Qual è il
peggior incubo di una Mary-Sue?
Ci sono varie opzioni tra cui: rompersi un unghia, trovare una doppia punta nei
capelli mossi e vaporosi, smagliarsi le calze, non avere il posto di spicco in
una storia… Varie ed eventuali, insomma.
E qual è il peggior incubo di una normale ragazza un po’ sovrappeso con un odio
profondo verso tali personaggi?
No, non è il terrore che il computer la molli nel bel mezzo di una recensione o
che il suo hard disk imploda. E’ tramutarsi in una di loro.
“No, no, no e ancora NO! Ma non è possibile! Che fine ha fatto la grammatica? La
punteggiatura, la consecutio temporum, la morfo-sintassi?!? E poi ci
credo che le statistiche dicono che gli italiani sono all’ultimo posto delle
classifiche nelle scuole!”
La ragazza, seduta davanti a un pc portatile che aveva visto tempi migliori, si
tormentava una ciocca di capelli di uno strano colore. Aveva tentato di farsi la
tinta, giorni prima, (“Voglio un rosso mogano!” aveva urlato al suo
parrucchiere), ma non era stata una buona idea. Il suo colore era troppo scuro e
quello che era uscito era uno strano incrocio tra una ciliegia andata a male e
una cacca di cavallo.
Non un granchè, insomma.
Non che gliene fregasse poi molto… Si era limitata a usare una bacchetta per
capelli e una matita (non trovava l’altra) per farli stare insieme, in modo che
non le dessero fastidio mentre scriveva e spulciava gli archivi di fanfiction.
Faceva un caldo terribile e l’umidità imperante della pianura (soprattutto
d’estate) non faceva che gonfiarle ancora di più i capelli, già maledettamente
predisposti di loro, rendendola simile a un cespuglio di more, grazie anche al
colore.
Sbuffò, continuando a leggere.
Era davvero incredibile che una ragazza di ben diciannove anni (a quanto
professava il suo profilo) non fosse in grado di distinguere un congiuntivo da
un condizionale!
E quel nuovo personaggio… Da far rabbrividire!
Si mise le mani, terribilmente corte e sgraziate, ma che quando c’era da scrivere
recensioni erano sempre molto veloci, dietro il collo, stirandosi in una posa
ridicola. Se avesse dovuto criticare tutte le Merisù che incontrava nel suo
“percorso” di recensitrice, probabilmente sarebbe stata ancora lì a Natale del
2012.
Cominciò a gesticolare parlando al muro davanti a sé come se fosse stata un’oratrice
davanti a un pubblico da affascinare.
“La cosa più sconclusionata dell’ennesima protagonista “bellissima, altissima [levissima]”
che ho incontrato sono gli occhi cambia-colòr, come il gioco che si faceva da
bambini all’asilo…
Color, color…Marrone!
E puf, appare una Merisù con gli occhi color cioccolato.
Color, color…Maionese!
E bum, cade dal cielo una Merisù con gli occhi che variano dal giallo, al rosso,
all’arancione.
Color, color…Blu!
E pam…No, scusate, quelle erano le mie palle che cadevano a terra.
Cioè, appare una Merisù con gli occhi del colore del cielo/mare in
tempesta/ghiacciolo al puffo.
E cambiano colore a seconda delle emozioni! Non vi sentite emozionati? Il vostro
cuore non palpita sentendo che, meraviglia delle meraviglie, a seconda che stia
pensando o ricordando, un colore in più si aggiunge?”
Si portò teatralmente una mano alla fronte, mimando, male per altro, una donna
che si accasciava al suolo, stringendo tra le mani un fazzoletto immaginario.
“Colori perlati se sta ricordando, colori normali se sta pensando. E questa
ragazza non è una persona normale, no! E’ niente di meno che una Forza
Portante!”
Volse la testa all’indietro, indicando con un gesto che doveva essere altero una
persona tra il suo pubblico invisibile.
“Sì, tu con la mano alzata? Lo so anche io che i cercoteri sono solo nove. Ma
questo è il decimo! E vista la potenza del nono, questo non dovrebbe, come
minimo, devastare il mondo con un battito di ciglia? Ma no, sciocchino! Questo è
un gatto buono! Un demone che intreccia fiorellini e fa coroncine di
fiori per la sua Forza Portante!”
Si interruppe per riprendere fiato, ricominciando a muovere le braccia ad ogni
parola che diceva.
Decisamente. Gesticolava troppo.
“E quindi, signori e signore, diffidate di codesti perfetti personaggi
femminili. Sotto la super-forza, super-intelligenza, super-bellezza,
super-qualunque-cosa… Non ci sta niente!”
E, terminata la sua filippica, tornò al pc, dove l’aspettava una fyccyna che
chiedeva solo di essere recensita.
La nostra protagonista, fortunatamente né bella né alta, aveva un carattere
molto poco accomodante. Scontrosa, stronza, arrogante. Acida, sarcastica,
pungente. Eppure a suo modo leale, amichevole, disponibile. "Nelle sue grazie"
significava anche “in una botte di ferro”. Ti difendeva fino a che aveva voce,
fino a che aveva fiato.
Però bisognava saperla gestire.
Consapevole che la bellezza come la intendevano gli altri proprio non le
interessava (e sentirsi trattare da prostituta, a dirla in maniera gentile, come
molte ragazze che vedeva… proprio non le andava giù), si era buttata sulla
lettura e sulla scrittura, capendo che era quella la sua strada. Mentre tutte
volevano diventare modelle, o attrici, o qualunque altra cosa, lei, fin da
quando aveva otto anni, voleva diventare nobel della letteratura.
Scoprendo che, malgrado la sua buona volontà, la gente non cambiava con
un semplice schiocco di dita, decise di darsi alla critica. Correggeva gli
adulti, correggeva i suoi compagni. Il suo momento di massimo orgoglio era stato
quando aveva corretto una professoressa. Il problema era che, pur essendo loro
nel torto, lei non doveva fare così.
Perciò, da un giorno all’altro, smise.
O almeno, sembrò smettere.
Solo anni più tardi la sua migliore amica trovò decine e decine di quadernetti
piene degli sbagli e delle castronerie di tutte le persone che incontrava. Non c'è
bisogno di dire che la ragazza cominciò a spanciarsi dalle risate, dicendo che
ci sarebbe stato bisogno di una lingua così pungente per i libri
super-apprezzati (ma assolutamente incompetenti dal
punto di vista grammatico-sintattico e della trama)della nuova generazione.
E così scoprì le fanfiction. Fu un’illuminazione.
Tutto ciò rappresentava appieno quello che la divertiva fare. Correggere le persone
e magari migliorare un po’ come la gente scriveva.
Poi scoprì le Merisù e fu la fine
Figlie scomparse di Voldemort, misteriose sorelle di Harry Potter, nuovi demoni
con le code, strani alchimisti dai “fenomenali poteri cosmici”. E altro ancora.
La lista sembrava non finire mai.
Cominciò a odiare questi esseri così perfetti fuori e così vuoti dentro, con lo
spessore caratteriale di una sottiletta, la volontà di un’ameba e la capacità
emozionale di un cucchiaino.
Il fenomeno raggiunse proporzioni inimmaginabili, la guerra tra loro e la nostra
protagonista stava per cominciare.
Ma bisognerebbe saperlo…
Chi di spada ferisce, di spada perisce. E la nostra recensitrice l’avrebbe
scoperto a sue spese molto presto.
Anche troppo presto.
La mattina successiva un rumore sordo si fece strada nei sogni della ragazza,
scompostamente rannicchiata nel letto a una piazza e mezza (che, però, sembrava
sempre troppo piccolo per le posizioni assurde che assumeva durante il sonno).
Allungò un braccio cercando la sveglia, ma quella sembrava sfuggirle. Mugugnò
qualcosa di inintelligibile con voce impastata e si inginocchiò sul letto,
cercando di riportare all’ordine quei capelli che sembravano essersi ammutinati
durante la notte. Raccattò una penna dal comodino e se li raccolse senza nemmeno
prestarci attenzione. Finché non le davano fastidio, andava tutto bene. Si
guardò intorno cercando l’origine di quel suono che le stava spaccando i timpani
e maledì tutte le divinità che conosceva non trovandola.
La adocchiò sulla scrivania dall’altro lato della stanza e, sbuffando come una
locomotiva, si alzò pesantemente, cercando di non inciampare in nulla.
Si sfregò gli occhi, chiedendosi se fosse normale che tutto ciò che vedeva
avesse una strana sfumatura violacea.
“Forse sono le tende” Poi si diede della stupida. I suoi tendaggi erano scuri,
certo, ma sicuramente non viola. Tirò le tende spalancando la finestre ad arco,
permettendo ai raggi del sole di entrare e illuminare quella cameretta
mansardata.
Scendendo le scale continuò a strofinarsi gli occhi, cocciuta.
Quella strana patina non voleva andarsene e lei odiava non vedere bene.
Magari una sciacquata al viso avrebbe risolto tutto quanto.
In bagno si lavò, si asciugò e prese in mano lo spazzolino, apprestandosi a
lavarsi i denti. Il riflesso che vide era sempre il solito, ma c’era qualcosa
che… non quadrava. Non sapeva nemmeno lei come spiegarlo.
Con lo spazzolino in mano e la bocca piena di schiuma cominciò a cercare di capire cosa
ci fosse che non andava. Il naso era sempre a patata e sempre pieno di
lentiggini, le guance erano sempre rosse e sempre paffute, le labbra erano
sempre piccole e troppo carnose, continuava ad avere quel brufolo enorme sul
mento e gli occhi erano sempre del loro normalissimo co…
Un urlo agli ultrasuoni spezzò per sempre la tranquillità della casa, mentre
tutta la schiuma che aveva in bocca veniva sputacchiata un po’ sul lavandino e un po'
sullo specchio.
Si precipitò ad aprire le ante e ad accendere una luce in più per vedere meglio:
era assurdo, non poteva essere…
Si avvicinò allo specchio con gli occhi chiusi facendo un respiro profondo, poi
li aprì lentamente.
Si fissò sempre più intensamente mentre le guance da rosse diventavano bianche e poi
verdi.
Un altro urlo (quella mattina andavano di moda, e fortuna che non c’era nessuno
in casa!) si infranse contro quella superficie lucida mentre un paio di accesi
occhio viola fosforescente la fissavano allucinati.