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Autore: Lely1441    30/06/2009    5 recensioni
«Non hai capito! Oggi ci sarà una grande concentrazione di energie e poteri magici nell'aria! Sarà la nostra rovina!» Kyoya sbatté gli occhi, perplesso. «Tamaki, hai appena visto un film horror, vero?», gli chiese, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi stancamente gli occhi. «S... No! Non è come pensi! So di sicuro che oggi Nekozawa-senpai approfitterà per aprire le Porte dei vari Regni Spirituali, si approprierà di una quantità enorme di forza mistica e cercherà di prendere possesso del nostro club, formando un Dark Host Club!»
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Haruhi Fujioka, Kyoya Ohtori, Tamaki Suoh
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Bisco Hatori che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Host Club, appartengono solo a me.
Credits: Ho preso spunto da questa pagina: http://www.larosenoire.it/index.php?page=I...Ruota_dell_Anno
Note dell'Autore: Le scuole giapponesi danno unicamente 40 giorni di vacanza ai propri allievi, e credo che il ventuno giugno loro vadano ancora a lezione. Però, visto che non volevo dire baggianate, qui il ventuno giugno è domenica, e si spiega la chiusura della scuola.
Questa storia ha partecipato contro RobyLupin nella sfida [09/04/09] Solstizio d'estate (AMC). Vi consiglio la sua, è molto bella X3







La malattia del solstizio

[09/04/09] Solstizio d'estate (AMC)





Su una cosa Kyoya Ootori era sempre stato più che cristallino: mai e poi mai osare disturbarlo dopo le dieci di sera e prima delle otto di mattina. Non credeva fosse un concetto così difficile da assimilare, e qualche volta era arrivato persino ad illudersi di poter riuscire, un giorno o l'altro, a farlo comprendere anche ad un baka completo come Tamaki. Inutile dire che le sue speranze venivano sempre desolatamente distrutte quando si ritrovava a fissare con odio lo schermo del telefonino che si illuminava e vibrava con un tale scorno del proprietario che più di una volta Kyoya aveva avuto l'impulso di fracassare il cellulare a terra e commettere un omicidio nei confronti del suo migliore amico. Poi, si ricordava di non poter macchiare la sua onorata stirpe e decideva di lasciar correre per l'ennesima volta, proprio come quella sera.
«Pronto?», rispose, sperando che il tono decisamente seccato e la vaga aura demoniaca che aleggiava intorno a lui riuscissero a far comprendere all'altro interlocutore quanto fosse stato sbagliato scegliere proprio quel momento per disturbare la sua placida quiete.
«Kyoya! È tremendo! Sai che giorno è oggi?»
Kyoya guardò distrattamente l'orologio che segnava la mezzanotte passata da poco, e si chiese dove l'altro volesse arrivare.
«È il ventuno giugno da poco», rispose, mentre apriva un'altra pagina Internet e cominciava a fare ricerche.
«Appunto!», strillò Tamaki, inconscio della smorfia apparsa sul viso dell'amico.
«Appunto... Cosa? È il solstizio d'estate, mi sembra che ci sia tutti gli anni», ribatté l'altro acidamente, facendo mente locale sui compleanni delle varie frequentatrici dell'Host Club; eppure, non gli risultava che ci fosse qualche evento speciale che si fosse dimenticato (come se fosse possibile che Kyoya Ootori potesse dimenticare qualcosa).
«Non hai capito! Oggi ci sarà una grande concentrazione di energie e poteri magici nell'aria! Sarà la nostra rovina!»
Kyoya sbatté gli occhi, perplesso.
«Tamaki, hai appena visto un film horror, vero?», gli chiese, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi stancamente gli occhi.
«S... No! Non è come pensi! So di sicuro che oggi Nekozawa-senpai approfitterà per aprire le Porte dei vari Regni Spirituali, si approprierà di una quantità enorme di forza mistica e cercherà di prendere possesso del nostro club, formando un Dark Host Club!»
«Non dire idiozie. Ha già il suo club di magia nera, perché dovrebbe interessargli conquistare il nostro? E con quale mezzo, poi? Facendoci tutti fuori?», Kyoya si bloccò un attimo, tentato dalla voglia di mordersi la lingua. Già la fantasia di Tamaki volava alto così, non poteva mettercisi anche lui!
«Ecco! Ecco! Visto? Oh, scommetto che deturperanno la mia sublime bellezza, prima di rinchiuderci tutti in qualche classe vecchia e polverosa, dandoci come unico pasto giornaliero un tozzo di pane secco e dell'acqua piovana!»
«Tamaki, non esistono classi malandate e sporche all'Ouran, tu più di tutti dovresti esserne consapevole, in quanto figlio del preside».
Silenzio dall'altra parte della cornetta.
«Sì, be', non c'entra. Magari la famiglia Nekozawa possiede qualche vecchio scantinato, delle segrete! Forse...», e qui lasciò cadere la suspance (che Kyoya non raccolse), «Addirittura delle sale per le torture!»
«Tamaki, non sei mai stato bravo con i racconti paurosi, ti spaventi più tu nel raccontarli che gli altri a sentirti».
Tamaki strinse al petto Kuma-chan, il suo orsacchiotto, lasciando che il suo potere tranquillante facesse effetto.
«Non è vero! Comunque... Mi aiuterai, vero?»
«No».
«Ma Kyoya!»
«Scordatelo. Non ho alcuna intenzione di rovinarmi il sonno per una sciocchezza simile, anche perché sai di che cosa sono in grado di fare se non dormo».
Un brivido di gelo attraversò la colonna vertebrale di Tamaki, ma resistette stoicamente.
«Va bene, significa che chiamerò i ragazzi e faremo tutto da soli!»
«Come vuoi. Tanto sai bene che senza la mia approvazione non andranno da nessuna parte», rispose Kyoya maligno, spegnendo il pc portatile e prendendo degli abiti di ricambio dall'armadio.
«Non è vero! Dopotutto sono io il Re dell'Host Club, sarebbero pronti a seguirmi fino in capo al mondo se necessario!»
«Prova a dirlo ad Haninozuka-senpai, scommetto che a quest'ora starà già dormendo da un bel po'... Sarà molto felice di essere svegliato».
«Kyoya, sei cattivo! Sei una mamma cattiva!»
«La cosa non mi sconvolge più di tanto. Buonanotte».
Kyoya chiuse la chiamata, gettò il cellulare sul letto e si sfilò lentamente il pigiama, vestendosi per uscire. Sapeva che, tempo mezz'ora, l'amico si sarebbe presentato lì implorandolo di accompagnarlo a scuola e di convincere tutti gli altri a venire. Sospirò, prima di prendere il bicchiere sul comodino e bere l'acqua contenuta: si prospettava una lunga, lunghissima notte.

«Kyoya-senpai, spiegami ancora una volta perché siamo qui», borbottò un'alquanto assonnata Haruhi, nascondendo uno sbadiglio dietro la mano. Kyoya non le rispose, limitandosi ad indicare con il capo l'alta figura bionda davanti a loro.
«Mmh... Giusto. Ho fatto la domanda sbagliata: perché io sono qui?»
«Perché tuo padre non aveva nulla in contrario», rispose Kyoya, sistemandosi gli occhiali sul naso. Tamaki si era precipitato a casa sua non appena i gemelli e la sua Haruhi gli avevano sbattuto il telefono in faccia, pregandolo di fare qualcosa. Un Tamaki esagitato e schiamazzante non era proprio il sogno di tranquillità che coltivava Kyoya, soprattutto quando quel Tamaki era il suo migliore amico e si trovava a casa sua; aveva quindi richiamato i gemelli, minacciandoli con una perfidia degna del miglior genio del male, e aveva deciso di stanare Haruhi direttamente nella sua tana, andando a casa sua e sorridendo affabile a Ranka, il padre della ragazza. Tempo un quarto d'ora, ed Haruhi si era trovata scaraventata senza tanta grazia nella limousine di Kyoya.
«Dovrò ricordarmi di fare un bel discorsetto a mio padre, poco ma sicuro», bofonchiò ancora lei, evitando per un pelo di andare a sbattere contro l'ennesima porta della scuola, dato lo stato assonnato in cui verteva. Era stato facile entrare, complici il figlio del preside e l'abilità (inquietante) dei fratelli Hitachiin nello scassinare porte e portoni.
«E cos'è che staremmo cercando, scemo di un Lord?», chiese Hikaru, sbadigliando e portandosi un braccio dietro alla nuca, continuando a camminare per i corridoi bui insieme agli altri quattro (non avevano nemmeno provato ad avvertire Honey; per quanto riguardava Mori-senpai, era ovvio che non si sarebbe mai spostato senza il cugino).
«Ma è ovvio! La prova che il club di magia nera stia tramando qualcosa nei nostri confronti!», ribatté Tamaki, totalmente sicuro di sé, come sempre. «Oggi è il solstizio d'estate, se non ci sbrighiamo al nostro ritorno a scuola troveremo tutto sconvolto, le aule al contrario, i professori a rovescio! Noi catapultati nel club di Nekozawa-senpai e loro nel nostro! Non posso permettere una simile efferatezza!»
Gli altri si guardarono perplessi; Hikaru alzò le sopracciglia verso Kaoru, Kaoru fece spallucce ed Haruhi si limitò a sospirare rassegnata, mentre Kyoya li seguiva, come sempre senza fare commenti. Raggiunsero la porta del club di magia nera, e qui Tamaki si fermò tremante, senza avere il coraggio di entrare.
«Chissà quale sorta di diavolerie e strumenti magici troveremo là dentro!», mormorò il Lord, pensando con orrore a cadaveri squartati, scritte fatte con il sangue sulle pareti e ciuffetti di erbe velenose che pendevano dal soffitto.
«Tamaki, ti ricordo che è vietato dal regolamento introdurre oggetti pericolosi e/o poco consoni nella struttura scolastica», disse Kyoya, che ricordava a memoria ogni articolo ed ogni clausola del suddetto.
«Magari lo avranno fatto di nascosto!», continuò, ormai intestarditosi, l'altro. I gemelli trafficarono un poco intorno alla porta, che era di legno pesante e con una serratura europea. Tempo cinque minuti, e si ritrovarono dentro l'aula adibita a club dell'occulto.
«Tamaki, a me non sembra ci sia niente di pericoloso...», incominciò Kyoya, guardando dubbioso un teschio fissarlo dal tavolo.
«Già, Lord! Qui ci sono solo bamboline e pupazzi voodoo, qualche scheletro finto, delle candele nere...», disse Kaoru, afferrando un altro teschio dal bancone e lanciando un'occhiata d'intesa ad Hikaru. Haruhi si guardava intorno pensierosa, osservando con attenzione i grandi libroni di pelle nera aperti sui tavoli, mentre Tamaki rimaneva attaccato al muro, troppo terrorizzato per staccarsi da una delle pareti ed addentrarsi in quella specie di selva oscura, com'era ai suoi occhi.
«Tamaki, io non vedo proprio nulla di sospetto qui», finì Kyoya, dopo che ebbero ispezionato persino gli angoli più nascosti della stanza; era leggermente più di buonumore rispetto a prima, notarono gli altri. In realtà, il Re nell'Ombra del club era riuscito a scovare un quaderno di una dei membri che poteva rivelarsi molto, molto utile; sulle pagine bianche svettavano le sigle del nome e del cognome di Haninozuka-senpai, contornati da cuoricini e ricette per pozioni amorose. Si ripromise di controllare meglio il tè che il ragazzo beveva; di sicuro, un avvelenamento non sarebbe stato molto utile al club. All'improvviso, un urlo di puro terrore si levò da un angolo della stanza, e Kyoya ed Haruhi videro Tamaki schizzare fuori come una saetta, atterrito, mentre i due gemelli ridevano come matti ed agitavano il teschio davanti a loro.
«Andiamo via», disse Kyoya ad Haruhi, avviandosi verso l'uscita; la ragazza si voltò a fissare un'ultima volta la stanza, prima di andarsene definitivamente.
"Ribaltamento spirituale... Chissà", pensò con un sorriso. Era la prima a non dare più per scontato nulla, ormai. Soprattutto con gente come Tamaki-senpai o Nekozawa-senpai in giro a piede libero!

La ragazza bussò piano alla porta, attendendo rispettosa che arrivasse una risposta dall'altra parte del muro.
«Avanti», sentì mugugnare dall'interno, e abbassò piano la maniglia, affacciandosi. Una candela nera bruciava nel lato più lontano della stanza; le pesanti tende nere erano state tutte tirate e chiuse in modo che neanche il più piccolo raggio di sole potesse entrare dalle finestre e i pesanti drappeggi scuri del grande letto a baldacchino nascondevano la vista del suo proprietario.
«Signorino, si sente meglio ora?», chiese gentilmente la cameriera, posando su un tavolino dalle gambe sottili il vassoio d'argento che reggeva in mano e prendendo la delicata tazzina (nera, ovviamente, con le rifiniture dorate), attenta a non versare neanche una goccia del caldo liquido ambrato a terra. Un mormorio roco arrivò come risposta alla sua domanda, e lei scostò appena la tenda del letto, rivelando al suo interno un ragazzo raggomitolato sotto le lenzuola scure; la domestica gli sfiorò gentilmente una spalla per attirare la sua attenzione.
«Signorino, le ho portato un po' di tè caldo, non ha mangiato nulla in tutta la giornata...», disse, con tono apprensivo, guardando la sagoma tirarsi su lentamente, i lunghi capelli biondi spettinati che cadevano sul volto magro e le occhiaie sotto gli splendidi occhi azzurri.
«Grazie, Karetake», disse, prendendo la tazza in mano e sorseggiandola piano, attento a non scottarsi.
«Di niente, signorino. È mio preciso dovere starle accanto in giornate come questa, in cui la vita per lei diventa così difficile!», proruppe, piena di devoto ardore verso il figlio del suo titolare, che aveva visto crescere e farsi grande. «Si sa che oggi, il ventuno giugno, è per lei un giorno nefasto; la giornata dove il sole brilla più a lungo! Ed è così ogni anno, è costretto a non uscire di casa, anche la notte!», continuò lei, portandosi le mani al petto e guardandolo commossa attraverso quei suoi strani occhi da gatto. Umehito Nekozawa finì il suo tè e le restituì la tazza, ricadendo spossato sui cuscini dietro la schiena.
«Questa volta è stata persino peggiore delle altre», aggiunse, con gli occhi chiusi. «Stanotte, ho cominciato a starnutire e non sono più riuscito a dormire fino all'alba... È strano, è come se qualcuno mi avesse lanciato una maledizione contro».
La domestica lo fissò con aria professionale, cercando segni di eventuali fatture sul corpo del ragazzo, e si rasserenò solamente quando non trovò nulla di anormale.
«Forse si tratta solamente di un po' di allergia, oppure è un altro sintomo della malattia del solstizio», disse lei, posando la tazza sul comodino ed estraendo un foglio di carta piegato in quattro dalla tasca dell'uniforme. «Ecco, credo che questo lo farà sentire meglio», aggiunse, porgendoglielo. Il ragazzo spalancò gli occhi incredulo, prendendo il pezzo di carta ed osservandolo attentamente. Era un disegno dai tratti piuttosto stilizzati, dove un enorme gatto minacciava una piccola bambina bionda, e a difenderla c'era un principe, anche lui biondo, che spada in mano sconfiggeva il nemico. Nekozawa sentì un angolo della palpebra pizzicare pericolosamente e sfregò velocemente l'occhio, per evitare che una lacrima scendesse sul viso.
«L'ha fatto... L'ha fatto Kirimi? Per me?», chiese, commosso. La donna annuì e aggiunse:
«Da quando ha saputo che sta male, non vuole saperne di uscire dalla sua camera. Dice che se il suo fratellone non si diverte, non deve farlo neppure lei».
Il ragazzo la guardò stupito, prima di borbottare, contrariato:
«Ma non è necessario! Deve essere abbastanza forte per entrambi», disse, ripiegando il foglio e riponendolo sotto il guanciale.
«Provi a spiegarglielo lei», rispose lei con un sorriso, facendosi da parte e rivelando la porta socchiusa, da cui si poteva intravvedere la figura minuta di una bambina. Nekozawa sorrise e salutò con la mano, udendo come risposta un risolino e dei passettini allontanarsi di corsa.
«È voluta venire a tutti i costi, quando le ho detto che sarei giunta da voi», spiegò la domestica, prendendo il vassoio in mano e dirigendosi verso la porta. «Ora che ha visto con i suoi occhi che il suo caro fratellone sta bene, sono sicura che ritornerà a ridere. Piuttosto, stanotte ci sarà un'ottima luna piena, andrò a raccogliere qualche erba per le pozioni, so che le avete finite», aggiunse, pensierosa.
«Sì, in effetti è così. Grazie per il pensiero, comunque! E stai attenta alle streghe!», ridacchiò piano il ragazzo, richiudendo le tende intorno a sé; così non riuscì a vedere il sorriso strano della sua domestica e lo scintillio nei suoi occhi.
«Certo, signorino, stia tranquillo», lo rassicurò. In fondo, chi è che credeva ancora alle streghe? Lei no di certo. Si chiuse la porta alle spalle e tornò lentamente in cucina, dove un enorme pentolone borbottava da un po' e richiedeva la sua presenza.
   
 
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