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Autore: whitemushroom    15/03/2018    6 recensioni
Lui e Cecil sono due volti della medesima luna. Non possono risplendere nella stessa notte.
Potrebbe ricominciare la propria esistenza milioni da volte, ma questa è l’unica cosa che non cambierà.

Storia partecipante al contest "Tredici storie per tredici fratelli" per festeggiare l'ottavo compleanno del mitico thexiiiorderforum
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Cecil Harvey, Golbez
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi: Golbez / Theodor Harvey (a sinistra), Cecil Harvey (a destra)
Fandom: Final Fantasy Dissidia, in particolare l'ambientazione è quella di Dissidia Duodecim. Accenni agli eventi di FF IV e FF IX
Rating: giallo
Avvertenze: sebbene io abbia presentato Cecil e Golbez, in realtà questa storia tratta di due coppie di fratelli e non di una sola. Ho sempre voluto riuscire ad inzeppare queste due coppie nella stessa fanfic, e l'occasione si è presentata da sé. Spero di essere stata abbastanza chiara, le dinamiche di Dissidia non sono facili né da comprendere né da spiegare.


Cecil è nato da un raggio di luna.
Il pensiero è così infantile che Golbez si ritrova a sorridere sotto l’elmo nero. I capelli di suo fratello sono fatti d’argento, e quando il vento li muove disegnano una cometa bianca nella notte scura.
Può vedere il proprio riflesso nella sua armatura bianca.
E quello che vede … non può nemmeno chiamarsi viso.
“Dovresti smetterla di perdonarmi …”
Vi era un tempo in cui Golbez aveva amato il silenzio. Quando era ancora un ragazzo di nome Theodor, e si esercitava per ore nel vecchio scantinato della propria casa per preparare incantesimi così belli da poter lasciare a bocca aperta persino suo padre. O quando sua madre lo stringeva a sé, facendogli appoggiare l’orecchio sul proprio ventre per fargli sentire quanto scalciasse il fratellino che aveva chiesto da anni.
Guardavano sempre la luna prima di andare a dormire. “Quante volte ancora dovrò ferirti prima che tu riesca ad odiarmi?”
Rumore era stato il crepitio degli incantesimi di fuoco la sera in cui gli umani decisero ringraziare suo padre con la stessa magia che aveva donato loro. Grido era stata la sua voce, le parole che si soffocavano una sull’altra mentre l’incantesimo di cura si perdeva in mezzo ai suoi stessi singhiozzi sotto le scintille della loro casa in fiamme. Aveva scoperto cosa fosse il pianto quando Cecil era uscito dal ventre senza vita della loro madre.
Allora il silenzio gli era sembrata l’unica risposta possibile.
Ma molte cose sono cambiate. Theodor non c’è più, così come il loro pianeta.
Sono rimasti Golbez e Cecil, i due cavalieri della luna trascinati in quel mondo senza nome, costretti da una magia più potente di loro a battersi come burattini in mano a divinità fasulle; sono in quel luogo dove i granelli della clessidra non sempre cadono verso il basso.
Avvicina una mano alla guancia di Cecil, ma il silenzio non vuole andarsene. È comparso quando la roccia si è schiantata sulle costole di suo fratello, portandogli via il fiato e la vita.
Raccoglie la spada del ragazzo, ancora intatta nonostante il loro scontro, e gliela stringe tra le dita: un lontano ricordo di quando Cecil guidava le Ali Rosse di Baron, l’ultimo saluto ad un vero guerriero che ha trovato il coraggio di vincere l’oscurità nel suo cuore.
“Avrei in mente decine di aggettivi per te, Golbez. Non mi sarei aspettato di aggiungere ipocrita alla lista”.
La voce del nuovo arrivato, alta ed acuta, porta via il peso del silenzio. “Sei stato tu stesso ad ucciderlo”.
“Credi che la cosa mi abbia fatto piacere?”
“No. Ma la scelta è stata tua”.
Osserva di nuovo Cecil, cercando di non guardare il rosso scuro che macchia la sua armatura bianca, le piastre sventrate dalla potenza della sua stessa magia.
Vi era stato un tempo in cui avrebbe venduto l’anima allo stesso Zemus per uccidere Cecil; lo aveva incolpato di ogni cosa, della morte dei loro genitori, dell’inizio della sua discesa verso l’oscurità, della sua stessa debolezza. Aveva stravolto il loro stesso mondo per cancellare quel fratello la cui luce squarciava l’oscurità della sua notte come una lama d’argento, aveva stretto un patto con gli Arcidiavoli in persona per rivoltare contro di lui il cielo, le acque, la terra e le fiamme. La sua vita, se di vita si poteva davvero parlare, l’aveva dedicata ad inseguirlo, a tramare contro di lui ed i suoi amici. A fallire ogni volta, tradimento dopo tradimento.
E adesso, quando darebbe la sua stessa esistenza per salvarlo e riportarlo a casa, è costretto ad ucciderlo.
Questa è la dodicesima volta.
“Ho preso la mia decisione. Ti ho già spiegato come funziona questo mondo. Coloro che vincono possono mantenere i propri ricordi. Quelli che muoiono … non viene loro risparmiata nessuna memoria” sussurra. “Una volta sconfitta una delle due fazioni ci risveglieremo, torneremo in vita, e poi accadrà ancora. E ancora. E io non posso permettermi di dimenticare nemmeno il più insignificante dettaglio. Se dimenticassi la meccanica di questo posto non potrei più trovare la strada di casa”.
“Quindi hai deciso di ergerti come unico arbitro di questa contesa? Colui che ricorda ogni cosa mentre gli altri si dimenticano persino dei loro parenti più cari? Cielo, amico mio, sei davvero il re della tragedia!”
Certe volte Kuja sa essere piacevole come un incantesimo Meteor scappato di mano. Quell’anello mancante tra una bertuccia, un attore di teatro ed un mago improvvisato ha il brutto vizio di aprire bocca nei momenti meno opportuni eppure, da oltre sette cicli di quel luogo, è l’unico a cui Golbez si sia mai rivolto. Forse perché ci sono delle sere, quando la luna nuova sommerge la terra nel suo velo nero, in cui il cammino che ha scelto di percorrere gli sembra impossibile. O forse perché, come soleva dire il vecchio Fusoya, nessun uomo può compiere grandi imprese da solo.
Cecil ha sempre avuto decine di amici al suo fianco. Lui, invece … “Troverò una via d’uscita da questi cicli. Quando la scoprirò, farò in modo che mio fratello torni a casa. Possibilmente senza di me. Ho sconvolto abbastanza la sua esistenza. Se solo mi fosse concesso di tornare indietro …”
“Ci è stato già concesso, Golbez. Qui e ora. Sta a noi decidere”.
La prima volta, quando Cecil aveva rivolto la sua spada contro di lui giurando di non conoscerlo, aveva provato un’ondata di furia come mai nella sua vita.
Col tempo, invece, lo sguardo vuoto di suo fratello si è trasformato in salvezza. Per lui, per lo splendido paladino di Baron, il misterioso Golbez è solo uno dei tanti stregoni votati all’oscurità da cancellare dalla faccia della terra.
Che gli piaccia o meno, anche quella è una nuova vita.
“A volte mi chiedo se sia stato il destino a mettere gente come noi due in questa situazione. Abbiamo trascorso le nostre vite a cercare di uccidere le persone che avremmo dovuto proteggere, ma adesso che vorremmo salvarli loro non ricordano nemmeno il nostro nome” mormora, distogliendo lo sguardo dagli occhi ancora spalancati di Cecil. “Credi sia il modo in cui il Fato abbia scelto di farci espiare i nostri peccati?”
“Oh, te ne prego, non paragonarmi a te!”
Kuja si mette a fluttuare nell’aria, disegnando con la magia dei cerchi bianchi tutti intorno alla sua figura. È una creatura frivola e sregolata, e quando inizia a declamare stralci di chissà quale opera teatrale farebbe venire il mal di testa persino ad una roccia. Lui stesso, fino a poco tempo prima, non lo avrebbe mai preso in considerazione per qualsiasi operazione evoluta, men che mai un piano che prevedesse il loro ritorno a casa. Eppure, a differenza di molti loro compagni d’arme, Kuja ha qualcosa di importante: come lui, ha una persona da proteggere nello schieramento opposto. Come lui, nel proprio mondo ha fatto qualcosa di orribile. “Ho un solo ricordo di casa mia. Uno solo. E, ti giuro sulla mia magia, mi basta”.
Condividono gli stessi pensieri, le identiche preoccupazioni. Ad essere oggettivi i loro scopi sono pressoché identici.
Ad ogni ciclo Golbez prova a convincerlo a seguire i suoi passi, a sopravvivere per mantenere intatta la propria memoria ed a scoprire un modo per andare avanti. E, puntualmente, quel minuscolo mago da operetta rifiuta. L’unica variabile è se decida di farlo con una palla di fuoco o con una scenata così rumorosa da tirarsi dietro tutti i guerrieri della Discordia.
Il fatto che stavolta si stia limitando a criticarlo potrebbe essere un segnale che qualcosa di minuscolo stia iniziando a cambiare in quei cicli tutti uguali. “Gidan, mio fratello, che butta al vento la sua vita per proteggere la mia. Ed io che non riesco a lanciare nemmeno il più stupido, infinitesimale, idiota incantesimo di cura mentre le radici di quell’albero enorme gli schiacciano la spina dorsale vertebra dopo vertebra”.
Golbez rimane in ascolto.
Kuja non è mai stato un tipo da confidenze. “Tu non fai altro che uccidere tuo fratello perché sai che al prossimo ciclo tornerà. Ti è stato concesso di iniziare mille nuove vite, ma sei sicuro di esserti davvero mosso dal punto di partenza? Se vuoi sapere la mia opinione … a me non sembra proprio”.
Un pensiero curioso.
E orribile.
“Non potrei mai più uccidere Gidan. Nemmeno sapendo che tornerà. Non quando sento ancora il rumore delle sue ossa nelle mie orecchie”.
“Lo so. Preferisci farti uccidere da lui. O dal primo guerriero dell’Armonia di passaggio” gli risponde di rimando. “O da uno dei nostri alleati di Chaos. Lo sai che sei uno dei pochi guerrieri a non essere mai sopravvissuto ad un ciclo? Non mi sembra che tu abbia fatto più passi avanti di me”.
“Oh, ma io ho fatto qualcosa”.
Forse, per la prima volta da quando quella conversazione priva di senso è iniziata, Golbez si ritrova a non fissare più suo fratello. La luna scivola dalla figura bianca di Cecil per giocare tra le piume che adornano la testa del suo curioso alleato. “Questo mondo è il mio ultimo spettacolo e, se non ti dispiace, preferisco dare il massimo al mio pubblico. Lascia che tutti guardino la mia performance. Lascia che mi invidino, che mi inseguano, che perdano il loro tempo cercando di acciuffarmi” sorride. “Lascia che tutti, amici e nemici, si perdano nella mia luce insuperabile. Così nessuno si accorgerà del noioso stregone arrugginito che mugugna dietro le quinte”.
Sorride, e fluttuando gli si appoggia su una spalla.
“Tu resta vivo e trova un modo di riportare anche Gidan a casa. A tirarmi dietro sguardi indiscreti ci penso io” dice “Sei il lato oscuro della luna, Theodor. Sei pregato di recitare la tua parte fino alla fine”.
La verità è che lo ha sempre saputo.
Ha sempre saputo che quel mondo senza nome e senza forma è l’unica opportunità di cambiare qualcosa della sua vita. Di cancellare per sempre il dolore della morte dei suoi genitori ed il peso dei propri errori, basterebbe soltanto lasciarsi andare e la clessidra potrebbe voltarsi, iniziare un altro giro con granelli di sabbia bianchissimi, priva finalmente dell’oscurità che ormai si sente anche nelle ossa. Forse potrebbe morire e risvegliarsi a fianco di Cecil, combattere uno al fianco dell’altro, le armi in pugno, abbracciarsi, stringersi la mano, ignari del loro passato ma in grado di fronteggiare la morte spalla a spalla, due fratelli perfettamente sconosciuti.
Ma questo è il destino di Kuja e Gidan, le due lune gemelle destinate a rincorrersi in cielo, perfette solo quando brillano entrambe nello stesso firmamento.
Lui e Cecil, invece, sono due volti della medesima luna. Non possono risplendere nella stessa notte.
Potrebbe ricominciare la propria esistenza milioni da volte, ma questa è l’unica cosa che non cambierà.
Volgono all’unisono la testa verso il cielo, ciascuno con i propri fantasmi. “La realtà è che quelli come noi tendono a fare sempre gli stessi errori”.

 

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