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Autore: Josie5    18/03/2018    13 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Ormai quasi delirando, per le lacrime e i pensieri, continuai: - Scusa, Seth. Scusa per il pugno che ti ha dato Parker. - Intervallavo ogni tre parole a un singhiozzo. - Scusa per essere corsa subito da te stamattina. Ero convinta che fossi stato tu dopo le litigate a mensa e ti avrei voluto davvero uccidere. Quello che non capivo è che anche fossi stato davvero tu, stavo di nuovo scaricando ogni mia colpa su un'altra persona. Ma poi...

Lui, con le due mani sul viso, nemmeno mi guardava più. Alla mia interruzione all'ennesima mancanza di fiato, sospirò e aprì il cruscotto di fronte a me: prese fuori un pacchetto di fazzoletti e me lo passò senza dire nulla.

- Grazie. - Blaterai, estraendone uno. - Dicevo... E poi, non sei nemmeno stato tu! - Piagnucolai, soffiandomi finalmente il naso e cercando di acquistare, inutilmente un po' di controllo.

Non mi riconoscevo nemmeno più: per star piangendo e per starlo facendo davanti a lui. Intanto la faccia di Clark era incomprensibile.

- E' stato Parker! Tu almeno è da sempre che mi fai capire di odiarmi! Parker invece... Io mi sono innamorata di lui! E' sempre stata una causa persa, ma io ci credevo e lui me l'ha voluto far credere che potesse cambiare! - Ormai deliravo, parlando di cose che nemmeno a Francy ero riuscita a raccontare così a cuor leggero. - Ci credevo che provasse qualcosa nei miei confronti, che fosse buono. E mi ha solo presa in giro. Per una scommessa! E rovinandomi così davanti alla preside! A me serve la borsa di studio per avere un qualche minimo di futuro! Non so però nemmeno se me lo merito a questo punto! Mi dispiace per quel che ho fatto, mi dispiace per te, Clark, mi dispiace da morire. Se potessi tornerei indietro, ma non posso e non potevo andare avanti senza fare tabula rasa di tutto, senza chiedere perdono a te. Non voglio più creare capri espiatori. Voglio assumermi ogni responsabilità e migliorare e crescere.

La smisi con quel monologo, cercando di calmare i nervi a pezzi.

Vidi Clark allungare leggermente la mano. Esitò, proprio mentre mi giravo per capire i suoi movimenti, ma si bloccò a pochi centimetri dalla mia testa e la ritrasse.

- Porca puttana! - Quasi urlò e, nell'impeto della frase, sbatté i pugni contro il volante, facendo anche risuonare per il parcheggio un breve colpo di clacson.

Lo guardai, lacrimante e ormai avendo perso ogni lato del carattere di cui ero sempre stata certa. - Almeno accetta le mie scusa. - Blaterai, partita del tutto per la tangente, immaginando solo che fosse arrabbiato con me

- Evelyne... - Sospirò, guardandomi finalmente dopo una lunga pausa, pronto a rispondere.




30. Insieme

 

- Evelyne, devo essere io quello a chiederti perdono, - concluse Clark e sospirò di nuovo, lasciandosi cadere sul sedile.

Non collegai e sorrisi tra le lacrime. - Non ne hai motivo. Ti sei comportato male nei miei confronti in passato, ma possiamo dire di essere pari già da tempo...

- Evelyne, sono serio...

- Anch'io, e ripeto: non hai motivo di dire altro. Davvero, Clark. Dovevo chiederti scusa per poter andare avanti. Vedilo come il mio ultimo gesto egoista questo venirti a chiedere scusa.

- Ne ho di motivi. - Mi squadrò prima di continuare. - E la smetti di piangere? Cristo! Non pensavo nemmeno che fossi capace di versare una lacrima.

Ridacchiai, continuando sempre a non capire, spaesata come non mai. - Non avrei mai pensato di reagire così. Oggi penso di essere definitivamente crollata a pezzi. Perdonami.

Tentennò. Si guardò le mani, poi tornò su di me con i suoi occhi chiari. Di nuovo il volante davanti a sé, poi ancora i miei occhi offuscati per il pianto recente. Alla fine si decise e aprì bocca: - ero io a volere che crollassi in questo modo.

Lo guardai, un po' perplessa.

Si portò le mani ai capelli. - Quello che sto per dirti è abbastanza difficile da spiegare...

Restai muta.

Rise brevemente, a disagio. - Ti preferivo prima.

- Clark? Dimmi...

Sospirò nuovamente. - Dobbiamo andare; ti porto dopo qua a riprendere la macchina, ma ora serve che andiamo in un certo luogo.

Non pensai minimamente alle pizze surgelate in baule e mi allacciai la cintura, fissandolo fermamente.

Aspettò di uscire dal parcheggio prima di iniziare a parlare. Aveva spento la radio.

- Gray... Io ti odio, lo sai?

Annuii. Clark ogni tanto mi dava occhiate nervose.

- Gray. Non so come iniziare. Io volevo vederti così! Piangere, a pezzi. Lo giuro! Non hai idea di quanto ti abbia odiata dopo quello che è successo a casa di Parker. Giuro che volevo vederti così. Dopo essere stato umiliato davanti all'intero istituto. Ma in questo esatto momento a sentirti chiedermi scusa...

- Clark, che cazzo hai fatto?

Si addentrò in una via residenziale che non mi era familiare, ma il movimento della macchina non mi toccava minimamente.

- Non mi aspettavo di sentirmi così a vederti piangere! E non pensarmi più sensibile del dovuto, ma mi sono davvero... reso conto, sinceramente, che... ho esagerato.

Mi portai le mani ai capelli. Un semino iniziava a piantarsi nella mia testa. - Non ci voglio credere!

- Aspetta! Ascoltami! - Deglutì innervosito, girando per l'ennesima via. Lo vidi esitare nel continuare il discorso.

- Dove cazzo stiamo andando, Clark?! - Iniziai ad incazzarmi, innervosita dall'ennesimo silenzio.

- Ascolta. - Mi guardava sempre più nel panico e parcheggiò velocemente davanti a una villetta, finendo con un lato della macchina sopra al giardino.

- Ho esagerato! E' vero: mi hai umiliato, mi hai preso per il culo, me ne hai fatte di ogni e mi sei sempre stata sul cazzo, ma ho esagerato.

Scossi la testa, con il diavolo negli occhi, e senza attendere oltre uscii velocemente dall'abitacolo pur non sapendo dove fossimo né dove andare di preciso.

Era ormai ora di cena e tutte le villette del quartiere avevano le luci accese. Nel buio quello sfondo di luci sarebbe stato lo scenario perfetto per l'omicidio che stava per aver luogo. Quasi romantico.

Lui mi seguì immediatamente; mi girai, cercando di calmare i bollenti spiriti, prima di fare una scenata in grado di risvegliare i morti.

- Non lo sapeva nessuno e Parker nemmeno se lo ricordava più. Le avevo prese all'inizio di tutto, per farmi due risate, quasi per ricordo, dal suo cellulare...

- Parla, - incitai, fingendo calma all'ennesima esitazione.

- Beh, le foto ce le avevo anch'io, - pigolò.

Mi portai le mani al viso, dandogli le spalle, per evitare di utilizzarle in una ormai prossima azione violenta.

- Non ci credo che ho appena pianto davanti a te! - Gli ringhiai in faccia, girandomi infuriata ma cercando di non alzare troppo la voce.

- Gray, per fortuna che mi hai pianto davanti, perché non avevo intenzione di confessartelo mai in vita mia! Porca vacca, mi hai fatto sentire una merda!

Cercai di trattenere in bocca il “Infatti lo sei”, aspettando almeno che finisse il discorso.

Respirai a fondo, cercando di mostrarmi calma, non volevo che il ritorno alla solita Evelyne, già lì ben presente, gli facesse ritirare quella confessione in arrivo. - Finisci di spiegare, per favore.

Borbottò qualcosa sotto voce senza guardarmi e poi continuò: - Volevo vendicarmi, quindi dopo tutto quel che è successo, dopo l'umiliazione, dopo aver visto che praticamente tutti i miei migliori amici mi voltavano le spalle, io non potevo farcela a vederti di nuovo vittoriosa, Gray. Sinceramente ci avevo goduto quando Parker all'inizio aveva iniziato a sfruttarti. E alla fine vedere che anche con lui le cose erano finite per andare bene... Poi questa cosa. Ti ho detestata.

Mi morsi di nuovo la lingua per non ribattere con un “sei un bamboccio del cazzo”.

Osservò la mia mancanza di reazione materiale e continuò, trovandone il coraggio. - E quindi, ecco... Volevo prendere due piccioni con una fava.

Non potei evitare alle mie sopracciglia di volare fino alla stratosfera.

- Ho inviato io l'e-mail alla presidenza, - borbottò. - Dalla biblioteca centrale. Mi era già capitato con degli amici di usare quel metodo per non farci rintracciare facilmente e comunque non credevo che la Generalessa si sarebbe impegnata più di tanto per scovare la fonte. Insomma, ero a posto.

Sentivo un prurito alle mani sempre più impellente per il bisogno di sfogarsi. - Continua.

- E... beh... Ho aspettato che Parker finisse con la detenzione e... insomma, gli ho detto che se non si fosse preso la colpa il giorno dopo, avrei inviato le foto direttamente. Che non me ne fregava se rischiavo di rimanerci in mezzo io, l'importante era separarvi e farvela pagare. Io potevo cambiare anche scuola, soprattutto grazie al basket e ai miei genitori, tu ti saresti rovinata.

Non ebbi parole.

Ormai lui si decise a sputare tutto il rospo. - Ovviamente ha resistito e mi stava anche per prendere a botte, ma mi sono inventato che un mio amico aspettava mie notizie e che se non mi avesse visto entro un tot orario a casa sua, aveva l'ordine di inviare già tutto.

Persistetti nel silenzio, incredula. Poteva essere la giornata più sconvolgente della mia vita?

- Gli ho anche detto di far finta di nulla fino al giorno dopo. Io pensavo aveste anche scopato, quindi gli ho lasciato lì la scusa della scommessa in più.

Mi osservò circospetto. - Beh, ecco. Più o meno questo è quanto. Adesso chiamo la persona di cui abbiamo decisamente bisogno entrambi. - Mi sorrise, con le mani davanti a sé come a tenermi ferma, e mi passò oltre, senza darmi le spalle fino all'ultimo, e andò a suonare alla porta della villetta davanti alla quale ci eravamo fermati.

Io continuai a restarmene impalata, non sapendo sinceramente come reagire.

Ero quasi in catalessi, finché non sentii alle mie spalle qualcuno rispondere sorpreso alla chiamata.

- Cosa ci fate qua? - Mi girai, trovando Billy, abbastanza perplesso, che fissava me e Clark.

A quella scena e al modo in cui tutto ciò prendeva concretamente piega, mi lasciai cadere a terra.

- Ohi? - Billy e Clark si avvicinarono. Il primo sempre più confuso, il secondo sempre più terrorizzato. - Che è successo? Seth?

Scoppiai a ridere, in un modo che rasentava la follia mentale e indicai Clark.

- Evelyne? - Billy ormai stava uscendo di senno, probabilmente non abituato a non controllare la situazione e, anche per lui, quella era stata una giornata curiosa.

Io iniziai ad alternare stati di risa e pianto, mentre sentivo Clark spiegare le stesse cose a Billy.

Il tutto terminò paradossalmente con Seth inginocchiato sull'erba che chiedeva pietà, Billy in piedi davanti a lui come un prete pronto a liberare dai peccati e io lì di fianco, sempre a terra, ormai intenta a fissare il vuoto, troppo incredula per fare altro.

- Non so cosa dire. - Si limitò a rispondere Billy, dopo un lungo silenzio. - Sinceramente non credo nemmeno di essere la persona adatta a trovare la soluzione al casino che hai combinato. C'entrano Evelyne e Max in tutto questo.

- Lo so! Ho sbagliato! Me ne sono pentito, ho avuto già quel che volevo! Ma sai che non posso più presentarmi davanti a Max, non senza un intermediario. Ho bisogno del tuo aiuto!

L'altro sospirò. - Beh... Qua sono da risolvere un attimo i problemi che hai creato, tra quei due in particolare, ma concretamente potevi fare di peggio... Andrà tutto bene.

Risi amaramente. - Certo! Ha solo messo in allerta la Generalessa contro di me e io e Parker abbiamo litigato a vita!

Billy mi appoggiò una mano sulla testa, sempre più simile a un prete. - Non avete litigato a vita. Lui ha sbagliato a sottostare a un ricatto, ma l'ha fatto per te, dovresti provare a capirlo.

Sospirai, nascondendo il viso tra le gambe. - Gli ho detto che suo padre ha sempre avuto ragione su di lui. Che è un fallito e non si merita nulla dalla vita.

Dopo un attimo di silenzio, accompagnato solo da un breve suono sofferente proveniente da Clark, mi sentii fare un grattino consolatore sul capo. - Evelyne, nessuno poteva pretendere qualcosa di diverso da te in quel momento.

Cercai di credergli e sollevai il mento per incrociare il suo sguardo marrone, così simile al mio.

Nel frattempo udii Clark ridacchiare nervosamente.

- Comunque Hans ha ragione... Andrebbe tutto bene in realtà. Ma veniamo al punto della mia visita qui... L'intermediario mi serve già ora... - Giocherellava nervosamente con le dita.

Mi concentrai totalmente su di lui. Roteai il bacino, appoggiandomi sulle ginocchia, sentendomi un po' come un felino mirante alla preda.

- Il punto è che... Insomma, dopo quel che ho visto stamattina: Max prendersi così sul serio la questione, fingendo magistralmente; la Gray praticamente distrutta davanti a tutti; il mondo che se la rideva e i professori così agitati... C'ho preso un po' di gusto...

- Seth, cos'hai fatto? - Sentii Billy piagnucolare per la prima volta.

- Diciamo che poco prima di beccare oggi la Gray al supermercato... Ho inviato le foto.

Mi ero già tesa, pronta allo scatto, e infatti in due secondi netti fui addosso a Clark.

Quel che seguì fu abbastanza confuso. Io provai sinceramente, per la prima ed ultima volta in vita mia, ad uccidere un essere vivente; Billy si comportò da perfetto arbitro di wrestling; Clark invece tentò di sopravvivere alle mie manate e graffi, mentre nel frattempo continuava a giustificarsi.

- E' che ormai ho pensato di completare quel che era iniziato! Non avresti più creduto a Parker e non avreste nemmeno risolto! E se avessi perso la borsa di studio infondo te lo meritavi per non essere stata onesta durante la tua carriera...

- Clark, TACI! - Urlò Billy, che mi teneva stretta in una presa ferrea dalla quale cercavo di svincolarmi come un'anguilla.

- E sei un idiota! Come cazzo facciamo adesso?! Ci vai di mezzo anche tu! Ci metteranno due secondi a capire con chi è Evelyne in quelle foto! Ma sei coglione?!

Clark si lasciò cadere di schiena sul prato.

Erano probabilmente le 9 di sera passate e la situazione era quella.

Mancavano meno di 11 ore alla mia probabile morte.

 

 

Meno 10 ore alla mia morte.

- Grazie, signora Hans. - Cercai di sorridere alla paffutella signora dai capelli rossi, che ci aveva appena portato da bere.

- Grazie, ma', però non entrare più a meno che non ti chiami io.

Sentii in quel momento il campanello suonare, mentre la mamma di Billy si allontanava scoccandogli un'occhiata truce.

Ci guardammo, eravamo Billy, Clark ed io attorno al tavolo nello scantinato di casa Hans. Davanti a noi bibite, cibo, un pc e dei fogli.

- Vado io, - esordì Clark. Ovviamente voleva evitare che Billy lasciasse noi due da soli: avevo smesso di provare a picchiarlo da un abbondante numero di minuti, ma nemmeno io ero sicura che non potesse venirmi un altro raptus omicida.

Evitai di commentare, ticchettando nervosamente con la gamba al suolo.

Appena uscì, il biondo rimasto parlò: - Stai tranquilla, adesso arrivano tutti ed elaboriamo un piano d'azione. C'è tempo e la situazione non è irrisolvibile.

Annuii, consapevole che fosse solo un tentativo di consolarmi e continuai ad avere i nervi a fior di pelle.

Avevo avvisato zia Lizzy dell'impegno imprevisto che mi avrebbe tenuta fuori fino a tardi. Mi aveva chiamata sempre più preoccupata per lo stato in cui mi aveva vista uscire di casa e, poi, per il mio tono di voce al telefono.

“Va tutto bene”, le avevo detto.

Sì, certo.

Pensai anche alla mia macchina, ormai rinchiusa nel parcheggio sotterraneo del supermercato a causa di quello spiacevole imprevisto.

Entrarono in quel momento Francy, Alex, Luke e Seth di ritorno.

- Eve! Tutto bene!? - Francy come prevedibile mi si piantò di fianco.

- Sì, l'importante è risolvere... - Sospirai mentre mi abbracciava.

- Clark, comunque sei uno... - Iniziò, fulminandolo.

- Clark ha capito e ci aiuterà a risolvere questo pasticcio enorme in cambio dell'impunità. - Interruppe Billy, cercando di alleggerire l'atmosfera con una breve risata.

Il diretto interessato si grattò la testa e non commentò.

Alex e Luke si sedettero in silenzio, lanciandogli solo una breve occhiata.

- Sì. - Sospirai, dopo una fin troppo lunga parentesi. - Nonostante tutto lo ringrazio, - soffiai tra i denti. - Per avercelo detto con abbastanza anticipo, in modo da cercare di salvare la situazione.

Francy mi guardò scettica, ma dato che quella era la mia nuova presa di posizione, si limitò a lasciarsi cadere sulla sedia di fianco a me.

- Cominciamo? - Chiese Alex.

- Manca Max.

Alle parole di Billy mi saltò un battito.

Sapevo che si era deciso di chiamare il piccolo cerchio di persone fidate che potessero aiutare a sistemare quel che era successo, almeno prima che qualsiasi persona all'interno della presidenza se ne accorgesse. E sapevo anche che era stato chiamata Parker.

Quel che non sapevo era come affrontarlo. Avevo capito il concetto, il perché mi avesse detto quelle cose, ma non potevo non detestarlo per quel che aveva fatto. Si sarebbe potuto trovare una soluzione insieme, invece aveva accettato così facilmente di perdermi e di farmi del male.

Inoltre, le parole che ci eravamo scambiati sapevo che le avrei ritrovate nell'aria tra noi e che ci avevano cambiati per sempre.

Non sapevo nemmeno come fare per guardarlo in faccia. Non dopo avergli promesso da così poche ore di non farlo mai più.

Proprio mentre sospiravo, presa da quei pensieri, il campanello suonò per la seconda e ultima volta.

Billy si alzò senza dir nulla e andò ad accogliere l'ultima persona che avrebbe composto quella sottospecie di tavola rotonda.

I due ragazzi non ci misero molto a far la loro comparsa: lo sentii dai passi e dalla porta che si chiudeva; non trovai il coraggio di girarmi però, come paralizzata.

Si levò un lieve saluto e anche Parker si sedette al fianco di Billy e Francy.

Sentii il suo sguardo verdognolo addosso, ma, senza controllare veramente le mie azioni, mi ritrovai a farmi cadere i capelli davanti al viso, dal lato in cui lui sarebbe riuscito a vedermi.

Ci fu un altro silenzio imbarazzante e pensai a quanto lui li odiasse.

D'impeto quindi tossicchiai, interrompendolo.

- Luke, quindi?

Avevamo chiamato solo lui e non Nick per evitare di spargere ulteriormente la notizia. Non che non ci fidassimo, ma le cose erano già fin troppo complicate e a Nick, così come a Emily, avremmo dovuto spiegare tutto fin dall'inizio. Poi era stato Luke stesso a indagare più di tutti noi messi insieme quella mattina stessa e la sua presenza era sicuramente essenziale.

- Allora. - Ci guardò. - La cosa buona è che potranno leggere quello che è stato inviato solo domattina. La cosa brutta è che c'è il rischio che ci battano sul tempo. Dobbiamo arrivare in presidenza prima di loro, direttamente nell'ufficio della preside o in quello delle segretarie.

Francy si intromise: - Non puoi sfruttare tua zia anche questa volta? Devi aiutarla, no? Puoi direttamente entrare con lei e approfittarne.

Luke storse la bocca. - C'è il rischio che non sia tra le prime ad arrivare, anche oggi è stata male e ha fatto un leggero ritardo. Poi rischierei di insospettirla e quando controllo il suo computer lei non mi lascia spesso da solo. Ogni tanto capita e infatti avevo detto ad Eve che avevo la possibilità di darci un'occhiata per lei, ma domani saremo di corsa, non abbiamo tempo di aspettare che forse mi si presenti così presto l'occasione di cancellare ogni prova senza che nessuno se ne accorga, mia zia compresa.

- Quante sono le segretarie?

La voce mi fece tendere e non capii bene il sentimento che provai a sentirla di nuovo così vicina. Non era passato tanto dall'ultima volta che avevamo parlato normalmente, addirittura baciandoci, ma quelle ore sembravano cariche di mille sensazioni, pensieri, paure.

Quanto mi avevano cambiato? Quanto lo avevano cambiato? Quanto ci avevano cambiato?

Per quella breve distrazione non sentii la risposta, ma sì la seguente domanda di Parker.

- Quindi quale pensi che sia la postazione più facile da raggiungere?

Gli lanciai una breve occhiata, non credendo a come mi stessi dimenticando che su quel tavolo c'era la mia intera vita in gioco.

Non mi ero però dimenticata di Parker e lo vidi bene: la felpa scura, il viso serio, le mascelle serrate, il gesto nervoso delle mani sul tavolo.

Le dita lunghe tamburellavano in modo sordo sul legno. Le labbra erano screpolate e rotte in un taglio centrale. Le ciglia folte sembravano pesare sulle sue palpebre e gli occhi davano l'impressione di essere stanchi, leggermente socchiusi.

Parker sentì probabilmente il mio sguardo addosso, perché si girò. Riuscii ad evitare per un attimo il contatto visivo e cercai stupidamente di dissimulare iniziando a scarabocchiare qualcosa sui fogli che avevo di fronte.

Cosa stavo facendo?

Sentii lo stomaco contorcersi per l'ansia e il nervoso dell'intera giornata e per l'incapacità che avrei avuto di tornare a guardare Max negli occhi come prima.

Ma volevo tornare a guardarlo negli occhi?

Sentivo che le colpe continuava ad averle e non riuscivo a togliermele di testa.

- Sinceramente? Penso che la cosa migliore sia andare direttamente nell'ufficio della preside, - rispose infine Luke e quella volta colsi la sua risposta.

- Sei pazzo?! - Alex ci guardò uno ad uno, cercando uno sconcerto pari al suo.

- No. La presidenza è tutta nello stesso corridoio, ma le segreterie sono quasi tutte collegate. Per cancellare l'e-mail da uno di quei computer, rischieremmo non solo di essere beccati dal legittimo possessore, ma di farci vedere da altri. L'ufficio della preside è invece chiuso e separato, da lì potremmo essere visti solo al momento dell'entrata e uscita. Poi è vero che potrebbero essere le segretarie stesse a leggere per prime la nuova e-mail, ma quando si tratta di qualcosa di particolarmente importante hanno l'ordine di evitare di leggerlo e limitarsi ad avvisare la preside. Le manie di controllo della dittatrice torneranno utili per una volta.

- Il titolo dell'e-mail è sempre lo stesso: Evelyne Gray. Le foto sono nell'allegato.

Regnò un breve silenzio all'aggiunta di Clark.

Sentii una sedia spostarsi indietro, all'improvviso. Vidi con la coda dell'occhio Parker che si alzava, chiaramente innervosito.

- Max, - lo ammonì tacitamente Billy.

- Quindi, leggendo immediatamente quel titolo e l'indirizzo di provenienza, collegherebbero tutto a quanto successo oggi e avviserebbero solo la preside, senza fare altro? - Chiesi, lanciandomi nella conversazione, più per stendere quella tensione che si era creata nell'aria che per altro.

Max cominciò a camminare intorno al tavolo, senza dire nulla. Sentivo i suoi occhi addosso e mi ostinavo a ignorarli. Ero sempre più nervosa, ma la cosa importante era che non fosse partita l'ennesima litigata con Clark.

- Esatto, - commentò infine Luke. - Non è una scommessa certa, ma è quello che ritengo essere più probabile. Purtroppo niente di quel che faremo domani sarà certo al 100%. Sarebbe già un miracolo se riuscissimo a muoverci protetti da un cinquanta e cinquanta per ogni nostra azione.

- La stanza della preside è normalmente chiusa a chiave, - parlò di nuovo Parker.

Mi concentrai nuovamente sull'interessante penna di fronte a me, pur cercando di recuperare il controllo della situazione.

- Le chiavi dell'ufficio della preside, le ha solo lei o anche Joe?

- Solo lei probabilmente. Ma posso solo presumerlo. Forse anche le segretarie, ma non lo so. - Fu Luke a rispondere, graziando i miei nervi.

- Quindi dovremo probabilmente aspettare che sia lei ad aprire? - Concluse Francy.

Piombò di nuovo il silenzio tra noi.

Kutcher sospirò pesantemente, appoggiandosi coi gomiti alla tavolata. - E' impossibile...

Avrei voluto ribattere, ma sinceramente ero sempre più demoralizzata anch'io.

- Non è impossibile. - Fu Parker a tagliare corto.

Dalla sorpresa sollevai lo sguardo su di lui. Mi stava guardando e i nostri occhi si incrociarono.

Mi ricordai tutte le parole spese quella mattina.

- Dobbiamo risolvere tutto questo insieme, a ogni costo, - continuò e sembrava essere una conversazione solo tra me e lui.

Alla fine ruppi il contatto visivo, fragile come un filo di vetro, e mi ripresi grazie alle successive parole di Billy:

- Lavoreremo insieme. Come una squadra.

 

 

- Eve? Dove sei?

- Scusa zia... - Sussurrai, nel porticato davanti a casa Hans.

Mancavano sempre meno ore all'alba e, cercando con gli altri di elaborare tutto, si era fatto fin troppo tardi. Troppo anche per Lizzy.

- Non so cosa ti stia succedendo, ma la situazione ti sta decisamente sfuggendo di mano. Torna a casa. Immediatamente. Ora.

Sentire di colpo la linea che cadeva dall'altro lato mi fece capire quanto potesse effettivamente essere arrabbiata. Sapevo anch'io di aver tirato troppo la corda in quei giorni, anche per una come Lizzy che mi aveva concesso praticamente ogni libertà possibile e immaginabile per una teenager.

Io intanto ero esausta, faticavo a tenere gli occhi aperti per la privazione di sonno dei giorni precedenti. Poi, ne ero consapevole, con quel che era appena successo anche quella stessa notte non sarei stata in grado di chiudere occhio.

La porta alle mie spalle si aprì piano.

- Andiamo, Eve, mia madre mi ammazza, mi sta aspettando da ore. - Mi superò Francy, seguita da Kutcher e Luke e diretta alla macchina del primo ragazzo. Ci avrebbe riportato a casa lui.

- Domani ti passo a prendere io, ricorda.

Annuii alla mia amica.

- Mi raccomando, abbiamo poche ore di tregua, ma approfittatene per riposare. Domani che nessuno resti a letto, per carità. - Billy si affacciò anche lui dalla porta d'ingresso.

Aveva paradossalmente proposto di passare la notte insieme nello scantinato per partire così domani in orario tutti insieme, ma l'idea non era chiaramente realizzabile.

In realtà, l'unico a passare la notte lì sarebbe stato Clark. Per aiutare Billy, secondo quanto detto da questi, ma era palese che fosse solo un modo per tenerlo d'occhio ed evitare altri casini.

Per lo meno le foto in suo possesso erano state cancellate interamente e di quello non si sarebbe più parlato, nemmeno in caso di un suo ulteriore cambio di bandiera.

Mentre mi allontanavo dietro gli altri, subito dopo un breve saluto, sentii altri passi sul legno del porticato.

- Evy!

Mi girai scombussolata dall'utilizzo di quel soprannome, trovando Parker che si infilava di fretta la giacca. Avevo sperato che quella sua iniziale mancanza nell'atrio per salutarci significasse semplicemente che era meglio rimandare qualsiasi parola tra noi. Io la pensavo così e mi ero convinta che lui la pensasse allo stesso modo. Non ci eravamo infatti parlati direttamente in tutte quelle ore, in realtà nemmeno più guardati davvero.

Nelle ore precedenti aveva più che altro ascoltato, assorto nei suoi pensieri. Ora i capelli erano piegati in maniere improbabili, a causa del suo continuo passarci la mano in mezzo, con fare innervosito.

- Ti accompagno a casa io.

Mi irrigidii, non capendo cosa gli fosse successo per risvegliare all'improvviso quella reazione.

- Eviterei, - risposi e basta, cercando di dargli le spalle, in realtà col cuore in gola. Cercai di mettere a tacere il battito folle che mi assordava da dentro.

Nonostante quello, lo sentii seguirmi e, invece di prendermi per un braccio o afferrarmi, come avrebbe fatto normalmente, me lo ritrovai davanti a bloccarmi la strada.

- Parker, ha detto che non vuole! Lasciala stare! - Francy intervenne subito, facendo due passi avanti ma venendo bloccata dalla mano di Alex. Colsi comunque lo sguardo della mia amica.

Parker come me restò in silenzio alla provocazione di Francy. Cercai così di evitare di guardarlo in faccia e provai ad aggirarlo senza dir nulla.

Non mollò e si parò sempre davanti a me.

- Mi guardi, per favore?

Mi ritrovai a fissare il suolo. Avevo già incrociato i suoi occhi prima, ma ora, così da vicino, dopo quel suo comportamento, non ce l'avrei fatta.

Ero troppo confusa, troppo stanca, troppo ferita. Non volevo parlarci. Non sapevo nemmeno cosa fare o come comportarmi con lui.

Non volevo sbagliare nuovamente, sia a usare le parole, sia a perdonarlo o cacciarlo senza prima ragionarci sopra.

- Parleremo un'altra volta, devo andare da Lizzy.

- Dobbiamo parlare, almeno un attimo. Anch'io volevo rinviare, ma non avrebbe senso andare a letto senza nemmeno capire se riusciamo a scambiarci due parole.

Le parole mi colpirono, ma finsi di ignorarlo; cercai di scansarlo e lui tentò di bloccarmi nuovamente e, nella fretta che animava entrambi, finimmo per scontrarci. Per il tocco, sollevai di scatto lo sguardo.

Mi ritrovai così a pochi soffi di distanza dal suo viso. Lui, con la bocca socchiusa, pronto a dire qualcosa, si interruppe fermandosi nei miei occhi.

A riportarci alla realtà, dopo chissà quanto, fu il borbottio soffocato di Francy. La vidi all'ultimo, trascinata a forza da Alex verso la macchina.

- Ti aspettiamo dentro! - Mi gridò quello con un sorrisone, mentre infilava Francy, a cui aveva tappato la bocca, nell'abitacolo della macchina. Luke, un po' accigliato, stava già aprendo la portiera senza però commentare.

In cerca di un alleato mi voltai verso la casa alle mie spalle: di Billy e Clark non c'era più alcuna traccia.

Incrociai le braccia sentendo all'improvviso freddo nelle ultime ore della notte, lì, di fronte a Parker.

Quella giornata era stata un continuo altalenarsi tra un'emozione e un'altra.

- Ho bisogno di stare un po' da sola, Max...

Mi morsi le labbra per averlo chiamato, senza pensarci troppo, col suo nome. In quei mesi avevo involontariamente giocato molto sul modo in cui lo chiamavo. In una semplice differenza tra i modi in cui appellarlo andavano tutti i miei sentimenti: io amavo Max e detestavo Parker, quello che si era presentato davanti a me a ottobre, quello che avevo visto la mattina stessa e che mi aveva ferita deliberatamente.

Non mi capivo più. Max o Parker?

- Evy... - Soffiò, a disagio. Non lo guardavo più in volto, ma vidi chiaramente la sua mano sollevarsi tra noi. Resto lì, come le parole, nell'aria.

- Sei stato un idiota, - conclusi io. - Come posso fidarmi di te, ora?

La sua mano tornò di fianco al busto.

- Non lo so.

Mi sfuggì una risata amara.

- Però l'ho fatto per te. Volevo solo dirti questo ora.

Mi agitai a quelle parole. - Non l'hai fatto per me. Se l'avessi fatto per me, non mi avresti ferita in quel modo e non avresti detto quelle cose.

- L'ho fatto per te, Evy. Non volevo che la preside vedesse quelle foto.

- Se me l'avessi detto, avremmo trovato una soluzione insieme! - Esclamai, un po' irrazionalmente, tornando a guardarlo.

Lui, come io trovai il coraggio di guardarlo, trovò la forza di toccarmi: mi ritrovai le sue dita, forti ma in una presa non dolorosa, sul braccio.

- Cosa potevamo fare contro una persona così irrazionale? Uno che poi ha inviato comunque le foto il giorno dopo? Nonostante fossi stato a tutti i suoi patti. Evy, non so nemmeno come tu abbia fatto a fargli cambiare idea. Lui era convinto e voleva solo distruggerti. Io le ho viste quelle cose nella sua faccia e non ho avuto il coraggio di sfidarlo. Preferivo perderti io, ma farti avere il tuo futuro.

Rimasi un attimo senza parole, finché non ritrovai l'altra mano di Max sulla mia guancia.

Mi sentii di nuovo debole. Un po' per il suo tocco, un po' per il suoi occhi di nuovo così vicini.

Avrei voluto dirgli che io avevo visto lui nel mio futuro. Dunque, abbandonandomi in quel modo, non lo aveva preservato.

Scossi la testa, sentendomi gli occhi lucidi. - Io ho creduto davvero alle cose che hai detto. Come faccio ora a tornare così facilmente indietro?

- Non dovevi credermi, Evy.

Mi irritai, cercando di scansarmi dal suo tocco, ma mi afferrò nuovamente, questa volta con entrambe le mani, per i fianchi.

- Max, lasciami.

Sembrò davvero esasperato, sofferente. - Dovevo allontanarti per via di Clark, ma io ho provato per tutta la sera precedente a farti capire che non mi avresti dovuto prendere sul serio! Non potevo dirti nulla, ma ho provato a non ferirti.

- Max, come potevo pensare stamattina che mi stessi mentendo?! Puoi capire quanto fossi sinceramente confusa? O ferita?

Ci stavamo strattonando entrambi, non riuscendo a tornare alla breve tranquillità di pochi secondi prima. Ero arrabbiata, ma cercavo di mantenere un tono di voce adeguato all'orario e alla situazione. Ero infuriata con lui per avermi lasciato andare così; dall'altro lato ero però felice di poter essere di nuovo con lui. Il mio corpo esultava per la semplice vicinanza, non potendosi dimenticare quanto successo tra noi.

- E lo capisco! Ma erano cose troppo orrende quelle che ti ho detto stamattina! Ho anche esagerato di proposito, volevo salvarti, ma giuro che speravo che, esagerando in quel modo, tu potessi razionalmente capire la verità.

Scossi la testa, non abbandonandomi però alle sue braccia. - Come vuoi che le interpretassi? Io ho provato a resistere, ma dopo... dopo quel che mi hai detto su ieri sera, sul...

Lui capì senza bisogno che precisassi e la sua mano tornò sul mio volto. - Evy... Se non avessi davvero tenuto a te, pensi davvero che le due notti passate ti avrei detto di no? Pensi davvero che avrei evitato di andare oltre?

Nell'agitazione, nella rabbia, nell'insicurezza, in tutto, mi ritrovai paradossalmente ad arrossire e cercai di abbassare lo sguardo. I suoi lineamenti erano duri, ma belli come sempre.

- Se non potevo credere alle tue parole, dovevo per lo meno poter credere ai tuoi gesti. Quel non volere nemmeno... Quel non volere nemmeno far sesso con me, mi sembrava un gesto eloquente.

Cercò di sollevarmi il mento e sfuggii un paio di volte, cercando di ribellarmi. Lui insistette, e dopo qualche ulteriore inutile resistenza, riuscì nell'intento di guardarmi fin dentro.

I suoi occhi erano particolarmente scuri, ma li riconoscevo. Riconoscevo il volto, le labbra, il naso, il neo. Mi sembravano sinceri. Potevo crederci?

Clark aveva confessato. Francy, Billy, Luke, Lizzy e poi Clark, concretamente, avevano cercato di spazzare via ogni mio dubbio.

Ma una paura primordiale mi bloccava. Una paura simile alla sopravvivenza mi gridava di allontanarmi a causa del dolore che avevo provato.

- Evy... - Iniziò, scostando per un paio di secondi gli occhi a disagio; poi tornò su di me, più deciso di prima. Sapevo quanto costasse a Max parlare, soprattutto per mettersi a nudo in quel modo.

- Dopo il mio compleanno, avrei voluto fare l'amore con te mille volte.

Come un'idiota mi ritrovai ad avvampare a quell'utilizzo di parole e cercai di nuovo di allontanarmi. Lui mi fermò deciso e non continuò finché non ebbe la mia attenzione e il mio sguardo.

- Però, per quel che era successo, perché avevi bevuto, perché non si capiva nulla e, soprattutto... Soprattutto perché non sapevo se avrei avuto il coraggio di prenderti per mano; io non potevo farlo con te.

- Cosa vorresti dire?

Sospirò, zittendosi e sicuramente intenzionato a tacere su qualcosa.

- Poi, il giorno dopo, essendo stato minacciato da Clark, consapevole di quel che sarebbe successo, come potevo fare qualcosa del genere? Seth mi aveva detto di usare la storia della scommessa, ma la volevo usare a mio vantaggio. Speravo tu non fossi così tonta da credere che una persona che davvero vuole farti del male, arrivando a tanto, dopo mesi poi si fermi davvero a quel punto. Davanti a del sesso.

Portai le mani sul suo petto, cercando di allontanarlo, punta sul vivo. - Non è questione di essere tonta o meno! Ma hai mirato... hai mirato alle mie insicurezze.

- Se fossi stato davvero lo stronzo che ho finto di essere stamattina, ti avrei portata a letto alla prima occasione, proprio per farti del male.

- Me ne hai fatto comunque. - Mi lamentai. Ormai sentivo però una specie di vergogna strana, ci misi un po' a identificarla nel silenzio, mentre mi rifiutavo ulteriormente di guardarlo.

- Mi dispiace di averti fatto anch'io del male. - Confessai infine, riferendomi a quanto detto su lui e suo padre.

- Guardami mentre lo dici, - disse e lo ritrovai davanti a me con un piccolo sorriso che sembrò portare luce all'inquietudine che avevo dentro.

- Mi dispiace per quel che ti ho detto.

- Ti lamenti che ho mirato alle tue insicurezze. Stupide, tra l'altro. Poi guarda chi fa lo stesso... - Tentò una specie di presa in giro, cercando di alleggerire i toni con un'occhiata circospetta. C'era però un'ombra sul suo viso e sapevo che le parole che gli avevo lanciato contro avevano lasciato feritea perte.

Mi spostai un ciuffo dal volto, provando a prendere tempo. - Non avevo più davanti la persona che pensavo di conoscere. Ti sei mostrato come il Parker degli inizi di cui non sapevo nulla.

I suoi occhi si appesantirono nuovamente.

- Tu sai chi hai davanti, Evelyne; l'hai sempre saputo.

- Non è vero, ho continuamente cambiato idea su di te. - Risi un po' amaramente.

- Certo. Ma non saremmo arrivati a questo, se fin dall'inizio non avessi sentito che c'era almeno qualcosa di positivo in me. Qualcosa di buono che ti facesse aprire.

- O forse sono troppo buona io... - Provai a scherzare.

Sorrise un attimo, ma continuando a guardarmi con insistenza.

Io compresi pian piano la situazione: le sue parole stavano arrivando alla testa dopo essere passate prima per le mani, ormai stabili sul suo petto, e per il cuore, un po' rischiarato.

Mi staccai e questa volta assecondò il mio gesto. Era però sorpreso.

- Devo andare a casa.

Stette in silenzio per qualche secondo che sembrò interminabile.

- Domani, dopo aver risolto, dobbiamo parlare. Però per bene, non così, tra i nostri amici.

- Lo so.

Abbozzò un sorriso. - Notte.

Con quelle ultime parole corsi finalmente verso la macchina di Kutcher.

Parker non guardò più verso di noi, ma finché fu a portata di vista dal mio finestrino, non lo vidi più muoversi.

Nessuno commentò nulla all'interno della vettura.

Io ero sempre più scombussolata.

Non sapevo come mi sarei dovuta comportare con Max.

Non sapevo come sarebbe andato il nostro piano l'indomani.

Non sapevo nemmeno cosa mi avrebbe atteso a casa da Lizzy.

Non sapevo cosa aspettarmi da Parker il giorno dopo; sempre che arrivassi viva e vegeta al momento di parlarci.

Non sapevo infine che mancassero 5 ore al mio probabile fallimento.

 

 

- Oggi non hai detenzione dopo le lezioni, quindi vieni direttamente a casa, Eve; senza scuse.

L'orario in cui avevo finito per rincasare era stato esagerato anche per la mia fin troppo comprensiva zia.

In particolare quell'orario, ripetuto con le trasgressioni dei giorni precedenti, l'avevano portata al suo limite.

Non aveva poi sicuramente aiutato il fatto che fossi tornata accompagnata dagli altri, senza la mia macchina che era ancora rinchiusa nel parcheggio sotterraneo e pronta essere liberata solo una volta che fosse arrivato l'orario di apertura del supermercato.

Non avevo potuto spiegarle la situazione con chiarezza, in modo razionale, e lei fiutando le bugie si era arrabbiata come l'avevo vista fare poche volte. La paternale era iniziata da quando ero rincasata e non sarebbe finita presto.

Normalmente mi sarei sentita notevolmente in colpa: Lizzy sarebbe partita domenica per pranzo, dovendo tornare a lavoro a New York. Quella settimana era riuscita a restare a lungo, lavorando in casa, ma il problema era che tra i vari eventi di quei giorni il tempo passato insieme era stato minimo e le avevo dato solo preoccupazioni: non mi ero goduta quelle eccezionali e lunghe giornate insieme.

Purtroppo però non avevo tempo nemmeno per preoccuparmi di qualcosa di così essenziale come mia zia.

Mi infilai la giacca e la guardai un po' a disagio. - Okay, zia. Scusa.

La sua espressione non mutò e continuò a guardarmi nello stesso modo dal fondo del corridoio.

- Poi perché esci così presto? Le lezioni iniziano tra più di un'ora.

Infatti le nostre occhiaie testimoniavano le pochissime ore di sonno di entrambe.

- Devo arrivare prima per concludere un progetto.

Colse di nuovo la bugia. Elizabeth scosse la testa e schioccò la lingua, per poi andarsene in cucina a bere il caffè, irata come non mai.

Le chiesi mentalmente scusa, sapendo però che non sarebbe arrivato facilmente il giorno in cui poterle spiegare tutto ed essere capita e perdonata.

Uscii di casa di corsa con la tracolla in spalla e mi precipitai in macchina di Francy.

- Dai, Eve!

Mise in moto praticamente subito.

- Siamo in ritardo, per sicurezza sarebbe stato meglio arrivare una decina di minuti prima, - borbottò, lanciando un paio di occhiate sopra lo stereo.

- Lo so, scusa, ma mia zia era molto più arrabbiata del previsto.

Francy sospirò. - Dai, tra poco sarà tutto finito. - Il suo sguardo, stanco come il mio, faceva capire che anche lei non fosse riuscita a chiudere occhio.

L'agitazione per quel che stavamo per fare aveva probabilmente mangiato per ore tutti noi, immischiati nello stesso folle piano. Ai miei tentativi di dormire si erano poi opposti anche i tormenti vissuti in quella giornata. In particolare, com'era ovvio, Max Parker aveva tormentato la mia notte, non facendomi minimamente chiudere occhio.

Avevo sognato le litigate, le sue frasi a notte fonda, le sue mani, i suoi occhi: lui, lui e lui.

L'amore faceva decisamente impazzire. Ero terrorizzata per la questione delle foto, per la preside, per il mio futuro; eppure il mio subconscio mi aveva presentato per tutta la notte solo le immagini di quel ragazzo, come se dentro fossi stata più preoccupata su quale fosse il nostro esito finale. Su quello che ci saremmo detti.

Ero ormai sicura che Parker volesse recuperare il rapporto con me. Paradossalmente tutto il dolore del giorno precedente provava che lui ci teneva. Però, dopo quel che era successo, dopo quel male, potevo riprendermi una persona che non era nemmeno in grado di prendermi la mano?

Avevo accettato quel lato di Parker, avevo deciso anche di ignorare l'impasse in cui eravamo caduti per crogiolarmi nel calore del suo abbraccio.

Ma ora, vedendo dove eravamo arrivati e quel che era successo, sentivo di non voler più un amore che, alla lunga, mi avrebbe portato a soffrire in quello stesso modo.

Mi serviva qualcuno che scegliesse di stare con me. Insieme a me.

Parker aveva detto che, cedendo al ricatto di Clark, aveva dimostrato di rinunciare a me per permettere il mio futuro.

Solo a ripensarci il cuore mi batteva a mille, ma sarebbe bastato?

Io volevo un futuro insieme. Qualcuno che non rinunciasse a me, ma che lottasse con me.

Aveva detto di tenerci e di non aver approfittato della situazione: di non essere andato a letto con me perché non era sicuro nemmeno che avrebbe mai avuto il coraggio di stringermi la mano.

Forse era a causa del dolore del giorno passato, ma non sarei riuscita a tornare con leggerezza a baciare Parker.

Continuavo ad essere follemente innamorata di lui, probabilmente più di prima, però quel dolore, quelle situazioni mi avevano fatto capire che dovevo amare più me stessa.

Non potevo accettare quello che c'era stato prima tra noi. Quell'impasse, quell'equilibrio precario ci aveva portato esattamente lì.

La notte era trascorsa insonne in quel modo, perché sapevo che quel qualcosa in più non mi sarebbe mai arrivato da Max Parker. E senza quello io non potevo accettare di tornare indietro.

Lui non prendeva la mano a nessuna, no?

- Eve, mi ascolti?

Francy mi riportò velocemente alla realtà e cercai di fare mente locale. Sicuramente quei pensieri erano importanti, ma l'ordine delle cose voleva che risolvessi prima la questione delle foto. Soltanto risolvendo quello avrei poi potuto affrontare Parker e lui sarebbe riuscito ad affrontare me.

- Scusa. Allora... ho sentito Billy: lui e Clark sono già davanti alla biblioteca. Aprirà prima dell'inizio delle lezioni, dunque pensano di fare in tempo.

Il nostro lavoro di squadra si divideva essenzialmente in due parti: prima di tutto si era pensato, come diversivo, di mandare molte più e-mail all'indirizzo scolastico; in secondo luogo, noi a scuola avremmo provato a introdurci nell'edificio scolastico e poi nell'ufficio della preside.

Della prima parte si sarebbero occupati Clark e Billy. Volevamo evitare, con quella specie di spam, che le segretarie leggessero proprio l'e-mail incriminata. Eravamo quasi certi che queste si sarebbero limitate ad avvisare la preside, senza procedere autonomamente alla lettura, ma, anche nel caso, volevamo provare in questo modo a diminuire le probabilità che fosse letta esattamente la prima e unica e-mail incriminante.

Inoltre, avevamo pensato all'ulteriore eventualità che fosse effettivamente comunicata la presenza di una e-mail alla preside, prima della sua cancellazione.

In quel caso, anche fossimo riusciti secondo i piani a eliminarla prima che la generalessa effettivamente la leggesse, sarebbe apparsa poi sospetta l'assenza nella casella postale di qualsiasi traccia. Si sarebbe intuita forse una manomissione e, insospettendo un intero istituto, non volevamo rischiare che qualcuno di più esperto di noi fosse chiamato e fosse in qualche modo in grado di rintracciare quanto era stato inviato.

Nessuno di noi era veramente un esperto del settore, chi possedeva qualche minima conoscenza al riguardo era sicuramente Luke, ma non potevamo parlare assolutamente di un ragazzo in grado di controllare una situazione così delicata.

Come ulteriore precauzione, avevamo poi elaborato l'idea di spedire comunque le e-mail sempre dallo stesso luogo.

Dubitavamo che potesse essere mai chiamato un qualche tipo di esperto, ma volevamo tutelarci così anche da un'eventuale intervento successivo, in grado di individuare la provenienza delle e-mail.

Era chiaro che, volendo indagare, sarebbero infine risaliti a Clark per via del suo utilizzo dei computer e dei server della biblioteca comunale, ma quantomeno una verifica di tal tipo sarebbe stata meno incriminante della rilevazione di e-mail spedite successivamente da casa Hans o di qualcuno legato a me.

Probabilmente si trattava di misure di sicurezze eccessive o paradossalmente inutili, soprattutto per il fatto che io potevo essere distrutta dal fallimento della sola seconda parte del nostro piano e non tanto dalla prima.

In ogni caso, Clark con le sue credenziali avrebbe proceduto in quel modo, accompagnato da Billy.

Perdevamo sicuramente l'aiuto di Hans a scuola, ma, anche se nessuno lo aveva espresso a parole, non ci fidavamo a lasciare un compito delicato di quel tipo solo a Clark che, pentito o non pentito, con o senza foto, rischiava ancora di combinare guai.

Avevano quindi in progetto di spedire almeno una decina di e-mail e, una volta provveduto, Billy avrebbe pensato ad avvisare tutti noi rimasti a scuola.

- Perfetto. - Francy sospirò. - Mi sento molto 007, ma vabbé.

Ridemmo insieme, in realtà entrambe super innervosite dalla situazione.

Arrivammo così nel parcheggio del nostro istituto e Francy si fermò di fianco alla macchina di Kutcher, a sua volta di fronte a quella di Parker. Entrambe erano posizionate a distanza di sicurezza rispetto al cancello del cortile scolastico, ancora chiuso per l'orario. La vicinanza al bar di Jack e la presenza di qualche avventore mattiniero, apparentemente estranei all'ambiente scolastico, ci lasciavano in una specie di check in protetto.

Scendemmo e lì, appoggiati al baule della macchina di Alex, trovammo i proprietari dei veicoli e Luke.

L'aria era decisamente tesa.

Scambiai una breve occhiata con Max, mentre partiva un saluto generale.

- C'è traccia di Joe? - Chiese Francy, guardando con circospezione oltre la macchina, verso il cancello.

- Ancora no. - Si lamentò Luke, dando un'ulteriore occhiata all'orologio.

- Sarà abbastanza problematico superarlo. - Alex sospirò, appoggiandosi a Francy solo per il gusto di toccarla.

Max continuava a guardarmi, come indagando sul mio umore. Cercai di ignorarlo il più possibile e in quel modo non potevo capire nemmeno io cosa gli passasse per la testa quel giorno.

- Abbiamo tutti presente il piano d'azione?

Tutti annuirono, anche se non convinti, alla mia domanda.

C'era sicuramente un piano d'azione: erano state individuate delle linee guida per tutti noi, in modo da non ritrovarci dispersi, senza alcun tipo di orientamento, all'interno dell'edificio scolastico. Nonostante questo, eravamo ben consapevoli del fatto che ci fossero troppe incognite e la mancanza di convinzione era dovuta a quello. Non eravamo minimamente a conoscenza di cosa accadesse di prima mattina, di come si “risvegliasse” il nostro liceo, di quante persone avremmo potuto incrociare.

Era praticamente certo che le cose non sarebbero filate lisce e, anche nel migliore dei casi, qualcuno sarebbe stato sicuramente beccato.

Il piano infatti prevedeva un certo numero di “pali”. Ci saremmo mossi tendenzialmente a coppie e, a evenienza, uno dei due avrebbe dovuto rallentare l'eventuale ostacolo, per permettere agli altri di avanzare.

Senza contare il fatto che Max sarebbe stato necessariamente sgridato.

Moralmente tutto quello mi dava più di un problema: non avrei voluto portare qualcuno con me nella tomba e non avrei voluto risolvere tutto per me stessa incasinando però uno dei miei amici.

Tutti però avevano espresso fermamente la loro volontà di continuare.

Proprio mentre meditavo su quello, come del resto gli altri, notammo movimenti familiari.

Un pick up arrivò dalla strada principale, introducendosi nel nostro parcheggio, nei pressi della palestra.

Noi cercammo di restare dietro le macchine, senza però nasconderci in un modo che fosse sospetto.

Joe, come immaginavamo, scese dalla vettura e ondeggiando si diresse prima di tutto verso la palestra.

Ci scambiammo varie occhiate. L'uomo, ignaro, maneggiava quello che era probabilmente un mazzo di chiavi e si apprestava ad aprire la palestra.

Ci trovavamo a una certa distanza che non poteva essere accorciata brevemente se non di corsa.

Ci preparammo, chiudendo le macchine coi nostri rispettivi zaini all'interno. L'unico a restare in “divisa” da studente, borsa in spalla, fu Luke.

- Vado? - Ci chiese esitante.

- No, - risposi. - Non sapremmo dove nasconderci noi. Deve aprire il cancello e la scuola prima che tu possa distrarlo.

- Limitiamoci al cancello, poi restiamo dietro gli angoli del recinto scolastico. Luke, quando lo allontani o distrai abbastanza, parla forte così noi possiamo capire in qualche modo di poter avanzare, nel caso non riuscissimo a vederti. - Fu Max a correggere e notai in che stato di tensione fossimo ormai tutti. Notai anche che Alex e lui la stavano vivendo con una certa lucidità, quasi gli anni da sportivi li avessero un po' temprati alle situazioni di tensione.

- Per fortuna c'è solo Joe.

Un sorriso ci scappò alla constatazione di Alex. In effetti sarebbe potuta andare molto peggio. Dubitavo che lavorasse solo lui, ma evidentemente il personale di pulizia, da noi visto solo raramente, giungeva al termine delle lezioni e non di mattina presto.

Passarono un paio di minuti che sembrarono eterni, poi potemmo vedere di nuovo Joe.

Il bidello si avviò verso il cancello: lo aprì e, un po' a fatica, lo spalancò del tutto, da un lato e dall'altro; fatto quello, si introdusse all'interno del cortile scolastico.

Noi ci spostammo subito dopo. Luke si avviò verso l'entrata dissimulando calma, mentre noi cercammo di portarci al punto cieco a cui aveva pensato Max, con un passo svelto ormai simile a una corsa.

Joe fortunatamente restò fuori dalla nostra portata visiva: probabilmente stava aprendo la scuola.

Appena raggiunsi la parete controllai, appoggiandomi di spalle ai mattoni umidi, che non fossero arrivate altre macchine. Il parcheggio continuava ad essere relativamente vuoto, con una certa animazione solo nei pressi del bar.

Francy mi appoggiò una mano sulla spalla, facendo cenno a Parker. Mi girai in sua direzione: era davanti a me, appoggiato con la schiena alla parete; dava ogni tanto occhiate di sfuggita alle sue spalle, dietro l'angolo, per controllare la situazione nei pressi dell'entrata.

Nessuno disse nulla e nessun altro interruppe il silenzio.

Vidi con la coda dell'occhio Kutcher che prendeva per mano Francy in modo dolce e tranquillizzante.

Cogliendo quel gesto, la mia attenzione tornò su Max al mio fianco. Si girò in quel momento.

- Che ora è? - Fu la prima domanda diretta che mi rivolse quella mattina. Non capii se fosse a disagio o semplicemente troppo concentrato su quel che stava per accadere, ma era fin troppo serio per essere il Parker a cui ero abituata io.

Evidentemente esitai troppo perché a rispondere fu Francy dopo una rapida occhiata all'orologio da polso. - Tra una quindicina di minuti dovrebbero aprire per tutti, circa mezz'ora prima delle lezioni.

Max mostrò segni di nervosismo come tutti noi. Eravamo sicuramente stati fortunati fino a quel momento, non c'era ancora anima viva e quello ci avrebbe permesso sicuramente di continuare a passare inosservati. Forse ci era complice la casualità che si trattasse di un venerdì e che quindi tutti tendessero a prendersela più comoda, ormai prossimi al weekend. Nonostante quello e nonostante la permissività che accompagnava quel giorno della settimana, era questione di pochi minuti prima che arrivassero preside e segretarie e gli alunni e professori più mattinieri.

Proprio in quel momento iniziammo a sentire quella che sembrava essere la voce di Luke.

- Non osare entrare da solo! - Quello era Joe, praticamente urlante nella sua versione standard.

- Ma non c'è bisogno che mi accompagni, Joe! Vado da solo in palestra e controllo se ho lasciato il cellulare, sarà una cosa veloce. Fidati di me.

- Ho detto di no! Vi conosco voi studenti, chissà cosa combineresti...

Max, che si stava sporgendo sempre dall'angolo, ci fece cenno con la mano di stare pronti.

Francy ridacchiò e un leggero divertimento inclinò anche le mie labbra.

Luke, che conosceva il bidello quanto noi, aveva facilmente trovato il modo per farsi seguire da Joe: dirgli di non volerlo con sé e di lasciarlo vagare liberamente nell'edificio scolastico adiacente.

Sentimmo ancora un qualche tipo di discussione allontanarsi man mano, finché Parker stesso non ci fece segno e uscì allo scoperto.

Lo seguii di getto, però appena svoltai l'angolo vidi a non molta distanza, proprio davanti a noi, la schiena di Luke e Joe nei pressi della palestra. Nessuno dei due era ancora entrato e sarebbe bastata la minima occhiata perché il bidello ci notasse. Terrorizzata da quella constatazione, mi bloccai immediatamente sul posto. Francy e Alex, che avevano appena svoltato l'angolo, mi finirono addosso, facendomi quasi cadere a terra per il contraccolpo.

Max si girò e vide sorpreso che mi ero appena bloccata.

- Fate piano e andiamo! Muovetevi!

Mi prese per il polso e mi tirò a sé: ancora prima che potessi realizzarlo stavamo avanzando, senza correre per non attirare attenzione, ma a un passo deciso che sicuramente non poteva essere accostato ad alunni che si avviano serenamente a scuola.

Non resistetti alla presa e alla direzione che mi fece prendere e mi sentii subito seguire dagli altri due.

Joe fortunatamente era entrato in palestra, seguito per ultimo da Luke che, chiudendosi la porta dietro, non si era nemmeno voltato per non rischiare di attirare l'attenzione dell'uomo al di fuori di quella struttura.

A parte distrarre il bidello per quanto necessario a consentirci l'acceso a scuola, il ruolo di Luke prevedeva l'attesa della zia davanti all'entrata, per introdursi così il prima possibile anche lui o, nel peggiore dei casi, per avvisarci dell'arrivo della preside prima che potesse coglierci impreparati nella stessa presidenza.

Proprio mentre oltrepassavamo il cancello, entrando così nel cortile scolastico, vidi di sfuggita arrivare le prime macchine, chiaramente intenzionate e fermarsi nei pressi della scuola.

- Sta arrivando qualcuno! - Squittì Francy e lei e Kutcher ci affiancarono.

- Non guardatevi indietro e andiamo. - Tagliò corto Max, accelerando però il passo. Fu imitato da tutti noi.

Solo una volta entrati, dopo aver aperto la porta cercando di fare meno rumore possibile, Max lascio sciogliere la presa dal mio polso.

- Non pensavo fosse possibile, ma la prima parte è andata, - sospirai dopo un breve silenzio, cercando di rassicurare tutti e me per prima. Vidi gli altri leggermente increduli e spaesati come me. Parker era quello all'apparenza meno agitato, ma ero a conoscenza del modo in cui sapeva celare i propri sentimenti.

- Allontaniamoci da qua intanto...

Nessuno aggiunse altro, ma ci spostammo dall'atrio, avviandoci verso l'interno della scuola.

Tutto era stranamente silenzioso. Le luci ancora tutte spente, ma avendo ormai albeggiato non c'era effettivamente bisogno di attrezzarci diversamente. I raggi opachi del primo mattino tagliavano gli angoli delle finestre e i corridoi, allungando le nostre ombre al passaggio.

- Grazie, - aggiunsi dopo un po' a indirizzo di Max, camminando e distogliendo finalmente lo sguardo dal pulviscolo che vibrava nella luce solare.

Mi guardò sorpreso, poi sorrise e per un secondo mi rasserenai sinceramente. Per l'ennesima volta, in quello scenario, in quel silenzio, cancellai tutto. La sensazione di benessere durò però pochi secondi.

Arrivati al primo incrocio di corridoi ci fermammo e io tornai con i piedi per terra.

- Ci dividiamo qui allora, - disse Max, di nuovo serio.

Francy ed io annuimmo.

- Muovetevi prima che rientri Joe.

Da quel momento in poi le cose si sarebbero complicate. Io pregai con tutto il cuore di poter trovare la presidenza aperta, in modo da risolvere tutto il prima e più facilmente possibile.

Il punto era che difficilmente le cose sarebbero andate in quel modo e per quello ci saremmo separati.

Parker e Alex sarebbero andati a prendere le chiavi dell'aula multimediale: da lì ci sarebbe stata la possibilità, per lo più inutilizzata nella nostra scuola, di usare gli altoparlanti. I comandi erano stati inseriti lì per la volontà iniziale che fossero adibiti alla rapida trasmissione di notizie all'intero edificio o per far risuonare radio o musica in particolari occasioni. L'inutilizzo finale in cui era sfociata quell'apparecchiatura era dovuto al semplice fatto che la preside, dovendo camminare fin lì, avesse sempre preferito mandare una delle sue segretarie se era necessario chiamare qualcuno o fare qualcosa nello specifico. Tra l'altro non avrebbe poi avuto motivazioni, a suo dire razionali, per far sentire della musica allo studentato.

Noi speravamo che funzionassero ancora bene. Erano stati utilizzati per l'ultima volta a dicembre, per la trasmissione di canzoni natalizie l'ultimo giorno prima dell'inizio delle vacanze. Chi avesse potuto convincere la preside a porre in essere un comportamento così fuori dal suo carattere non c'era dato saperlo. A cercare più indietro nel tempo, riuscivamo a ricordarci la comunicazione di un messaggio per microfono a inizio anno scolastico, come ben augurio.

Il piano prevedeva che, una volta impossessatisi delle chiavi, Kutcher facesse da palo, mentre Max avrebbe parlato, facendosi sentire per tutto l'edificio, con lo specifico obiettivo di richiamare la nostra amata dirigente scolastica.

Era chiaro che Parker ne sarebbe uscito inevitabilmente punito, ma se le cose fossero andate secondo i piani, avremmo così evitato che la preside controllasse la propria posta subito dopo essere entrata in ufficio.

Avrei voluto che un compito del genere fosse assunto da Clark, come compensazione per tutto quel che era successo, ma nessuno si era veramente fidato della sua effettiva realizzazione in maniera autonoma di qualsiasi parte del piano.

Detto questo, se la generalessa non si fosse occupata di Parker? Se non fossimo riusciti noi a far capire ai ragazzi il momento giusto in cui iniziare la comunicazione, in quel breve lasso di tempo tra l'apertura dell'ufficio e l'accensione del computer? Se loro fossero stati beccati prima del dovuto, non riuscendo Alex ad allontanare Joe o chiunque altro? Se le chiavi dietro la scrivania di Joe fossero state richiuse al sicuro, come il bidello avrebbe poi dovuto fare sempre?

In tutti quei casi per noi ci sarebbe stato un probabile game over.

- State attente. - Ci mise in guardia Kutcher, visibilmente preoccupato.

Non risposi, più ansiosa io per loro, e guardai Max. - Avvisate con un messaggio quando siete pronti, tu nell'aula e Alex pronto a vedere se la preside arriva o meno. Non iniziate poi, mi raccomando, finché non sentite qualcosa da noi o più probabilmente da Luke.

Annuirono. Gli occhi di Max continuavano a essere fissi nei miei.

- Cercate di evitare di farvi trovare lì dalla preside. Se anticipate il suo arrivo, basta solo distrarla, non c'è bisogno di arrivare a una vostra cattura, - disse Francy, dando voce ai miei pensieri.

Sorrise alle parole, guardando però sempre me. - Una sgridata in più o una in meno, cambiano qualcosa? Comunque voi pensate a cancellare le e-mail, io la richiamerò a me facilmente: sapete benissimo che la preside mi riconoscerà subito e che non può resistere al mio richiamo. In particolare perché so come esasperarla.

Sentii in qualche modo di potermi immedesimare in quella povera donna.

Fui sul punto di ribattere, ma, a forza di chiacchiere, sentimmo dall'atrio i rumori della porta che si apriva.

Ci fu un verso di sorpresa tra noi, poi ogni coppia andò di fretta verso la sua strada. Mi salutò uno sguardo verdognolo.

Il verde portava fortuna, no?

 

Poco dopo, a passo di corsa, cercando però di fare meno rumore possibile, avevamo raggiunto la presidenza.

Anche quella zona sembrava essere deserta: principalmente perché tutto davanti a noi era spento e, con le tapparelle delle finestre abbassate, il buio iniziava a pesare sulla nostra vista.

Non avevamo idea di chi fosse appena entrato nell'atrio: poteva essere solo Joe o altro personale scolastico; chiunque fosse poteva essere diretto verso il lato opposto dell'edificio, oppure esattamente lì dove ci trovavamo noi.

Feci cenno a Francy. Entrambe avevamo il fiatone, dovuto principalmente al batticuore per la corsa e l'ansia.

Lei annuì e mi seguì guardandosi alle spalle. Giungemmo finalmente alla porta dell'ufficio della preside, il primo a cui si arrivasse entrando in quell'ala. Successivamente c'erano altre tre stanze: due a sinistra, una a destra, riservate tutte alla segreteria. In fondo al corridoio una piccola porta con un cartello scritto a mano indicava la presenza della toilette.

Cercai di aprire la porta.

- Merda, - imprecai, girando più e più volte il pomo.

I piani ovviamente si complicavano, come da prognostico.

Francy non aggiunse altro e velocemente si diresse verso gli uffici. Lei controllò quello a destra: chiuso. Io intanto l'avevo affiancata e, in un attimo, trovai le altre due porte nelle stesse condizioni.

Ci lanciammo uno sguardo veloce: ce l'aspettavamo. Avevamo dubitato anche durante l'elaborazione del piano che, per quanto sprovveduti, lasciassero tutti gli uffici e il materiale al loro interno così a libero accesso durante ogni notte.

Come anticipato dunque, tentammo l'unica via rimasta: il bagno.

Sentimmo proprio in quel momento un rumore di tacchi provenire in lontananza e un leggero chiacchierio.

Aprii subito la porta, trovandola fortunatamente aperta. In caso contrario ci saremmo infatti trovate in un vero e proprio vicolo cieco, non potendo avanzare e non potendo tornare indietro verso chi ci stava raggiungendo.

Francy ed io ci precipitammo all'interno nel modo più veloce che il cigolio della porta ci consentisse.

Quando la porta si chiuse alle nostre spalle, sospirammo di sollievo.

Lì l'unica finestra, davanti ai lavandini, illuminava l'ambiente.

Ci chiudemmo dietro una delle varie cabine, quella più lontana dalla porta. Lo spazio era poco, al centro si trovava giusto il water e lo spazio per noi due.

- Luke non ha ancora detto nulla?

- Forse è ancora impegnato con Joe. Aspetta... - Estrassi il cellulare, confermando la mancanza di nuovi messaggi.

- Cazzo... - Borbottò Francy, palesemente innervosita.

La stessa tensione colse anche me. C'era qualcuno in presidenza e non sapevamo chi; poteva trattarsi della generalessa stessa. Luke teoricamente avrebbe dovuto anticipare il loro arrivo dall'entrata.

- Calmiamoci. Ieri prima di vedere l'e-mail hanno tardato un po' di ore, se Clark l'aveva effettivamente inviata il pomeriggio precedente. - Cercò di rassicurarmi.

Quel che diceva Francy era sicuramente vero, però ero anche sicura che quel giorno sarebbero stati tutti più sull'attenti.

In quell'esatto momento mi arrivò un messaggio. Scattammo entrambe.

- E' Billy, entrano ora in biblioteca. - Bofonchiai, seccata della mancanza di notizie da parte di Luke.

Inviai così un messaggio a tutti gli interessati informandoli di aver trovato la porta chiusa e di essere in attesa in bagno.

Restammo per un numero imprecisato di minuti in silenzio, con i cellulari in mano alla ricerca del minimo segnale.

Nel bagno regnava la calma e, a concentrarci, ci sembrava di sentire ogni tanto rumori al di là della porta, mentre la scuola stessa si risvegliava.

Avevo appena iniziato a mangiarmi le unghie, in un gesto di nervosismo che mi era estraneo, quando gli schermi dei cellulari si illuminarono, il mio dopo una brevissima vibrazione.

- “Ho dovuto aiutare Joe ad aprire la scuola e non mi ha lasciato un attimo. Iniziano ad arrivare studenti. Mi avvicino e aspetto mia zia nei pressi della presidenza”, - lesse sottovoce Francy.

Lo star ricevendo un qualche tipo di notizia ci consolò.

Quella separazione in gruppetti, necessaria ai nostri fini, mi innervosiva per la mancanza di comunicazione diretta.

Proprio mentre stavo iniziando a preoccuparmi perché la scuola si sarebbe riempita man a mano di più, sentii il cellulare vibrare leggero per la telefonata di Billy.

La seconda parte de piano era per lo meno andata a buon fine: le e-mail spam erano state inviate.

Sorrisi alla mia amica e lei ricambiò con un sospiro.

- Alex e Parker non ci stanno mettendo troppo? - Chiese Francy, dopo altri minuti di interminabile silenzio.

In quel esatto momento la porta del bagno si aprì.

Francy ed io ci lanciammo occhiate di puro terrore.

Cercai di riprendermi il prima possibile e le feci cenno di restare in silenzio appoggiando l'indice sulle labbra; controllai nuovamente di aver chiuso la porticina a chiave.

A essere entrate erano state due donne: iniziarono una piccola conversazione distratta, una volta che la porta si richiuse alle loro spalle con un tonfo.

- La preside dovrebbe arrivare presto, no? - Aggiunse una delle due.

- Sì, diciamo è strano che non sia già qui.

Regnò per qualche breve minuto il silenzio, dopo che sentimmo altre due cabine aprirsi. Per fortuna non avevano provato a entrare in quella occupata da noi.

Approfittai del rumore di fondo per abbassare la tavoletta del wc e, seppur non entusiasta, feci cenno a Francy di sederci entrambe lì. Da sotto la porticina di legno che ci divideva dalle altre due donne avrebbero potuto notare i nostri piedi.

Molto piano e complici dei loro rumori, riuscimmo a sederci entrambe e a sollevare le gambe di quanto fosse necessario.

A un certo punto sentimmo di nuovo gracchiare le porte e subito dopo l'acqua scrosciare giù dal rubinetto.

- Comunque sì, è particolarmente strano che oggi non sia ancora arrivata. - Tornarono dopo quella breve pausa al discorso di prima.

- Perché?

- Perché ieri mi era sembrata molto innervosita dalla storia della studentessa minacciata...

- Ne ho sentito parlare da Hilary, ma non ho capito bene cosa sia successo, non ero presente.

- Ah, nemmeno io ho capito molto. Ma riassumendo: dovessi vedere qualche nuova e-mail su questa Evelyne Gray, ricordati di avvisare subito la preside.

L'altra ridacchiò. - Dubito che le troveremo già lì pronte per noi, come un regalo. Quindi prendiamoci un caffè e poi accendiamo i pc.

In quello stesso momento il mio cellulare vibrò. Cercai di mettere immediatamente giù la telefonata di Parker.

- Cos'è stato?

Ci fu una piccola esitazione.

- Boh.

Francy ed io ci scambiammo un'occhiata nel panico e non riuscimmo nemmeno a essere contente di quella chiamata che indicava solo l'avanzamento del piano. Per sicurezza misi immediatamente il cellulare in silenzioso, maledicendomi per aver preferito di accorgermi subito di messaggi e chiamate a discapito della discrezione.

Proprio mentre vedevo le scarpe di una delle donne avvicinarsi a noi, forse chiedendosi all'improvviso perché quella cabina fosse chiusa, sentimmo qualcuno aprire la porta scricchiolante del corridoio.

- Ragazze! Stavo controllando le cose per oggi e... sono arrivate altre e-mail dall'indirizzo di ieri!

Impallidii e, girandomi, notai la stessa reazione in Francy.

I piedi delle donne si allontanarono.

- Davvero?! Di già? Hai letto?

Le voci e i passi si allontanarono rapidamente, dimentiche del rumore sospetto. La porta restò aperta ancora un po', permettendoci di sentire altro.

- No, aspetterei la preside, che dite?

- Forse è meglio, non vorrei combinare un casino.

Da quel momento in poi le voci giunsero ovattate da dietro la porta.

Francy ed io rimettemmo immediatamente i piedi a terra.

- Come facciamo a capire da questo momento in poi quando arriva la preside?! - Chiese, a bassa voce, ma esasperata.

- Era sempre compito di Luke! - Le risposi innervosita col cellulare in mano e, un po' presa dal panico, feci partire una chiamata verso quest'ultimo. Non aveva più scritto nulla e non sapevamo se avesse finalmente raggiunto la segreteria o dove fosse.

- Eve! - Mi sgridò Francy.

Le lanciai un'occhiata che non ammetteva repliche. - Francy, dobbiamo sapere qualcosa, altrimenti...

Mi venne all'improvviso un'idea, un po' folle, presa dal panico, e misi giù al primo squillo, prima ancora che Luke potesse effettivamente rispondere.

- Non penso funzionerà, ma tu rimani qui. - Uscii dalla cabina in cui c'eravamo infilate e prima di chiudermi dietro la porta la guardai: - io farò finta di aspettare la preside. Tengo il cellulare in tasca e appena mi fa entrare in ufficio chiamo Parker. Se dovesse davvero corrergli dietro, dubito che mi lasci lì da sola, ma in quel caso ci penserei subito io a eliminare tutto. Altrimenti, se ti arriva uno squillo da parte mia significa che noi ci siamo allontanate e devi provare tu ad arrivare a quel computer, okay? Se non senti nulla resta invece qua.

- Non sarebbe meglio seguire i piani come da programma? Forse Luke non è in segreteria ma se è dall'entrata può comunque vedere quando arriva la preside.

Scossi la testa. - Ho paura che sia rimasto bloccato da qualche parte, tutto questo silenzio è strano. Comunque se senti sue notizie, procedi tu secondo i piani. Forse non mi avrai come palo ma ce la dovremmo fare. Grazie, Francy!

Chiusi la porta vedendo come ultima cosa il suo viso nel panico.

Io mi avvicinai all'uscita; quatta quatta, aprii leggermente uno spiraglio.

Chiaramente una persona dall'altro lato, facendoci caso, avrebbe visto una porta che misteriosamente si apriva da sola, capendo così tutto, ma ormai c'era poco a cui potessi fare davvero attenzione.

La fortuna aiuta gli audaci e volle che il corridoio mi si presentasse vuoto. Uscii quindi velocemente e, dando occhiate alle varie porte delle segretarie, ora tutte e tre socchiuse, andai oltre, fino alla presidenza.

Sbirciai nella direzione da cui sarebbe dovuta arrivare la generalessa e tentai di nuovo d'aprire l'ufficio.

L'insuccesso nel cercare di ruotare il pomello quella volta mi rassicurò.

Respirai dunque a fondo e mi allontanai, andando verso i divanetti poco oltre, in un'improvvisata sala d'attesa sempre ai lati del corridoio. Dissimulai una specie di tranquillità: la scuola era aperta e come studentessa potevo perfettamente trovarmi già lì ad attendere la preside.

Sentivo intanto dalla segreteria varie voci, ma non potevo capire né di chi, né per cosa fossero.

Passarono vari minuti senza alcun cambiamento. Durante quelli non seppi se pentirmi o meno della scelta che avevo appena fatto. Preparai comunque il cellulare: lo infilai nella tasca della giacca con il numero di Parker già inserito e un dito già pronto a far partire la chiamata. Mi sarei dovuta limitare a schiacciare il tasto verde e speravo così di proseguire col piano senza attirare l'attenzione della donna che mi si sarebbe presentata davanti.

Prima che i dubbi mi potessero portare a cambiare di nuovo idea, sentii nuovi passi e poi voci e vidi arrivare sia la preside della nostra scuola, sia una delle segretarie. Deglutii giù le paure e mi alzai, cercando di essere il più serena possibile.

La preside ci mise un attimo a focalizzarmi e mi guardò prima sorpresa, poi con un cipiglio ironico.

- Evelyne... parlavamo giusto di te.

Me lo sarei dovuta aspettare, dato che la segretaria al suo lato era senza giacca e borsa e chiaramente era andata ad accoglierla direttamente, per comunicarle il prima possibile la notizia che proveniva dalla presidenza.

- Ah sì? - Cercai di simulare perplessità e controllai di sentire ancora bene e con precisione il tasto del cellulare sotto il pollice.

- Sembrerebbe che il tuo... ammiratore abbia provveduto a spedirci altre e-mail.

Sorrisi. - Che buon spasimante.

La preside continuò a osservarmi, non facendo trapelare in che modo considerasse tutti quegli eventi. Finì per oltrepassarmi a passo lento senza mollarmi un attimo con gli occhi e, dopo aver tirato fuori di tasca un mazzo di chiavi, aprì l'ufficio lì vicino.

Io mi avvicinai e mentre la porta si apriva con un sordo ciocco cliccai sul tasto.

Pregai che le mie mani, seppur sudate, non stessero sbagliando.

- Avrei preferito delle rose però, invece di menzogne, - continuai. Una leggera inflessione della mia voce tradiva il nervosismo, ma si trattava di un dettaglio così piccolo che non pensavo la donna di fronte a me potesse notarlo.

Lei poi, più che cercare indizi nella mia voce, sembrava analizzare ogni mio gesto. I suoi occhi parevano perforarmi in tale modo che temetti follemente che potesse vedere all'interno della giacca quel piccolo movimento che le mie dita avevano appena compiuto.

- Adesso vediamo insieme. - Mi fece cenno di entrare e io e la donna che era andata a cercarla obbedimmo

La segretaria corse a tirar su le tapparelle alle spalle della scrivania, mentre la preside spostò la poltrona e accese il computer.

Partii il ronzio sordo del meccanismo di accensione. Io me ne restai impalata lì, ondeggiando da un piede all'altro.

Non potevo controllare che la chiamata fosse andata a buon fine, soprattutto perché rischiavo di dover fare un ulteriore squillo, questa volta a Francy, ed ero consapevole che ogni mio movimento avrebbe potuto determinare la fine del nostro folle piano. Risparmiai quindi l'unica occhiata in apparenza innocua che potessi lanciare al cellulare per un momento successivo.

Intanto sperai che quella mancanza di qualsiasi suono dagli altoparlanti del corridoio alle nostre spalle, non fosse dovuta al fatto che Kutcher e Max fossero stati scoperti o che, quasi peggio, il sistema di trasmissione non funzionasse.

- Come mai eri qui, Gray?

La segreteria si congedò, sorridendo alla preside e fulminando me.

Esitai un secondo, sentendomi in gattabuia ancor prima del verdetto e sperai che quel computer ci mettesse ancora un'eternità prima di essere pronto ad accendersi. - Volevo soltanto discutere di quanto successo ieri.

Per un attimo pensai all'eventualità non considerata fino a quel momento che ci potesse essere anche una password per accedere al computer, ancor prima di quella della casella postale, da noi tutti imparata a memoria grazie a Luke. Mi terrorizzava vedere come tutto stesse velocemente precipitando in un mare di incognite.

Anche si fosse verificato il peggiore dei casi, sperai comunque di non portare a fondo con me tutti i miei amici. Solo per Clark ovviamente non avrei pianto.

- Del tipo? - Continuò la donna, pronta col mouse e sguardo fisso sullo schermo, in attesa di poter procedere.

- Volevo capire se si potesse risalire a chi aveva inviato...

Mi interruppi.

Anche la preside sobbalzò.

Nonostante sapessi già che doveva succede, mi sorpresi ugualmente a sentire il fischio proveniente dagli altoparlanti.

Alla sorpresa si sostituì gioia, ma, mordendomi le labbra, cercai di nascondere l'ampio sorriso che mi sentivo sbocciare in viso.

- Prova? Prova?

Pian piano la voce trasmessa in tutta la scuola si stabilizzò e avrei riconosciuto quella di Max Parker ovunque.

In quel momento non importarono i problemi tra noi, le incertezze, le litigate, le conclusioni a cui ero arrivata, la mancanza di un futuro che prevedesse un “noi” insieme. Sentii solo di amarlo e lo ringraziai per avercela fatta.

- Cosa? - Gracchiò la preside, sorpresa come l'avevo vista solo quella volta nello sgabuzzino. Non pensavo si fosse ancora resa conto di chi parlasse, ma era davvero sempre Parker a tirarle fuori quelle emozioni così tremendamente umane.

- Sì, direi che si sente. Buongiorno a tutti! Manca ormai poco all'inizio delle lezioni, spero che siate già numerosi qua a scuola; io intanto vorrei ringraziare la nostra amabile preside per lo spazio personale che mi ha gentilmente concesso.

Max partì a manetta, come un vero e proprio speaker radiofonico e mi scappò quasi da ridere, anche se la situazione era tragica.

- PARKER?! - Urlò la donna di fronte a me. Aveva lasciato cadere il mouse a terra dalla sorpresa e il computer ronzava sempre meno, ormai probabilmente acceso, ma completamente ignorato.

Si mosse dal posto e fece per correre fuori, infuriata come non mai. Solo passandomi di fianco si ricordò di me.

- Gray, seguimi immediatamente, - ordinò fulminandomi.

Io soffocai di nuovo il sorriso. Purtroppo avevo ragionevolmente previsto quell'ulteriore esito, ma avevo sinceramente sperato di poter essere lasciata lì da sola.

Ovviamente annuii, non potendo fare altrimenti, e seguii la preside al di fuori dell'ufficio.

Intanto Parker aveva continuato a blaterare a ruota libera.

Pensai in quel momento che non si era minimamente discusso su cosa avrebbe dovuto dire. L'obiettivo infatti era prevalentemente attirare la donna e per farlo doveva semplicemente non smettere di parlare: per il resto si erano tutti fidati della logorrea di Parker.

Dopo un inizio altalenante tra sport e meteo, il tutto sparato a mitraglia come dal presentatore che deve concludere qualcosa di importante prima dell'inevitabile arrivo della pubblicità, Max tacque per un paio di secondi.

Noi eravamo quasi a metà tragitto da quanto la preside correva e, alle sue spalle, con molta più facilità del previsto, avevo già fatto la chiamata dovuta a Francy.

Ero sempre più entusiasta: la donna non aveva chiuso a chiave la porta del suo ufficio ed ero riuscita a informare la mia amica senza il benché minimo ostacolo.

Incrociammo vari studenti che ascoltavano ridendo tutto quel teatrino e ormai riempivano numerosi i corridoi.

Immersa in quei pensieri, capii con ritardo quello che Parker aveva nuovamente iniziato a raccontare: solo quando sentii il mio nome mi risvegliai.

Ormai eravamo praticamente dall'aula, ma Max aveva iniziato un nuovo discorso.

- E' ormai questione di pochi secondi prima che mi blocchino. Però volevo approfittare di questo spazio per dire una cosa a Evelyne Gray. Ho paura infatti che non mi voglia più stare a sentire faccia a faccia e quale metodo migliore di questo per costringerla a prestarmi di nuovo attenzione?

- Evelyne! Sei in combutta con lui?! - Mi gridò la preside, svoltando in uno degli ultimi corridoi. Non fui in grado di risponderle, troppo sorpresa.

Dietro l'angolo incrociammo Joe e Kutcher; quest'ultimo tenuto fermo dal bidello per il colletto della felpa. La differenza di altezza era ridicolarmente a favore di Alex, ma, in quel modo, il secondo sembrava un bambino appena beccato con le mani nella scatola dei biscotti.

Nonostante la situazione, mi fece un cenno di saluto con un sorriso a trentadue denti; la preside ordinò con un gesto secco a entrambi di attenderci lì.

- Ieri Evy ed io abbiamo litigato. Litighiamo sempre. Mi sono sempre divertito a stuzzicarla e a prenderla in giro. All'inizio non ero serio, ma poi è diventato sempre più un modo per averla vicina.

Avvampai, ormai a bocca spalancata e scoccando occhiate a ogni altoparlante che incrociavamo.

- Questa volta abbiamo litigato ed è stato diverso. Per questo lo voglio dichiarare come penitenza davanti a tutta la scuola: scusa Evy, a me piaci davvero da morire. E con questo non voglio dire quello che normalmente avrei detto per qualsiasi altra ragazza, ma, davvero, io...

Non potei sentire il continuo. La generalessa spalancò la porta dell'aula multimediale in quel momento, interrompendo “Radio Parker”.

Si sentì qualcosa volare per aria: forse un banco o una sedia che erano stati appoggiati contro la porta per ostacolare l'entrata. Tutto fu però scaraventato via senza molta fatica dalla furia della generalessa.

- Ops, - scappò di bocca a Max, col microfono in mano, appoggiato alla scrivania dell'aula. - Preside, glielo giuro che ho avuto un lapsus: volevo parlare di lei e non della Gray. Non sia gelosa. - Ammiccò e fece risuonare anche quelle parole al microfono.

La donna gli si scagliò contro; io, alle sue spalle, ormai rossa e sciolta come lava fumante, guardavo Max incredula.

Incrociai brevemente i suoi occhi, prima che Hitler lo sbattesse fuori dall'aula al suo seguito.

Mi guardò sorpreso, il verde nei suoi occhi limpidissimo. Inclinò le sopracciglia con fare interrogativo mentre la preside lo spintonava avanti e gli faceva perdere ogni nota di divertimento dalle labbra e dallo sguardo.

- Voi due! Non so cosa aveste in mente di fare, ma l'ho capito che c'è qualcosa sotto, - rimbeccò la preside furente. - Kutcher! Tu, a rapporto insieme a loro!

Troppo scombussolata, capii in ritardo la reazione di Max: io avrei dovuto essere in presidenza a cancellare l'e-mail, non di certo lì. Cercai di riprendermi e scandii un “ti spiego dopo”. Lui purtroppo sembrò preoccuparsi e quell'ulteriore reazione mi fece riprendere contatto col pianeta terra.

Sperai che a Francy fosse andato tutto liscio.

- Muovetevi!

Alex si unì staccandosi da Joe e sbuffò.

Ci avviamo tutti a passo di marcia verso l'ufficio della generalessa, in totale silenzio. Feci fatica anche a scambiare qualsiasi altro cenno d'intesa con gli altri due, dato che la donna osservava ogni nostro gesto in modo nervoso.

Quando svoltammo nella presidenza, quello che trovammo davanti a noi andò contro ogni mia qualsiasi previsione.

C'era Francy, a braccia incrociate, con lo sguardo a terra, una segretaria di fianco a lei con un cipiglio severo.

Quella vista mi fece impallidire.

- Cos'altro è successo qua?! - La preside stava dando chiaramente di matto.

Noi quattro ci scambiammo occhiate silenziose seppur eloquenti.

- Ho visto questa ragazza uscire dal nostro bagno. Non ho nemmeno idea di quando possa essere entrata.

- Mi serviva il bagno... - Sbuffò Francy, simulando bene il fastidio.

- Preside, era semplicemente con me ad aspettare ed è andata in bagno urgentemente prima che lei arrivasse... - Provai velocemente a giustificarla, ma la donna mi fulminò.

- Continuo a non capire cosa abbiate voluto combinare, ma ora voglio tutti e quattro dentro il mio ufficio.

Si interruppe e il suo sguardo fisso alle nostre spalle ci portò a girarci: Billy e Clark, d'impeto, smaglianti, avevano appena svoltato l'angolo.

Vedendo la situazione si bloccarono perplessi. Clark accennò anche un dietro-front dopo aver rapidamente squadrato la generalessa.
- Perché?! - Mi uscì, incredula, e mi tappai subito la bocca, sollevando entrambe le mani.

- Anche voi! Filate dentro! Tutti e sei! - Urlò la preside indicandoli.

- Ma noi in realtà... - Provò a spiegare Billy.

Non servì e la preside ripeté solo l'ordine, indicando il proprio ufficio.

Stipati in quel modo, ben sei ragazzi si ritrovarono davanti alla preside. Non potevamo nemmeno accomodarci essendoci solo quattro piccole poltrone, su cui in realtà nessuno di noi ebbe il coraggio di prendere posto.

Io intanto cercai come gli altri di lanciare sguardi a Billy, per chiedere silenziosamente spiegazioni.

Lui però sembrava solo comunicarci di far attenzione alla preside in quel momento e il suo sguardo non si perse nemmeno un secondo su di noi.

- Io non so davvero cosa voleste combinare.

La donna prese posto dietro la scrivania. Non ci aveva perso di vista nemmeno un secondo.

- E vedo anche come vi guardate, bimbetti. Lo vedo che siete nervosi e che qualcosa è andato storto. - Ci squadrò, uno ad uno.

Mi resi conto del mio probabile comportamento e cercai di acquistare il controllo della situazione. Non aveva senso cercare di capire in quel momento cosa fosse successo a Billy e Clark per essere venuti lì così a cuor leggero. Non capivo nemmeno dove diavolo fosse finito Luke, l'unico mancante all'appello.

Quindi feci due passi in avanti e mi lasciai cadere su una delle sedie a disposizione.

- Signora preside... penso che lei abbia frainteso. Io volevo solo parlarle; Francy era qua con me, okay, ma io non avevo la minima idea di quello che Parker e Kutcher avessero intenzione di fare. Poi non capisco nemmeno perché Hans e Clark siano qua, eppure non penso sia un crimine dirigersi verso la presidenza, o sbaglio?

- Mi pensi stupida, Gray? - La generalessa stava riacquistando la sua pace mentale e le sue espressioni non trasparivano più con chiarezza i suoi pensieri.

- Ho visto lo sguardo di Parker al vederti. Ho visto il tuo al trovare la Reeds qui. Ho visto Hans e Clark sorpresi di trovarvi con me.

Max si mosse e si sedette nella poltrona di fianco alla mia.

- Io volevo semplicemente scusarmi con Evelyne per la litigata di ieri, dovuta alla storia dello sgabuzzino. Il metodo è stato discutibile, ma non penso sia la prima volta che le faccio saltare i nervi per qualche scelta avventata, signora.

- Parker, ti sei dovuto procurare delle chiavi di prima mattina per poter fare questo. Non so nemmeno come e quando. Temo quasi che tu sia entrato prima del bidello stesso.

Max fece spallucce, mimando una faccia che sembrò quasi seriamente sarcastica. - Se l'ho fatto evidentemente non richiedeva così tanto sforzo l'impresa, no?

Billy appoggiò le mani dietro allo schienale di Parker.

- Noi abbiamo solo sentito la trasmissione di Max e siamo venuti a vederne le conseguenze. Giusto per ridere un po'. Non ci aspettavamo di trovare il corridoio così affollato e abbiamo pensato di tornar indietro per non essere d'intralcio.

La preside a questa nuova obiezione esitò un attimo.

- Beh... - Riacquistò subito la proverbiale decisione e si chinò dietro la scrivania per riportare sopra al tavolo il mouse caduto in precedenza. - Adesso vedremo. Io ho qualche sospetto, però se è tutto come dite voi non avrete motivo di preoccuparvi. Sarà solo una coincidenza che mi sia stato riferito giusto oggi dell'arrivo di nuove e-mail dal curioso ammiratore di Evelyne. Controlliamo insieme cosa dicono. - E ci sorrise, glaciale, guardando ogni nostra espressione.

Io cercai di restare il più impassibile possibile; sperai che gli altri riuscissero a fare lo stesso, ma chiaramente non potei indagare, rischiando altrimenti di insospettirla ulteriormente.

In realtà iniziai a sudare freddo. Se eravamo tutti lì, se Francy non era nemmeno riuscita ad avvicinarsi a quel computer, significava che tutto, davvero tutto era ancora lì in quel server.

Era fattibile sperare che quella più vecchia, l'unica incriminante, le sfuggisse?

Ovviamente no.

- Bene. Noto del piacevole silenzio ora. Coincidenze anche queste immagino.

La vidi sorridere quasi sadica e sentimmo cliccare col mouse varie volte. Inserì digitando sulla tastiera quelle che erano probabilmente le credenziali.

Poco dopo ci lanciò uno sguardo, entusiasta e pieno di aspettative: seguì un primo “click”.

La prima e-mail era stata aperta.

In teoria, secondo i piani, i ragazzi avrebbero dovuto inviarne circa una decina.

Sentii le mani sudarmi sempre più. Con la coda dell'occhio vidi anche Max, al mio fianco, mostrare segni di nervosismo con la gamba.

La preside evidentemente non trovò nulla e, con una strana smorfia, aprì probabilmente la seconda e-mail. Poi la terza, la quarta, la quinta, la sesta.

- Ma è una presa in giro? - Esclamò.

Deglutii, cercando di riprendermi. - Potrei sapere cosa dicono? Dato che sono bugie che mi riguardano in prima persona. - Ebbi la faccia tosta, quasi credibile, di aggiungere.

La donna non rispose, lanciandomi però uno sguardo accigliato.

Per la settima volta si sentì il click e l'attimo di attesa per la lettura. Ottavo click, nono... E decimo.

Si bloccò di nuovo.

- Ci sono foto.

Quasi sobbalzai, la mano di Max si appoggiò, calda e rassicurante, sopra il dorso della mia. Mi strinse forte e mi sembrò di essere abbracciata.

- Foto di gatti.

Il tremore che mi aveva avvolta si fermò.

Accigliata come non mai, la preside iniziò a spostare il mouse con foga.

- E' tutto qui? Dieci inutilissime e-mail, intitolate Evelyne Gray, con dei gattini?

Ero incredula, così tanto che continuai a non notare la presa di Max.

Regnò il silenzio nella stanza, interrotto da due risate: quella di Billy e quella di Clark.

Ci girammo tutti, ammutoliti, verso di loro.

- Scusi, preside... - Cercò di giustificarsi Billy, con quasi le lacrime agli occhi. - E' che sembrava fosse successo chissà che cosa, che ci fosse stata chissà quale combutta e in realtà... Si è preoccupata per dei gatti...

Anche Clark rideva e, nella risata, mi lanciò un'occhiata un po' pentita, un po' divertita. Sguardo che poteva permettersi solo perché consapevole che la situazione era stata risolta.

Ma come? Da chi? Da loro due? Non erano stati in biblioteca?

Nel mezzo del panico che evaporava via come acqua, mi ricordai di Luke.

Era stato lui.

Sorrisi, girandomi anch'io verso la preside.

- Bene... Quindi... Forse si tratta davvero di un ammiratore segreto: i gatti ultimamente mi piacciono molto. - E risi.

Sentii la mano di Max stringere scherzosamente la mia. Mi ricordai di quel contatto e lo guardai, entusiasta per quell'esito. Anche lui sorrideva.

- In effetti hai modestamente un bellissimo gatto.

Scossi la testa in sua direzione e pian piano a ridere dell'intera situazione furono anche Alex e Francy.

L'unica a non trovare il tutto molto divertente era chiaramente Hitler.

Si portò silenziosamente le mani in viso, come per pensare.

Noi a vederla così pian piano ci zittimmo di nuovo, in attesa della sua reazione.

La mano di Max scivolò via dalla mia e notai in quel momento come anche la sua presa fosse stata sudata per l'agitazione.

- Non so cosa sia successo. Non sono ancora convinta della vostra spiegazione. Ma andatevene a lezione prima che cambi idea. - Sospirò in segno di resa e ci guardò scettica da oltre gli occhiali sottili.

- Grazie, signora preside, - rispondemmo in coro.

Uscimmo dall'ufficio e nessuno fiatò finché non fummo nell'atrio scolastico, ora pieno di gente.

In mezzo a quel caos, in un angolo, finalmente si iniziò a parlare.

- Cos'è successo? - Chiese Francy, ridendo, ebbra anche lei per l'entusiasmo. Incrociò il mio sguardo e mi abbracciò.

In quel momento, quasi dal nulla, vedemmo dei ciuffi rossi spuntare tra Billy e Alex. Luke si fece così spazio tra noi.

- Ragazzi! Ma che casino avete fatto?

- Tu piuttosto che fine hai fatto?! Io e Francy stavamo aspettando tue notizie in bagno; abbiamo improvvisato e sono uscita allo scoperto io.

Luke, soddisfatto come l'avevo visto poche volte, scosse la testa.

- Scusate, colpa mia. Dopo avervi inviato il messaggio ho incrociato subito mia zia e l'ho seguita direttamente: non potevo stare al cellulare visto che già non era particolarmente entusiasta che andassi ad aiutarla subito di mattina così presto. Comunque l'ho convinta, seguita e, dopo averle acceso il computer, è stata proprio lei a vedere per prima quell'e-mail.

Francy sobbalzò. - Ma allora era lei la donna che è entrata in bagno per avvisare le altre!

Luke annuì, gongolante. - Esatto! E ho approfittato giusto di quell'assenza per cancellare la prima e-mail. Tempo di far quello ed era già tornata. Per fortuna non mi ha visto, ma chiaramente ho dovuto finire il lavoro e non riuscivo ad avvisarvi. Solo con tutto quel bordello che avete scatenato con l'altoparlante mia zia ha finito per cacciarmi. Ho mandato pochissimo dopo il messaggio, ma a sto punto capisco che Francy si fosse già messa allo scoperto. Era inevitabile che la beccassero, si erano tutte agitate in segreteria per quel che stava facendo Parker.

- Nemmeno noi abbiamo letto nulla: io ero troppo impegnato a parlare e Kutcher era sotto sequestro del bidello... - Si rese conto Max, tirando fuori il cellulare.

Fu imitato da tutti noi e vedemmo effettivamente quello che Luke ci aveva appena spiegato: il messaggio della vittoria.

- Gli unici ad esserne a conoscenza eravamo evidentemente noi. - Ne rise Billy. - Eravamo già di ritorno a scuola, siamo andati diretti verso la presidenza perché non vi trovavamo dall'entrata. Peccato che ci siamo persi il monologo di Max...

Capii perché i due fossero stati relativamente calmi fin dal primo momento nell'ufficio della preside, al contrario di noi altri.

- Non so nemmeno come, ma sembrerebbe che ce l'abbiamo fatta, - blaterai, incredula.

In quel momento suonò la prima campanella che avvertiva dell'inizio delle lezioni.

Ognuno di noi si scambiò un'occhiata con ogni membro di quel gruppo improvvisato.

- Vi ringrazio, - dissi finalmente, un po' in imbarazzo e gli occhi tutti si posarono su di me. - Mi dispiace se ci saranno conseguenze visto che la preside sospetta di noi; mi dispiace se... Parker verrà punito, - borbottai, faticando a pronunciare il suo nome. - Però vi sono immensamente grata per quel che avete fatto per me oggi. Con te decisamente meno, Clark, - aggiunsi alla fine, un po' ridendo e un po' no, cercando di alleggerire l'atmosfera.

Seth alzò gli occhi al cielo. - La mia parte l'ho fatta. Non è successo nulla alla fine.

Fu interrotto dallo schiaffo di Billy sulla nuca. La restante parte del gruppo lo ignorò mentre lui si lamentava per il dolore.

- Non ci devi ringraziare, Eve. E' stato come proteggere una parte di me, figurati se permettevo una tua espulsione, - cantilenò Francy e mi prese a braccetto. Ricambiai la stretta, sentendo i suoi capelli contro la guancia.

- Dovevamo tutti rimediare al... pasticcio del nostro amico, - aggiunse Alex.

- Si spera di esserci riusciti, - disse Billy e dal sorriso sghembo capii che si trattasse dell'ennesima insinuazione.

- Avremmo poi dovuto chiudere il giornalino scolastico, senza te. - Fu la replica di Luke, incapace come sempre di mostrare i propri sentimenti.

Risi. - A proposito, penso che toglierò la foto del mese, - informai, un po' più seria con quelle parole. - Forse è ora di crescere e chiuderla con tutto ciò che mi ha portato guai.

Più o meno tutti facemmo qualche passo nel corridoio verso le aule.

Nessuno rispose a quel che avevo detto: senza volere sembrava che avessi dato uno spunto di riflessione a tutti noi; ma ero pur consapevole che da quella frase ognuno avesse tratto conclusioni diverse per se stesso.

Mentre ero immersa in quel turbinio di eventi, iniziammo a separarci e non pensai a molto finché non sentii una presa sul braccio non occupato dalla presenza di Francy.

Mi girai trovando inevitabilmente Max Parker.

Sentii Francy vibrare al mio fianco, come un gatto che si inarca e rizza i peli alla presenza di un altro animale sgradito.

- Sì?

- Se vuoi ringraziarmi davvero per quel che è successo oggi, ricordati che dobbiamo parlare.

Guardai davvero il ragazzo di fronte a me. Come sempre mi sormontava in altezza e la soggezione che mi trasmetteva mi riportava a tanti mesi prima.

Il viso era quello che conoscevo, così come gli occhi. Ripensai al sorriso che ci eravamo scambiati in presidenza; alla sua mano.

Anche la voce calda era quella di sempre. La ricordai mentre veniva trasmessa in ogni angolo della scuola.

- Parker, le puoi dare tempo? - Intervenne Francy vedendo come esitavo.

- Reeds, magari la smetti di parlare al posto suo? - Ribatté Parker. Vidi tutta l'urgenza nel suo volto e nel suo tono, ma la risposta a Francy mi irritò.

- Dopo scuola, - risposi, chiudendola lì e tornando a camminare.

Avevo cercato di restare calma, ma dentro me stessa una calamità aveva già stravolto tutto.

- Ho detenzione dopo le lezioni e io ho bisogno di tempo. - Non si arrese, riprendendomi per il gomito. - Aspettami, per favore.

Mi girai, incrociando i suoi occhi così vicini ai miei.

Avevo imparato a conoscere ogni espressione di Max in tutti quei mesi e, anche se ero arrivata a dubitare di tutto il giorno prima, non potei non ammettere che il vento che vedevo agitare il prato dei suoi occhi fosse sincera tristezza.

Ricordavo a che conclusioni fossi arrivata e sapevo anche di non voler scendere più a patti con me stessa, ma dopo quel che era di nuovo appena successo, la risposta poteva essere solo una.

- Okay, - risposi alla fine. - Ti aspetterò.

Sentii Francy agitarsi al mio fianco, ma, per quanto potesse essere protettiva nei miei confronti, anche lei era consapevole della necessità di un confronto tra me e Parker.

Non mi sentivo ancora pronta ad affrontarlo e a subirne le conseguenze, ma ero d'accordo con Max: il trascorrere dei giorni avrebbe solo peggiorato le cose, allontanandoci dalla verità e prolungando la mia agonia.

Se anche lui stesse soffrendo come me non mi era dato saperlo, ma un tremolio sotto pelle spingeva per riemergere alla luce. Tremore che si nutriva dei ricordi felici, delle sue frasi quella notte stessa e di quello che aveva detto all'altoparlante.

Il mio incubo personale, nei panni di quel ragazzo castano dagli occhi verdi, mi guardò profondamente, finché un piccolo sorriso non gli illuminò i lineamenti.

- Grazie, a dopo.




Nota autrice:

Eccomi di nuovo qua, non sono sparita un'altra volta come qualcuno di voi avrà sicuramente temuto! Ahahah
Grazie prima di tutto per avermi accolta ancora con così tanto calore, ve ne sono veramente grata. Sono stata sorpresa dal numero di recensioni e dai commenti positivi anche su fb :) 
Do poi il benvenuto ad eventuali nuovi lettori! Spero che la storia stia piacendo e come sempre mi auguro di ricevere un qualche tipo di feedback (mi trovate anche su fb - Josie Efp, gruppo Punizione divina - o anche per messaggio privato)
Allora, questo come vedete non è ancora il capitolo finale, come sempre sono troppo lunga e in queste settimane ho allungato il capitolo e deciso di fare così. Penso di chiudere con il prossimo, che è ancora in fase di scrittura, ma non anticipo nulla perché non si sa mai cosa possa tirare fuori la mia testolina. (insomma, in teoria col prossimo chiudo, ma magari al prossimo aggiornamento vi dico "ehehe mancano ancora 5 capitoli, ma ok" ahahah)
Volevo commentare poi questo capitolo facendo riferimento a una recensione che ho ricevuto e apprezzato molto: mi è stato detto che il senso del capitolo scorso era probabilmente da rinvenire nella preparazione di un colpo di scena, che sotto tutti gli avvenimenti ci fosse un indizio celato che portasse alla colpevolezza di qualcun altro. Invece semplicemente è stato Clark, come ormai si poteva ben anticipare; il senso dello scorso capitolo, di tutto quel dolore qual è stato dunque? 
A parte far chiaramente avanzare la storia, con sviluppi che vedremo prossimamente, lo scorso capitolo, così lungo, con così tanti pianti e sentimenti, serviva a far crescere Evelyne, a farla arrivare alle conclusioni di questo capitolo. Tutto quel dolore infatti l'ha cambiata. Vi ricordate com'era Eve prima dell'episodio della foto? Perché tra tutto quel che è successo, e la mia pausa lunghissima, potremmo dimenticarcelo. ma Eve era a nascondersi in uno sgabuzzino con Max, ad accettare di non parlarci nemmeno per godersi i baci e gli abbracci, rinunciando a capire cosa fossero loro. Rendendosi conto che lui non poteva prenderle la mano (le ha chiaramente detto che non può perché è convinto che a prendere per mano qualcuno poi si arrivi a perderlo), che lui pensava a lei, la desiderava, ma poi? Ulteriori conclusioni erano solo tratte da lei deliberatamente. Max le ha detto fin dall'inizio di non credere all'amore. Però le bastava.
Evelyne ora ha sofferto e, anche se Max ha fatto tutto per il suo bene, non si può fare più marcia indietro e tornare ad essere quelli che si godono il momento insieme, quelli che si baciano e basta. Non sono più le persone che erano prima di questo episodio.
Riusciranno a trovare un nuovo punto di incontro? O ormai è perduto tutto? Evelyne si è fatta troppo male? Max non può darle quello di cui lei ha effettivamente bisogno? Evelyne sa che è così ora.
Al prossimo capitolo, carissime. (tra circa due settimane)
Un bacione.

   
 
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