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Autore: NamelessLiberty6Guns_    12/03/2018    2 recensioni
Tenendo la penna in mano, per un attimo chiudo gli occhi. E sai, ti vedo. Esattamente come ti ho appena descritto. Nella penombra di un palcoscenico, tu e il tuo basso, nella posizione che assumi per suonare con più agilità. Guardi i fan fiero ed orgoglioso; abbozzi un dolcissimo sorriso.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ruki
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Anna, grazie per avermi convinta a pubblicare questa shot anche su EFP.
Ne approffitto per dedicartela, considerando tutte le bellissime cose che hai dedicato a me.
Grazie di tutto.







 

Handwriting

 

Non ho mai avuto una bella grafia, lo sai? No, tutti i miei tratti sono delle spine irsute che rassomigliano così tanto ai tuoi capelli sapientemente acconciati dalla nostra parrucchiera. Li vedo ricadere con grazia e perfezione maniacale sulla tua frangetta asimmetrica, che nasconde il tuo occhio sinistro.

Chissà perché poi sempre il sinistro.

Tu dici perché tanto quello è il tuo occhio più debole, quello da cui mancano più diottrie, quindi che te ne fai di lui. Secondo me, invece, è tutta una scusa per affinare la maschera dentro cui tanto attentamente sai nascondere la tua personalità. Vorrei avere le capacità di descrivere l’esatto biondo di quei movimenti della mia penna che si riflettono in te. Cambiano ogni volta, anche se leggermente, non sono mai gli stessi. Questa tua ostinazione nel volerli proprio biondi mi fanno sentire a mio agio, in un’abituale serie di cose immutabili nella nostra cangiante vita. Ti concedo il merito di aver provato a cambiare, inutilmente, so già che ritornerai a quel colore così familiare.

Sotto la frangetta così ben studiata ci trovo quindi i tuoi occhi. Le sopracciglia segnate a malapena da una maestra mano, le palpebre appesantite dal nero ombretto e le iridi spesso nascoste da un paio di lenti colorate. Le poche curve che compongo il mio stile di scrittura le associo alla leggera curvatura del tuo taglio d’occhi. 

Poi, ah sì. La noseband. Il tuo marchio di fabbrica. Dicevi sempre che avevi bisogno di qualcosa che ti rendesse unico ma che ti potesse, allo stesso tempo, difendere. Mi stranisce che dopo tutti questi anni tu non ti sia mai stancato di metterla, hanno pure provato a darti una seconda possibilità, anche se ti ha quasi soffocato. E sei tornato alla tua piccola abitudine, un’altra delle tante. Sei fatto di piccole abitudini, come la mia di scrivere ogni singolo kanji e non lasciarmi vincere dalla pigrizia di cedere ai tanto più semplici hiragana. 

La tua bocca. Hai le labbra sempre screpolate, sempre secche; dici che non ti danno fastidio e io ti credo. A volte credo onestamente che si potrebbe dormire su di loro, tanto nascondono il segreto di una ruvida morbidezza. Trovo che rappresentino non tanto la mia scrittura, quanto le parole che ne escono. A volte sono capace di strappare via la carne con le mie unghie, altre volte la accarezzo gentilmente per paura di ferirla. Metaforicamente e realmente.

Dopo di essa si apre la via della perdizione. Mento, pomo d’adamo, clavicole. Ci passo sopra le dita proprio come faccio come sui miei fogli di carta, con attenzione, cura, passione. Alle volte premo con troppa forza, a volte sigillo le mie carezze come farebbe una madre con il suo neonato. E sono costantemente troppo impegnato a godere della loro imprecisa perfezione. 

Mi viene in mente adesso la tua postura, così particolare. Te lo dicevo sempre e te lo dico ancora, cammini come uno sbarbatello quattordicenne che si crede il teppista del quartiere. Muovi pure le braccia in quella maniera così strafottente, pensando probabilmente di imporre timore nell’interlocutore, ottenendo, sfortunatamente per te, il risultato opposto. A volte mi ritrovo a riflettere sul fatto che quasi tutti i tuoi look abbiano previsto le tue braccia lasciate allo scoperto; mi domando seriamente come tu abbia fatto a non morire congelato più e più volte. Te lo ricordi? Ai tempi di “Guren” ti lamentavi sempre di quanto avessi freddo. 

Delle tue dita si possono dire tante cose. Ad esempio che scivolano in una danza ipnotica sul manico del basso, diventando ruvide e callose, ma di loro te ne vanti con orgoglio. Tutti quei calli sono il frutto del lavoro che ami più fare, così dici. La stessa gentilezza e foga che ti riservano le mie, loro le danno a me. Un gentile brivido mi percorre la schiena, come quando per errore con l’unghia gratto su un foglio troppo grinzoso. Loro possono fare anche questo, semplicemente pensandoci.

Tenendo la penna in mano, per un attimo chiudo gli occhi. E sai, ti vedo. Esattamente come ti ho appena descritto. Nella penombra di un palcoscenico, tu e il tuo basso, nella posizione che assumi per suonare con più agilità. Guardi i fan fiero ed orgoglioso; abbozzi un dolcissimo sorriso. Sì, ti tradisci. Tradisci il tuo Reita per far uscire per un attimo Akira, ed è Akira che ora sorride anche a me mentre canto. 

Quando ero bambino, mia madre mi sgridava sempre perché mi disegnavo con i pennarelli sulle mani. Diceva che l’inchiostro mi sarebbe entrato in circolo nel sangue, avvelenandomi. Allora tu forse sei quell’inchiostro, dato che sei così insito dentro ogni mio anfratto da essere diventato la rappresentazione esatta della mia calligrafia. È come se ogni volta che scrivo, tu spunti sul foglio a disegnare con tratti spigolosi e sgraziati tutto ciò che sono, parola dopo parola, testo dopo testo.

Canzone dopo canzone.














 
  
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