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Autore: EmsEms    11/03/2018    1 recensioni
Griffith aprì gli occhi nel momento in cui il sole sfilò l'ultimo dito dalle assi del pavimento. Sapeva quanto fosse rischioso, lasciare le persiane aperte durante il giorno, ma Griffith non si sarebbe perso l'ultimo raggio del sole calante per nulla al mondo. Il tramonto era una specie di memento mori per lui.
[Vampire AU] [GutsGriffith]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Griffith, Guts
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono ed è probabile che le versioni presentate in questa fanfic siano frutto della mia personalissima interpretazione. Mi scuso in anticipo per l'OOC.

Inoltre, avendo visto solo la trilogia di film ed essendo arrivata al centocinquantatreesimo capitolo, è probabile che vi siano sfondoni epici inerenti alla trama. Ci tengo a precisare, però, che questa storia è un'AU, e che quindi prende le distanze dal canon.


 

Avvertimenti: si tratta per lo più di un esercizio stilistico senza pretese ( e senza trama) :


 

Ogni tipo di feedback è apprezzatissimo e mi sprona a riprendere la penna in mano <3


 

PS avevo già pubblicato questa storia un paio di giorni fa, ma c'erano degli errori e quindi ho preferito rimetterci mano :3


 

PSS per chi ha già letto alcune mie storie di HQ ed è interessato a sapere a quanti metri sotto la superficie terrestre mi sono sepolta a causa di un persistente blocco dello scrittore, ho aggiunto delle note finali per fare il punto della situazione. Scusate ancora per la lentezza degli aggiornamenti ;___;


 

* * *


 

Griffith aprì gli occhi nel momento in cui il sole sfilò l'ultimo dito dalle assi del pavimento. Sapeva quanto fosse rischioso, lasciare le persiane aperte durante il giorno, ma Griffith non si sarebbe perso l'ultimo raggio del sole calante per nulla al mondo. Il tramonto era una specie di memento mori per lui. Ironico come ad un certo punto, nell'arco dei suoi cento anni, il sole si fosse tramutato da fonte di vita a messaggero di morte.
Griffith spinse la botola sopra il suo viso con il palmo della mano e la richiuse con cura una volta che fu uscito dal suo giaciglio nascosto sotto le assi del pavimento. Con un gesto meccanico, afferrò una candela da sopra la cassettiera di mogano e i fiammiferi per accenderla. Il silenzio regnava sovrano indiscusso nella villa, posandosi su ogni superficie polverosa. Griffith ricordava il tempo in cui a svegliarlo non era la luce del sole morente, ma il borbottio sommesso delle cameriere che si affaccendavano per i corridoi dell'enorme villa. Al suo risveglio lo scoppiettio del fuoco nel camino gli avrebbe augurato il buongiorno, scaldandogli le mani infreddolite, i mobili nel corridoio lo avrebbero salutato come militari in riga, lucidi e impettiti, e la colazione lo avrebbe atteso sul tavolo. Adesso i candelabri pendevano dal soffitto come carcasse di animali da macello, cera sciolta che colava dai mozziconi di candela simile a grumi di sangue rappreso e ragnatele che si diramavano fra le braccia d'ottone incrostate di sporcizia. Negli angoli di ogni stanza si erano raccolti cumuli di polvere alti fino alla caviglia, in attesa di essere spazzati.
L'ultima cameriera che Griffith aveva assunto non la finiva di lamentarsi per lo stato indecoroso nel quale si trovava la villa. A detta sua sarebbe stato meglio raderla al suolo e ricostruirla daccapo. 'Come prima cosa', squittiva indispettita ogni giorno mentre arrotolava i tappeti per scuoterli dalla finestra, 'dovreste munirla di impianto elettrico! Ce l'hanno tutti adesso!'.
Nonostante Griffith non provasse particolare simpatia nei confronti della cameriera, le aveva offerto vitto e alloggio per un anno. Scaduto quel lasso di tempo, l'aveva invitata nella sua stanza, così come aveva fatto innumerevoli altre volte.
All'epoca aveva ancora un letto, per conservare le apparenze con la servitù, ma il suo impiego si limitava ad altare sacrificale. Griffith non ci dormiva, e l'unico riposo che vi trovavano le donne e gli uomini che giacevano su quel letto insieme a lui, era quello eterno di una morte lenta e dolorosa.

A volte Griffith rimaneva sdraiato sulle lenzuola intrise di sangue, a guardare l'ultimo barlume di vita abbandonare gli occhi dei suoi amanti. Solo allora si concedeva il lusso di ricordare come quello stesso sguardo vitreo fosse poco dissimile a quello dei suoi compagni d'arme nel momento in cui li aveva sacrificati per placare la sua sete. Ricordava le grida di Judeau quando lo aveva sorpreso nella tenda di Casca, terrorizzato alla vista dei rivoli di sangue che scendevano sulla pelle diafana del suo capitano, un uomo nel quale Judeau aveva riposto la sua totale fiducia e a cui aveva giurato fedeltà. Se chiudeva gli occhi poteva sentire il suono delle spade che fendevano l'oscurità e dei colpi menati alla cieca, nel vano tentativo di scampare a morte certa.
Nonostante Griffith trascorresse il tempo in solitudine, il rimpianto non aveva mai infilato il piede nella porta.

Griffith svoltò nel suo studio e si diresse verso la finestra. Avrebbe fatto entrare un po' d'aria per scacciare l'odore di marcio che emanavano le rilegature dei libri, mangiucchiate dai topi e deformate dall'umidità.
Fuori un vento di tempesta ululava, arrabbiato. Le cime degli alberi si chinavano ritmicamente, quasi ad invocare il suo perdono o a mitigare la furia con la quale si abbatteva su di loro. Lo scricchiolio sinistro dei rami ricordava il lamento di un condannato sottoposto alle torture più atroci. Griffith rimase in ascolto finché la candela che teneva stretta nella sua mano non si spense. Era un clima perfetto per la caccia, ma Griffith non aveva sete. Aveva trascorso la notte precedente fra le braccia di un viandante giovane e corpulento, una preda che lo avrebbe lasciato sazio per una manciata di giorni.
Con un gesto sbrigativo richiuse la finestra e si sedette sul panchetto davanti al vetusto pianoforte che occupava l'unico angolo privo di scaffali dello studio. Quelle condizioni climatiche erano perfette per dedicarsi ad un passatempo che, svolto di giorno o in una notte silenziosa, avrebbe destato sospetti giù al villaggio. D'altronde, la villa del barone Griffith era ritenuta disabitata da quando il padrone di casa era morto a soli ventitré anni, senza eredi e dopo una guerra che lo aveva visto tornare come unico sopravvissuto dal fronte. Il suo nome era diventato una leggenda e nella piazza del villaggio vi era una targa che attestava le sue gesta eroiche. Griffith non aveva perso troppo tempo: trascorsi tre anni dal suo ritorno al villaggio, si era finto ammalato ed era morto in una settimana. Le donne che aveva assunto come cameriere dopo la sua presunta morte erano prevalentemente prostitute senza fissa dimora, disposte a sottostare a una serie di regole insolite, per una somma di denaro che non avrebbero mai riscosso.

Griffith posò le dita sui tasti d'avorio ingialliti dal tempo e, stivale sui pedali, attaccò una prima scala di riscaldamento. Il pianoforte emise un tetro gemito e una nube di polvere si sollevò da sotto il coperchio. Lo strumento era scordato e fra i martelletti si erano infilati ciuffi di laniccio. Griffith aveva dimenticato l'ultima volta in cui si era seduto davanti al pianoforte. Giorni, mesi, anni si susseguivano senza lasciare traccia sulla sua pelle. Il tempo era semplicemente un ospite che strisciava per i corridoi della villa, facendo appassire i fiori e ammuffire le travi del soffitto, nella vana speranza che il padrone di casa lo ricevesse.
Griffith non si fece scoraggiare dallo stato pietoso nel quale si trovava lo strumento, e riprese a duettare con la tempesta, lasciando che lo scroscio della pioggia e il boato del tuono accompagnassero la sinfonia che si era ritrovato ad improvvisare su due piedi. Ad ogni suo movimento, le vaporose ciocche di capelli candidi disegnavano nuovi ghirigori sul gilet di broccato, riunendosi e disfacendosi a loro piacimento, come spuma sulla cresta dell'onda. In quel mare di stoffa turchese, i bottoni d'ottone guizzavano di tanto in tanto alla luce del lampo, simili a pesci sul pelo dell'acqua.

Griffith compose un'ultima scala, dita sottili che sfioravano distrattamente i tasti d'avorio, storti e consumati come i denti di un vecchio. La nota finale di quella complessa melodia si sollevò dal pianoforte, disperdendosi nell'aria viziata e mescolandosi alle minuscole particelle di pulviscolo che danzavano nei raggi pallidi della luna. Sul viso concentrato del musicista sparì l'unica ruga che aveva avuto l'ardire di avventurarsi in mezzo alle fini sopracciglia argentate.

Una volta raddrizzata la schiena, Griffith rimase immobile dov'era, e non si alzò dal panchetto nemmeno quando la porta della villa girò sui suoi cardini arrugginiti e cadde con un tonfo che rimbombò fino agli angoli più remoti dell'edificio. Fuori le nuvole si azzuffavano oltre il profilo delle montagne, in una corsa per sfuggire alle sferzate impietose della tramontana. La tempesta era ormai solo un ricordo.
I passi pesanti dello sconosciuto echeggiarono nel corridoio, tradendo la vera natura di quella visita. Griffith ne dedusse che l'ospite inatteso fosse a conoscenza della creatura notturna che abitava quelle grandi sale deserte, e che avesse quindi accantonato la ridicola idea di sgattaiolare di nascosto nella villa, dal momento in cui, grazie al suo spiccato senso dell'udito, Griffith sarebbe stato in grado di captare perfino lo zampettìo furtivo dei topi rintanati nel solaio, situato due piani sopra la sua testa. Griffith liberò la ciocca di capelli che si stava legando intorno all'indice, e osservò il boccolo rimbalzare al suo posto, sulle spalle strette nel gilet finemente ricamato. Di lì a poco la porta si sarebbe spalancata, rivelando l'identità dell'intruso, ma una nota acre di cuoio nell'aria aveva già suggerito al padrone di casa di chi si potesse trattare. Quell'odore così familiare diradò la bruma densa che aleggiava nella sua memoria centenaria, e Griffith non poté fare a meno di immaginare Guts così come lo aveva lasciato: riverso sul manto di neve fresca, a pochi passi dalla tenda di Casca.

"Griffith."

La voce alle sue spalle era ancora giovane, ma pregna di una gravità che poteva essere solo il risultato di cento anni di sofferenza.

"Guts" mormorò Griffith, voltandosi verso la luce tenue che gocciolava da un candelabro d'ottone annerito. Il falco bianco rimase imperturbabile mentre i suoi occhi scandagliavano il fantasma del suo passato, frugando fra le pieghe delle vesti sdrucite fino a posarsi sull'elsa della spada che sbucava minacciosa dal fodero di cuoio. Qualcuno era riuscito a consegnare Guts ad un'eternità di tenebre, e le due cicatrici che apparivano sul suo collo, accanto a quelle che aveva lasciato Griffith, erano il marchio più evidente di quell'irreversibile trasformazione. Una volta che i suoi occhi ebbero studiato il profilo massiccio di Guts alla luce tremolante delle candele, le labbra di Griffith si incurvarono in un sorriso infantile.
"Cento anni" mormorò, scorrendo le dita sull'elsa della spada prima che Guts potesse sfilarla dal suo fodero. A quel movimento repentino, le fiammelle aggrappate allo stoppino si spensero, e cinque fili di fumo grigio si innalzarono verso il soffitto, attorcigliandosi sopra i mozziconi di cera e formando spirali destinate ad essere inghiottite dall'oscurità. Nel premere le dita sul morso di un altro vampiro, Griffith si sentì sopraffare da una gelosia soffocante. L'idea che qualcun altro avesse causato la metamorfosi di Guts lo nauseava. In quel momento, però, non importava più. Adesso potevano camminare fianco a fianco lungo il sentiero che il destino aveva disposto davanti a loro. Erano finalmente uguali.
"Griffith" ringhiò Guts, mascella serrata e canini affilati in bella mostra.
Griffith ignorò i pensieri che si affastellavano nella sua mente e scacciò ogni preoccupazione.
Un rivolo di sangue caldo scese lungo il suo mento e una goccia nera come ossidiana bagnò il fazzoletto bianco infilato nel bavero della sua camicia. Un barlume di rimorso danzò davanti agli occhi di Guts, ma Griffith non ebbe modo di capire se fosse rivolto a quello che stava per accadere o a ciò che era accaduto cento anni prima.


 

* * *


 

Note:

Eccomi qua :3

Ultimamente non mi sono fatta viva per due motivi: 1) sono stata via una settimana per sfuggire allo stress universitario che mi sta logorando dentro; 2) ogni singolo paragrafo che buttavo giù mi faceva salire la nausea. (Autostima? Cos'è? Si mangia?).

In sostanza, non riesco a combinare niente perché fra esami da dare, tirocini da fare e tesi da preparare, vivo in un costante stato d'ansia. Il tempo per scrivere riuscirei a ritagliarmelo comunque, ma sono sempre così tesa che non mi riesco a concedere un momento di relax senza pensare alla mole di libri da studiare.

Scusate ancora per i mancati aggiornamenti che, sebbene completamente randomici, non prevedevano un tempo d'attesa di mesi.

Sperando che mi torni voglia di scrivere, vi lascio con un mega bacino sul naso :3

PS Griffith did everything wrong... but I just can't... get him out of my head...

  
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