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Autore: Karmi    17/03/2018    2 recensioni
Lui era un giudice, un arbitro, e come tale avrebbe sempre adempito al suo compito. Ma non poteva essere grato di avere assunto tale ruolo, non riusciva a essere indifferente di fronte alle sue prove. Non più.
Non quando lei lo aveva avvicinato così tanto a provare emozioni umane.
Lei, che lo aveva salutato con un sorriso.
Lei, di cui ormai non ricordava più il nome.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Decim
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Lei

 
Gli arbitri sono solo delle bambole prove di emozioni e di pensieri. Il loro compito è di giudicare le anime dei morti e decidere se mandare nel Vuoto o se farle Reincarnare.
Decim aveva ben chiaro nella mente il suo compito. Era nato, anzi, era stato creato solo per quello; esattamente come era successo a Nona, a Ginti e a tutti gli altri arbitri dei vari piani. E per cinque anni, non aveva mai dubitato delle sue azioni, dei suoi giudizi e dei suoi pensieri.
Eppure, dopo il suo arrivo, tante cose erano mutate.
Erano cambiate le sue espressioni, ad esempio. Secondo Nona, era così mostruosamente rassicurante da farle rimpiangere il suo vecchio volto. Decim non capiva cosa intendesse, poiché non comprendeva appieno cosa era cambiato sulla sua faccia. Una volta, quando Nona gli aveva concesso un attimo di pausa, si era osservato nel riflesso di un calice di birra. Non aveva uno sguardo emozionante, doveva ammetterlo. I suoi occhi erano senza calore, la sua pelle era bianca e senza imperfezioni, i suoi capelli albini. Era il volto perfetto di una bambola, senza dubbio. Gli arbitri erano fatti sotto l'assomiglianza degli umani che erano sotto la loro giurisdizione. Eppure quando osservava gli umani, quando gli studiava per valutarli, sebbene già morti, percepiva un minimo di calore provenire da loro.
Un calore inesistente per lui.
Però, nonostante non lo avesse, aveva notato qualcosa di differente. Sì, aveva intravisto una lieve curva, aveva intravisto l'ombra di un... Sorriso?
Si chiamava sorriso la curva assunta dalle sue sottili labbra, vero?
Forse era per questo che lei aveva pianto quando le porte dell'ascensore si erano chiuse.
O forse no. In fondo, a dispetto degli altri, lei era consapevole del suo destino.
Ma non erano solo le sue espressioni ad essersi trasformate. Lo erano anche i suoi giudizi; di quello ne era certo.
Prima di incontrarla, le prove dove suscitava l'oscurità più nera e malvagia delle persone erano, per così dire, monotone. Per quanto ammirasse gli umani perché vivevano appieno la loro vita, per quanto non li considerasse solo stupidi esseri viventi, era noioso vedere le loro simili reazioni. Gli arbitri dimenticano i giudizi dati, però la sensazione della familiarità, la nostalgia, entrambe le percepivano astrattamente. Per questo, nonostante non avesse la certezza di questo suo parere, sospettava di essere nella ragione. Le loro reazioni erano monotone e noioso, purtroppo.
Eppure adesso lo rimpiangeva un po'. Eppure un po' rimpiangeva quei pareri. Perché adesso, giudicare, valutare, dare un verdetto, era diventato tutto quanto più... Doloroso.
Lui era un giudice, un arbitro, e come tale avrebbe sempre dovuto adempiere al suo compito. Ma non poteva essere grato di avere assunto tale ruolo, non riusciva a essere indifferente di fronte alle sue prove. Non più.
Non quando lei lo aveva avvicinato così tanto a provare emozioni umane.
Lei, che lo aveva salutato con un sorriso.
Lei, di cui ormai non ricordava più il nome.
Lei, l'unica ad avere un manichino dietro il bancone a ricordarla tra le ceneri della memoria e le fattezze della ceramica.
Decim dimenticava chi giudicava, ignorava chi sarebbe arrivato.
Però...
Però, se lei fosse riapparsa davanti ai suoi occhi, sicuramente l'avrebbe riconosciuta.
Perché gli avrebbe sorriso.
Gli avrebbe sorriso come la piccola Chavot.
   
 
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