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Autore: Jade Tisdale    20/03/2018    0 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 17: 
Everything for her

 

 

 

 

A Sara erano sempre piaciuti i bambini. Sempre. E si era sempre chiesta come sarebbe stato avere un bambino tutto suo.
Fin dai tempi del liceo, fantasticava spesso su come sarebbero stati i primi giorni di vita di suo figlio, sulle emozioni che avrebbe provato nel sentirlo piangere per la prima volta e, soprattutto, su come sarebbe stato tenerlo stretto tra le braccia per ore e osservarlo mentre dormiva.
Ma adesso, a distanza di oltre dieci anni da quelle fantasie, non poteva fare nulla di tutto ciò, perché la sua bambina era rinchiusa in una maledetta incubatrice.
Cosa avrebbe fatto se le cose si fossero complicate? Se i medici le avessero detto che Kaila avrebbe dovuto trascorrere dei mesi in ospedale? Sarebbe riuscita a stare lontana da sua figlia per così tanto tempo?
«È normale amare così immensamente qualcuno che è venuto al mondo da meno di dodici ore?»
Una coccinella prese a volare davanti a Sara, andandosi a posare sul dorso della sua mano. Eppure non è periodo di coccinelle, si ritrovò a pensare, osservando ammaliata l’insetto rossastro.
«Lo so benissimo, tesoro mio» rispose dolcemente Dinah, adagiando la propria mano su quella della figlia. Quel contatto indusse la coccinella a volare via e a uscire dalla stanza, sotto lo sguardo dispiaciuto di Sara. «Ho provato la stessa cosa quando siete nate tu e tua sorella.»
«Ma per te è stato diverso» sottolineò la bionda. «Sono state gravidanze volute. Nel mio caso, invece...»
«Non dire un’altra parola» sussurrò Dinah, chiudendo istintivamente gli occhi. «Non dire nulla di cui in futuro potresti pentirti di aver detto.»
La bionda serrò la mascella. «Sto solo dicendo che adesso, al pensiero di aver dato alla luce una bambina, sento il cuore esplodermi di gioia. Ma ripensando a sei mesi fa, a quando ho scoperto di essere incinta, mi rendo conto solo ora di non aver amato il mio bambino come avrei dovuto. Ero così...»
«Confusa» concluse la madre per lei. Poi sospirò pesantemente. «Bambina mia, ne hai passate tante. Più di quante un essere umano dovrebbe sopportare. Eppure adesso sei qui a preoccuparti per la tua bambina come se le peripezie vissute negli ultimi mesi non fossero mai avvenute.»
«È che non riesco a pensare ad altro» rivelò Canary, la voce leggermente incrinata. «Voglio solo che si riprenda in fretta e che possa venire a casa con noi. Vorrei così tanto abbracciarla, mamma, ma non posso, e non riesco a non pensare che la colpa, in un certo senso, sia anche mia.»
«Amore mio, quello che provi in questo momento è del tutto normale» la rassicurò Dinah, accarezzandole amorevolmente la fronte. «Credi che lo stress provocato dall’aver tenuto nascosta la gravidanza possa aver anticipato il parto. Può darsi di sì, così come può darsi di no. Forse non lo sapremo mai. Ma quello che so per certo, è che non è colpa tua.» La donna prese un respiro profondo, ritraendo lentamente la mano. «Tutti hanno dei ripensamenti, tesoro, credimi. Tutti quanti. Nessuno è mai convinto fino all’ultimo secondo di aver fatto la scelta giusta. Non si nasce genitore, lo si diventa. E credimi se ti dico che anch’io, a mio tempo, ho avuto dei dubbi sulle mie qualità di madre.»
«Beh, non avresti dovuto averne. Sei stata ‒ e sei ‒ una madre fantastica.»
Un sorrisetto complice andò a contornare le labbra di Dinah. «Già. Questo lo dici tu. Ma forse non sai che quando ho cambiato il primo pannolino di Laurel ho sprecato due confezioni intere prima di imparare come si faceva. O che quando avevi due anni hai battuto la testa nella vasca da bagno e ho temuto il peggio.»
«Non me lo ricordo» ammise la bionda.
«Eri troppo piccola, ma per me è come se fosse accaduto ieri. Laurel era all’asilo, tuo padre era rientrato da poco dopo una dura nottata di lavoro, e tu ti eri sporcata dalla testa ai piedi mentre ti davo da mangiare. Ero stanchissima, tesoro. Avevo da poco iniziato a lavorare all’università e nei giorni precedenti mi ero dovuta dividere tra le correzioni dei test e voi due. Viaggiavo di continuo, non avevo un minuto per respirare e tuo padre aveva tra le mani un caso che lo teneva occupato giorno e notte. Nonostante fossi affaticata, decisi comunque di non svegliarlo e ti portai di sopra per farti un bagno. Ho riempito la vasca e ti ho lavata per bene, intrattenendoti con una paperella di gomma e con degli schizzi d’acqua che a malapena ti bagnavano le dita. Ridevi di continuo e ti eri messa a giocare con la paperella, perciò ho pensato che, forse, se avessi riposato le palpebre per un secondo, soltanto uno, non sarebbe successo nulla. Purtroppo, però... non si trattò solo di un secondo.»
Dinah ebbe un forte tremito, ma fece del suo meglio per non darlo a vedere. Il solo ricordo di quel giorno, a distanza di più di vent’anni, riusciva ancora a metterle i brividi.
«Fui svegliata da un forte tonfo. Quando aprii gli occhi la prima cosa che vidi fu la vasca piena di sangue e il tuo corpicino che galleggiava a testa in giù. Prima che potessi fare qualunque cosa, tuo padre ti tirò fuori dall’acqua e ti portammo di corsa in ospedale. Fortunatamente, riprendesti i sensi lungo il tragitto, e quando i medici provarono a chiederti cosa fosse successo, tu risposi facendo spallucce. Non ricordavi più nulla, ma avevi riportato una piccola ferita sulla nuca. Ecco perché l’acqua si era macchiata di rosso.»
«Mi hanno messo i punti sulla ferita?»
Dinah trasalì. «Allora te lo ricordi?»
«No. Non l’incidente. Ma ricordo di aver provato un prurito indescrivibile al collo per non so quanto tempo.»
«Una settimana. Eri davvero sollevata quando te li hanno tolti. Mi sorprende che ti sia rimasto impresso questo particolare.»
«Già, ma fino a non molto tempo fa era solo un ricordo confuso. Credo di essermene convinta solo quando Nyssa ha notato la cicatrice quando stavamo‒[1]»
Sara si zittì di colpo, mordendosi forte la lingua prima di dire qualcosa di inopportuno. Sua madre sembrò leggerle nel pensiero, perciò si limitò a soffocare una risatina prima di continuare. «Il punto è che tutti commettiamo errori. Nessuno è perfetto, Sara. Nemmeno io. Ho sempre pensato di essere un disastro come madre, e quell’incidente ne è stato la prova. E prima che tu possa provare a giustificarmi, sì, è vero, ero molto stanca, ma ciò non toglie che non avrei dovuto staccarti gli occhi di dosso nemmeno per un istante. I bambini sono veloci e costantemente alla ricerca di pericoli, non dimenticarlo.»
«Lo terrò a mente.» Mentre lo diceva, Sara annuì, ma dentro di sé pregò con tutta sé stessa di non dover mai sperimentare lo spavento che aveva dovuto provare sua madre con lei. Tuttavia, con i due genitori ribelli che si ritrovava, dubitava fortemente che Kaila sarebbe stata lontana dai pericoli. La sua unica speranza era quella che sua figlia somigliasse a Nyssa almeno un po’.
«La morale della storia, è che non esistono gravidanze giuste o sbagliate. Solo perché nel vostro caso si è trattato di un incidente, non significa che non amerai Kaila nel modo in cui io ho amato te e tua sorella, né tantomeno che devi sentirti in colpa per aver deciso di non abortire nonostante... le complicanze, ecco.»
E nel vocabolario di Dinah Drake Lance, “complicanze” era sinonimo di “qualunque tipo di casino in cui tu ti sia messa con la Lega degli Assassini”.
«Grazie, mamma.» Sara sorrise lievemente. «Non so cosa farei senza di te.»
Dinah ricambiò il sorriso. «Faresti indubbiamente la cosa giusta, tesoro mio.»

*

A distanza di due giorni dal parto, Sara aveva ricevuto un sacco di visite. Oltre a Dinah, Laurel e Oliver, erano andati a trovarla anche Josh e Adam, Sin e Richard ‒ che finalmente aveva avuto l’onore di conoscere ‒, alcuni colleghi di Laurel, Dig e Lyla con la piccola Lisa e, nonostante i precedenti, anche Curtis, l’amico di Felicity.
L’unico che mancava all’appello era suo padre. Ecco perché quel giorno, quando lo vide fermo sulla soglia, rimase completamente stupita nel vederlo.
«Puoi darci qualche minuto?» sussurrò rivolta a Nyssa, che in quel momento la stava aiutando a mangiare qualcosa.
La figlia di Ra’s al Ghul si fermò con il cucchiaio a mezz’aria, guardando prima Quentin, poi Sara.«Va bene» annuì, per poi prendere il piatto di minestra tra le mani e poggiarlo sul comodino. Mentre usciva dalla stanza, il Capitano Lance le fece un cenno col capo, che Nyssa ricambiò appena. L’uomo si rivolse poi alla figlia con fare esitante.
«Puoi finire il tuo pranzo, se vuoi. Se ti serve una mano...»
«C’è qualcosa che devi dirmi?»
Quentin tentennò. Ci volle qualche secondo prima che trovasse le forze per riprendere la parola.
«Hai una bimba davvero bellissima.»
«Non è di Kaila che mi vuoi parlare» lo punzecchiò la bionda. «È dall’altro giorno che cerchi di evitarmi. Sarai passato a vedere come stavo giusto un paio di volte da quando sono qui.»
L’uomo si ritrovò a sospirare, per poi avvicinarsi lentamente al letto della figlia. Si massaggiò pensieroso il mento, con un accenno di barba che gli graffiava il palmo della mano. «È che non mi aspettavo di vederti là.»
Sara non ebbe bisogno di fare mente locale. Sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo il padre.
«Sono passate quasi due settimane, ormai.»
«Lo so. Ma era da parecchio che non ti vedevo in azione, sai?»
«Ho riposto la maschera di Canary appena due mesi fa.»
«Hai ucciso quell’uomo davanti ai miei occhi, Sara. Per quanto io sia felice di sapere che sai difenderti da sola, è sempre un shock per un genitore veder fare una cosa simile dalla propria figlia.»
«Se non l’avessi ucciso io, lui avrebbe ucciso me» sibilò Sara a denti stretti, sentendosi inspiegabilmente irritata.
«Non è questo il punto, Sara. Non è stato come uccidere gli uomini di Slade Wilson. Ti trovavi in una zona residenziale, ed eri senza maschera. Chiunque avrebbe potuto vederti.»
«Nessuno mi ha vista, te lo posso assicurare.»
«Come lo sai?»
«La Lega mi ha insegnato molte più cose di quante tu possa immaginare.»
Quentin serrò la mascella, visibilmente contrito. «Ciò non toglie che nelle tue condizioni avresti dovuto almeno provare a chiedere aiuto prima di agire da sola.»
«E a chi, papà? Alla polizia? A te? Hai idea di quello che avrebbe potuto farvi quell’uomo da solo
«Non m’importa quello che mi avrebbe fatto, Sara. Insomma… non è questo il punto, tesoro. È normale che la tua priorità in quel momento fosse difenderti, ma non riesco ad accettare il pensiero che tu mi abbia tenuto nascosta la verità per così tanto tempo.»
E a quel punto le fu tutto più chiaro. «Quindi è per questo che sei arrabbiato. Perché non ti ho detto che la Lega ci stava dando la caccia.»
«Io non sono arrabbiato, Sara. Sono solo... frustrato. Dispiaciuto. E spaventato.»
Quentin inspirò profondamente, per poi prendersi la testa tra le mani. «E se quel giorno non avessimo ricevuto la segnalazione di un passante? E se quell’uomo ti avesse fatto del male? E se ti avesse‒»
«Basta, papà» ordinò Canary, poggiandogli una mano sul braccio. «Ho capito. E sono davvero mortificata. Non avrei dovuto tenerti all’oscuro di tutto, ma avevo paura che...»
Sara esitò, ma bastò il suo sguardo per far capire a Quentin l’antifona.
«Bambina mia» esordì il capitano, stringendo la mano della figlia con tutte le sue forze. «Devi smetterla di preoccuparti così tanto per me.»
«Sei mio padre. E hai problemi di cuore» sussurrò, il labbro inferiore che tremava appena. «Sarebbe stato egoista da parte mia fingere che dopo la mia partenza non fosse successo nulla. Avevo paura che per te sarebbe stato troppo difficile sopportare l’idea che Ra’s al Ghul mi stesse perseguitando.»
«Di nuovo» sottolineò Quentin. «Direi che ormai ci ho fatto l’abitudine.»
Sara sorrise amaramente, abbassando appena lo sguardo. «Scusami. Non volevo farti stare in pensiero.»
E a quelle parole, Quentin sentì il cuore esplodergli nel petto. «Quale padre non lo sarebbe per le proprie figlie?»

*

«Quanto tempo resterai ancora in ospedale?»
Sara fece una smorfia, osservando indispettita l’ago della flebo inserito nel suo avambraccio. «Pochi giorni. Una settimana, forse.»
«Così tanto? Siete qui già da quattro giorni.»
«Lo so, ma la Dottoressa Schwartz vuole tenermi sotto osservazione. Dice che sono debole e che potrebbero ancora sorgere delle complicazioni.»
Oliver deglutì sommessamente. «E Kaila?»
Sara si bloccò, sentendo lo sguardo di Oliver fisso su di lei. «Non ne ho idea. Ma spero che la dimettano presto.»
«Già. Anche io. Ora però mi potresti spiegare come mai oggi sei di così cattivo umore?»
«Perché non riesco a capire il motivo di tutta questa apprensione, Ollie. La Schwartz ci sta col fiato sul collo continuamente. Ricorda costantemente a Nyssa di cambiare le sue medicazioni e a me di non staccarmi la flebo dal braccio.»
«E perché mai dovrebbe dirti di non‒» Lo sguardo eloquente di Sara gli fu più che sufficiente per capire. «Dio, Sara. Dimmi che non l’hai fatto davvero.»
«Non l’ho fatto» rispose prontamente lei.
Il vigilante sospirò, passandosi una mano sul viso con fare rassegnato. «Quante volte?»
«Tre... O quattro, forse. Mica le ho contate.»
«Hanno ragione a dire che sei debole. Mangi solo le barrette che ti compra Laurel ai distributori automatici.»
«Il cibo dell’ospedale non è dei migliori, dovresti saperlo bene. E poi non è colpa mia se ho poco appetito.»
«Allora cerca di non attirare troppo l’attenzione, altrimenti penseranno che qualcosa non va e ti terranno qui a vita.»
«Perché effettivamente qualcosa non va, Ollie» puntualizzò lei, serrando la mascella. «Ogni volta che voglio andare a trovare Kaila, devo sempre pensare a questo stramaledetto ago che ho conficcato nella pelle. Se me lo tolgo, ci impiego molto meno ad arrivare alla nursery. Tutto qui.»
Oliver guardò Sara dritto negli occhi, ispezionando quelle iridi cerulee tanto forti quanto tormentate da una caverna di segreti che ancora doveva scoprire. «So bene che non è questo il motivo, Sara. E lo sai anche tu.»
Canary abbassò di poco lo sguardo e deglutì. «La Lega degli Assassini mi perseguita. Nostra figlia è in un’incubatrice. E io e Nyssa, beh... non so se riusciremo mai ad avere una vita normale. A questo ci credi?»
Arrow poggiò i gomiti sulle ginocchia, per poi piegarsi leggermente in avanti. «Ascoltami, Sara» esordì, sospirando appena.
«Ultimamente iniziate tutti le frasi così. Mi devo preoccupare?»
L’uomo delineò un sorriso. «Per nessuno di noi è facile. Prendi John, per esempio. Anche lui ha avuto da poco una bambina, e pensa a quanti nemici può essersi fatta Lyla in tutti questi anni all’A.R.G.U.S. So che la tua situazione con la Lega è totalmente diversa, però... non sei sola. Non lo sei mai stata. Tutti noi amiamo qualcuno a tal punto da volerlo proteggere da ogni pericolo, ma è impossibile. Io stesso mi sono chiesto svariate volte se non sarebbe stato meglio per questo bambino non sapere che io fossi suo padre. Ma poi, vedendo John, Lyla e Lisa, ho capito che noi due non avremmo potuto fare cosa migliore di questa.» Poggiò la propria mano sopra a quella di Sara, stringendola forte. «Abbiamo avuto una bambina. Hai messo al mondo un essere umano che molto presto potrà camminare, parlare, vivere. E chi lo sa, magari diversamente da noi due riuscirà a finire il college.»
«Farò tutto ciò che è in mio potere per far sì che questo accada» ironizzò la bionda, nonostante avesse le guance rigate dalle lacrime.
«Il punto è che ci sarà sempre qualcuno che vorrà ferirci, ecco perché dovremo essere pronti. Non voglio turbarti, Sara, ma non sappiamo cosa abbia in serbo il futuro per la nostra famiglia. Tutto potrebbe filare liscio come l’olio, oppure...»
«Dobbiamo essere preparati» ripeté lei con un filo di voce.
«Esatto» annuì Oliver. «Per questo voglio che decidiamo adesso che cosa faremo quando la situazione precipiterà. Se precipiterà» si corresse il vigilante. «Dobbiamo pensare a Kaila e al suo futuro. Tu sei sua madre, e io sono suo padre. Non voglio costringerti a scegliere adesso, ma se hai capito cosa intendo, saprai anche prendere la decisione giusta per il suo bene.»
E Sara, che negli ultimi mesi aveva desiderato che quel momento non arrivasse mai, strinse la mano di Oliver con tutte le forze che aveva in corpo.

*

Tornare a casa fu più strano di quanto avesse immaginato. La luce del sole filtrava attraverso la finestra, illuminando leggermente la stanza. Tutto era rimasto al proprio posto, eppure sentiva che mancava ancora una tassello per completare il puzzle.
Si bloccò sulla soglia, irrigidendosi dalla testa ai piedi.
«No. Non ce la faccio.»
Sara fece un passo indietro, scuotendo il capo con disgusto. «Non ce la faccio, Nyssa. Devo tornare in ospedale. Devo andare a prenderla.»
«Calmati, Sara» la ammonì la mora, stringendo le mani intorno alle sue spalle. «Prendi un respiro profondo.»
Sara obbedì, ma non cambiò nulla. Aveva ancora un forte mal di testa, e il pensiero che sua figlia si trovasse a chilometri di distanza da lei le faceva venire il voltastomaco.
«È da sola, Nyssa» disse col cuore in gola. «L’abbiamo lasciata là da sola.»
«Sara, non è sola. Ci sono un sacco di infermiere e di medici a tenerla d’occhio costantemente. Non le capiterà nulla. E poi, noi potremo restare lì tutto il giorno. Dobbiamo tornare a casa solo per dormire e per darci una rinfrescata.»
Ma Sara non voleva saperne di calmarsi. Anche se era trascorsa più di una settimana, la Lega poteva essere ancora nei paraggi, e avrebbero potuto fare del male alla sua bambina in qualsiasi momento. Scoppiò a piangere in silenzio, mentre il peso della paura che provava aumentava a dismisura.
Nyssa la strinse tra le proprie braccia, dandole un bacio sul capo tra un singhiozzo e l’altro. «Non permetterò che le accada qualcosa» sussurrò, mentre una lacrima solitaria le accarezzava il viso. «Te lo giuro sulla mia stessa vita.»

*

Nei giorni successivi, Sara e Nyssa trascorsero alternativamente del tempo in ospedale per vegliare su Kaila. Poiché era tornata al lavoro, Nyssa si recava allo Starling General perlopiù al mattino, e di conseguenza a Sara toccava il pomeriggio. Dopo pochi giorni, le due raccontarono a Oliver dei loro timori e il vigilante si offrì di fare il turno di notte.
In questo modo, Kaila aveva due occhi puntati su di lei ventiquattro ore al giorno. E sarebbe stato così ancora per molto tempo.

*

Sara si svegliò di soprassalto, il cuore che le batteva talmente forte da farle mancare il respiro. Si passò una mano sulla fronte sudata, scostandosi delle ciocche ribelli che le si erano appiccicate sulla fronte. Faceva un caldo tremendo, ma era dicembre e sarebbe stato stupido togliersi il pigiama.
Quando notò i primi raggi dell’alba farsi spazio tra le fessure della finestra chiusa, Sara comprese che non era notte fonda, e che la causa del suo risveglio improvviso non era stato un brutto sogno.
Si voltò verso il comodino e prese la sveglia tra le mani. Segnava le 07:03 di mattina. A quel punto, la donna tirò un sospiro di sollievo.
Il gran giorno era arrivato.



Dal giorno in cui era nata, gli occhi di Kaila avevano cambiato colore. Sara ne era certa, perché la prima volta che li aveva visti le avevano ricordato gli occhi di Oliver; adesso, invece, era come se si stesse specchiando. Aveva due grandi, profondi occhi cerulei come i suoi. E ormai la stava guardando incuriosita da oltre dieci minuti.
La sera precedente, quando Dinah aveva scoperto che Kaila sarebbe stata dimessa il giorno successivo, si era precipitata in stazione per prendere l’ultimo treno in partenza per Starling City. «Non avrò più lezioni fino a lunedì,» aveva spiegato alla sua secondogenita, «perciò verrò a darvi una mano un paio di giorni. E poi, Nyssa sarà impegnata con il lavoro, perciò ti serviranno due braccia in più. Credimi, tesoro, finché non prenderete il ritmo giusto, sarà dura abituarsi ad avere un bebè in casa.»
Sara non la pensava allo stesso modo. Nel momento in cui aveva stretto sua figlia tra le braccia, aveva sentito il cuore scaldarsi. Fin dal principio, era sempre stata consapevole del fatto che crescere un bambino non sarebbe stato facile, ma c’erano tante persone pronte ad aiutarla, sua madre in primis. Né Nyssa né Oliver avrebbero permesso a qualcuno di sfiorarla, e sapeva che era così anche per il resto del Team Arrow.
All’improvviso, Kaila starnutì. Fu un rumore lieve, a malapena udibile, e subito dopo sul suo visino si formò un piccolo sorriso. E Sara capì di non avere nulla da temere.



Come d’accordo, Dinah rimase da loro nei due giorni successivi. Dormì sul divano letto, preparò la colazione per tutti e badò alla bambina nel pomeriggio, così che Sara potesse riposare. Malgrado non volesse ammetterlo, badare a una bambina ventiquattro ore al giorno era più stancante di quanto avesse immaginato.
Visto il suo passato da babysitter, Canary non ebbe problemi a cambiare pannolini e a fare il bagnetto, ma non poteva considerarsi altrettanto brava con l’allattamento. Rispetto agli altri neonati, Kaila non mangiava molto, e quando arrivava il momento era difficile farla attaccare al seno. Probabilmente si era abituata ai ritmi dell’incubatrice, ma Sara si era ripromessa che l’avrebbe allattata almeno fino ai sei mesi, ed era determinata a realizzare quel proposito.
«Ricorda di evitare gli ammorbidenti profumati quando fai il bucano. La pelle dei bambini è molto sensibile.»
«Lo so, mamma. Me l’avrai già ripetuto almeno cinquanta volte» rise Sara, passando a Dinah la sua valigia.
Quest’ultima sorrise nostalgica, dandole un buffetto sulla guancia. «Hai ragione, tesoro. È che ancora non riesco a crederci.»
«Che sei diventata nonna?» ironizzò la bionda.
Sua madre scosse la testa. «Che la mia bambina si sia trasformata in una donna.»
Sara cercò di nascondere il più possibile la nostalgia che provava. Era stato bello rivedere sua madre, ma ora doveva andare avanti senza di lei. Anche lei era una mamma adesso, e questo voleva dire solo una cosa: doveva imparare a cavarsela da sola.
«Ti chiamerò tutti i giorni. Almeno una volta al giorno. Intesi?»
Sara sorrise e annuì, per poi stringere sua madre in un abbraccio. Dentro di sé, sapeva che non appena Dinah avrebbe preso quel treno sarebbe cambiata ogni cosa.

*

Nonostante avesse trascorso quasi tre settimane nell’incubatrice, Kaila era ancora molto leggera. Pesava appena tre chili, ed era alta cinquantatre centimetri. Sara si augurava che avesse ereditato i geni di Oliver e che diventasse più alta di quanto lo fosse lei.
La cosa che più le piaceva di sua figlia erano le sue guance paffute. Non appena gliele sfiorava, Kaila iniziava a ridere e le sue guance assumevano un colorito rosato che le faceva scaldare il cuore. Dalla prima volta che l’aveva vista, era diventata ancora più bella.
Era anche una bambina molto precoce. Nonostante avesse appena ventidue giorni di vita, riusciva a ridere e a sbattere perfettamente le palpebre come avrebbe fatto un bambino di sei mesi. Ed era davvero tranquilla. Dormiva dalle dieci di sera alle sei di mattina, e difficilmente scoppiava a piangere. Ma l’avevano portata a casa da appena tre giorni, perciò Sara non era sicura di conoscere tutte le sue abitudini.
Aveva appena finito di allattarla quando Nyssa entrò nella camera da letto. Si fermò sullo stipite della porta ad osservare Sara dare delle piccole pacche sulla schiena della bambina.
«Sbaglio o qualcuno oggi ha mangiato più del solito?»
Sara sorrise trionfante. «È rimasta attaccata per mezz’ora di fila. Abbiamo una vincitrice.»
«Giusto in tempo per la colazione. Uova al tegamino, muffin ai mirtilli o french toast?»
Canary spalancò di colpo le palpebre. «Hai davvero preparato i muffin ai mirtilli?»
Nyssa annuì, dedicandole un sorriso malizioso. «Mi sembra di ricordare che una volta mi hai detto che tua madre te li preparava sempre quando tornavi a casa dopo aver trascorso del tempo in ospedale. Ho fatto centro?»
Sara si mordicchiò il labbro inferiore, per poi dare un bacio appassionato all’amata. «Altroché, arciere dei fornelli. Ora però muoviamoci o si raffredda tutto.»



La mattinata proseguì in tranquillità. Mentre Nyssa faceva le pulizie di casa, Sara diede da mangiare a Kaila una seconda volta, le cambiò il pannolino prima di pranzo e le scattò alcune foto che inviò a Oliver e a Laurel.
Poco dopo pranzo, lei e Nyssa si distesero sul divano a guardare un film, ma nel giro di venti minuti Sara sbadigliò quattro volte. La figlia di Ra’s spense il televisore subito dopo il quarto sbadiglio senza dire una parola.
In tutta risposta, Sara la guardò confusa. «Ma che fai? Erano mesi che volevo vedere quel film.»
«È “Sex and the City”. L’avrai visto almeno cento volte. Ti sei persino portata dietro il dvd quando ci siamo trasferite.»
«Chi se ne frega. Non lo ridanno quasi mai in TV.»
Sara si sporse in direzione di Nyssa per afferrare il telecomando, ma quest’ultima, approfittando del fatto di essere più alta dell’amata, si mise in ginocchio sopra al divano e alzò il braccio verso l’alto.
«Fammi almeno arrivare alla scena in cui Samantha è nella vasca da bagno. Lo sai che è la mia preferita» la pregò Sara, che stava disperatamente tentando di strapparle il telecomando dalle mani.
«Te la farò vedere dopo che ti sarai fatta una bella dormita di almeno un paio d’ore.»
D’istinto, Sara si bloccò. «E perché mai...»
«Sono state tre settimane pesanti, e negli ultimi tre giorni avrai dormito sì e no sei ore a notte. Ti alzi presto per dare da mangiare a Kaila, ti prendi cura di lei per tutto il giorno e vai a dormire tardi. Ti meriti un po’ di riposo.»
Sara sembrò pensarci su per qualche istante, per poi scuotere lentamente il capo. «Non mi va di lasciare Kaila da sola per così tanto tempo. Si è appena abituata a me.»
«Di certo non si dimenticherà chi sei solo perché starai per un po’ nella stanza in fondo al corridoio. E poi non sarà per niente sola. Mi prenderò cura io di lei mentre tu riposi.»
La bionda esitò ancora una volta, ma poi si ritrovò a dover sospirare. Dopotutto, così come Kaila si stava abituando a lei, era giusto che si abituasse anche alla presenza dell’altra sua madre. E di sicuro, anche Oliver avrebbe preteso la stessa cosa molto presto. Doveva mettersi in testa che Kaila non era sua figlia, ma la loro.
«E va bene» concesse, ruotando appena la testa di lato. «Ma solo per un paio d’ore.»
Nyssa sorrise fiera, per poi darle un bacio a fior di labbra. «Andata.»
«Dovrei riuscire a svegliarmi in tempo per la prossima poppata, ma se così non fosse, dovrai darle da mangiare scaldandole il latte come ci ha insegnato mia madre. Vado a prendere il tiralatte.»
Sara saltò giù dal divano, ma si fermò prima di raggiungere la cucina. «Sicura di riuscire a badare a lei da sola?»
Non lo aveva detto perché non si fidasse di lei, quanto perché, a differenza sua, Nyssa non aveva mai avuto a che fare con un neonato. Sapeva che per qualsiasi evenienza l’avrebbe svegliata, ma non voleva che lo facesse solo perché si sentiva in obbligo nei suoi confronti.
In tutta risposta, l’Erede del Demonio inarcò un sopracciglio con fare confuso. «Se sono sopravvissuta ai Talebani, alla mafia giapponese e all’esercito di Deathstroke, non credi che possa resistere di fronte a un pannolino sporco e a qualche rigurgito?»
Sara scosse la testa divertita. Come aveva potuto sottovalutare così tanto la donna che amava?


Nyssa, al contrario, si era sopravvalutata un po’ troppo.
Andrà tutto bene, si era detta. È solo una neonata. Non sarà poi così difficile. Ma in realtà, prendersi cura di Kaila sarebbe stato più che difficile.
La parte più dura fu realizzare di essere diventata madre. Perché sì, nonostante fosse passato quasi un mese dalla nascita di Kaila, Nyssa non aveva compreso che cosa volesse dire essere genitore fino a quel momento. Prima d’ora non aveva mai avuto occasione di prendere in braccio sua figlia, di cantarle una ninna nanna o di osservarla così da vicino. In quegli ultimi giorni, mentre lei era al lavoro, erano state Dinah e Sara a prendersi cura della piccola. Ma adesso avrebbe potuto finalmente recuperare il tempo perso.
Kaila sembrava preferire la culla al lettino. Probabilmente il motivo era che il letto, in confronto alla culla, doveva parerle immenso. O forse la preferiva semplicemente perché c’era una giostrina con dei peluche appesi che la attraeva particolarmente.
Sembrava serena, perciò, dopo averla osservata per qualche minuto, Nyssa decise di approfittarne per leggere un libro e meditare. Era da un po’ che non si concedeva del tempo per sé, e finché Kaila sarebbe stata tranquilla, non avrebbe avuto alcun senso punzecchiarla. Tuttavia, non appena raggiunse la libreria, la bimba iniziò a mugolare.
«Che cosa c’è, piccolina?» domandò la mora, quasi sussurrando. «Ti fa male il pancino?»
Da quando era arrivata a casa, Kaila aveva già rigurgitato il latte due volte, ma Dinah gli aveva spiegato che era normale. La cosa migliore da fare subito dopo averle dato da mangiare, era tenerla tra le braccia per qualche minuto e cercare di farle fare un ruttino prima di metterla distesa, e in caso avesse iniziato a lamentarsi, avrebbero dovuto farle dei massaggi sulla pancia.
Nyssa ci provò, e Kaila sembrò stare meglio quasi subito. La guardò per un po’ coi suoi occhietti vispi ‒ e glaciali come quelli della sua mamma ‒, ma proprio quando Nyssa fu sicura di averla scampata, la bimba iniziò a piangere.
«No, no, no...» bisbigliò, accarezzandole la pancia più velocemente di prima. «Così sveglierai la mamma. Avanti, piccola, smetti di piangere.»
Ma Kaila non ne voleva sapere. Più i secondi passavano, più il suo pianto aumentava, e dopo non molto iniziò anche ad urlare. Fu allora che Nyssa si rese conto di un particolare per niente privo di importanza.
Aveva paura.



Amina Raatko era diventata madre all’età vent’anni. Lei e Ra’s al Ghul si erano conosciuti quasi per caso, ignari del fatto che il loro destino fosse già stato scritto da un bel pezzo. Amina era rimasta incinta poco tempo dopo il suo arrivo a Nanda Parbat, e quella notizia sembrava aver rafforzato il suo rapporto con Ra’s. Tuttavia, quando quest’ultimo le aveva rivelato cosa fosse davvero Nanda Parbat, ormai era troppo tardi.
La sua primogenita, Nyssa, era nata in un fresco giorno di primavera. Era venuta alla luce strillando, con un ciuffo ribelle di capelli neri e un’immensa voglia di vivere. Nyssa non era certa di chi avesse scelto il suo nome, ma sapeva che sua madre l’aveva amata fin dal primo istante in cui l’aveva stretta tra le braccia. Era sicura che fosse stato un sentimento reciproco.
Nyssa Raatko era diventata madre all’età di ventinove anni, ma di prendere in braccio sua figlia non ne voleva sapere. Negli ultimi quindici anni aveva ucciso alcuni dei mercenari più pericolosi di sempre, ma la sola idea di stringere Kaila tra le braccia le faceva venire la pelle d’oca.
Era terrorizzata. Non voleva farle del male, o rischiare di farla cadere, o addirittura di farla piangere più di prima. Non voleva rovinare tutto, ma non poteva nemmeno starsene con le mani in mano, poco ma sicuro.
Con estrema delicatezza, Nyssa allungò una mano in direzione del corpicino di Kaila. La bambina smise di piangere per un secondo, uno soltanto, e la guardò. Aveva la boccuccia dischiusa e il viso tutto rosso, e Nyssa si rese conto di non aver mai visto qualcosa di così bello in tutta la sua vita. Un attimo dopo, però, la bimba ricominciò a strillare, e fu allora che l’Erede del Demonio trovò la forza di tirarla fuori dalla culla. D’istinto la strinse forte a sé ‒ così forte che temette di schiacciarle i polmoni ‒, per poi compiere qualche passo incerto verso la cucina. E se avesse scaldato troppo il latte? O troppo poco? E se invece l’avesse fatto cadere? L’ultimo dei suoi pensieri era svegliare Sara ‒ era quella l’unica ragione per cui in quei cinque minuti di caos aveva resistito all’idea di chiederle aiuto ‒, e di certo non si sarebbe arresa proprio adesso.
Dopo aver messo a scaldare il latte a bagnomaria, impresa che si rivelò più facile di quanto avesse immaginato, Nyssa si concesse un sospiro di sollievo. Un istante dopo si ricordò che Kaila stava ancora piangendo a dirotto e che doveva inventarsi qualcosa per calmarla. Prese allora a cullarla dolcemente, ma ciò sembrò solo peggiorare la situazione.
Sapeva cosa stava cercando di fare. Il suo era una sorta di richiamo. Kaila continuava a lamentarsi perché voleva che fosse Sara a prenderla in braccio, non Nyssa. Probabilmente non sapeva nemmeno chi fosse quella stana donna coi capelli scuri che era sempre insieme alla sua mamma.
«Beh, che ti piaccia o no, anche io sono tua madre» si ritrovò a sussurrare la mora, incredula di averlo detto davvero.
La verità era che, sebbene a Sara volesse dimostrare il contrario, Nyssa non era per niente pronta a fare la madre. Si era detta che sarebbe stato facile, che non ci sarebbero stati problemi, perché in fondo se Sara era riuscita a sopravvivere per due giorni interi ce l’avrebbe fatta anche lei; ma niente di tutto ciò era mai stato vero, Nyssa lo sapeva benissimo. E forse la prima persona a dover convincere che ce la poteva fare era sé stessa.
L’ennesimo vagito della bambina fece riemergere Nyssa dai propri pensieri. Ormai era arrivata allo stremo delle forze.
«Senti un po’, signorina» esordì, puntandole il dito contro. «Capisco che essere rinchiusa in una scatola trasparente deve essere stata un’esperienza traumatica per te. Ma adesso non puoi approfittare della tua bellezza per comprarti le persone. Va bene, qualche capriccio ti è concesso, dopotutto sei la figlia di Sara Lance. Però, non devi‒»
Come se si fosse improvvisamente svegliata dopo aver fatto un lungo sogno, la figlia di Ra’s al Ghul spalancò di colpo le palpebre, le orecchie tese.
Niente. Non sentiva assolutamente niente.
Kaila aveva smesso di piangere ‒ di nuovo ‒, e adesso la stava fissando ‒ di nuovo ‒ con i suoi occhi incuriositi.
Nyssa abbassò senza volere l’indice, e la bimba seguì il movimento con lo sguardo. Fu allora che la mora capì.
«Ti piace questo?» domandò, più a sé stessa che a Kaila. Senza attendere nemmeno un sospiro come risposta, Nyssa iniziò a muovere il dito a destra e a sinistra, dapprima lentamente, poi veloce come un fulmine.
«Bastava davvero così poco? Veramente?» esclamò stupita, senza smettere di muovere l’indice neanche per un secondo. «Che poi, cosa c’è di così carino in un dito, eh?»
Ma ormai non aveva più importanza. Kaila era tranquilla e apparentemente divertita. E nonostante negli ultimi venti minuti avesse passato l’inferno, Nyssa si rese conto che quella era l’unica cosa che contava.



Sara si svegliò più o meno quattro ore dopo. Quando aprì gli occhi, la prima cosa che le venne in mente di fare fu voltarsi in direzione del lettino. Era vuoto.
In preda al panico, Canary si alzò di scatto dal letto, col cuore che batteva a mille e le gambe che le tremavano. Si diresse di corsa in salotto, e fu quando ne varcò la soglia che vide qualcosa che minacciò di farle esplodere il petto. In senso positivo, per una volta.
Nyssa era in piedi vicino alla finestra, la luce del tramonto a illuminarle i lineamenti del viso. Stringeva Kaila tra le braccia, cullandola dolcemente. Aveva gli occhi lucidi e la osservava come se fosse la cosa più preziosa che avesse mai visto. Le stava cantando una ninna nanna in russo, e forse fu proprio sentire la sua amata cantare che fece sciogliere il cuore di Sara.
Non appena la piccola si fu addormentata, Nyssa si avvicinò lentamente alla culla, per poi adagiarvela dentro con cura. Ci volle un’altra manciata di secondi prima che la mora notasse la presenza di Sara sullo stipite della porta.
«Si è addormentata?» domandò quest’ultima in un sussurro.
Nyssa annuì, per poi farle un cenno col capo. Sara la seguì in cucina con un sorriso malizioso.
«Non ti ho sentita arrivare» rivelò poco dopo l’Erede del Demonio, con un tono di voce eccessivamente rilassato.
«Strano, considerato che la prima volta che mi sono avvicinata di soppiatto a te mi hai quasi tagliato la gola[1]» ironizzò la bionda. A quanto pare, anche l’invincibile Nyssa al Ghul aveva un punto debole: sua figlia.
A quelle parole, Nyssa inarcò un sopracciglio divertita. «Ho passato tutto il pomeriggio insieme a lei. Le ho dato da mangiare, le ho cambiato il pannolino, e poi abbiamo anche giocato con il carillon che le ha regalato Thea. Le piace molto.»
«Già, è davvero carino» confermò Sara. «Mi sarebbe piaciuto vedervi.»
«Anche a me. Forse, se non avessi dormito per quattro ore filate, non te lo saresti persa.»
«Lo terrò a mente per la prossima volta.»
«Sarà meglio.»
«Però, se mi fossi svegliata prima, magari non ti avrei sentita cantare.»
Nyssa si bloccò, colta in flagrante.
«È stato bellissimo ascoltarti» ammise la bionda, anche se ciò non fece trattenere Nyssa dall’arrossire. «Era una ninna nanna? Scusa, ma il mio russo è un po’ arrugginito.»
«Diciamo che non ho mai avuto abbastanza tempo per insegnartelo adeguatamente» rise l’altra. «Comunque, sì. Me la cantava sempre mia madre quando avevo gli incubi da piccola. Parla di una bambina coraggiosa che scappa dalla sua cameretta perché ha paura dei mostri sotto al letto. Così si mette a correre, e a correre, e a correre, fino a quando non si rende conto di essere riuscita ad attraversare un fiume con la sola forza delle sue gambe. È una canzone popolare che ha come scopo quello di far capire ai bambini che è giusto avere paura, e che a volte sono proprio le nostre paure più grandi a darci la forza di affrontare le situazioni peggiori a testa alta.»
«Mi piace molto» rivelò Sara, sinceramente stupita. Adorava sentire Nyssa parlare di sua madre. Se avesse potuto, l’avrebbe ascoltata parlare di lei all’infinito, perché era una delle poche persone che era riuscita a conoscere Nyssa quando era ancora una bambina, prima che diventasse l’Erede del Demonio. «Magari, quando Kaila sarà grande, potresti insegnarle un po’ di russo. Sono sicura che le piacerebbe molto poter comprendere il significato di questa ninna nanna.»
«Piacerebbe molto anche a me» confessò la mora con un sorriso.
«Quindi, se non ho capito male, è andato tutto bene.»
«All’inizio non è stato facile. Continuava a strillare e non avevo idea di come farla smettere. Poi ho capito che aveva solo bisogno di un po’ di attenzioni. E di sua madre. Così, le ho involontariamente puntato il dito contro come fai tu con tutti di solito, e ha funzionato. Deve aver riconosciuto il segnale.»
Sara scoppiò a ridere, ma si trattenne quanto bastava per non svegliare Kaila. «Non è vero. Io non faccio mai così.»
«Sicura? Perché a me risulta il contrario.»
Sara scosse la testa, dopodiché abbassò appena lo sguardo. Non si era lasciata sfuggire la vena di amarezza nella sua voce. «Anche tu sei sua madre, Nyssa. Lei lo sa.»
La figlia di Ra’s si strinse nelle spalle. «E se così non fosse?»
Sara le dedicò uno sguardo confuso, inducendola a proseguire. «Kaila ha un padre e una madre che la amano da morire. E se gli bastasse il vostro amore? Non voglio fare la parte della matrigna cattiva, ma non potrò nemmeno costringerla a chiamarmi “mamma” se non vorrà farlo.»
Canary inarcò nuovamente un sopracciglio, più confusa di prima. «Tu vuoi essere chiamata “mamma”?»
Nyssa prese un respiro profondo, come se da quella risposta dipendesse tutto il suo futuro. «Certo che lo voglio. Ma...»
«Niente ma» l’ammonì Sara, facendosi improvvisamente seria. «Ne abbiamo già discusso. I bambini sono intelligenti, più di quanto noi potremmo mai immaginare. Kaila riuscirà a comprendere la situazione, un giorno. Ne sono più che sicura. E poi, ci saranno un sacco di persone pronte a sostenerci. Oliver in primis.»
Nyssa fece una piccola smorfia. «E se Oliver cambiasse idea?»
«A cosa ti riferisci?»
«All’essere una madre inadeguata» sussurrò la mora, quasi impaurita dalle sue stesse parole. «Non posso sapere se sarò all’altezza delle sue aspettative. O delle tue. Oggi ho avuto fortuna, ma chi mi assicura che sarà così anche domani?»
«Ehi, nessuno si aspetta niente da te, habibti» esclamò Sara, accarezzandole il braccio sinistro. «Perché all’improvviso sei così esitante?»
L’Erede si portò una mano di fronte alle labbra, mentre i primi segnali di un imminente pianto si facevano strada lungo il suo corpo. «È che ho paura» rivelò con un filo di voce. «Tanta paura. E non possiamo sapere cosa succederà la prossima volta che ci troveranno» proseguì la mora, con voce tremante.
Era la prima volta che Nyssa abbassava il suo scudo dopo l’attacco di Sarab, e Sara si rese conto di quanto fosse stata stupida a non aver compreso subito quale fosse il vero problema che la divorava da dentro.
«La amo tantissimo, Sara, dico davvero. E voglio costruire una famiglia con te, essere una madre insieme a te. Ma sono pur sempre la figlia del Demonio. E se questo dovesse pesare in qualche modo su nostra figlia, non me lo perdonerei mai.»
Sara trattenne il respiro e le lacrime. Per una volta, toccava a lei essere forte per la sua amata. Per una volta, doveva essere lei a prenderle il viso tra le mani e a rassicurarla. E così fece.
«Da quando ho scoperto di essere incinta, tu sei stata la mia roccia. Non so cos’avrei fatto senza di te. Ti sei fatta in quattro per me, ti sei rivoltata contro il tuo stesso padre per me. Per noi. E adesso non devi avere dei ripensamenti solo perché siamo state attaccate. Troveremo il modo di sconfiggere Sarab, hai la mia parola. Ma questo non deve in alcun modo farti credere che sarai una madre inadeguata, o che il tuo passato potrà in qualche modo metterla in pericolo, perché non è così.» Fece una pausa. Inspirò a pieni polmoni, dopodiché espirò, tentando vanamente di rendere la situazione meno stressante. «La verità è che ognuno di noi la sta mettendo in pericolo. Io, tu, Oliver. Nessuno di noi ha avuto una vita facile, e tutti ci siamo fatti dei nemici in questi anni. Perciò, non fartene una colpa se hai avuto un passato orribile, né tantomeno cercare prenderti l’esclusiva, perché qui ci sono altri due candidati perfettamente in grado di darti del filo da torcere. Chiaro?»
Quella frase sembrò far illuminare il volto di Nyssa, anche se solo per una frazione di secondo. Tuttavia, ciò non bastò per farla smettere di piangere. Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla voce di Sara e dal suo tocco delicato che le sfiorava la pelle; dopodiché nascose il viso nell’incavo del suo collo, più indifesa che mai.
«Come ha detto Oliver, non possiamo sapere cos’avrà in serbo per noi il futuro. Potrebbe andare tutto per il meglio, oppure no. Ma in ogni caso, non sarà colpa tua. Ho visto come la guardavi, e credimi, non tutte le madri guardano il proprio figlio nel modo in cui tu stavi guardando Kaila. È chiaro che le vuoi bene, e l’amore può vincere su tutto. Sei stata tu a insegnarmelo, ricordi?»
Nyssa annuì debolmente. Sara le passò una mano tra i capelli, iniziando ad accarezzarglieli dolcemente.
«Allora smettila di sottovalutarti. E la prossima volta che nostra figlia piange, falle vedere di che pasta sei fatta. Domani e ogni giorno che verrà.»
A quelle parole, la figlia del Demonio trovò la forza di allontanarsi dall’amata quanto bastava per guardarla negli occhi.
«Vuoi farmi fare il poliziotto cattivo?» domandò, ridendo sotto ai baffi.
Canary ruotò appena la testa di lato, scostandole una ciocca di capelli dalla guancia bagnata. «No. Voglio che tu sia la madre protettiva e premurosa che so che diventerai.»
In quel momento, Nyssa ebbe l’impressione che il suo cuore si stesse sciogliendo come la neve in un giorno di sole. Osservò per qualche istante gli occhi pieni di amore e di sincerità della sua amata prima di catturare le sue labbra con le proprie. Sara ricambiò il bacio senza alcuna esitazione, poggiando la mano destra sul cuore di Nyssa.
«E so anche che non sarà facile, ma ce la caveremo. Ci sai fare coi bambini.»
«Quella in realtà sei sempre stata tu.»
«Ti sbagli» ribatté la bionda, scuotendo il capo. «Io ho un passato da baby-sitter e da cugina maggiore alle spalle. Sapevo cambiare pannolini prima ancora di iniziare le superiori. Tu invece non hai mai avuto a che fare con un bambino in vita tua, eppure da sei mesi a questa parte ti sei sempre data da fare come se questo bambino fosse stato il tuo.» Sara afferrò la mano di Nyssa e se la portò al ventre ormai piatto, in ricordo di quel pancione di cui entrambe si erano tante innamorate. «E Kaila è tua, Nyssa. E quando tutta questa faccenda sarà risolta, ti prometto che farò tutto il possibile per renderlo ufficiale. Perché lei è tua figlia, e il mondo intero merita di saperlo.»
La figlia di Ra’s sorrise a labbra strette, lasciandosi cullare dalla stretta rassicurante di Sara. Tirò su col naso, si passò il dorso della mano sulle guance e come per magia tornò ad essere la Nyssa di sempre. La donna più bella, forte e autoritaria che Sara avesse mai conosciuto.
«Te l’ho già detto che ti amo?»
Canary finse di ragionarci sopra. «Stiamo insieme da qualche anno, però... no, non mi pare proprio.»
Nyssa sorrise e scosse la testa allo stesso tempo, per poi stringere le mani di Sara tra le proprie.
«Prima hai detto qualcosa riguardo a Oliver» azzardò poco dopo, accarezzandole le nocche. «Ti va di parlarne?»
Sara si bloccò per un istante, colta di sorpresa. Sapeva che quel momento prima o poi sarebbe arrivato, ma aveva sperato con tutta sé stessa di sbagliarsi. Percepì qualcosa dentro di lei sgretolarsi.
I ruoli stavano per invertirsi di nuovo.
«Forse è meglio se ci sediamo.»
Seppur confusa, Nyssa seguì il suggerimento di Sara, senza mai lasciare andare le sue mani. Quando furono sedute al tavolo della cucina, la bionda prese un respiro profondo, fino a riempirsi i polmoni d’aria.
«Stavo cercando il momento giusto per parlartene» esordì poi, lo sguardo teso. «Oliver è convinto della sua posizione. Non cambierà idea, ne sono certa. Ma io non ho ancora preso una decisione. È troppo difficile.»
«Amore, non so nemmeno di che cosa stai parlando» sussurrò Nyssa, stringendole le mani per incitarla a proseguire.
«È che...»
Le morì un singhiozzo in gola, ma fu talmente inaspettato che Sara stessa sussultò. Nyssa se ne accorse, perciò smise di parlare e attese che Sara fosse pronta a riprendere la conversazione. Non ci volle molto.
«Vuole dare la bambina in adozione.»
La reazione di Nyssa fu istantanea, quasi automatica. Si alzò di scatto in piedi, facendo strisciare la sedia sul pavimento. «Che cosa?»
«Aspetta, lasciami spiegare» la pregò Sara, prendendo un altro respiro profondo. «Quando ero ancora in ospedale, quando ancora non sapevamo se Maseo se ne fosse andato da Starling City, Oliver mi ha chiesto se avessimo mai pensato a un piano B.»
«Che tipo di piano B?» domandò Nyssa inquieta.
«Cosa fare se la questione con la Lega degli Assassini diventasse troppo complicata. Come comportarci se...»
«Se qualcuno minacciasse nuovamente noi o nostra figlia» concluse l’Erede per lei. «Immagino ci abbiamo pensato tutti e tre, almeno una volta.»
Sara esitò, ma poi fu costretta ad annuire. «Ma non abbiamo mai trovato un punto di accordo. Oliver crede che sia il momento di farlo.»
«E lui ha proposto l’adozione.»
Sara annuì di nuovo, questa volta con meno entusiasmo.
«E tu cosa ne pensi?»
Canary incrociò le braccia, mentre l’immagine della prima volta che aveva visto sua figlia si faceva spazio tra i suoi ricordi. Era stato amore a prima vista. Con la sua boccuccia a cuoricino e i suoi capelli chiari come il grano, Kaila era riuscita a conquistarla fin dal primo istante. Come avrebbe potuto rinunciare a lei? Dove avrebbe trovato il coraggio di dire addio alla sua unica figlia dopo così poco tempo? Il solo pensiero le faceva venire il voltastomaco.
Sara contrasse la mascella. «Non ho nessuna intenzione di darla via. Per nessun motivo al mondo.»
Nyssa rifletté attentamente sulle parole di Sara, e non ci mise molto a emettere un verdetto. «Io sono d’accordo con lui.»
Sara alzò di colpo lo sguardo, ferito e confuso.
«Credo che sarebbe la cosa migliore per Kaila» proseguì la figlia di Ra’s, mantenendo un tono di voce rilassato.
«Non riesco a capire.»
«Ascolta, Sara...» Nyssa sospirò, passandosi una mano sul viso. «Lasciare un figlio è un sacrificio estremo. Me ne rendo conto. In questo momento, nemmeno io avrei il fegato di metterla tra le braccia di due perfetti sconosciuti. Ma se tutta questa faccenda dovesse risolversi nel peggiore dei modi, vorresti davvero esporla in questo modo? Rischieresti di mettere la sua vita in pericolo solo perché non vuoi lasciarla andare?»
«Il fatto è che fin dal principio eravamo consapevoli che era un rischio. Tutti e tre» puntualizzò la bionda, guardandola dritto negli occhi.
Nyssa si strinse nelle spalle, sentendosi indirettamente colpevole. «Lo so. E passeremo il resto delle nostre vite a chiederci se sia stata la decisione giusta. Ma sai cosa? Non troveremo mai una risposta. Però, possiamo fare del nostro meglio per far sì che ne sia valsa la pena.»
Questa volta, fu Sara a sentire le lacrime pronte a cadere. Nyssa la abbracciò prima che ciò accadesse, e Sara ricambiò la stretta senza fiatare.
«Ho bisogno di tempo per pensarci» sussurrò poco dopo, con voce tremante.
«Come hai detto tu, dobbiamo essere tutti d’accordo» le ricordò la mora, poggiandole una mano sulla nuca. «Non devi prendere una decisione adesso. Non puoi.»
Sara annuì sulla sua spalla, e fu in quel momento che si rese conto che Nyssa aveva ragione.
Probabilmente, su tutto quanto.







[1] Un giorno capirete... ma quel giorno non è oggi xD






Ok, sono un po’ in ritardo (un po’ tanto), ma a mia discolpa posso dire che: tra la scuola e le simulazioni, due piccoli interventi, la patente, l’aver ricevuto tanti bei regali che mi portano via un sacco di tempo, e l’arrivo di un bebè, direi che questi ultimi tre mesi sono stati un po’ movimentati xD
Sappiate che da qualche mese sto anche lavorando ad un altro progetto collegato a questa long che ‒ spero ‒ vi piacerà, motivo per cui ogni tanto mi dedico un pochino meno ai capitoli e più all’altro progetto. E no, per adesso non vi dirò nulla perché sono malefica e mi piace lasciare un po’ di suspense. Amatemi.
L’unica cosa che vi posso dire, è che ci sono veramente un sacco di riferimenti (soprattutto in questo capitolo) che capirete solo dopo aver letto l’altro mio progetto :3
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, che Kaila vi sia piaciuta (a me piace un sacco) e che queste due vi piacciano sempre di più, che alla fine è la cosa più importante di tutte.
Un saluto da zia Jade <3

   
 
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