock fece per portarsi la forchetta alle labbra, lui lo bloccò con un gesto gentile ma deciso della mano. “Sai, la sera in cui ho proposto a Mary di sposarmi, era tutto perfetto.” esordì senza spostare le dita dal polso dell’altro. “Il ristorante era perfetto come questa stanza, il cibo era perfetto come di certo sarà questo, lei era perfetta…” Sherlock poggiò la forchetta sul piatto e gli rivolse uno sguardo annoiato, quasi infastidito, come se il solo ricordo di quello che avrebbe potuto perdere per colpa di quella donna fosse semplicemente troppo doloroso da rivangare. “Anche stasera è tutto perfetto. Io sono perfetto, tu sei perfetto…” Si guardò attorno, contemplando le candele che illuminavano tenuamente la stanza, il buon gusto dell’arredamento, l’atmosfera magica che regnava. “Ma noi non siamo esattamente tipi da perfezione, sbaglio?” osservò poi con un sorriso che crebbe ancor di più quando scorse lo smarrimento negli occhi chiari del fidanzato. Si alzò in piedi e gli porse galantemente la mano. “Se mi vuole seguire, signore.”
Sherlock non capiva e John amava quando Sherlock non capiva, ciononostante le loro mani si strinsero l’una nell’altra e il medico trascinò l’altro fuori dal locale, incurante delle legittime domande dei due locandieri. Cominciò a correre ridendo senza motivo o forse il motivo c’era ma era indiscutibilmente meglio non montare ulteriormente la testa dell’uomo che stava procedendo a passo rapido accanto a lui.
“John, dove andiamo?”
“Pazienza, Sherlock.”
Corsero per le pendici della collinetta, avvolti dal manto di una notte limpida e stellata, assai rara da scorgere altrove, in una città bigia come Londra.
“John… John, il confine…”
“Sì, lo so, fidati.”
Arrivarono a quel maledetto steccato che segnava la divisione fra accettazione e ostilità. Non era una linea immaginaria o un confine naturale, ma un recinto ben delineato che era stato costruito per dimostrare a chi era dentro che fuori nessuno sarebbe stato dalla loro parte, mai. Si fermarono di fronte al cancello, senza fiato e sudati.
“Che razza di follia hai in mente?” ansimò Sherlock. John non rispose e si limitò a camminare all’indietro, verso la fine della loro vita pacifica e l’inizio di quella tormentata e carica di supplizi. “John, per l’amor di Dio, che stai…”
“Devo farlo qui.” lo interruppe tranquillamente il medico una volta che i suoi piedi furono entrambi fuori dal terreno sicuro.
“Fare cosa?”
“Sai, Sherlock, ci sono delle persone – stupide persone, a mio avviso – che credono di poter etichettare ogni persona in base al suo colore della pelle, al suo stato di salute fisica e psicologica, o alla sua sessualità. E in uno schifo di mondo come questo io ti ho incontrato.” Fece una pausa per raccogliere idee e fiato, e l’espressione di Sherlock era semplicemente impagabile. “Ti ho incontrato e mi sono innamorato di te. Siamo passati attraverso tante difficoltà, troppe, eppure siamo qui, insieme e al sicuro.”
“Saresti più al sicuro se facessi un passo avanti…”
“E tutto questo può significare una cosa sola.” lo ignorò John proseguendo col suo discorso accampato sul momento. “Vuoi provare a indovinare?”
“Che se non vieni qui a momenti arriva un inquisitore messicano e ti spara un colpo in testa.”
“Risposta errata.” esclamò di rimando il medico, prendendogli con entusiasmo e timidezza le mani e portandosele alle labbra. “Che siamo fatti per stare insieme, qualunque cosa accada. Che il nostro amore è più forte dell’Inquisizione, del dinamitardo, di tutto.”
Finalmente, gli occhi di Sherlock si riempirono d’amore e commozione. Era bello, bellissimo sotto la luce chiara della luna, con i ricci leggermente spettinati per la corsa e lo smoking che metteva in risalto la sua figura perfetta, da divinità greca.
“E sai anche un’altra cosa, Sherlock Holmes? Stasera non ho ancora avuto modo di dirtelo, ma ti amo e sei così bello da togliere il fiato.”
Un tenero rossore andò ad imporporare le guance del detective che dovette prendere un respiro profondo per regolarizzare quel batticuore impazzito che lo dominava dal momento in cui il fidanzato aveva cominciato a snocciolare quelle parole di miele.
“No... Sherlock Holmes che arrossisce? Sono onorato! Non è una cosa che vedi tutti i giorni.” esclamò John ridacchiando.
“Ma sta zitto…”
“Eh, no, non ancora. C’è un’ultima domanda che devo farti.” Non poteva credere che fosse, infine, arrivato il momento. Ci aveva fantasticato sopra per tutto il viaggio, aveva usato quella flebile speranza come unica fonte di vita, si era aggrappato ad essa con tutto se stesso e grazie a lei era riuscito a percorrere la strada che lo separava dalla sua felicità con l’uomo che amava. La scatolina pesava nella tasca della giacca, fremeva per uscir fuori e conquistarsi ciò che meritava. Così lo fece. Scacciò quei piccoli strascichi di dubbio dati dalle informazioni di Billy e Gary riguardo i matrimoni e tirò fuori la scatolina mentre s’inginocchiava solennemente sotto gli occhi di uno Sherlock semplicemente allibito.
“Sherlock Holmes, e non dirò tutto il nome altrimenti staremmo qui per anni.” Il consulente investigativo ridacchiò appena, senza però smettere di trattenere il respiro di fronte a quella scena apocalittica. “Dicevo, Sherlock Holmes, mi vuoi sposare?” E infine, aprì la scatolina dove i loro anelli scintillavano al chiaro di luna, amenamente, perfettamente. Un sorriso radioso gli aveva allargato le labbra e non si sarebbe sorpreso di trovarsi gli angoli della bocca fino alle orecchie.
Sherlock aprì e chiuse la bocca per svariate volte, un tic irregolare nello sbattere le palpebre, infine, sospirò. “John, io… sono lusingato, ma lo sai come la penso sui matrimoni. Due persone che si amano e che convivono non hanno bisogno di una fede al dito o di stupidi documenti legali per attestare il loro amore. Il matrimonio non cambia le persone.”
John si raggelò sul posto, ancora in ginocchio e con ancora gli anelli in bella vista. L’aveva… l’aveva rifiutato. Era il suo no, la sua maniera carina di dire no. Sebbene si fosse ripetuto che anche senza essere ufficialmente il marito di Sherlock le cose sarebbero state perfette, avvertì un immenso senso di desolazione all’altezza del cuore. Sherlock non lo voleva, non in quel modo, non con il suo nome impresso su di un anello sempre al dito. Si sentiva un completo idiota. Stupido, stupido, stupido! Ma perché non doveva mai dare retta alla parte razionale di se stesso?
Fece per alzarsi in piedi quando Sherlock lo trattenne a terra, un enigmatico sorriso sulle labbra. “Oh, John.” sospirò ridacchiando. “Sei un idiota. Un vero, vero idiota: hai rovinato tutto.”
“Tutto? Tutto cosa?”
“Pensavo di chiedertelo io.” rispose fintamente scoraggiato il detective. “Ma tu devi sempre fare di testa tua… Mi ero preparato un bel discorso e tutto e poi te ne esci dal nulla con Sherlock Holmes, mi vuoi sposare? Sei decisamente una canaglia, John Watson.”
John credette di non aver capito, di essersi perso un passaggio, di essere davvero così idiota da farsi un film mentale per rimediare al rifiuto di Sherlock. Nonostante tutto fosse semplicemente ridicolo, aprì le labbra e diede voce a quella sua speranza. “Chiedimelo.”
Sherlock sorrise, come se non aspettasse altro. “John Hamish Watson” cominciò sottolineando il secondo nome, consapevole di quanto l’altro lo odiasse. “Devi capire che io non sono ai tuoi comandi. Tra l’altro, mi sei sempre stato col fiato sul collo e alla fine un uomo si stufa di non avere margine di iniziativa, di non poter organizzare nulla da solo.”
“Sherlock…”
“E quindi avevo deciso che questa cosa volevo farla prima io, ma tu sei un guastafeste, perciò, ecco.” Da fuori la tasca estrasse a sua volta un cofanetto scuro, elegante. John lo prese e lo aprì, rivelando un anello a banda a larga impreziosito da molteplici pietruzze variopinte. “Vuoi sposarmi, John?” mormorò il detective osservando il fidanzato intento ad ammirare il gioiello. “Tra l’altro, la mia proposta è molto più valida della tua perché io ho l’anello di fidanzamento e tu hai usato le fedi.” John scosse la testa, sorridendo beatamente e alzando finalmente gli occhi sull’altro. “Per farla bene dovrei mettermi in ginocchio ma niente da fare. Ho pur sempre la mia dignità.”
Prima che potesse rendersene conto, si sentì trascinato a terra e si ritrovò in ginocchio, tra le braccia del medico che ora in mano aveva ben due cofanetti.
“Allora? Qual è la risposta?”
“Sei terribile.” mormorò John ridacchiando e baciandolo dolcemente, accarezzandogli il naso con la punta del suo. “E la mia dichiarazione è stata molto meglio, ma… Dio, sì… sì, Sherlock, sì.”
Sherlock sorrise mentre rispondeva ai baci irruenti e gioiosi dell’altro, e anche lui si trovò a pronunciare quelle due lettere, rispondendo a sua volta a quella proposta che gli aveva creato uno splendido subbuglio interiore.
John si staccò, un’espressione improvvisamente grave in volto. “Sherlock… C’è una cosa che devi sapere. Il matrimonio per le coppie gay, anche a Cuba, è un vero inferno da ottenere. Ci vogliono anni di pratiche e pagamenti e pare sia semplicemente logorante e infruttuoso.” Sherlock assunse un’aria pensosa per svariati istanti, infine tolse dalle mani dell’altro il proprio cofanetto da cui estrasse l’anello, e glielo fece scivolare sull’anulare della mano destra.
“Si mette a sinistra, scemo.” lo canzonò il medico contemplandosi con aria perduta il dito.
“Ne hai bisogno.” replicò Sherlock alzandosi e tirando con sé John, riportandolo all’interno del recinto. Si schiarì la gola e lo guardò intensamente, le labbra nervosamente arricciate. “Quello che sto per fare comprometterà decisamente la dignità che ho cercato di mantenere intatta durante la proposta… ma credo che se ne sia andata quando ho deciso di rispondere ai tuoi flirt, tempo fa.”
“Ah, i miei flirt.”
Sherlock lo ignorò e si aggiustò seriamente la giacca, come a volersi preparare per qualcosa di importante. “Bene, dunque… Amici e amiche, siamo qui per vedere due anime unirsi assieme mediante il sacro vincolo matrimoniale.”
A quelle parole, meraviglia e sbigottimento si accamparono sul volto di John. “Sherlock, che stai…”
“Prima di continuare, chiedo a voi sposi se siete qui per vostra spontanea scelta o se qualcuno vi ha costretti.” Il detective, prima di fronte al promesso sposo, balzò al suo fianco. “Sono qui per mia totale volontà.” Il medico lo guardò con occhi sgranati. “Allora, John? Non abbiamo tutta la notte.”
“Ah, ehm, ecco… Sì, sono qui di mia volontà.”
Con un secondo salto, Sherlock si portò di nuovo di fronte a lui. “Bene, tralasciamo le inutili acclamazioni verso il Padre Eterno e l’Inquisizione e arriviamo al dunque.”
John scoppiò a ridere e si passò una mano sul volto ancora incredulo. “Sherlock, sei un pessimo celebrante, lasciatelo dire.”
“Silenzio. E ora, Sherlock Holmes, pronuncia pure i tuoi voti coniugali al qui presente John Watson. Giura di dire tutta la verità, niente altro che la verità e solo la verità.”
“Ma cosa c’entra la formula che si usa durante i processi?” rise il medico osservando il promesso sposo tornare al suo fianco.
“Stai rovinando l’atmosfera.” lo redarguì il detective.
“Va bene, starò zitto e ti asseconderò in questa follia.”
“Grazie.” sospirò Sherlock. Puntò lo sguardo a terra per svariati istanti, le mani che si torcevano l’una contro l’altra. John lo guardò mentre cercava le parole, mentre si preparava a mettere a nudo la sua anima sotto quel cielo stellato, ai piedi di quella collinetta. Sherlock Holmes, il cinico Sherlock Holmes, gli stava regalando il matrimonio più bello di sempre, un matrimonio vero, un matrimonio che li vedeva uniti contro ogni altra cosa, perché erano sempre stati loro due soli. Non avevano bisogno di testimoni, celebranti, familiari… Anzi, non avevano bisogno di nulla se non l’uno dell’altro. “Io, Sherlock Holmes, giuro solennemente di amarti, di non tradire mai la tua fiducia, in alcun modo, di assisterti in salute, nella malattia e in qualunque difficoltà, ogni volta che ne avrai bisogno, fino alla fine dei miei giorni.”
John ammirò quel volto serio, quegli occhi meravigliosi e avvertì di essere sul punto di piangere, di crollare a terra e ringraziare qualunque entità superiore – se c’era – per aver permesso loro un momento come quello dopo e nonostante tutti i loro difficili trascorsi.
“John, dovresti pronunciare anche tu il giuramento, avanti.” sibilò il detective, visibilmente ansioso.
Lui annuì e lasciò che fosse il suo cuore, prima che la sua testa, a far muovere quelle labbra tremanti da cui presto sarebbe probabilmente fuoriuscito un dolce singhiozzo. “Io… John Watson, prometto di amarti con tutto me stesso, di esserti sempre fedele, di rispettarti sempre e… di credere sempre e per sempre in te, qualunque cosa accada.”
Si rifletterono l’uno negli occhi dell’altro per istanti interminabili, anche gli occhi di Sherlock era adesso umidi di lacrime di commozione e di gioia.
“Sherl? Dovresti continuare. Cioè, non tu, il celebrante che è in te.”
Il detective si riscosse e balzò nuovamente nella sua postazione da funzionario. “Ora che le promesse sono state pronunciate, scambiatevi gli anelli nuziali.”
John estrasse prima quella su cui era scolpito il proprio nome, e prese la mano dell’unica persona che aveva mai amato, di nuovo accanto a lui. Osservò come l’anello filava perfettamente su quell’anulare lungo e aggraziato, da violinista, e finalmente una lacrima sfuggì al suo controllo. Sherlock la catturò con le labbra, appena sotto all’occhio, e gli accarezzò delicatamente la guancia, poi prese l’anello destinato a John e glielo infilò sull’anulare sinistro. Le loro mani, unite, risplendettero grazie alle fedi che si mostravano con superbia sotto il cielo e le stelle e la luna, sfoggiando la loro importanza e la loro bellezza.
Le loro labbra si unirono con passione e foga, mentre si stringevano l’uno contro l’altro.
“Sherlock, non hai pronunciato proprio la parte più importante…” sussurrò John tra un bacio e l’altro.
“Dichiaro che sei mio marito e che quindi ora ho il fottuto diritto di baciarti e fare l’amore con te.”
Il medico rise senza però interrompere quella danza che le loro labbra stavano inscenando le une sulle altre, lasciando che la giacca gli sfilasse via dalle spalle e che le sue dita prendessero a sbottonare con desiderio la camicia di suo… marito. Sherlock si staccò appena, ghignando, e, una volta preso per mano il suo sposo, lo trascinò con sé verso il piccolo boschetto che cresceva spontaneamente alla base della collinetta.
“Niente camera calda e letto comodo, eh?” osservò John con una mezza risata.
“Sei noioso. E poi è la nostra prima notte di nozze, ci vuole qualcosa di speciale.”
“Cosa c’è di più speciale di un prato, abeti e cespugli vari?” ironizzò il medico prima guardandosi intorno, e poi tirando a sé l’altro, una dolce risata che gli spezzava il fiato. “Estremamente romantico, non c’è che dire. Solo a Sherlock Holmes poteva venire in mente un’idea del genere.”
“A quanto pare non hai perso l’abitudine di parlare troppo quando facciamo l’amore.” osservò di rimando Sherlock scuotendo appena la testa, ma appena terminò la frase John lo spinse contro il tronco di un albero, completando la sua opera di privarlo della camicia.
“Come vuoi.” disse semplicemente baciandogli l’incavo tra il collo e la spalla. “Passiamo ai fatti.”
Fu divertente spogliarsi in quel posto, con l’adrenalina pura che pompava nelle loro vene, con l’eccitante paura che sarebbe potuto arrivare qualcuno e beccarli in quello stato. Sherlock si abbandonò a terra e, tirandolo per il polso, invitò John a stendersi sopra di lui e a continuare a baciarlo e ad accarezzarlo. Fecero l’amore come la prima volta, in lontananza potevano quasi udire echeggiare quel brano di Ennio Morricone, in bocca ancora il sapore del Merlot, gli impacciati passi di danza ancora fra di loro. La loro felicità si trovava racchiusa fra quelle labbra e quei corpi fusi assieme come un metallo inscindibile. Amore. Era questa l’unica parola a cui valesse la pena pensare. Che cos’era mai l’odio del mondo intero in confronto a quell’agglomerato indistricabile e invincibile che li abbracciava, che muoveva i loro corpi, le loro menti e i loro cuori? Nulla più che un brutto ricordo, un graffio su una vecchia e amata foto, una piccola screziatura su una pagina del proprio libro preferito, un’imperfezione insignificante sulla filigrana di una meravigliosa vita intera. Amore. Sempre. Per sempre. Solo amore. Solo due cuori e niente più.
 
***
 
Era stato difficile dire addio a Gary e Billy, anche se nessuno di loro aveva osato definirlo tale. Tutti e quattro l’avevano spacciato come un banale arrivederci per cui non spendere neanche chissà quante parole, ma la verità era celata radicalmente nel profondo dei cuori di ognuno. Così, dopo che si scambiarono degli abbracci calorosi e fraterni e che i novelli sposi montarono sul fuoristrada dell’amico che i due locandieri avevano contattato, Sherlock lasciò andare il capo contro la spalla di suo marito e mormorò: “Sai che non li rivedremo più, vero?”
John si limitò ad annuire e a far scivolare la sua mano in quella di Sherlock. Quante persone avevano lasciato indietro per stare insieme? Davis… Greg… Molly… la signora Hudson… Mycroft… Clara… Gary… Billy… Un elenco infinito di nomi talmente importanti e lontani da opprimerli con efferatezza. Restarono così per l’intero viaggio, osservando fuori dal finestrino immagini e panorami così distanti dalla bolla di felicità che si era creata intorno a loro. Finalmente, all’orizzonte, dopo una buona ora di macchina, comparve la linea azzurra del mare, col suo odore di salsedine e il suo vento di libertà. Scesero in fretta, ringraziando cordialmente l’amico di Gary e Billy e raccomandandosi di portar loro i migliori auguri, e infine si diressero verso la biglietteria, scoprendo con sollievo che, almeno per quel giorno, non vi erano molte persone.
John si avvicinò alla ragazza che vendeva pazientemente i vari biglietti. Con la mano, indicò il numero due, sperando che bastasse per farle capire e lei fu rapida ed efficiente: una volta consegnatole i permessi di espatrio forniti da Mycroft, porse loro i biglietti richiesti.
“Uno alla volta.” masticò col suo inglese stentato e indicò loro le zone di controllo. Il medico le sorrise e la ringraziò, poi sgattaiolò di nuovo da Sherlock, mostrandogli i frutti della sua breve spedizione.
“Dobbiamo andare uno alla volta.”
“Non è un problema. Oh, guarda… i biglietti sono numerati. Pare che tu sia il ventottesimo e io il ventinovesimo. Tocca a te ad andare per primo, tesoro.”
John roteò gli occhi e sospirò. Nonostante fossero ormai fuori Londra, aveva sempre questa paura folle che vi potesse essere qualcuno, nascosto da qualche parte, pronto a tendere loro un’imboscata. “Possiamo sempre fare a cambio biglietti, caro.”
“Il destino ha voluto così, amore.”
Entrambi scoppiarono a ridere e si diressero verso gli imbarchi verso l’isola. “Ora fa strano, ma è… inaspettatamente bello sentirti chiamarmi così.”
“Non ti ci affezionare troppo, mio adorato.”
“Non lo farò, maritino mio.”
Di nuovo, le loro risate echeggiarono per tutto il porto e si persero nell’infrangersi delle onde sulla battigia. “Questo era davvero troppo.” osservò Sherlock.
“Per una volta sono perfettamente d’accordo con te.” assentì l’altro porgendo il proprio biglietto al controllore. Una volta ricevuto il permesso di passare, John, prima di imboccare la scala mobile che conduceva all’interno del ventre d’acciaio della nave, si voltò a guardare suo marito.
“Dai, aspettami dentro.” lo incalzò Sherlock con un sorriso incoraggiante e scoccandogli un occhiolino complice. Il medico annuì e, dopo alcuni istanti brevi, troppo brevi, si trovò costretto a montare sui gradini metallici e a lasciarsi trasportare verso l’interno della nave.
Il detective rimase immobile a guardarlo diventare sempre più piccolo. Un raggio di sole catturò il suo sguardo e, da lontano, intravide la fede, la fede che portava il suo nome, e istintivamente guardò anche il suo, di anello. Avrebbe voluto sfilarselo e accarezzare i contorni di quel nome che ormai per lui rappresentava ogni cosa, ma si disse che sulla nave avrebbe avuto tempo per lasciarsi andare a stupidi sentimentalismi. Alzò nuovamente gli occhi e constatò con un sorriso che il suo piccolo medico era quasi giunto dentro.
Accadde tutto all’improvviso. Un lieve fastidio al collo annunciò ogni cosa. Si toccò il punto interessato e tra le sue dita intravide una piccolissima limetta di ferro. Avvertì il suo corpo svuotarsi di ogni energia e si ritrovò supino, uomini col capo velato da un passamontagna stavano cercando di immobilizzargli le gambe. Cercò di opporre resistenza, ma era troppo debole… troppo debole e indifeso e la vista cominciava ad offuscarglisi. L’ultimo pensiero che gli svettò in mente era che John era sulla nave, al sicuro, almeno lui. Poi qualcosa gli ronzò nelle orecchie con insistenza. Un nome.
Sherlock… un nome, il suo nome. Un nome urlato. Oddio. Ricacciò indietro la nebbia, per quanto possibile, in tempo per vedere la figura di suo marito correre giù per la scala mobile, urlando il suo nome. Avrebbe voluto gridargli di stare indietro, di salvarsi, che lo amava, ma il buio fu più veloce e lo inghiottì con le sue fauci di tenebra.

SPAZIO AUTRICI
Aaaallooora! Che macello, ragazzi, che macello. E' frustrante scrivere/leggere della coronazione finale di una storia d'amore per poi ricevere una tale batosta finale. Soffriamo anche noi, sul serio. Ad ogni modo, non c'è molto altro da dire se non risparmiateci gli anatemi, scusate per lo shock, fateci sapere che ne pensate e a sabato prossimo!!!

 
   
 
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