Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: _Pulse_    19/03/2018    0 recensioni
[Dal Capitolo 2]
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
31. Diamond of the day


Merlino non poteva permettere che Artù morisse, non una seconda volta. In quel momento avrebbe tanto voluto poter chiamare Kilgharrah per chiedergli un passaggio fino ad Avalon, dove quella volta avrebbe preteso l'aiuto degli Sidhe, ma poteva contare solo sulle proprie forze e quelle di Cathleen, la quale non si era fermata un attimo né aveva mai aperto bocca da quando avevano iniziato a camminare. Sembrava distrutta tanto quanto lui, ma il dolore le impediva di arrendersi.
Non poteva dire lo stesso per Alex, la quale aveva iniziato ad inciampare sempre più spesso alle loro spalle, il taglio sulla fronte che sembrava peggiorare di minuto in minuto. Elijah l'aveva convinta ad appoggiarsi a lui, ma prima o poi avrebbero dovuto fermarsi. Anche gli altri ragazzi non avevano una bella cera: li seguivano come zombie, scossi dal tradimento e spaventati per ciò che li attendeva in futuro.
Mancava meno di un miglio alle auto quando Merlino sentì il gorgoglio di un fiume. Ne scorse le rive tra gli alberi e fece segno a Cathleen di dirigersi verso quella direzione. Il paramedico non obiettò, eseguì semplicemente gli ordini.
«Che ci facciamo qui?», chiese Elijah una volta fatta sedere Alex sotto un piccolo albero contorto, le cui fronde si sporgevano sopra l'acqua del ruscello.
«Ci prendiamo una pausa», rispose Merlino. Con cautela appoggiò Artù sul manto erboso in prossimità di una piccola cascata, quindi si girò verso i giovani maghi e lanciò loro lo zaino che aveva sulle spalle. «Sedetevi tutti e riposate! Lì dentro ci sono anche delle provviste. Elijah, vieni qui».
Il druido guardò Alex, poi si spostò i capelli dagli occhi e si inginocchiò accanto a Merlino.
«Conosci incantesimi curativi?», gli domandò schietto, spogliando Artù affinché potessero osservare il profondo taglio.
«Qualcuno, ma dubito che avrebbero effetto su una ferita inflitta da una spada magica».
«Devi provare».
Elijah esitò, ma bastò il suo sguardo intenso a convincerlo. Respirò profondamente ed intrecciò le dita sopra la ferita, senza toccarla. Chiuse gli occhi e le sue mani brillarono d'oro, ma la situazione non cambiò.
«Riprova, Elijah».
Il senzatetto corrugò la fronte per la concentrazione e ritentò, invano. Aprì la bocca per dirgli che era tutto uno spreco di forze, ma Merlino lo precedette gridando: «Riprova! E credici magari!».
Elijah non si lasciò intimorire e si alzò, ricambiando il suo sguardo venato di rabbia con uno mesto e pacifico. «È oltre le mie capacità. Tanto vale che sfrutti il potere che mi rimane per qualcuno che posso curare».
Detto questo, tornò da Alex e le prese il mento tra le dita per esaminare la sua fronte. Merlino sapeva che il ragionamento di Elijah non faceva una piega, ma odiava profondamente ritrovarsi impotente di fronte al suo migliore amico morente, di nuovo.
«Perché?!», gridò a squarciagola, alzandosi in piedi col volto rivolto verso il cielo. «Perché ancora?!».

***

Alex guardò Merlino urlare contro il cielo, ignorando il ragazzo druido che le stava disinfettando la ferita sulla fronte con la magia.
Lo stregone non ottenne alcuna risposta, se non quella di uno stormo di uccellini spaventati, perciò tornò a sedersi accanto a Cathleen e le posò una mano sulla spalla. Lei deviò il suo sguardo, nascondendosi dietro i suoi capelli rossi, e riprese a piangere silenziosamente.
«È tutta colpa mia», mormorò l'infermiera, sentendosi scivolare sempre più in basso nella fossa che si stava scavando da sola.
«Non lo pensare nemmeno», la rimproverò Elijah, voltandole il viso per rimirare il proprio operato. «Ecco, ora non rischia di infettarsi. Servono comunque dei punti, ma...».
«Tu non capisci. Io... io ho avuto una visione, qualche tempo fa, e c'era anche Artù, e lui stava bene, nemmeno un graffio! Ho dato per scontato che non gli sarebbe successo nulla ed è per questo che sta morendo, perché mi credevo più furba di tutti». Si portò le mani sul viso, a celare le lacrime che stavano per rigarle le guance. «Come lo dirò a Cathleen? Lei... lei non mi perdonerà mai».
Il senzatetto le prese i polsi e delicatamente le allontanò le mani dal viso per poterla guardare negli occhi. Le sue iridi erano così grandi e così verdi da non sembrare reali. In effetti, più che una persona Elijah sembrava un personaggio uscito da un manga. O forse stava solo delirando per la stanchezza.
«Ascoltami. Le visioni sono in grado di ingannare chiunque. Il futuro è soggetto a cambiamenti, la gente fa cose stupide senza sapere neanche il perché continuamente...». Elijah si interruppe per umettarsi le labbra, ma quando riaprì la bocca per continuare esitò, come se fosse indeciso se vuotare il sacco o meno.
«Ma Darrell sapeva cosa stava facendo, era perfettamente consapevole che se ci avesse accompagnato da Freya sarebbe morto. Se avesse fatto quello che lei gli aveva chiesto, ovvero di indicarci soltanto il luogo... a quest'ora sarebbe ancora vivo».
Elijah abbassò il capo, mormorando: «Come ho detto, la gente fa cose stupide».
«No, non stupide... coraggiose»,  lo corresse Alex, tornando a guardare il corpo esanime dell'antenato. «Anche se l'avesse saputo, sono certa che Artù mi avrebbe protetta comunque».
Si accarezzò il ventre e il ragazzo lo notò, ma deviò subito lo sguardo, bloccato ancora una volta dall'incertezza. Alla fine esclamò: «La tua bambina darà inizio ad una delle dinastie più potenti che il mondo abbia mai conosciuto, il connubio perfetto tra la forza dei Pendragon e la magia dell'Antica Religione. Non poteva permettere che morisse».
Alex sentì il cuore salirle in gola, mentre un calore indescrivibile le incendiava il volto: dopo essere caduta così in profondità, finalmente rivedeva la luce del sole.
«Una bambina, hai detto?». Tirò su col naso, sentendo persino un sorriso incurvarle le labbra. «Come... come fai a sapere tutte queste cose?».
Elijah sospirò e per la seconda volta in poche ore si sollevò il maglione per mostrarle il suo tatuaggio.
«Non sono un druido qualunque, ma un veggente. Ho visto molte cose, persino che Freya sarebbe venuta a cercarmi. All'inizio mi sono detto di non immischiarmi, che la vita che conducevo non era poi così male, ma alla fine ho deciso di seguirla per tenerla d'occhio».
Alex aprì la bocca, ma lui le posò un dito sulle labbra, azzittendola.
«Non voglio che si sappia in giro, okay? Mi verrebbero a chiedere i numeri della lotteria e non funziona così. Non sempre, almeno».
Riuscì a strapparle un altro sorriso e il ragazzo la imitò con tutti i denti, risultando ancora più strampalato di quanto non fosse già.
«Che cosa diavolo succede ora?», esclamò Jake, scioccato, con gli occhi sgranati rivolti verso la riva del ruscello.
Alex e Elijah seguirono il suo sguardo e rimasero senza fiato quando tra i riflessi dorati videro delle bolle sollevarsi dalla superficie. Una in particolare spiccò tra le altre per grandezza, brillantezza e soprattutto per il volto di donna che vi si intravedeva all'interno, come scoprirono quando si avvicinarono a Cathleen, colei che aveva attirato la loro attenzione.
«Le tue lacrime ci hanno svegliati da un lungo sonno, fanciulla. Che cosa c'è che non va?».
Il paramedico si asciugò il volto e come se non fosse per nulla impressionata disse semplicemente: «L'uomo che amo sta morendo. Voi potete curarlo?».
La donna nella bolla si avvicinò per esaminare la ferita e poi risalì fino al volto di Artù. Riconoscendolo, la bolla tremò tanto da far temere loro che stesse per scoppiare.
«Mi dispiace, mia cara. Artù Pendragon è destinato a tornare nel mondo degli spiriti, come noi».
«Chi siete?», domandò Elijah, accucciato sulla riva, mentre protendeva il dito indice verso una delle bolle per toccarla. Questa però si spostò fulminea, facendogli persino una pernacchia.
«Noi siamo i Vilia, spiriti dei fiumi e dei ruscelli. Gli umani di solito non riescono a vederci, ma la custode di Avalon è morta e ora le porte del mondo degli spiriti stanno cedendo. Gli Sidhe hanno attuato il piano d'emergenza, per questo Artù non è ancora scomparso».
«Intendi risucchiato nella terra come è successo a Freya e Darrell?», domandò Alex con rabbia, facendo voltare Merlino.
«Beh, noi non vogliamo che succeda, perciò meglio così», rispose Cathleen.
«Non avete molto tempo... Presto o tardi gli Sidhe non saranno più in grado di tenere chiuse le porte e allora sarà il caos: tutti gli spiriti, buoni o cattivi, torneranno liberi».
«Cosa dobbiamo fare per impedirlo?».
Lo spirito si avvicinò al volto serio e determinato di Merlino e sorrise quasi con dolcezza, come una madre orgogliosa del proprio bambino.
«Non sei cambiato, Emrys».
Lo stregone non rispose, nonostante tutti avrebbero voluto sapere quando e come i due si erano conosciuti, e il Vilia disse ciò che Alex più di tutti sospettava e temeva: «Dovete trovare una nuova Dama del lago».

***

«È proprio una bella casa la tua, Merlino», esclamò Elijah, vedendolo scendere dalle scale.
Avevano appena sistemato Artù nella sua camera e Cathleen, nonostante gli sforzi che avevano fatto lui e Alex per convincerla a riposarsi un po', non aveva voluto lasciare il suo capezzale. Il mago aveva bisogno di allontanarsi invece, di pensare ad altro per almeno dieci minuti, e andare a preparare del té gli era sembrata una buona soluzione. Peccato si fosse completamente dimenticato dei loro ospiti.
Dopo l'incontro con i Vilia avevano finalmente raggiunto le auto e vedendo la volante dell'agente Fisher erano venuti alla luce una serie di problemi legati alla sua scomparsa che prima o poi avrebbero dovuto affrontare. In un paese piccolo come il loro, avevano al massimo un giorno per prepararsi ad affrontare le domande dei suoi colleghi senza tradirsi l'un l'altro. Per fortuna non era la prima volta di Merlino.
Ad ogni modo, usare l'auto di un poliziotto senza di lui sarebbe risultato sospetto, quindi avevano recuperato anche il pick-up verde petrolio di Jake, nascosto dietro una vecchia base della guardia forestale, e tutti insieme erano tornati a casa.
La priorità rimaneva Artù, perciò avevano lasciato i ragazzi nel salotto e per un'ora buona Merlino aveva provato a rianimare l'amico con ogni mezzo a disposizione, senza però riuscirci. Si rifiutava di credere che Artù fosse già morto, che il suo spirito si trovasse in un limbo e che non appena avessero trovato una nuova Dama del lago il suo corpo sarebbe scomparso sotto i loro occhi. Potevano provare a lasciare Avalon incustodito fino a quando non avessero trovato un modo per riportarlo indietro, ma il gioco valeva la candela? Se avessero aspettato troppo avrebbero rischiato davvero di riversare orde di spiriti nel mondo dei vivi.
In qualsiasi caso, le chance di Artù di riaprire gli occhi erano vicine allo zero.
«Davvero possiamo stare qui?».
Merlino sbatté le palpebre e guardò uno per uno i ragazzi che Freya aveva trovato ed assoldato per combattere la sua battaglia. Nascosto in ognuno di loro c'era sempre stato il potenziale per diventare maghi e ora che era stato risvegliato non avrebbero più guardato il mondo con gli stessi occhi, soprattutto se la persona che li aveva introdotti a tutto questo si era rivelata una persona corrotta dal potere, dall'orgoglio e dalla vendetta.
Sorrise dolcemente - o almeno fece del suo meglio - e portandosi dietro la poltrona per appoggiarsi allo schienale con entrambe le mani rispose: «Certo, questa casa ha diverse stanze vuote. Potete rimanere per tutto il tempo che volete». Cercò lo sguardo dei ragazzi più grandi, Jake e Hanna, e aggiunse: «O potete andarvene, se preferite. Nessuno vi fermerà».
Il ragazzo abbassò il capo ed incrociò le braccia, per poi mugugnare: «Ho bisogno d'aria» ed uscire dalla porta d'ingresso.
Hanna invece rimase in silenzio, accarezzando i capelli delle due gemelle sedute sul divano davanti a lei.
«Io credo che resterò», affermò Elijah con un ampio sorriso, lasciandosi sprofondare nella poltrona opposta a quella di Merlino. «Insomma, quando mi ricapiterà di avere gratis un tetto sulla testa, acqua calda e cibo che non venga dai cassonetti?».
Merlino ridacchiò guardandolo mentre si tirava via gli stivaletti consunti per stendendere le lunghe gambe e posare i piedi sul bordo del tavolino, un paio di dita che spuntavano dai calzini bucati. Elijah si portò anche le mani dietro la nuca ed espirò rilassato, fingendo soltanto di chiudere gli occhi per poter osservare le reazioni di Hanna e delle gemelle. Queste ultime si scambiarono un'occhiata e un cenno di assenso prima di guardare la più grande.
«Perché lo stai facendo?», gli chiese Hanna. «Abbiamo cercato di farvi del male. Perché ci stai aiutando?».
«Voi non avete colpe», spiegò Merlino. «Scommetto che non sapevate nemmeno il motivo per cui stavate combattendo. Freya... ha approfittato di voi e mi dispiace. Per questo vi sto aiutando».
«Okay, a me basta come risposta». Sorrise alle ragazzine pel di carota. «Rimaniamo».
Lo stregone picchiò le mani sullo schienale della poltrona. «Ottimo! Preparo il té».
Aveva appena messo l'acqua sul fuoco, quando Elijah lo raggiunse in cucina.
«Merlino?».
«Se sei venuto qui a scusarti per il nostro scambio al ruscello risparmiati, non ce n'è bisogno. Anzi, ti ringrazio per esserti preso cura di Alex. Ero sconvolto per Artù e...».
«No», lo interruppe, avvicinandosi e al contempo sfuggendo al suo sguardo, come se si vergognasse di qualcosa.
Ora che si era tolto la sciarpa, i guanti mangiucchiati e il trench, la sua magrezza era ancora più evidente. Il maglione che indossava era di almeno due taglie più grande e le sue braccia, così come le lunghe gambe, erano sottili; eppure aveva dimostrato più volte di possedere una forza non comune in quelle ore. La forza di chi è abituato a lottare per la propria vita e per le poche cose care che possiede, anche più volte al giorno. Darrell aveva detto loro che Freya l'aveva prelevato dalla strada, che era un senzatetto, perciò Merlino non era affatto sorpreso del suo carattere forte. La fragilità che aveva negli occhi in quel momento, però...
«Di che cosa si tratta, Elijah?».
«Tu... tu ci stai ospitando qui senza chiedere nulla in cambio e voglio essere onesto con te. Prima ho recitato un po' per convincere Hanna e le gemelle, ma devo dirti una cosa che forse ti spingerà a spedirmi fuori a calci. Non mi stupirei, dato che è quello che ha fatto mio padre non appena ho compiuto diciott'anni».
Merlino posò una mano sulla sua spalla, scuotendolo un poco con un sorriso comprensivo sulle labbra. «Non ti spedirò fuori a calci per via di ciò che sei».
«E... e che cosa sarei?», chiese Elijah, stringendo gli occhi.
«Un Vate».
Da come il ragazzo sobbalzò, Merlino capì di averci preso. Fino ad allora era solo una teoria, un sospetto che gli era sorto quando per la prima volta aveva sentito Darrell parlare di lui. Il tutto si era concretizzato in battaglia, quando l'aveva visto tenersi in disparte ad osservare e poi aveva scambiato due chiacchiere con Artù. Aveva immediatamente capito che si erano detti più di quanto il sovrano avesse rivelato loro e ora ne aveva la certezza, dato che solo una previsione avveratasi avrebbe potuto farlo sentire così in colpa da non poter accettare a cuor leggero la sua ospitalità.
«Ascoltami, qualsiasi cosa tu avessi visto...».
«Patrick mi ha sempre detto di non rivelare le mie visioni, specialmente se riguardano qualcosa di brutto, ma io non ce la faccio. A che cosa servirebbero, se me ne stessi zitto? Però non posso fare a meno di pensare che forse, se non avessi detto ad Artù che sarebbe stato trafitto da quella spada per la seconda volta, forse lui...».
«Sarebbe comunque successo, Elijah. Alcuni eventi sono immutabili, purtroppo. Più si evitano, più si finisce per sbatterci contro. Credimi, lo so per esperienza personale».
Elijah rilassò le spalle e sorrise. «Grazie, Merlino».
«Grazie a te. Senza il tuo aiuto non ce l'avremmo mai fatta».
«Una tazza di té e siamo pari, allora».
«Affare fatto».
Merlino tornò a dedicarsi all'acqua, come se guardandola potesse bollire prima, e Elijah fece per tornare in salotto, ma si arrestò sulla soglia per esclamare sorpreso: «Ti ho detto che mio padre mi ha cacciato non appena ho compiuto diciott'anni e non hai fatto domande. Sei il primo, lo sai?».
Lo stregone abbozzò un altro sorriso, senza guardarlo. «Quando vorrai parlarmene ti ascolterò».
«Dubito che succederà».
Merlino impiegò qualche secondo di troppo a comprendere il senso di quelle parole. Quando si voltò per chiedere conferma ad Elijah, non c'era già più.

***

Cathleen sbatté le palpebre, così come aveva fatto inconsciamente per tutto il tempo trascorso accanto ad Artù. Quella volta però fu diverso e non riuscì a capirne il motivo: aveva sbattuto le palpebre e i suoi pensieri erano tornati lucidi, chiari. La tempesta era finalmente finita.
Artù era ancora sdraiato immobile sotto le coperte, il volto privo di espressione, preda di un sonno da cui probabilmente non si sarebbe più svegliato. Ma se c'era anche la più piccola possibilità, loro dovevano tentare. Non poteva stare a guardare mentre il secondo amore della sua vita moriva, senza nemmeno provare a salvarlo. Arrendersi non era un'opzione da contemplare, dato che aveva promesso di proteggerlo.
Si alzò dalla sedia, trovando le gambe intorpidite, e col cuore che batteva fortissimo per il timore di uscire da quella stanza, tornare e non trovarvi più Artù, lo fissò dalla soglia per diversi minuti. Quando decise di agire, si voltò e senza guardarsi più indietro corse al piano di sotto, immerso nel buio e nel silenzio.
Nel salotto vide Elijah, che dormiva sul divano con le gambe strette al petto e la coperta stretta tra le mani, come se temesse che qualcuno gliela rubasse.
Cath ebbe quasi voglia di avvicinarsi per fargli una carezza sul viso, tanto la inteneriva quel ragazzo, ma seguì la debole luce che proveniva dalla cucina e oltre la finestra vide Merlino e Alex seduti in veranda, anche loro avvolti in una coperta per ripararsi dal vento freddo che si era alzato.
Non le sembrava stessero parlando, piuttosto che stessero fissando il cielo punteggiato di stelle. Ciò nonostante bussò per avvisarli del suo arrivo.
«Cathleen», esclamò Merlino, scattando subito in piedi. «È successo qualcosa?».
«Se ti riferisci ad Artù, la risposta è no. Per quanto mi riguarda, invece... non riesco più a starmene con le mani in mano. Voglio sfruttare questo dolore, questa rabbia, per qualcosa di utile. Ditemi che abbiamo un piano».
Alex alzò gli occhi in quelli del marito, una ruga di preoccupazione tra le sopracciglia. Prima che potesse risponderle però, uno dopo l'altro ricevettero un messaggio sul cellulare. Come coincidenza era veramente assurda, ma il solo pensiero che non lo fosse era ancora più spaventoso.
«Al matrimonio Abby mi ha detto di aver finito con i messaggi», disse Cathleen. «Ha trovato un'app con cui le bastava cambiare la data prima di andare a dormire per ritardare l'invio automatico di un giorno. Se non l'avesse fatto, allora avrebbe voluto dire che...».
«Magari si è dimenticata», la interruppe Merlino, stirando persino un sorriso per cercare di tranquillizzarle. Una risatina nervosa gli sfuggì dalle labbra mentre si passava una mano tra i capelli. «Avanti, non può essere... Ieri stava bene!».
«Dobbiamo andare in ospedale», affermò Alex in tono ferale.
Nessuno obiettò.
Mentre Merlino e Alex si cambiavano, Cathleen accese al minimo la lampada da lettura accanto al divano e si inginocchiò accanto ad Elijah. Gli posò una mano sul braccio e lo scosse un poco per svegliarlo il più gentilmente possibile, ma questi trasalì e le puntò contro il proprio coltellino svizzero, facendola cadere col fondoschiena per terra per lo spavento.
«Scusami, è l'abitudine», mormorò il senzatetto, mortificato.
«Non c'è problema».
«Che ora è?».
«Mezzanotte. Ascolta, abbiamo ricevuto un messaggio da una nostra carissima amica e dobbiamo andare da lei in ospedale».
Elijah si tirò su seduto e si appiattì i capelli scoloriti sulla testa. «Volete che dia un'occhiata ad Artù?».
«Sì, te ne prego».
«Va bene. Sono abituato anche ai turni di guardia».
«Grazie, non so davvero come ringraziarti», sussurrò, prendendogli il volto tra le mani per stampargli un bacio sulla fronte.
Il ragazzo divenne rosso come un peperone, ma in quel momento Alex e Merlino li raggiunsero e consegnarono al ragazzo lo smartphone di Artù, raccomandandogli di chiamare per qualsiasi cosa.
Elijah li rassicurò e rimase sulla soglia di casa a guardarli fino a quando le luci posteriori dell'auto di Alex non vennero inghiottite dall'oscurità.

***

"Ciao, Alex. Se stai ascoltando questo messaggio, allora è probabile che io sia morta o quasi. C'è anche la possibilità che mi sia dimenticata di posticipare l'invio automatico, ma spero proprio non sia questo il caso... Pensa a come mi sentirei se vi avessi fatto credere di essere in punto di morte per una dimenticanza! - ride piano - silenzio - sospira triste - Perdonami, ho qui davanti il messaggio che ho scritto per te, ma non ci riesco. Tu sei troppo importante per me e non posso lasciarti con un messaggio scritto e letto ad alta voce. Ci vuole sentimento, capisci? Ce l'ho sempre messo, per le cose importanti. Che fossero risate o che fossero lacrime... non mi pento di nulla. - tira su col naso - Voglio che anche tu faccia lo stesso, che non ci siano rimpianti nella tua vita. Vivi al massimo, prova tutto e, ti prego, diventa mamma. Fallo per me, per favore. Steve ed io ci siamo ammalati, ma siamo stati felici di essere nati. E tu non puoi rinunciare ad una cosa così bella per paura di patire la stessa sorte delle persone che ci vogliono bene. Saresti una mamma fantastica, sai? Ne sono certa, perché in un certo senso sei stata la mia. Avevo sei anni quando i miei genitori sono morti e mia nonna è una brava donna dopotutto, ma è sempre stata frenata dalla paura di rovinare tutto anche con me, perciò non si è mai avvicinata più del necessario. Si rifugiava dentro i suoi libri che raccontavano di donne forti per non dover ammettere di non esserlo. Tu, invece... tu mi sei sempre stata accanto, sin dai primi esami. Mi hai fatta sentire a casa nel luogo più triste che ci sia, mi hai confortata, mi hai dato speranza, mi hai abbracciata e mi hai fatto ridere esattamente quando ne avevo bisogno. In sostanza ti sei presa cura di me come una vera mamma farebbe, e non ti ringrazierò mai abbastanza per questo. - silenzio - si soffia il naso - si schiarisce la gola - Non so quanto tempo sia passato dal matrimonio, ma se anche ne fosse passato poco, troppo poco, non voglio che tu e Merlino vi sentiate in colpa. Non è stato il vostro matrimonio a farmi ammalare; anzi, partecipare alla vostra felicità è stato un vero toccasana. È stato uno dei giorni più belli della mia vita ed è stato un onore farti da damigella. Grazie di cuore. Ti voglio bene, tanto."

***

Merlino si girò sul fianco e cercò Alex allungando il braccio nella sua parte di letto, trovandola fredda e vuota. Allora aprì gli occhi e confermò ciò che aveva intuito: sua moglie era già sveglia, oppure non aveva proprio chiuso occhio.
Si alzò e si infilò un paio di jeans e una felpa, poi passò a controllare Artù nella sua camera. Cathleen era sdraiata al suo fianco e finalmente si concedeva qualche ora di riposo, una mano sul suo petto immobile.
Sicuro che non fosse cambiato nulla, scese al piano inferiore: a parte il lieve russare di Elijah, raggomitolato sul divano, il silenzio regnava sovrano. In cucina trovò la caraffa del caffé quasi piena, ma doveva essere stato preparato almeno un'ora prima, dato che toccandola la trovò tiepida. Se ne versò comunque una tazza e si sedette al tavolo: solo allora si accorse del foglietto che spuntava tra le mele nel suo portafrutta di riserva.
"Mi dispiace, ma non posso stare qui. Ero così accecato dalla rabbia, dal desiderio di diventare qualcuno, che ho rischiato di fare del male a delle persone innocenti. Non posso nemmeno tornare alla mia vecchia vita, perciò viaggerò e mi documenterò sulla magia. Forse un giorno tornerò e mi farò perdonare. Addio. Jake".
Merlino si passò una mano sul viso e sospirò, dicendosi che d'altronde non avrebbe potuto costringerlo a restare. Anzi era stato lui a dire che erano liberi di andarsene in qualsiasi momento. Sperava soltanto che Jake non si cacciasse nei guai.
Finito il caffè si alzò per mettere la tazza nel lavandino, guardò fuori dalla finestra ed avvertì un brivido lungo la spina dorsale nel vedere il cielo tinto dei colori dell'alba. Stringendosi nella felpa, uscì in veranda e poi mise i piedi nudi sull'erba bagnata di rugiada. Chiuse gli occhi e nonostante conoscesse benissimo il processo chimico, non poté fare a meno di chiedersi se quella notte anche la terra, come loro, avesse pianto la scomparsa di Abigail Reed.
Avanzò lentamente verso il vecchio fienile trasformato a stalla e solo quando aprì la pesante porta, lasciando entrare i primi raggi di sole di quel nuovo giorno, si rese conto che la prima delle sue più recenti visioni si stava avverando.
Flash lo accolse con un nitrito e Merlino gli accarezzò il muso passandogli accanto, poi proseguì fino alle scalette che portavano al soppalco in cui aveva spostato tutto ciò che non apparteneva ad una stalla: attrezzi da giardinaggio, vecchie sedie, pezzi di ricambio della Pininfarina, una ruota di bicicletta arrugginita.
Fu lì che trovò Alex, rannicchiata in un angolo, proprio dove doveva essere. Aveva i capelli scompigliati, gli occhi gonfi ed arrossati per il pianto, la ferita alla fronte che aveva ripreso a sanguinare sotto il grosso cerotto che le avevano applicato in ospedale, dopo che una collega preoccupata l'aveva convinta a farsi mettere dei punti, dicendole che non poteva entrare nella stanza di Abby in quelle condizioni. Ovviamente non erano mancate le domande su come si era procurata quel brutto taglio, ma Alex era stata abbastanza pronta da rispondere che aveva picchiato la fronte contro il comodino cadendo giù dal letto.
Non appena lo vide, sul suo volto si accese una scintilla di speranza, ma bastò un cenno del capo per farla ripiombare nello sconforto.
«È tutta colpa mia», farfugliò nascondendo di nuovo il capo tra le ginocchia.
Merlino non sapeva se si riferisse ad Artù o ad Abby. Probabilmente ad entrambi, conoscendola. La raggiunse e si lasciò scivolare seduto al suo fianco sulla segatura, quindi le avvolse un braccio intorno alle spalle e la invitò ad appoggiare il capo contro la sua spalla.
«No che non lo è. Sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato».
Alla fine la profezia dei custodi della magia si sarebbe avverata in ogni sua parte: Merlino si sarebbe sacrificato, oltre che per la sua nuova famiglia, anche per Artù.
Rimasero in silenzio per un po', ognuno immerso nei propri pensieri, confortati dalla presenza l'uno dell'altra. C'era una quiete, una pace, quasi surreale dopo tutto ciò che era accaduto in poco più di quarantotto ore. Fino ad allora la loro luna di miele era stata un disastro.
«Non posso sopportarlo», mormorò Alex ad un tratto, stringendogli forte le mani. «Ci dev'essere qualcosa che possiamo fare!».
«Una cosa c'è, lo sai».
Alex alzò gli occhi per incrociare i suoi e, nonostante l'impegno, non poté evitare di tremare rispondendo: «No. Non se ne parla, Merlino».
«È la nostra unica possibilità».
«La Triplice Dea non ci aiuterà senza pretendere qualcosa in cambio e sai perfettamente che cosa chiederà! Aspetta da secoli un'occasione del genere e non se la lascerà sfuggire, soprattutto se siamo noi a servirgliela su un piatto d'argento!».
Merlino sorrise teneramente mentre si interessava alla sua ferita: le tolse il cerotto e controllò che i punti non fossero saltati e che non ci fossero infezioni.
«Io ho vissuto il mio tempo, Alex. Ho vissuto anche troppo, ad essere onesti. Sono pronto ad andarmene, se servirà a...».
«No, no, no», lo interruppe posandogli le dita sulla bocca ed affondando il viso nel suo petto, scossa dai singulti.
«Io sto morendo in ogni caso», le disse ancora, accarezzandole la schiena e baciandole i capelli. «Vai dalla Triplice Dea e strappa il miglior accordo possibile. Credo in te, Alex».
L'infermiera si asciugò il viso e prese le loro mani per rimirare le loro fedi. Abbozzò persino un sorriso, mormorando: «Nessuna profezia aveva predetto questo, eh?».
Merlino ricambiò, sollevandole il mento per baciarle le labbra. «Ne sono grato».
Alex chiuse gli occhi per intrappolarvi le ennesime lacrime e gli strinse le braccia intorno al collo, baciandolo con più passione quella volta. Gentilmente, Merlino la fece sdraiare su un sacco di fieno e le accarezzò il ventre sotto la maglietta, sentendola tremare a quel tocco. Si fermò, pensando che forse non era saggio fare l'amore ora che Alex portava in grembo una creatura, ma l'infermiera aprì gli occhi e lo guardò con le guance arrossate di desiderio.
«Perché ti sei fermato?», gli domandò, esitante.
«Io...». Doveva dirle che sapeva della gravidanza? C'era sicuramente un motivo se continuava a mantenere il segreto, per questo decise di fidarsi e di rispettarlo.
Sorrise, accarezzandole i capelli. «Mi chiedevo se fosse il luogo giusto per la nostra prima volta da marito e moglie». O per l'ultima volta prima che io muoia.
«Ha davvero importanza?».
Merlino scrollò le spalle. «Non so, forse».
«Ti amo, Merlino. Per me un posto vale l'altro; anche l'inferno andrebbe bene, purché tu sia con me».
A quelle parole, non poté far altro che cedere. La riempì di baci, concentrandosi più del dovuto sul ventre senza spiegarle il motivo, e fecero l'amore con dolcezza, godendosi ogni battito del cuore, ogni brivido sulla pelle, ogni loro respiro, ogni piccola sfumatura delle loro voci, fino a giungere ad un piacere non solo del corpo, ma anche dell'anima. Poi, finalmente, Alex riuscì ad addormentarsi tra le braccia di Merlino.

***

«Artù è morto, non è vero?».
Cathleen sussultò e la forchetta che si stava portando alla bocca le cadde nel piatto. Tremando si portò entrambe le mani sul viso e Alex l'avvicinò a sé per massaggiarle un braccio con dolcezza.
«Non è ancora detta l'ultima parola», la rassicurò, per poi lanciare un'occhiata ammonitrice alla gemella che aveva fatto quella domanda. Dire se si fosse trattato di Doreen o Maureen era troppo presto, dato che da quando erano loro ospiti avevano parlato a malapena un paio di volte.
«Mi dispiace, Maureen non voleva essere indelicata», si scusò la gemella che a quel punto non poteva che essere Doreen: aveva i capelli legati e un maglione blu che metteva ancora più in risalto le efelidi che le tempestavano la pelle pallida.
Maureen si girò verso la sorella e a bassa voce, ma non abbastanza, sbottò: «Non si è mosso per due giorni e non sembra nemmeno respirare, perciò è piuttosto ovvio che...».
«Ma che ti prende?! Smettila!».
«Sto solo dicendo che è inquietante avere un morto in casa!».
«Adesso basta, tutte e due!», gridò Hanna, alzandosi in piedi per fulminarle con lo sguardo. Quindi si rivolse a Merlino, porgendo le proprie scuse chinando mestamente il capo.
Lo stregone sventolò una mano. «Grazie Hanna, ma capisco la confusione di Maureen». Allontanò anche lui il piatto e posò entrambi i gomiti sul tavolo, osservando la ragazzina coi riccioli sciolti e il pollice dalle cuticole martoriate alla bocca. «Lo spirito di Artù al momento non si trova nel suo corpo, ma non è nemmeno dall'altra parte, siccome le porte di Avalon sono state messe in sicurezza dagli Sidhe. È in una specie di limbo, da cui speriamo di riuscire a farlo tornare».
«Come?», chiese Elijah, intento a spolpare all'osso la propria coscia di pollo.
Merlino e Alex si scambiarono un'occhiata e Cathleen, insospettita dal loro silenzio, si tolse le mani dal viso e se ne accorse.
«Che cosa c'è? Sapete come salvare Artù e non mi avete detto nulla? Che razza di...!».
«Questa mattina ho proposto ad Alex di andare dalla Triplice Dea», la interruppe Merlino, incupendosi.
Il paramedico capì ciò che questo avrebbe comportato e si voltò verso Alex, la quale aveva smesso di accarezzarle il braccio per stringere forte i pugni in grembo, il capo abbassato. Dire che era mortificata era un eufemismo.
«Lo sai che non ti chiederei mai una cosa del genere», provò a scusarsi.
«Ma non c'è altro modo», insistette Merlino.
A quel punto intervenne Elijah, dopo essersi pulito le dita unte sul tovagliolo.
«Gli spiriti del ruscello che abbiamo incontrato... hanno detto che gli Sidhe non riusciranno a tenere chiuse le porte del mondo degli spiriti ancora per molto, che serve una nuova custode. E se questa custode fosse in grado di rispedire lo spirito di Artù nel suo corpo?».
«Non so se la custode di Avalon possa fare una cosa del genere. E prima dovremmo comunque trovare una custode».
«La vostra amica che è appena morta potrebbe...».
Maureen venne bruscamente interrotta dalla sorella, paonazza in volto per la sua sfrontatezza. Per essere gemelle, avevano caratteri ben diversi.
Merlino notò Alex alzare di scatto il capo e guardare la rossa con gli occhi sgranati, ma diede la colpa allo shock. Quindi riportò la propria attenzione su Elijah e concluse: «Se anche riuscissimo per miracolo a riportare lo spirito di Artù nel suo corpo, per quanto durerebbe con quel frammento di spada nel suo petto? Solo la Triplice Dea è in grado di purificarlo».
«Ma quello che vorrà in cambio...», Cathleen scosse il capo e si sporse per stringergli una mano. «Amo Artù, con tutto il mio cuore, ma non voglio perdere te».
Merlino sorrise dolcemente, ricambiando la stretta. Forse Cathleen aveva davvero qualcosa di Ginevra, in fondo.
Alex si alzò di scatto, facendo stridere i piedi della sedia sul pavimento in ceramica, e senza dire una parola uscì dalle porte scorrevoli che davano sulla veranda. Si passò le mani tra i capelli, la schiena che si alzava e si abbassava al ritmo dei suoi respiri concitati. Quindi corse al centro del giardino, prese la prima arma che trovò sull'espositore - una mazza ferrata - e urlando iniziò a fare strage dei manichini che erano rimasti in piedi dal suo ultimo allenamento con Artù.
«Hai visto cos'hai fatto? Spero tu sia contenta», disse tra i denti Doreen, schiaffeggiando il braccio della gemella.
«Oh, scusami tanto se tra le due io sono la più realista», rispose a tono, ricambiando lo schiaffo.
Le due si lanciarono un'occhiata astiosa prima di ritornare a fissare i loro piatti mezzi pieni. L'unico che non aveva mai smesso di rimpinzarsi era stato Elijah, a cui l'appetito non mancava nemmeno in una situazione del genere.
«Mi dispiace molto, ma sono d'accordo con Maureen», esordì quest'ultimo con tono rassegnato, portandosi alla bocca il proprio bicchiere di Coca-Cola. «Le possibilità di riavere indietro Artù sono... poche. Ma se posso aiutarvi in qualche modo lo farò».
«Grazie, Elijah», disse Merlino alzandosi a sua volta. «Che ne dici di sparecchiare e mettere i piatti in lavastoviglie?».
Il druido non ne fu felice, ma serrò le labbra ed annuì con un cenno del capo.
Cathleen seguì il mago in veranda e guardò in silenzio Alex, la quale non aveva più le energie per sollevare la mazza ferrata e si era seduta a terra, la faccia nelle mani e una sfilza di manichini distrutti intorno a lei.
«Ho una tremenda voglia di fumare», mormorò il paramedico, strofinandosi le mani tra loro.
«Fai pure».
«No, ho deciso di smettere».
Lo stregone la fissò incuriosito. «Perché?».
Cathleen ricambiò lo sguardo, il volto arrossato per l'imbarazzo. Non poteva dirgli che lo stava facendo per solidarietà, per tenere Alex lontana dalla tentazione.
«Ho capito, è per la camminata sulle Black Mountains? Hai visto che non riuscivi a starci dietro», la tolse Merlino dall'impaccio, sorridendo in modo fin troppo accondiscendente.
«Sì, proprio così», mormorò, chiedendosi se in realtà Merlino non avesse scoperto la verità e stesse solo aspettando il momento in cui Alex gli avrebbe finalmente confessato di essere incinta.
«Bene, sono contento. Avrai bisogno di essere al top della forma per prenderti cura di Alex quando io non ci sarò più».
Il paramedico sentì il cuore sprofondarle nel petto ed impiegò qualche secondo per reagire. «Non posso permetterlo, Merlino».
Il mago si girò verso di lei e le rivolse lo sguardo più minaccioso che avesse mai visto. Nei suoi occhi c'era di tutto: rabbia, dolore e tanta, tanta tristezza.
«Mi hai fatto una promessa, Cathleen. Mi hai promesso che ti saresti presa cura di Artù, ricordi?».
«Sì, ma non a discapito della tua vita!», replicò a mezza voce, picchiandogli un pugno sul petto mentre le lacrime minacciavano di rigarle il volto. «Non posso scegliere tra te e lui! Non potrei più guardare in faccia Alex, se tu...».
Merlino l'attirò in un abbraccio e si chinò per sfiorarle l'orecchio con le labbra e sussurrare: «Io non morirò, Cath. Io sono la magia in persona e quando tornerà, tornerò anche io».
Cathleen si scostò e cercò i suoi occhi. Lasciò che Merlino le spazzasse via le lacrime dal viso con i pollici, il resto delle dita a tenerle alto il capo, e guardò il suo sorriso mesto e sincero.
«Adesso non c'è bisogno di tirarsela in questo modo», lo prese in giro alla fine, scostandosi.
Merlino ridacchiò e la lasciò sotto il portico per raggiungere Alex e lasciarsi stringere forte.

***

«Lo faremo, sapete?».
Merlino e Cathleen osservarono Alex, seduta allo scrittoio dell'antenato, accanto al fuoco acceso nel camino. Le fiamme sembravano danzare su di lei, rendendo i suoi occhi ancora più lucidi e i suoi capelli arancioni come il sole al tramonto.
«Che cosa?», domandò Merlino, alzandosi dalla sedia accanto al letto per avvicinarsi. Si fermò accanto al pilastro intagliato del baldacchino e vi si appoggiò con una spalla, scosso dalle parole della moglie.
«Ho avuto una visione in cui mettavamo Abby su una barca e la spingevamo sul lago di Avalon. Maureen ha ragione: la renderemo la nuova Dama.
«No», esclamò Cathleen, seduta a gambe incrociate sul materasso, una mano fredda di Artù tra le sue. «Non possiamo farle questo. Avete visto in che cosa si è trasformata Freya!».
«Ma Avalon ha bisogno di una custode e più tempo aspettiamo, più rischiamo che tutti gli spiriti malvagli si riversino su di noi», intervenne Merlino.
Alex annuì e con voce monocorde disse: «Esatto».
«È una follia», insistette Cathleen.
A quel punto l'infermiera si girò e con gli occhi stretti in due fessure, la voce controllata a stento, spiegò: «Pensaci, Cathleen. Qualcuno deve prendere il posto di Freya, su questo non ci piove. Preferiresti una persona qualunque, oppure un'amica di cui ti fidi e che ha sempre sperato di poter fare qualcosa di importante nella sua vita? Quante volte ha detto di voler lasciare il segno, di sperare che ci fosse qualcosa dopo la morte? Questo potrebbe essere il suo destino».
«E se lei non volesse? A Freya non è stato chiesto e guarda che fine ha fatto!».
«C'è anche da dire che io non avevo idea che l'avrei resa la custode di Avalon», mormorò Merlino, lo sguardo rivolto verso il pavimento di legno.
«Lo chiederemo a Mark», esclamò Alex e si girò, come se la discussione per lei fosse terminata.
«A Mark?», ripeté lo stregone. «Questo comporterebbe che noi...».
«Gli diremo tutto, sì. Merita di sapere che c'è di più di quanto crede in questo mondo».
Merlino sospirò, massaggiandosi gli occhi stanchi. «Alex...».
«Basta, è deciso. Non abbiamo più tempo per pensare ad altro».
Si alzò in piedi e respirando profondamente aprì una grande mappa del Galles meridionale, quindi iniziò a confrontarla con quella che Merlino aveva disegnato su uno dei suoi diari.
«Che cosa stai cercando?», le chiese quest'ultimo, arrendendosi al fatto che non sarebbe riuscito a farle cambiare idea.
«Il Calderone di Arianrhod. È lì che si trova la Triplice Dea, giusto?».
Merlino e Cathleen si scambiarono una nuova occhiata sconcertata e Alex dovette trattenersi per non urlare loro di smetterla. Era tutto il giorno che si parlavano con gli occhi quando lei sembrava non vederli e iniziava seriamente a pensare che le stessero dando corda solo per farla stare buona, come se fosse una pazza da assecondare. O forse, cosa ancora più probabile, avevano parlato e avevano in mente un piano loro, di cui non volevano renderla partecipe.
Non riuscì più a reggere la pressione e picchiò entrambi i pugni sullo scrittoio, facendosi male ai polsi già doloranti per via della battaglia e degli sforzi che aveva fatto quel pomeriggio con la mazza ferrata.
Merlino la fermò intrappolandola nel suo abbraccio e all'inizio provò a dimenarsi, ma alla fine crollò e si accasciò contro di lui, sfinita.
«Se avete delle idee migliori ditemelo, perché... perché sto impazzendo», mormorò. «Non voglio avere un'altra morte sulla coscienza, non posso perdere Artù e di certo non posso perdere te, Merlino...».
Lo stregone posò le labbra sul suo capo, accarezzandole le spalle. Senza ripeterle ciò che le aveva detto nel fienile, la fece sedere nuovamente sulla sedia che aveva intagliato con le proprie mani per Artù e con un cenno della mano invitò anche Cathleen a raggiungerli. Quindi esaminò le due mappe e dopo qualche secondo indicò un punto oltre le Black Mountains, non lontano da un piccolo centro abitato.
Alex prese subito il cellulare e digitò la località sul motore di ricerca, scoprendo che gli abitanti andavano orgogliosi di una e una cosa soltanto: il vastissimo golf club che sorgeva tra le colline e i boschi di querce e betulle. Al suo interno - precisamente vicino alla buca diciotto - c'era anche un magnifico lago, in un'area scavata tra le rocce e quindi particolarmente difficile per gli appassionati.
«Mi stai prendendo in giro?», domandò Alex stancamente, una mano sulla fronte.
«Purtroppo no».
«Quindi... La potente Triplice Dea abita in un golf club», esclamò esasperata Cathleen, prima di alzare gli occhi al cielo e aggiungere: «Perché ancora mi stupisco di come vanno le cose con voi?».
Merlino abbozzò un sorriso e le strinse una spalla, facendo lo stesso con Alex poco dopo, chinandosi anche per posarle un bacio sulla tempia.

***

«Merlino, siamo pronte quando lo sei tu», sussurrò Alex all'auricolare collegato allo smartphone.
Era notte fonda - l'unico momento in cui il campo da golf sarebbe stato deserto - e come due perfette ladre Alex e Cathleen stavano aspettando che Merlino, al "quartier generale", facesse la sua magia con le telecamere di sicurezza prima che loro potessero tagliare la recinzione ed intrufolarsi nel percorso.
Avevano lasciato l'auto a quasi un miglio di distanza, ma erano abbastanza vicine alla diciottesima buca. In meno di un quarto d'ora avrebbero affrontato la Triplice Dea e Alex era così nervosa che avrebbe voluto prendere Cathleen per mano.
Cathleen... la guardò e sorrise, pensando a quando l'aveva avvicinata la prima volta per chiederle una sigaretta. Sembravano passati secoli da allora.
«Che cosa c'è?», le chiese proprio il paramedico, con la fronte corrugata.
«Niente».
«Stavi sorridendo».
«Pensavo al nostro primo incontro», le confessò, tornando a fissare il campo oltre la recinzione. Si era persino dimenticata di avere ancora Merlino in linea, il quale poteva ascoltare tutto ciò che si stavano dicendo.
«Se me l'avessero detto allora, che saresti diventata la mia migliore amica e che ci saremmo trovate qui oggi, non ci avrei mai creduto».
«Sono... sono la tua migliore amica?».
Dalla sua espressione allibita e al contempo imbarazzata, Alex capì che non se lo aspettava davvero.
«Ma certo. Pensavo fosse ovvio».
Cathleen le si gettò addosso, stritolandola in uno dei suoi abbracci. Con la bocca vicino all'orecchio destro, quello privo dell'auricolare, sussurrò: «Non sei costretta ad accettare le condizioni di questa stupida Dea. Non devi sacrificare Merlino. E se... se Artù morirà... non te ne farò una colpa. Voglio che tu lo sappia».
Il paramedico sciolse l'abbraccio per guardarla negli occhi, l'ombra di un sorriso sul volto illuminato dalla luna, e Alex ricambiò, sinceramente grata per quelle parole.
Vennero interrotte da Merlino, il quale parlò nell'orecchio dell'infermiera: «Andate pure».
Alex trovò strano che ci avesse messo così tanto - con le sue capacità da hacker - e si domandò se in realtà non avesse atteso proprio che si scambiassero quelle ultime confidenze a cuore aperto prima di affrontare la Triplice Dea.
«Grazie», sussurrò portandosi il microfono vicino alla bocca, sperando che capisse il sottinteso. Quindi prese le cesoie ed iniziò a tagliare la recinzione.

«Wow», soffiò Cathleen, alzando gli occhi sulla parete di roccia che sembrava toccare il cielo scuro e punteggiato di stelle.
Alex, in piedi al suo fianco, non riusciva a distogliere gli occhi dalla superficie dell'acqua, talmente piatta e riflettente da sembrare uno specchio. Attratta dalla potente magia, si lasciò trascinare fino alla riva ciottolosa e fu solo grazie a Cathleen che non finì zuppa.
«Devi evocare la Dea, non farci una nuotata».
L'infermiera rinvenne ed arretrò di un paio di passi, cercando di capire che cosa le fosse successo. Se Excalibur l'aveva tormentata ogni volta che vi stava lontana, la vista di quel lago e il non poter entrarci dentro le provocava del vero dolore fisico. Alex respirò profondamente e tirò fuori dalla tasca della giacca di pelle un foglietto su cui Merlino aveva scritto l'incantesimo di evocazione. Lo recitò come si era esercitata e sentì un'ondata di magia travolgerla da capo a piedi e poi attraversare la terra per raggiungere il lago, ma non accadde nulla.
«Che cosa significa?», domandò Cathleen.
«Non lo so, io...».
"Non capisco, avrebbe dovuto funzionare", le disse Merlino attraverso l'auricolare. Almeno non era colpa della sua pronuncia.
Rimasero in silenzio, in trepidante attesa, per minuti che sembrarono ore. Alla fine Cath si portò le mani tra i capelli e si accucciò a terra.
«Maledizione», mormorò. Poi alzò il capo e posò le ginocchia a terra, prese un sasso e lo lanciò verso il lago, gridando ancora: «Maledizione!».
Lo specchio d'acqua si increspò in cerchi ripetitivi, facendo tremolare il riflesso della luna, per poi tornare alla perfetta immobilità.
Alex non poteva credere di aver fatto tutta quella strada per nulla, non poteva accettarlo. Strinse nel pugno il ciondolo di Morgana, chiedendole consiglio, ma anche lei sembrava averla abbandonata.
"Alex, parlami", le disse all'orecchio Merlino.
«E va bene», esclamò con determinazione. «Io entro».
«Che cosa? Non ci pensare nemmeno!», si oppose il paramedico, sollevandosi per afferrarla per un gomito. Nei suoi occhi c'era un terrore che non aveva mai visto prima di allora.
«Ti ho raccontato cos'è successo ad Artù quando ha provato ad entrare ad Avalon. E se venissi risucchiata pure tu?».
«Credimi, non lo farei se non fosse necessario. Ma qualsiasi cosa ci sia là dentro mi sta chiamando, lo sento», replicò Alex, stringendo le mani dell'amica. Abbozzò un pallido sorriso, aggiungendo: «E poi tutto è iniziato quando mi sono tuffata dentro Avalon per ripescare Artù, è giusto che finisca così».
"Non finirà così. Tu ne uscirai, Alex. Devi uscirne", disse Merlino tramite l'auricolare.
L'infermiera sorrise, nonostante sapesse benissimo che lui non poteva vederla. Ritrasse lentamente le mani da quelle di Cathleen e le diede le spalle per parlare in privato con suo marito.
«Qualsiasi cosa succeda...», iniziò a dire, chiedendosi se fosse un buon momento per dirgli di essere incinta. Non le avrebbe permesso di tuffarsi, poco ma sicuro, e sapeva che era ciò che doveva fare.
"Lo so", la interruppe Merlino, con tono infinitamente dolce.
Alex ridacchiò e si tolse l'auricolare, quindi senza chiudere la comunicazione passò il cellulare a Cathleen.
Si tolse le scarpe e si spogliò fino a rimanere in intimo, lasciò tutto sull'acciottolato e si avvicinò alla riva, sentendo la magia attirarla come il canto di una sirena. Ad ogni passo si sentiva più leggera, come se ogni sua preoccupazione svanisse, e Alex avrebbe tanto voluto che quella pace fosse vera. Purtroppo non era così, lo sapeva fin troppo bene.
Si aggrappò quindi a tutto ciò che amava, alle persone per cui avrebbe combattuto fino all'ultimo respiro, al ricordo di ogni singola lacrima che aveva versato, e ad occhi chiusi entrò nell'acqua. Il freddo le intorpidì le dita dei piedi e presto le avviluppò i polpacci, ma Alex continuò ad avanzare. Quando fu immersa fino alla vita e i brividi erano così intensi da farle battere i denti, solo allora riaprì gli occhi e si rese conto che l'acqua intorno a lei stava brillando. Era come se sotto di lei ci fosse stato un faro che la seguiva ovunque andasse, racchiudendola in un cilindro di luce bianca, tanto intensa da ferirle gli occhi.
Si voltò verso Cathleen, vedendola sbracciarsi e chiamarla oltre la parete di luce, ma prima che potesse ricambiare in qualche modo delle mani l'afferrarono per le caviglie e la trascinarono sott'acqua.

Alex riaprì gli occhi di scatto, inspirando tutta l'aria che poté e tastandosi la gola bruciante. Quando si rese conto che non era annegata come pensava sarebbe successo, vista tutta l'acqua salmastra che aveva ingerito, si tirò su a sedere e si guardò intorno per capire dove fosse.
Il cuore le schizzò in gola riconoscendo quel salotto dalle pareti di legno, col caminetto acceso e il divano dalla fantasia a quadrettoni su cui si trovava. C'era stata solo un paio di volte, quand'era piccola, ma non l'avrebbe mai dimenticato.
Sulla poltrona accanto all'ampia finestra incassata in una cornice di mattoni a vista, era seduta sua nonna, in carne ed ossa, intenta a sfogliare un grosso libro con un'usurata copertina di pelle.
Alex cercò di controllare le pulsazioni e di convincersi che doveva trattarsi di una magia, un trucco della Triplice Dea per estorcerle chissà cosa o semplicemente divertirsi a sue spese. O forse stava davvero morendo e quella era solo una delle fermate obbligatorie prima di poter raggiungere l'aldilà. Che cosa le aveva detto sua madre? Che lei e tutti i loro antenati si sarebbero riuniti ad Avalon.
«Ciao, Alexandra», disse sua nonna, con lo stesso tono di voce che usava quand'era una bambina e rivolgendole persino lo stesso sorriso. Chiuse il libro e tenendolo sulle gambe, coperte da uno scialle di lana, si tolse gli occhiali dal viso per poterla guardare con più attenzione.
«Cosa c'è che non va? Stai tremando. Vieni, avvicinati al camino».
L'infermiera, rigida come un tronco, si alzò e solo allora si rese conto di indossare gli stessi vestiti che si era tolta prima di entrare nel lago: erano asciutti contro la pelle, eppure avvertiva ugualmente un freddo incredibile. Si accucciò accanto alle fiamme, ma nemmeno quelle riuscirono a riscaldarla. Che fosse davvero la fine? No, non l'avrebbe permesso. Cathleen la stava aspettando in quel campo da golf, come Merlino e Artù e suo padre e tutti gli altri.
«Devo andarmene da qui», esclamò, sollevandosi nuovamente. Ogni movimento le costava una tremenda fatica, ma non si sarebbe arresa.
«Ma come, sei stata tu ad invocarmi e già te ne vuoi andare?».
Alex posò gli occhi su quella vecchia che aveva l'aspetto di sua nonna, incredula. «Tu sei... Tu sei la Triplice Dea?».
«È uno dei miei nomi, sì», rispose sorridendo. «E ammetto di essere molto colpita, Alexandra. Non pensavo avrei mai avuto l'onore di incontrarti, non dopo il tuo giuramento... Ma d'altronde gli esseri umani sono volubili, la loro fedeltà cambia in base a ciò che più gli conviene».
L'infermiera strinse i pugni lungo i fianchi, il volto contratto dall'ira. «Se non sbaglio, ho giurato che avrei cambiato il destino di Artù e Merlino e che vi avrei fatto pentire di tutte le vostre macchinazioni».
«Eppure eccoti qui, con la precisa intenzione di ricavare da me la soluzione. Io vincerò, Alexandra. Lo sai anche tu».
«Come fai ad esserne tanto sicura?».
La Dea, nelle sembianze di sua nonna, si alzò dalla poltrona e sollevò davanti al petto il libro che stava sfogliando prima che si svegliasse. Sulla copertina c'era un simbolo argentato: due mezzelune a formare un cerchio e altre due ai rispettivi lati, come parentesi tonde al contrario.
«Perché stai parlando con la rappresentazione della Saggezza. Merlino non te l'ha spiegato perché vengo chiamata Triplice Dea?».
Sì, l'aveva fatto, ma il quel momento Alex non riusciva a mettere insieme i pezzi. Si sentiva intontita, come se il freddo le avesse congelato il cervello.
Quanto tempo aveva prima di morire assiderata, o annegata, nelle acque del Calderone di Arianrhod?
Si avviò verso la finestra che dava sul giardino dalle aiuole fiorite, ma la Dea le si parò davanti e Alex, nel tentativo di scostarla, finì tra le sue braccia.
«Non posso rinunciare a Merlino, non posso», disse con voce flebile, ma ferma.
«Lo so, bocciolo mio».
Alex trasalì e come se le avessero appena iniettato una fiala di adrenalina nel cuore arretrò, trovandosi nello studio da pittrice di sua madre. E al suo cospetto c'era proprio lei, Ellen, col suo sorriso amorevole. Crudele, persino per una Dea che si era vista arrivare nel suo tempio decine di palline da golf.
«Mamma...», mormorò, sentendo le lacrime inondarle gli occhi e rigarle il viso.
La donna si avvicinò e con cautela le accarezzò una guancia. «Sei così cresciuta...».
L'infermiera chiuse gli occhi, continuando a ripetersi che era solo un'illusione. Non riuscì però a trattenersi e portò una mano su quella della madre, premendola con più forza contro la sua pelle irritata.
«E ti sei anche sposata», commentò Ellen. «Con l'unica persona in grado di infrangerti il cuore».
Alex riaprì gli occhi, trovando in quelli della mamma una compassione degni della Vergine Maria. La Madre, un'altra rappresentazione della Triplice Dea.
«Lo dicevi sempre anche tu: l'anima gemella è una benedizione tanto quanto una maledizione», rispose l'infermiera.
«Oh, amore mio... Lo sai che succederà, non puoi evitarlo. La nostra famiglia è abituata ai sacrifici, siamo forti».
Alex scosse il capo, allontanandosi dal tocco di sua madre col cuore infranto. «Non posso farlo, mi dispiace».
Lo schiaffo arrivò forte ed inaspettato, tanto che si ritrovò ad occhi chiusi e con un sapore metallico in bocca. Sua madre non l'aveva mai picchiata, nemmeno durante le loro peggiori litigate. Quella fu la scossa in grado di farle capire che per quanto fosse stato bello rivederla, era stato tutto finto.
Respirò profondamente, sentendo i polmoni bruciarle nella cassa toracica, e riaprì gli occhi per ritrovarsi nella sua vecchia camera, nella casa di Cardiff. L'unica luce accesa era quella della scrivania, sommersa di libri di medicina. Il silenzio era interrotto da deboli singhiozzi e Alex, girandosi verso il letto alle sue spalle, riuscì appena in tempo ad abbassarsi per evitare il caschetto da equitazione nero che la sua doppelgänger più giovane le aveva lanciato contro.
«E così sei davvero disposta a rinunciare a tutto per Merlino? Il lavoro in ospedale, la carriera per cui ti sei impegnata così tanto, i tuoi sogni? Lascerai che il mondo diventi un ammasso di cenere, per lui?».
L'Alex più giovane si alzò e la fronteggiò con la ferocia degli adolescenti.
Vedersi in quello stato la turbò, specialmente perché sapeva che c'era stato un tempo in cui era stata davvero così arrabbiata. All'epoca, quando suo padre aveva tradito la sua fiducia, aveva pensato che il mondo non meritasse nulla. E ora la rimproverava perché preferiva Merlino al mondo intero? La Dea stava finendo gli assi nella manica. O almeno così credeva.
«Negherai un futuro persino alla nostra bambina?», le gridò in faccia, afferrandola per le spalle e scuotendola con espressione disperata. Dopodiché le strinse le braccia intorno al collo, singhiozzando contro la sua spalla.
Alex si abbracciò, sentendo il cuore sgretolarsi nel petto. La sua bambina...
«Io voglio salvare tutti, Merlino compreso», sussurrò. «Se è la sua magia che vuoi puoi prendertela, lui stesso l'ha rinnegata... Ma permettigli di vivere. Ti prego, Dea. Farò qualsiasi cosa in cambio, lo giuro».
Il pavimento tremò e la giovane Alexandra Greenwood sfrigolò tra le sue braccia, trasformandosi nella stessa luce bianca che l'aveva avvolta una volta immersa nell'acqua del lago. Tuttavia era ancora consistente tra le sue braccia e l'infermiera sentì il suo respiro caldo sull'orecchio quando le sussurrò con voce suadente, ben diversa da quella di sua nonna, di sua madre o dalla propria: «Lo giuri?».
Alex non avrebbe dovuto giurare senza prima conoscere le condizioni del patto, Merlino l'aveva già avvertita una volta, ma era talmente stanca e desiderosa di tornare alla realtà che diede la sua parola.

***

«Alex! Alex, ti prego!».
Con mani tremanti, Cathleen si riportò il cellulare all'orecchio e disse: «Merlino, da quanto tempo è là sotto?».
"Quattro minuti e cinquantasette secondi", rispose in tono lugubre.
«E va bene, entro anch'io».
"Non dire idiozie, Cathleen".
«Sono piuttosto sicura che senza ossigeno si muoia. E a meno che Alex non si sia fatta crescere le branchie...».
"Lo so benissimo, ma devi renderti conto che c'è la Triplice Dea con lei. Che motivo avrebbe di lasciarla morire? È me che vuole".
«Quindi pretendi che io me ne stia con le mani in mano mentre la mia migliore amica è lì dentro? Non se ne parla!».
"Cathleen, no!".
Il paramedico gettò il cellulare nell'erba e a passo deciso si diresse verso la riva. Stava perdendo Artù, non poteva permettersi di perdere anche Alexandra.
Si era appena calciata via le scarpe, quando lo stesso fascio di luce bianca in cui aveva visto sparire l'infermiera la risputò fuori. Cathleen a quel punto non ebbe più esitazioni e si gettò nel lago per raggiungerla, chiamandola a squarciagola. La bionda sembrava priva di sensi e se quella luce non l'avesse tenuta a galla nell'acqua sarebbe di certo annegata. Forse Merlino aveva avuto ragione a dire che la Triplice Dea non la voleva morta.
«Da qua ci penso io, grazie», esclamò il paramedico afferrando l'amica e passandole un braccio sotto l'ascella in modo da tenerle il volto fuori dall'acqua. Nello stesso istante la luce si spense e Cathleen iniziò a nuotare a dorso verso la riva, battendo i denti per il freddo.
Ringraziò il cielo quando sentì il terreno sotto i piedi e poté sollevarsi per trascinare il più delicatamente possibile Alex sul pietrisco.
«Ehi! Alex, apri gli occhi!», la chiamò, dandole degli schiaffettini sul volto. Non funzionò. «Ah, maledizione!».
Si tirò indietro i capelli e si inghinocchiò al suo fianco per iniziare il massaggio cardiaco. Con le mani sul suo sterno, la chiamava ad ogni spinta. Poi si chinò sul suo volto, le chiuse il naso tra due dita e soffiò nella sua bocca. Ripeté l'operazione un'altra volta e finalmente Alex riaprì gli occhi, si voltò di lato e sputò parte dell'acqua ingerita.
«Grazie a Dio», mormorò Cathleen, passandosi un polso sulla fronte.
Quando Alex finì di rimettere tornò sdraiata, ansimante, e guardò Cathleen con occhi spenti.
«Che cosa diamine stavi facendo?», le chiese, per poi aprirsi in un debole sorriso e aggiungere: «Sono una donna sposata, adesso».
Cath scoppiò a ridere, mandandola a quel paese con tutte le espressioni verbali del suo repertorio.

***

Merlino le stava aspettando seduto sui gradini del porticato e quando vide l'auto di Alex, con Cathleen alla guida, si concesse un enorme sospiro di sollievo.
Le aveva sentite al cellulare e sapeva che erano entrambe uscite vive da Arianrhod, ma non era riuscito a liberarsi dal macigno che gli pesava sul petto. Solo quando poté aprire la portiera dal lato del passeggero e tirare fuori Alex per stringerla forte al petto, con una mano tra i suoi capelli ancora bagnati, fu in grado di disfarsene.
Dall'espressione grave sul volto di Cathleen, la quale si liquidò subito con la scusa di voler controllare le immutate condizioni di Artù, Merlino capì che Alex doveva aver preso l'unica decisione possibile e ne aveva reso partecipe il paramedico.
La guardò negli occhi limitandosi a rivolgerle un sorriso carico di comprensione e poi tornò a stringerle un braccio intorno alle spalle mentre l'accompagnava in casa. La fece sedere sulla poltrona in salotto (il divano era occupato da Elijah), davanti al camino acceso, e le avvolse intorno una coperta, poi andò a versarle una tazza di té, preparato sempre mentre attendeva il loro ritorno.
Quando tornò dalla cucina però trovò l'infermiera rannicchiata sul tappeto, scossa da singhiozzi silenziosi. Merlino lasciò la tazza sul tavolino e si sdraiò al suo fianco, stringendola a sé come aveva fatto la prima volta che avevano trascorso la notte insieme. Da allora sembravano passati anni e non pochi mesi.
Non ci fu nemmeno bisogno di parlare.
Alex pianse tutte le sue lacrime contro il suo petto, stringendo la sua maglietta tra i pugni, poi si addormentò.
Merlino rimase a fissare il fuoco che pian piano si affievoliva e si spegneva, lasciando solo dei carboni ardenti e poi nemmeno più quelli, certo che il sole sarebbe sorto ancora, con o senza di lui.

***

Tre giorni dopo

Mark aveva preso incredibilmente bene tutta la questione della magia. O forse, più probabilmente, aveva perso interesse per qualsiasi cosa ora che non c'era più un'Abigail Reed con cui condividerla.
Aveva ascoltato in silenzio ciò che Alex e Merlino gli avevano raccontato, nella privacy della sua stanza d'ospedale, e l'unico momento in cui aveva avuto una reazione era stato quando gli avevano messo davanti la possibilità di dare ad Abby una seconda vita, permettendole di lasciare il famoso segno nel mondo di cui tanto aveva sognato.
«Potrò parlarle ancora?», aveva chiesto, gli occhi illuminati da una piccola scintilla di speranza.
Merlino e Alex si erano guardati ed avevano annuito, dicendogli che Abby sarebbe diventata la custode di Avalon e sarebbe stata immortale.
«Allora fatelo».
Peccato che mettere in pratica la loro idea non era stato altrettanto semplice.
Tantissime persone avrebbero partecipato al funerale, molte più di quelle che pensavano, e scambiare le bare sulla strada del cimitero sarebbe stato impossibile, così Merlino, il quale si era incaricato di organizzare il tutto al posto di una distrutta signora Chapman, aveva allestito una camera ardente all'interno dell'ospedale in modo che gli amici potessero salutare Abby prima del funerale, quando ormai la bara sarebbe rimasta  chiusa e vuota.
L'impresario delle pompe funebri non aveva fatto troppe domande quando Merlino aveva commissionato due bare identiche, però aveva iniziato ad insospettirsi quando gli era stata chiesta a noleggio anche un'auto funebre. Era bastato un assegno per comprare il suo silenzio.
 
L'alba li colse di sorpresa, nel grande salotto di Merlino. Nessuno se l'era sentita di andare a dormire e avevano parlato per tutta la notte, ricordando i bei momenti trascorsi con Abby. All'ora stabilita svegliarono i giovani maghi assoldati da Freya e si diressero verso Avalon, mentre Cathleen li avrebbe raggiunti più tardi con Mark, dopo averlo aiutato a sgattaiolare fuori dall'ospedale.
Alex scese dall'auto e seguita da Hanna e dalle gemelle dovette percorrere solo una ventina di metri per emergere dal folto della vegetazione e trovarsi davanti ad Avalon, la cui superficie piatta rifletteva come uno specchio il cielo azzurro, le nuvole bianche e soffici come zucchero filato e i primi raggi del mattino. Come nella sua visione, non c'era traccia della solita nebbia e l'isoletta al centro del lago era ben visibile, così come la torre diroccata che, solo ora se ne rendeva conto, doveva essere andata in macerie quando Freya era morta, rendendo così privo di difese il cancello del regno degli spiriti.
Immersa com'era nei suoi pensieri, Alex non si era nemmeno resa conto dell'arrivo di Cathleen e Mark. Fu Merlino a riportarla alla realtà, con voce gentile: «Noi siamo pronti».
Alex si voltò e percorse con lo sguardo la sua intera figura, rapita dalla sua bellezza nonostante l'occasione e i lividi riportati nella battaglia con l'ex-custode di Avalon: indossava lo stesso completo scuro del funerale, i capelli ormai completamente bianchi erano pettinati alla bell'e meglio sulla testa e i suoi occhi azzurri, lucidi di lacrime, brillavano come pietre preziose. Dietro di lui c'erano Cathleen e Mark in sedia a rotelle, a loro volta elegantissimi e dalle espressioni addolorate. Nelle retrovie, ai confini del bosco, c'erano Elijah, Hanna, Maureen e Doreen.
L'assenza di Artù era così dolorosa che Alex dovette abbassare gli occhi sul proprio vestito, quello che vedendolo nell'armadio non aveva potuto fare a meno di indossare, stanca di combattere contro l'inevitabile. La gonna a pieghe era lunga fino ai piedi e il corpetto tempestato di brillanti le stringeva i fianchi e il seno, per poi trasformarsi in un velo sottile che le copriva le spalle e il collo.
«Facciamolo», mormorò sollevando di nuovo il capo verso il sole nascente.
Merlino ed Elijah si caricarono la bara sulle spalle e Mark li volle aiutare ad ogni costo, ignorando il tremore delle sue gambe. Insieme la portarono fino alla riva del lago, dove lei e le ragazze avevano ricoperto con foglie e fiori profumati la barchetta che tante ne aveva viste e che, imperterrita, continuava a ricomparire ogni volta che ne avessero bisogno.
Il ragazzino cadde in ginocchio accanto alla bara, senza più riuscire a trattenere le lacrime e i singhiozzi. Graffiò la verniciatura del legno con le unghie e mentre piangeva chiamava il nome di Abby in una nenia spaccacuore.
Alla fine fu Merlino ad allontanarlo e ad aprire la bara per sollevare il corpo senza vita della ragazzina, bellissima nel vestito che aveva scelto per la sepoltura: sembrava quasi una sposa, grazie alla seta e al pizzo che le fasciava la pelle diafana delle braccia. La adagiò con delicatezza tra i fiori e poi Mark poté chinarsi su di lei per un ultimo bacio.
Merlino aspettò che il ragazzino si spostasse prima di spingere la barca sull'acqua con l'aiuto di Elijah. Quindi infilò la mano in quella di Alex e le sussurrò: «Sei pronta?».  
«No», confessò, ma con la mano destra estrasse comunque Excalibur dal fodero che Cathleen le stava porgendo e lasciò che la sua magia le fluisse lungo il braccio fino a raggiungerle il cuore. Il ciondolo di Morgana si riscaldò contro il suo petto, assorbendone l'oscurità.
«Westiray. Wecce on saebat baelfyra maest», pronunciò l'incantesimo come le aveva insegnato lo stregone.
La barchetta si spinse a largo, guidata da una forza invisibile, e successivamente prese fuoco. Mark trasalì, inginocchiato sull'erba, ma non distolse mai lo sguardo. Con la coda dell'occhio, Alex vide alle sue spalle Elijah farsi un rapido segno della croce e poi chinarsi su un ginocchio.
Ci vollero una decina di minuti prima che la barchetta affondasse, trascinando con sé il corpo di Abby. Quando il fuoco si spense e il fumo fu solo una striatura nel cielo azzurro, Alex alzò lo sguardo su Merlino.
«Ha funzionato?», gli chiese.
«C'è solo un modo per scoprirlo».
Le sfilò l'elsa di Excalibur dalle dita e fece un passo indietro, poi alzò il braccio come un battitore di baseball e lanciò la spada verso l'acqua con tutta la forza che aveva. La lama roteò parecchie volte, lanciando fasci di luce ogni volta che il sole la colpiva, ma non arrivò mai a toccare la superficie di Avalon: una mano esile e pallida, inconfondibile, l'aveva afferrata al volo.
«Abby!», gridò Mark, incredulo e, per la prima volta dopo giorni, sorridente.
«Ciao, Mark», lo salutò la nuova Dama del lago.
«Stai bene? Che cosa... che cosa provi?».
«Non ti preoccupare per me, sono in pace».
«Però io...».
«Non posso rimanere ora. Ho così tanto da fare... Ma sarò sempre qui, quando avrai bisogno di me».
Mark annuì, asciugandosi le lacrime, e guardò la mano di Abby sparire sott'acqua insieme ad Excalibur.
Merlino lo raggiunse e gli porse una mano per aiutarlo a rialzarsi, poi gli strinse un braccio intorno alle spalle e lo condusse di nuovo alla sua sedia a rotelle. Cathleen e i giovani maghi diedero le spalle ad Avalon per tornare alle auto, mentre Alex si attardò sulla riva del lago con le mani unite in grembo, il peso grave dei propri doveri sulle spalle. Alla fine, al richiamo di Merlino, anche lei fece per allontanarsi, ma la voce di Abigail la fermò.Si voltò di tre quarti, trovando la superficie piatta e lucente. Merlino la chiamò di nuovo. Possibile che l'avesse sentita solo lei?
"Mi dispiace molto per la scelta che sei stata costretta a fare. Era impossibile uscirne vincitori".
Sì, era proprio la sua Abby. Sorrise flebilmente, ringraziandola col pensiero. L'avrebbe sentita.

***

Cathleen bussò piano alla porta della camera da letto di Merlino, ma fu Alex ad aprirle e a spostarsi per lasciarla entrare.
«Lo stai facendo sul serio?», le chiese col cuore dilaniato, gli occhi posati sullo zaino che stava preparando per il viaggio lungo una vita che si preparava a compiere. Aveva fatto una promessa a Merlino: aveva promesso di proteggerla e di prendersi cura di lei quando lui non ci sarebbe più stato, ma come avrebbe potuto se se ne fosse andata?
«Non ho scelta», rispose piano l'infermiera.
«Sì invece, ce l'hai. Non te ne farei mai una colpa, se decidessi di...».
«È colpa mia se Artù è in quelle condizioni!», gridò, indicando la stanza accanto. Il suo volto era diventato paonazzo e gli occhi stanchi e circondati da ombre violacee erano pieni di lacrime, ma non ne versò nemmeno una.
Cathleen corrugò la fronte, confusa. «Che cosa stai dicendo?».
«Il rituale per rendere Abby la custode di Avalon. L'avevo visto in una visione, ti ricordi? Beh, quando la feci c'era anche Artù. Mai, mai avrei pensato che potesse non esserci. Mi sono affidata alla magia e Artù ne ha pagato le conseguenze».
Alex si sedette sul letto, abbandonando il volto tra le mani. Cathleen la seguì poco dopo, sotto shock. Rimase in silenzio per un po', fino a quando non posò una mano sul suo ginocchio. L'infermiera lo fissò strabuzzando gli occhi.
«Non sono arrabbiata», le disse la rossa, pacatamente. «E non voglio che tu ti senta in colpa. Se Artù non avesse fatto ciò che ha fatto, tu e il tuo bambino sareste morti e a questo punto saremmo nei guai fino al collo, con gli spiriti e tutto il resto. Sono orgogliosa di lui».
Alex batté le ciglia e due grosse lacrime le rotolarono sulle guance, raggiungendo le labbra tremanti. Saggiandone la sapidità, la bionda si riscosse e si asciugò il volto. Pur di non incrociare ancora il suo sguardo si alzò e prese dall'armadio un paio di felpe che cacciò a forza nello zaino.
«Ad ogni modo non cambierò idea», affermò tirando su col naso. «Artù è un membro della famiglia, proprio come Merlino. E questo è l'unico modo per averli entrambi».
«Ma a quale prezzo?», le domandò il paramedico. «Vuoi fare la stessa vita di tua nonna, in giro per il mondo a rattoppare i danni causati dall'assenza della magia, sotto la dipendenza di una Dea ricattatrice? Vuoi costringere tuo figlio a vivere la vita di tua madre, sapendo tutto ciò a cui ha rinunciato?».
«Mia figlia», la corresse sottovoce, pentendosene subito dopo. Putroppo però Cathleen aveva sentito e fu solo per cortesia che le chiese di ripetere.
«È una bambina».
«Come... Come fai a saperlo? È troppo presto per...».
«Elijah è un Vate, un druido con la Vista. E anche la Dea me l'ha confermato».
La rossa si alzò e le tolse i vestiti dalle mani per travolgerla in un abbraccio soffocante.
«Quando lo dirai a Merlino?», le chiese a bassa voce.
«Forse è meglio che non lo sappia».
Cathleen si scostò per guardarla negli occhi, serissima. «Stai scherzando, vero?».
«Tu forse non ti rendi conto... Come dovrei dirglielo?». L'allontanò bruscamente da sé e chiuse finalmente lo zainetto. «"Merlino mi dispiace ma devo sacrificarti. E, a proposito, aspetto una bambina!"».
Si spostò di nuovo verso l'armadio e dal fondo estrasse una serie di buste. Gliele consegnò senza dire una parola e Cathleen le scorse velocemente: una lettera di licenziamento, alcuni messaggi indirizzati ai bambini dell'ospedale e a suo padre e l'ultima, la più corposa, era per Artù.
«Ho cercato di scrivere il perché delle mie azioni, ma conoscendolo la getterà nel camino», esclamò Alex tristemente. «Avrà tutte le ragioni di questo mondo per odiarmi».
«No, non è vero», negò Cathleen.
«Chissà, magari tu riuscirai a convincerlo. Per sua nipote, più che altro. Vorrei che si conoscessero, un giorno».
Cathleen la travolse in un altro abbraccio, quella volta stringendole le braccia intorno al ventre e premendo il viso contro la sua nuca. Era sull'orlo delle lacrime, ma voleva essere forte per lei.
«Cathleen...».
Alex non riuscì mai a finire la frase. Qualcuno bussò alla porta ed entrò senza aspettare il permesso: Merlino.
Le fissò con un sopracciglio inarcato, per poi sbottare: «Prima la respirazione bocca a bocca, ora questo... Mi state nascondendo qualcosa?».
L'infermiera stirò un sorriso mentre Cathleen si allontanava ad occhi bassi, dando solo l'impressione di essere imbarazzata.
«Non è un segreto che Cathleen mi venisse dietro. Artù è solo il Pendragon di ripiego», scherzò Alex, ma nessuno era dell'umore giusto per le battute.
Infatti lo stregone si incupì e spiegò il motivo per cui era lì: «Io ed Elijah abbiamo caricato Artù in auto, possiamo andare quando siete pronte».
«Scendiamo subito», replicò la bionda, calciando lo zaino sotto il letto e prendendo la mano di Cathleen perché questa la seguisse fuori dalla stanza.

***

Merlino pensava di essersi salvato, di aver trovato una scappatoia quando aveva lanciato Excalibur - l'unica arma in grado di ucciderlo - sul fondo di Avalon. Era una mera illusione, lo sapeva, ma per un attimo aveva davvero sperato di aver battuto il destino.
Dopo essere stati al Calderone di Arianrhod, nelle cui acque magiche avevano immerso il corpo di Artù, erano tornati a casa senza dire nemmeno una parola. L'aria era così carica di tensione da risultare elettrica, tanto che si erano separati per rimanere coi propri pensieri: Elijah era tornato a sonnecchiare sul divano, Cathleen era rimasta al capezzale del solo ed unico re, Merlino si era rifugiato nel giardino sul retro e Alex... Alex aveva recuperato lo zaino che le aveva visto nascondere sotto il loro letto ed era uscita, probabilmente per recarsi ad Avalon, dove avrebbe recuperato Excalibur.
Era quasi l'alba e, secondo ciò che aveva detto l'infermiera, Artù si sarebbe svegliato quando i primi raggi del sole gli avrebbero accarezzato il volto. Sembrava una poesia, tant'era bella quell'immagine, e Merlino sapeva perfettamente che c'era un'altra strofa prima di quella, molto più dolorosa.
Si alzò dalla panca e lasciò la veranda per avvicinarsi a quella che un tempo era stata una semplice piantina, cresciuta intorno al pugnale che Alex aveva conficcato nel terreno quando aveva dichiarato guerra ai custodi della magia.
Quella piantina era cresciuta in fretta, inglobando dentro di sé il simbolo di quel giuramento, e nelle ultime ore si era trasformata in un pino sempreverde alto diversi metri e dalla corteccia robusta.
Merlino vi posò sopra la mano e chiuse gli occhi, percependo la magia scorrere insieme alla linfa nelle venature del largo tronco.
Poi sentì la porta scorrevole aprirsi sulla veranda alle sue spalle ed abbozzò un sorriso malinconico, mentre le lacrime gli riempivano gli occhi. Non era mai stato così spaventato della morte prima di allora. In realtà la morte in sé non lo spaventava; erano le conseguenze sulle persone a lui care, in particolare su colei che si era presa il compito di porre fine alla sua vita per spezzare la maledizione che lui stesso, inconsapevolmente, aveva gettato secoli e secoli prima, a fargli paura.
Lui e Alex non erano diventati nemici, come spesso aveva temuto durante i suoi sogni premonitori, ma come lui aveva ucciso Morgana per il bene comune, ora Alex avrebbe ucciso lui. Se lo meritava.
Merlino, sempre tenendo una mano sul tronco del pino, si voltò in direzione di Avalon e guardò il sole nascente tingere di rosso le cime degli alberi. Le montagne ancora innevate sembravano ad un passo di distanza.
«Quindi è giunta l'ora?», domandò piano.
Si voltò solo quando sentì l'inconfondibile rumore metallico che faceva Excalibur quando veniva estratta dal fodero.
Alex lo stava guardando proprio come nella sua visione: la sua espressione era determinata, nonostante le lacrime le stessero rigando il volto.
«Mi dispiace», mormorò con un fil di voce.
Lo stregone sorrise, scuotendo il capo. «Non devi. È quello che volevo, ricordi? E poi è solo colpa mia se siamo qui».
L'infermiera tremava così tanto che dovette abbassare Excalibur fino a farle toccare il terreno. Coi capelli davanti al volto, scoppiò in singhiozzi più forti e Merlino non poté far altro che raggiungerla e stringerla delicatamente tra le braccia.
«Ti amo, Alexandra Greenwood-Pendragon. Sei così bella e forte... Mi sento onorato per aver ricevuto il tuo amore e per essere diventato tuo marito». Le prese il mento tra le dita per costringerla a guardarla negli occhi e posando la fronte contro la sua aggiunse: «L'unica cosa che voglio è che la mia famiglia stia bene. E se devo sacrificarmi per voi, così sia. Lo farei ancora e ancora, senza pensarci su due volte».
Quindi abbassò una mano per posargliela sul ventre e sorrise, lasciandole intendere che sapeva. Alex lasciò cadere del tutto Excalibur e gli gettò le braccia al collo, riprendendo a piangere contro la sua spalla.
Rimasero stretti in quel modo per tanto tempo, e Merlino avrebbe voluto rimanere così per sempre. Arrivò però l'alba e Alex si scostò, tirando rumorosamente su col naso. Gli posò entrambe le mani sulle orecchie e lo baciò, per poi sussurrare sulle sue labbra: «Ti aspetterò».
«Che cosa?».
Alex abbozzò un sorriso, accarezzandogli una guancia. «Il miglior accordo possibile, ricordi? Avvicinati all'albero».
Merlino indietreggiò, senza porre ulteriori domande. Credeva in Alexandra, l'aveva sempre fatto.
Quando sentì la corteccia ruvida contro le spalle, lo stregone guardò la moglie raccogliere la spada ed avanzare verso di lui. Non tremava più, ora.
«Enid», esclamò ad un tratto Merlino, ricordandosene all'improvviso. Alex lo fissò confusa. «Nostra figlia si chiamerà Enid. Vuol dire "anima", in gallese».
I capelli biondi turbinarono intorno al volto dell'infermiera a causa di una folata di vento improvvisa, finendole tra le labbra socchiuse e sugli occhi. Lei fece per scostarli, ma quell'attimo di distrazione permise a Merlino di sottrarle Excalibur ed infilzarsi la lama fredda nella pancia, con tanta forza che la punta si incastrò nel tronco del pino.
«No», mormorò Alex ad occhi sgranati, devastata. «No, no, no!».
Merlino invece sorrise, accasciandosi sulla spada su cui ora scorreva il suo sangue.
Alla fine aveva trovato il coraggio per farlo, il coraggio per salvare Alex dagli stessi rimorsi che l'avevano perseguitato per tutta la vita.
L'infermiera gli corse incontro e con la schiena squassata dai singhiozzi estrasse Excalibur dal suo ventre, per poi sostenere il mago con tutto il corpo.
«Merlino... Merlino, no...».
«Shhh, va tutto bene», esalò, sentendo un piacevole calore avvolgerlo. Era l'albero, scintillante di magia, che lo stava inglobando dentro di sé: le sue gambe e le sue braccia si ricoprirono di radici e corteccia, come una seconda pelle.
«Ti amo, ti amo e un giorno staremo di nuovo insieme. È una promessa», affermò Alex, accarezzandogli freneticamente il viso e posandogli una serie di baci a stampo sulle labbra. Poi si sfilò il ciondolo datole da Morgana e glielo mise al collo, pregando lo spirito della Sacerdotessa di tenerlo al sicuro.
Merlino avrebbe voluto dirle qualcosa, ripeterle ancora una volta che amava lei e la loro bambina non ancora nata, ma non ne ebbe il tempo: le sue labbra si trasformarono in legno e anche i suoi occhi si chiusero, facendolo piombare in una piacevole oscurità. Sentiva ancora il vento tra i capelli grazie ai rami, sentiva ancora il sangue scorrergli nelle vene grazie alla linfa e sentiva la magia che lentamente lo abbandonava e ritornava alla terra, all'aria e all'acqua a cui apparteneva, mentre il suo cuore smetteva di battere.



_____________________________________________________________________


Ci vediamo prossimamente per l'epilogo.
Grazie di cuore a chi è arrivato fino a qui. ♥

Vostra,

_Pulse_
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: _Pulse_