Dicono che, quando hai 17 anni e il tuo ragazzo ne ha 22,
lui è un porco e tu un’ingenua.
Non so se questo sia sempre vero.
Penso questo mentre corro a perdifiato per la strada, lanciando occhiate
colpevoli all’orologio che porto al polso.
Finalmente lo vedo, appoggiato al muro che mi aspetta, e mi fermo a riprendere
fiato.
«Sei in ritardo, mocciosa» dice Ikuto, guardandomi da
sopra gli occhiali da sole.
Io mi imbarazzo e vado su tutte le furie. «Possibile che, per quanto tempo
passi, continui a trattarmi come una bambina?! Sono praticamente adulta,
ormai!».
Ma lui si mette a ridere, come al solito. «Sì, sì» dice, accondiscendente
«Avanti, andiamo».
E mi prende per mano, avviandosi.
Ecco, è questo uno degli aspetti che più amo di Ikuto:
è così sbruffone e scostante, ma tuttavia così dolce.
Passeggiamo per un po’ così, in silenzio, finché non riesco più a reggere la
curiosità. «Allora, mi vuoi dire dove andiamo?» chiedo, emozionata.
«Certo che no» è la sua risposta secca e studiata. «Che sorpresa sarebbe, se te
lo dicessi ora?».
Sbuffo, ma poi sorrido tra me. In fondo me lo aspettavo, e poi così è ancora
più romantico.
«E…» aggiungo, cercando di fare conversazione «…come sta Utau? La si vede spesso
in TV, ultimamente…».
Ikuto alza le spalle «Ogni tanto chiama, ma è sempre impegnatissima» risponde, con un tono che ritengo fin
troppo disinteressato «L’ultima volta che l’ho sentita era a Tokyo a registrare
il suo ultimo album».
Io mi acciglio e gli do un pugno sulla spalla «Quell’album è uscito un mese fa!
Ma che razza di fratello sei?!»
«Ahio…» si lamenta lui, massaggiandosi la spalla
colpita «Guarda che ha una vita sua, ormai… lei sì
che è diventata una donna, altro che questa sottospecie di marmocchia che mi
ritrovo io…» aggiunge, ironico.
Io mi arrabbio e lo picchio di nuovo «Finiscila di prendermi in giro!». Ma
ovviamente è fiato sprecato: sembra che farlo sia la cosa che lo diverte di più
al mondo. «Uffa, ti comporti sempre così. A volte mi chiedo se a me ci tieni
davvero o se sono solo una sostituta della tua sorellina!»
Ops. Questa mi è scappata.
Ikuto mi taglia la strada con il braccio per poi
bloccarmi contro il muro del palazzo dietro di me.
Oddio, è fatta. Ora lo farà, e tutta la mia convinzione si dissolverà come fumo
nell’aria. Distolgo lo sguardo, cercando di fare l’offesa, ma lui non si muove.
«Ormai ho 17 anni» continuo, sulla difensiva «Non sono più una bambina».
«Peccato» dice Ikuto, togliendosi gli occhiali da
sole «Io invece sì». Poi avvicina il volto al mio e accosta le labbra al mio
orecchio. Sento il suo profumo di shampoo più forte che mai. So già che contro
di lui non potrò mai vincere. «Hai mai pensato che forse mi piaci proprio per
questo?» sussurra.
E detto questo, mi dà un lungo, stupendo bacio.
Poi si rimette gli occhiali e, con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra, si
ravvia la frangia e riprende a camminare.
Io potrei sciogliermi come neve al sole proprio in quel momento, e lasciare che
qualcuno passi a raccogliermi con un cucchiaino, ma per fortuna la mia forza di
volontà ha la meglio e io continuo a trotterellare dietro ad Ikuto. Dannazione, però, non può sempre averla vinta…!
«Beh, non credere che questo basti a farti perdonare» sbotto, pur essendo rossa
come un pomodoro.
«Posso sempre rifarlo, se non ti è bastato» replica lui, con uno dei suoi
sorrisetti maliziosi.
«Ma smettila!» esclamo, arrossendo ancor di più «Ci stavano guardando tutti in
un modo…»
«E che cosa te ne importa?»
Non rispondo. Perché è ovvio, palese, che non mi importa niente di ciò che può
pensare la gente di me, da quando ho iniziato ad uscire con un ragazzo che
all’epoca era alto trenta centimetri più di me (ora per fortuna sono solo
quindici).
E’ ovvio che sopporterei ogni sorta di occhiataccia da parte di chicchèssia,
pur di sentire le sue labbra sulle mie.
Ma è una cosa troppo imbarazzante da dire. Per questo sto zitta.
Fortunatamente, proprio in quel momento sento il mio cellulare squillare,
fornendomi un buon diversivo.
«Scusa un attimo» dico, trattenendo un sospiro di sollievo.
Guardo lo schermo del cellulare e sorrido con dolcezza: è Ami. Oggi è il suo
primo giorno di scuola, vorrà senz’altro dirmi com’è andata.
Quando riattacco, do un’occhiata all’orologio e mi accorgo di essere stata al
telefono per dieci minuti filati.
Wow. Non ricordavo di avere una sorellina così chiacchierona.
«Ami non vedeva l’ora di raccontarmi tutto della sua nuova scuola…»
mi scuso con Ikuto, ma proprio in quel momento mi
accorgo che il suo sguardo è vacuo, perso in chissà quali pensieri.
A dire il vero, io so a che cosa sta pensando.
E’ preoccupato per Yoru: sono già tre giorni che non
torna a casa. Lui cerca di non darci peso, ma io sono sicura che in realtà ogni
volta che il suo Shugo Chara esce Ikuto si prepara
alla prospettiva che non torni mai più. Dopotutto, ormai ha ventidue anni. Per
quanto ci si provi, non si può restare bambini per sempre.
Vederlo così mi rende molto triste, perché non riesco ad immaginare che cosa si
può provare credendo di stare per perdere uno Shugo Chara. Se io dovessi vedere
Ran, Miki, Suu o Dia
scomparire, per esempio, credo che sarebbe come perdere una parte di me.
Non voglio che Ikuto ci pensi troppo.
«Ehi» gli dico, prendendogli la mano con dolcezza, al che lui sussulta. «Voglio
un gelato» ordino, indicando la gelateria a pochi metri da noi.
Lui è un po’ stupito «Cosa…?».
«Ho detto» ripeto «che voglio un gelato».
Ikuto sorride, poi si mette a ridacchiare tra sé.
«D’accordo, d’accordo» dice, e dopo avermi arruffato i capelli si avvia al
bancone.
«Un cono al cioccolato» ordina, senza smettere di ridacchiare. Dev’essere per la mia infantile presa di posizione,
immagino.
«Uno?» chiedo io «Tu non lo vuoi?».
Lui mi rivolge uno dei suoi inimitabili sorrisi «E chi ha detto che non lo
voglio?».
All’inizio non capisco che cosa intenda, ma quando gli vedo in mano il cono al
cioccolato ho una tremenda sensazione di deja-vu e
divengo di un bel color ciliegia matura.
«Sco…scordatelo!» esclamo, in parte imbarazzata e in
parte indignata.
Ma, nonostante il mezzo chilometro di strada che passiamo a litigarci il
gelato, la sensazione che provo è dolcissima.
«Sai, mi è venuto un dubbio» dico alla fine, vedendo che il cielo si è ormai
tinto di sfumature rosso-arancio «Mi stai davvero portando in un posto
specifico o stiamo solamente vagabondando come due gatti di strada?».
«Non ti preoccupare» risponde lui misterioso, con aria furba «Siamo appena
arrivati».
«Oh».
Sì, questa dev’essere una delle sue magie. Una di
quelle per cui un attimo prima credi di essere in un certo posto, ma un attimo
dopo sei in un altro.
In questo caso, mi trovo davanti ad un luogo che riconoscerei tra mille: il
gazebo nel parco dove per la prima volta ho sentito Ikuto
suonare il violino.
Ma qualcosa è diverso: ci sono delle luci accese, dei festoni, dei tavolini e,
incredibilmente, tutti quanti i miei amici che esclamano:
«Buon Compleanno, Amu-chan!».
Mi salgono le lacrime agli occhi per la commozione.
Sono tutti lì: Tadase-kun, Rima, Kuukai,
Yaya, Nagihiko, Kairi… e perfino Utau, reduce dai
suoi numerosi impegni.
Io sono sbalordita, talmente commossa che rischio di scoppiare a piangere.
Quanto tempo è passato dall’ultima volta che li avevo visti tutti, ma davvero
tutti, riuniti?
«Co…come avete fatto?» chiedo, senza riuscire a
trovare nient’altro da dire nella confusione dei miei pensieri.
«E’ stato lui ad invitarci» mi spiega Tadase,
accennando ad Ikuto «Ha detto che quest’anno dovevamo
esserci assolutamente tutti quanti».
Mi volto sorridendo verso il mio ragazzo, e mi scappa un singhiozzo.
«Sei fantastico» affermo, raggiante, e potrei giurare di vederlo imbarazzarsi
per un attimo. Poi lo abbraccio e gli do un bacio. «Non potevo proprio
trovarlo, uno migliore di te».
E’ una festa stupenda, mi sembra di rivivere i vecchi tempi in cui ancora ce ne
andavamo in giro a caccia di uova e a rincorrere la Easter.
Pian piano, mi viene raccontato com’è che le vite di chi non vedo da tempo sono
andate avanti senza di me.
Nagihiko ha continuato con la danza e spesso si
esibisce a teatro, ma trova sempre del tempo da dedicare alla sua passione per
il basket e farsi qualche partita tra amici.
Quando gli chiedo se quella doppia vita non gli pesi, lui mi risponde:
«Col tempo ci si fa l’abitudine… comunque, ora mi
vesto da donna solo durante gli spettacoli; nella vita quotidiana sono un
maschio. In fondo non potevo continuare a fingere di essere una ragazza piatta
ancora a lungo… e poi come avrei fatto a giustificare
le visite di Rima da così lontano? Avrei dovuto nasconderla nell’armadio!».
Rima, accanto a me, sospira e fa spallucce «Le Regine non si nascondono negli
armadi. Senti, ho sete; mi porti qualcosa da bere?».
«Perché non ci vai tu, una volta tanto?».
«Perché sono la Regina».
«Non sei più la Queen’s Chair
da anni!».
«Infatti. Sono la tua Regina, adesso. Ora va’, su»
Io non riesco a trattenere una risatina vedendo Nagi
andarsene con aria rassegnata «Certo che l’hai ammaestrato per benino, eh?».
«Ma va’» risponde lei, con un sospiro «E’ tremendamente difficile costringerlo
a fare quello che voglio. Però ai miei futuri suoceri piaccio da impazzire,
quindi loro sì che mi trattano con riguardo».
«Suoceri? Ma allora…».
Lei mi sorride, mostrandomi l’anello che porta alla mano sinistra.
«Congratulazioni!» dico, meravigliata. Dopotutto io e Rima ci vediamo molto
spesso, è strano che non me l’abbia detto.
«E’ una cosa recente» mi spiega, arrossendo un pochino «E’ per questo che non
ti ho chiamata per dirtelo».
Sarà per l’anello, o per i ricordi che questa serata mi sta riportando alla
mente, ma non posso fare a meno di notare quanto Rima sia cambiata, in questi
ultimi anni.
E’ diventata più alta, il suo viso grazioso si è assottigliato in
un’espressione più adulta, i lunghissimi capelli mi paiono a un tratto più
biondi e lucenti. Non assomiglia più molto alla bambina capricciosa di un
tempo.
Proprio in quel momento, qualcuno mi mette un braccio intorno alle spalle «Ehi,
Mashiro, stai monopolizzando la festeggiata» dice la
voce di Kuukai alle mie spalle «Te la porto via per
un po’, ok?».
Rima non ha ancora aperto bocca, che lui mi ha già trascinata via, verso Ikuto e Utau.
La mia amica è titubante all’idea di lasciarmi andare, ma il tempestivo ritorno
di Nagi la tranquillizza.
«Dunque» annuncia Kuukai, con tono solenne «E’ stata
dura, ma sono riuscito a rapirla. E’ tutta per te, Utau!».
«Come se l’avessi chiesto!» sbotta lei, scontrosa come al solito, ma Kuukai le dà una gomitata.
«Avanti, almeno per stasera puoi evitare queste scene, no?» la incoraggia,
ammiccando.
«Come stai?» le chiedo io, sorridendo «Sembra un secolo che non ci vediamo!».
Lei alza le spalle «Non c’è male, grazie» risponde, ricambiando il sorriso in
modo un po’ impacciato.
Anche lei, noto, è cresciuta molto; Ikuto aveva
ragione a dire che è diventata una donna. Lo si vede da come si muove, da come
parla.
Chiacchieriamo per un po’, e tra una cosa e l’altra viene fuori che Kuukai è stato preso nella squadra di calcio di Tokyo.
«Renderanno la cosa ufficiale quando compirò i diciotto anni» spiega,
entusiasta «E’ un sogno, potrò finalmente giocare in una squadra ufficiale!».
Proprio in quel momento, Yaya mi assale alle spalle «Amu-chi! Amu-chi!».
«Sì!» esclamo, spaventata.
«La torta! Hanno tirato fuori la torta!».
E a nessuno interessa da dove l’abbiano tirata fuori esattamente, perché non
sono disposti a rifiutarne una fetta.
Così, tra chiacchiere e spuntini, nonché qualche discorso da gente troppo
brilla per capire cosa sta dicendo, il tempo passa in fretta ed è presto ora di
tornare a casa.
«Grazie mille a tutti, è stato stupendo!» saluto, e ognuno prende la sua
strada.
Chissà quando mi ricapiterà di rivederli tutti insieme.
Io e Ikuto rimaniamo di nuovo soli.
«Aaah…» sospiro, stravolta «E’ stato divertente, ma
non mi reggo più in piedi».
«Hai detto ai tuoi che stanotte non torni a casa, vero?» chiede Ikuto, trattenendo uno sbadiglio.
«A-ah» faccio io «Senti, casa tua non è molto lontana da qui, vero? Perché
rischio di non arrivarci sveglia».
Lui mostra il suo miglior sorriso da vampiro «Di che ti preoccupi? Un qualsiasi
motel andrà benissimo…» dice, malizioso.
«Pervertito!» sbotto, indignata, ma dopo poco sorrido e gli schiocco un bacio
sulla guancia. «Camera tua andrà benissimo».
Lui arrossisce lievemente e mi prende per mano.
Dicono che, quando hai 17 anni e il tuo ragazzo ne ha 22, lui è un porco e tu
un’ingenua.
Beh, questo l’ho sempre saputo… e allora?