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Autore: ChiiCat92    22/03/2018    0 recensioni
"Quando Hojo la vide per la prima volta restò senza fiato. Pensò che era bella, più di ogni altra ragazza che avesse mai visto, bella a tal punto da sembrargli aliena.
Era appena arrivata in città, si sussurrava che fosse scappata con la famiglia dalla Russia.
Forse per questo ad Hojo appariva completamente diversa da chiunque altro avesse intorno.
Camminava stringendosi al petto i libri come se fossero la sua unica difesa dal mondo esterno, parlava poco, rimaneva in giro per i corridoi ancora meno. Era quasi impossibile avvicinarla senza avere l'impressione che quegli occhi marrone rossiccio ti penetrassero l'anima."
Questa è una stora nata da un mucchio di headcanon messi insieme su un ipotetico universo in cui Sephiroth, le sue Remnant, Hojo e Jenova fossero una famiglia. Una famiglia complicata ma in fondo...la vita non è semplice.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Kadaj, Loz, Sephiroth, Yazoo
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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- 3 -

Grey

 

 

« Pronto? » Loz rispose solo con un vago cenno del capo. Sephiroth aumentò la presa sul pallone ormai consumato. Il fratello gli si sarebbe gettato addosso come un treno in corsa, lo vedeva già smaniare.

L'estate dell'anno prima, improvvisamente, Loz era cresciuto. Da morbido, rotondo tredicenne, si era trasformato in un gigantesco, meraviglioso piccolo uomo, e quando aveva compiuto quattordici anni era parso chiaro a tutti che sarebbe diventato un colosso, massiccio ma scattante.

Nonostante l'età, gareggiava per diventare alto quanto o più di Sephiroth, e anche se aveva da smaltire un po' di ciccia infantile, ormai i muscoli di braccia e spalle cominciavano a intravedersi dai vestiti.

Tutto merito del football.

Loz, che non aveva mai tenuto nascosto il suo amore per quello sport, aveva cominciato a praticarlo il primo anno di liceo. Contro tutti i pronostici, che lo vedevano come un ragazzino troppo pesante e insieme troppo buono per potersi lanciare tra i compagni di squadra e abbattere gli avversari con una spallata, si era poi rivelato essere un toro dalla carica bassa e inarrestabile. E dire che Jenova l'aveva portato ai provini per la squadra solo per soddisfare la sua richiesta e non perché ci credesse davvero. Persino il coach era rimasto basito.

Solitamente a quelli del primo anno toccava la panchina, la pulizia dei sospensori, la sistemazione degli spogliatoi, il costume della mascotte, o il diventare schiavetti degli altri giocatori, non fu così per Loz. La sua naturale inclinazione per il football l'aveva subito fatto scivolare nella divisa della squadra, e la sua testardaggine, insieme con il suo buon cuore e la capacità di farsi amico chiunque, aveva aumentato la sua popolarità. In poco tempo era diventato il beniamino della squadra, il giocatore più giovane della storia della scuola, e il destinatario dei sospiri delle ragazzine nei corridoi.

Un primo anno meraviglioso, per lui, che prospettava un futuro altrettanto meraviglioso.

Piegato in avanti e pronto a placcare Sephiroth per ottenere il pallone e scagliarlo oltre la linea che Kadaj aveva fatto con i gessetti – quella che, superata, gli avrebbe fatto fare touchdown – sembrava un vero e proprio giocatore, di quelli che si vedono alla tv.

« Hut hut hut! » urlò Sephiroth, pochi secondi prima di essere gettato a terra dalla foga del fratello.

Ruzzolò all'indietro ma non si lasciò sfuggire il pallone. Loz poteva essersi irrobustito, poteva essere cresciuto, ma non sarebbe mai stato all'altezza di Sephiroth.

Genesis sorseggiava una limonata ghiacciata sotto la tettoia, e guardava quei due rotolarsi sull'erba per accaparrarsi il pallone.

Di lì a qualche giorno sarebbe stato il compleanno di Kadaj, il pupillo di casa Crescent, e sia lui che Sephiroth avevano preso un congedo dall'esercito per poter festeggiare insieme.

Nonostante gli anni passassero, Sephiroth continuava ad amare i suoi fratelli più di ogni altra cosa. Avrebbe dato un arto per loro, e non era detto che non sarebbe successo, dal momento che Loz si era aggrappato al suo bacino per tirarlo nuovamente a terra violentemente per strappargli di mano il pallone. Quel ragazzino giocava pesante, Genesis era contento di essersi rifiutato di unirsi a loro. C'era obbiettivamente troppo caldo per gettarsi nella mischia, e poi Sephiroth sudato, piegato a 90, con i muscoli gonfi per lo sforzo era uno spettacolo che voleva godersi dalla panchina, sì, dalla panchina.

« Ehi Gen. » il ragazzo volse, suo malgrado, lo sguardo per incrociare quello furbetto di Kadaj.

Il bambino – che andava orgoglioso in giro dicendo di avere ormai sette anni e di essere grande – era tanto bello quanto perfido. Genesis provava un istintivo distacco nei suoi confronti.

Temeva che, se solo avesse abbassato la guardia, sarebbe finito con il cadere nella trappola ipnotica dei suoi grandi occhi, e diventare il suo servitore, come Sephiroth, come Jenova, come tutta la famiglia.

Il minore dei Crescent era indubbiamente il più coccolato e viziato, soprattutto perché era tanto piccolo e minuto da avere paura a lasciargli fare qualsiasi cosa da solo. Ovviamente, non era così, come tutti i suoi fratelli era fatto di una sostanza inflessibile e indistruttibile, solo...non lo lasciava a vedere.

Si sedette accanto a lui, le gambine penzoloni dalla sedia perché era troppo basso per toccare a terra.

Gli occhi verdi, brillanti e divertiti, guardavano i fratelli combattere sull'erba.

« Chi vince? » chiese, cristallino. Aveva una vocetta adorabile, pienamente in armonia con la sua eterea apparenza.

Genesis era più volte giunto alla conclusione che il DNA di Jenova doveva essere eccezionale, perché aveva creato quattro divinità semoventi, e di certo non poteva essere merito della collaborazione di Hojo.

« Al momento Seph è in vantaggio. » rispose quindi, tornando a guardare il culo del compagno. Il sedere del compagno. Il posteriore del compagno. Oh, comunque la mettesse, non riusciva a smettere di guardarlo.

« Lui è sempre in vantaggio. » sospirò il piccolo, sognante. Che fosse innamorato di Sephiroth era chiaro come il sole, tanto che Genesis sentì montare dentro un pizzico di gelosia.

Certo, Sephiroth gli apparteneva, da ben prima che quel piccoletto esistesse, eppure se avesse dovuto scegliere, lui avrebbe sempre preferito il suo fratellino.

Avrebbe storto la bocca in una smorfia se non avesse imparato da tempo a reprimere quei pensieri. Avercela con Kadaj per qualcosa che non dipendeva da lui era ingiusto, no? D'altronde non poteva aver gettato volontariamente un incantesimo sulla famiglia perché tutti lo amassero. Era un pensiero assurdo.

Kadaj dondolò le gambe avanti e indietro per un po', guardando come Sephiroth otteneva finalmente il pallone e schizzava oltre le linea di touchdown segnando il punto decisivo. Poi spostò pian piano lo sguardo su Genesis, pensando forse che non si sarebbe accorto che lo stava fissando.

« Che c'è? » gli disse il rosso, infastidito dal modo in cui lo squadrava. Sembrava che stesse prendendo le misure per chissà quale secondo fine.

« Niente. » trillò, sincero, senza però smettere di guardarlo. « Mi piacciono i tuoi capelli. »

Nonostante fosse un commento genuino, quello di un bambino sinceramente in ammirazione, Genesis avvertì un brivido percorrergli la schiena, così inaspettato che quasi se ne stupì.

« Grazie. » rispose solo, perplesso, le sopracciglia aggrottate.

« Okay okay, time out. » annunciò Sephiroth, tergendosi il sudore dalla fronte.

Loz si espresse in mugolii di disapprovazione, ma il fratello gli scompigliò i capelli e gli sorrise, duro e gentile al tempo stesso.

Sephiroth sapeva imporsi così naturalmente sui suoi fratelli che anche sua madre se ne stupiva. Nessuno di loro, una volta che lui si era espresso, aveva il coraggio di contestarlo.

Era più autorevole di suo padre.

Loz si avvicinò a Kadaj e Genesis, sudato ma felice, con i capelli cortissimi spettinati. Nascondeva dietro il sorriso dolce un potere attrattivo secondo solo al fratello maggiore, di cui forse non sarebbe mai venuto a conoscenza: aveva un cuore troppo buono e troppo ingenuo per poter usare il suo charme per piegare le persone.

« Ci hai visti giocare, Kaddie? » chiese, tutto eccitato. Sarebbe rimasto per sempre un bambinone, non importava quanto crescesse in altezza.

« Sì! Sephiroth ti ha battuto anche stavolta. » ridacchiò il bambino.

« Prima o poi sarò io a batterlo. »

« Sogna pure, fratellino. » il maggiore lo sovrastava. Non era solo la differenza di altezza a farlo sembrare un gigante, era qualcosa nella sua aura, nel modo in cui si muoveva, nel viso scolpito come nel marmo bianco, nella luce intensa che scaturiva dalle sue iridi.

Sephiroth poteva essere un meraviglioso angelo vendicatore.

« Potresti far vincere Loz almeno una volta. » lo punzecchiò Genesis, con quello sguardo blu affilato come una lama.

Il loro rapporto era come una danza di spade, d'argento vivo e rosso scarlatto.

« Poi dovrei fare lo stesso anche con te, amore. »

Lui avrebbe anche ribattuto, se solo Jenova non li avesse chiamati tutti a tavola per il pranzo.

L'aria che si respirava in casa Crescent era sempre deliziosamente leggera quando Sephiroth era presente. Era come se un tassello mancante fosse finalmente stato messo al suo posto.

Jenova diventava felice come non mai ad avere al tavolo tutta la famiglia, compreso Genesis, sì.

Lui e Sephiroth non avevano fatto un coming out ufficiale neanche con loro stessi, figurarsi con i genitori, ma non era stato necessario farlo. Tutti quei dubbi, tutte quelle discussioni si erano riassunte in una pacca sulla spalla e un sorriso da parte della madre, e Sephiroth aveva capito che ogni parola sarebbe stata inutile.

Per quanto riguardava Megan, beh, era stata lei a gettare Genesis tra braccia di Sephiroth ancora prima che lui capisse che lì voleva passarci il resto della vita.

Hojo, invece, viveva il loro rapporto in maniera passiva: non se ne interessava e il figlio non gliene parlava. D'altronde, non parlavano quasi di niente in quasi nessuna situazione se non erano quasi costretti, non c'era alcun bisogno di cambiare le cose.

Seduti a tavola, tutti insieme, formavano uno strano quadretto.

Kadaj, che di lì a poco sarebbe stato Il Festeggiato, era seduto a capotavola com'era usanza – usanza per lui ovviamente –, Yazoo lo guardava con evidente invidia mentre rimestava nel suo squallido piatto di verdure biologiche cercando di non storcere il naso per il puzzo di sudore emanato da Loz, che si era seduto a mangiare senza neanche cambiarsi la maglietta; Sephiroth e Genesis chiacchieravano quietamente con Jenova, che non poteva far altro che riempirsi gli occhi di quella vista.

A conti fatti, tutto funzionava meravigliosamente perché Hojo non era in casa, ma nessuno di loro aveva voglia di dirlo, o di pensarlo.

« Dopo pranzo pensavo di portare i ragazzi a fare un giro in bici. » disse Sephiroth, che avrebbe potuto avere anche quarant'anni, ma avrebbe aspettato sempre l'ultima parola della madre.

Lei storse un po' le labbra, guardando il minuscolo Kadaj. Era sempre preoccupata per la sua salute fisica e raramente lo lasciava uscire per svolgere qualche attività sportiva pericolosa senza i suoi occhi a controllarlo costantemente. A meno che non ci fosse Sephiroth, che sapeva prendersi cura di lui anche meglio di quanto facesse lei.

« Certo, perché no. » rispose però. Essere apprensiva non avrebbe aiutato Kadaj a crescere consapevole dei pericoli, anzi.

« Mammina posso togliere le rotelle? » quando faceva le sue richieste, Kadaj batteva piano le palpebre e appariva come una bellissima, orientale bambola di porcellana. Genesis non stentava a credere perché i fratelli cadessero con entrambi i piedi nelle sue trappole.

« Non saprei, tesoro. » tentò la donna, che già cominciava ad agitarsi sulla sedia. Senza rotelle, per la prima volta, lontano da casa, lontano da lei. Sentiva il panico cominciare a stringerle lo stomaco. « Non è il caso che prima impari qui vicino casa? »

« Ma mammaaaa. » si lagnò Kadaj, con quell'espressione da cucciolo bastonato. « Con Sephiroth ho già fatto qualche prova, ormai sono grande, posso toglierle del tutto! »

Jenova cercò lo sguardo del figlio maggiore come per avere un aiuto da lui, ma la sua risposta fu stringersi nelle spalle con un mezzo sorriso: Kadaj aveva già vinto.

« D'accordo. » esalò lei. « Ma devi metterti tutte le protezioni. »

« Anche il caschetto?! »

« Soprattutto il caschetto. »

Seguirono lamentele e capricci messi a tacere dalla promessa di Sephiroth di comprargli un enorme gelato di ritorno verso casa.

Tutto sommato, Kadaj si poteva ancora tranquillizzare offrendogli qualcosa da mettere in bocca.

 

 

Kadaj sembrava una piccola, ingessata mummia. Con il caschetto, le gomitiere e le ginocchiere più che andare in bici senza rotelle sembrava essere pronto ad affrontare l'apocalisse. Pedalare era difficile e non solo perché doveva mantenere l'equilibrio e stare dietro ai suoi fratelli – soprattutto Loz e Yazoo che sfrecciavano sulla strada gareggiando tra loro – ma anche perché tutta quella bardatura gli bloccava le giunture.

Sephiroth gli si affiancò, rallentando il ritmo della pedalata mentre Genesis teneva d'occhio gli altri due.

« Tutto okay, Kaddie? »

« S-sì! » bofonchiò il piccolo, ondeggiando pericolosamente.

« Fermati un attimo, su. »

Kadaj tentò di fermare la bici, tentò perché le polsiere rigide gli rendeva difficile manovrare i freni.

Riuscì, e non cadde neanche, ma aveva un broncio così profondo che sembrava impossibile vederlo felice di nuovo.

« La mamma ha un po' esagerato, vero? » Sephiroth si inginocchiò all'altezza del fratellino. Così piccolo, così fragile, eppure così testardo. Non rispose alla sua domanda, perché di solito non contestava quello che la mamma gli diceva, però sì, pensava che avesse davvero esagerato. « Facciamo così. Adesso togliamo questa roba e provi a pedalare senza. »

« Davvero? » Sephiroth dovette trattenere un singhiozzo: Kadaj aveva gli occhi così grandi, così belli, così pieni di speranza.

Gli sorrise e annuì, dopo di che cominciò a togliergli le ingombranti protezioni. Tutte tranne il caschetto.

Gli diede una pacchetta sulla testa e lo guardò sornione.

« Non dovevamo togliere tutto? » chiese il piccino, battendo gli occhi un po' stizzito.

« Tutto tranne questo, dobbiamo proteggere questa bella testolina. »

« Seeeeeph! » finse di dargli dei pugnetti, ma con quelle piccole manine era più adorabile che altro.

« In medio stat virtus. »

« C-che? »

« Tieniti il caschetto e salta in sella o niente gelato. »

Sephiroth inforcò la bici – dopo aver sistemato le protezioni del bambino nello zaino –, sorridendo, e partì lasciando il piccolo indietro. Ovviamente, non si sarebbe allontanato troppo, per averlo sempre nel proprio campo visivo, ma Kadaj, terrorizzato e insieme arrabbiato dalla sola idea di essere lasciato solo, saltò sulla piccola bici e cominciò a pedalare più forte di prima, ignorando il fatto che adesso era più sicuro e che non ondeggiava neanche un po'. Probabilmente non avrebbe più avuto bisogno delle rotelle, ma questo glielo avrebbe detto in un secondo momento.

 

 

Mentre i ragazzi erano via, Jenova fece quello che le riusciva meglio: rassettare il loro disordine. Sephiroth, nonostante fosse ormai un uomo adulto, aveva accettato il compromesso della madre e dormiva nella sua stanza mentre il compagno si era sistemato nella stanza degli ospiti. Entrambe erano ordinatissime, e Jenova dovette solo appiattire le poche pieghe lasciate sul copriletto.

Un po' più impegno dovette mettere nell'ordinare la stanza di Loz. Era in quella fase della vita in cui non era né un bambino né un adolescente e oscillava perennemente tra le due, e questo rendeva adorabile il suo disordine. Tra le maglie della squadra di football della scuola, Jenova trovò diverse macchinine e sistemò entrambe le cose sorridendo dolcemente.

« Sono a casa. » sentì dal piano di sotto.

Si affacciò dalla stanza di Loz e vide Hojo appendere le chiavi al gancio di fianco alla porta. Non sembrava molto contento, ma era così da tempo ormai.

« Bentornato amore. » si sforzò di dire lei. Cosa gli aveva detto la sera che le aveva confessato il tradimento? Non riusciva neanche a ricordarlo, era passato così tanto tempo. « Tutto bene? »

« Sì. Dove sono i ragazzi? » l'uomo salì le scale per andarla a salutare con un bacio sulla fronte. Standard, come tutti i gesti d'affetto che le rivolgeva.

Stavano scivolando lentamente nell'oblio da cui erano sfuggiti numerose volte. Forse per loro c'era un solo modo per far funzionare la cosa, e non comprendeva il rimanere insieme.

Ma Hojo si era comportato bene negli ultimi anni, non aveva dato modo a Jenova di credere che la stesse tradendo di nuovo. Se solo non fosse stato così visibilmente infelice forse avrebbe potuto sorvolare sul fatto che non provava più amore per lui.

« Sephiroth e Genesis li hanno portati a fare un giro in bici. »

« Bene, bene. » commentò solo Hojo, andando verso la loro stanza da letto.

Aveva ancora addosso il camice, che ormai era diventato una seconda pelle. La sua fama come scrittore era seconda solo a quella del suo lavoro da scienziato. Nell'ambiente si vociferava che fosse in lista addirittura per un premio nobel, e gli introiti degli articoli pubblicati su giornali prestigiosi, insieme con quelli dei libri gli permettevano di dare alla sua famiglia la sicurezza economica che avevano sempre sognato, a tal punto che Jenova non aveva più bisogno di lavorare nel negozio d'abbigliamento, che ormai aveva lasciato in mano a collaboratrici fidate.

Hojo era stato sincero con sua moglie, aveva allontanato le tentazioni e si era gettato nel suo lavoro a capofitto. Provava ancora vergogna per quello che aveva fatto e non si sarebbe mai perdonato, perché ogni volta che credeva di averlo superato, lo sguardo accusatore del figlio maggiore lo faceva precipitare in torbidi pensieri. Se Jenova era riuscita a dimenticare quel suo sbaglio, Sephiroth non l'avrebbe mai fatto.

« Hai fame? Vuoi che ti prepari qualcosa? » chiese la donna, appoggiandosi allo stipite della porta mentre Hojo si gettava stanco sul letto, con un sospiro.

Per un po' rimase in silenzio, si pulì gli occhiali con un lembo della camicia, si passò una mano sui capelli che ormai avevano cominciato a imbiancarsi.

« Jenova, che cosa stiamo facendo? » disse poi, spezzando il silenzio.

La donna aggrottò le sopracciglia, confusa.

Lui alzò lo sguardo, quegli occhi verdi non avevano mai perso la grinta, eppure adesso sembravano spenti, luminosi come una stella morente. « Perché fingiamo che tutto questo ci vada bene? »

« Di cosa stai parlando? » chiese lei, cercando di abbozzare un sorriso. Credeva che la stesse prendendo in giro, credeva che non avrebbero mai davvero parlato di quello, che sarebbe rimasto un non detto tra loro.

« Sto parlando di noi. » sospirò Hojo, le mani sulle ginocchia che stringevano in una morsa la stoffa dei pantaloni. « Tu sei...felice? »

« Certo che sono felice. » rispose lei subito, con troppa foga, senza pensarci. Aveva paura che, soffermandosi, avrebbe scoperto di non esserlo affatto.

« Lo so che sei felice con i ragazzi. » precisò lui, un calcolato tono di voce, come se stesse parlando d'affari. « La mia domanda è se sei felice con me. »

Stavolta Jenova non riuscì a rispondere, non subito almeno. Prese fiato per ribadire il concetto ma la voce non uscì dalle sue labbra.

Non era quello che ormai pensava da tempo? Certo, era un pensiero che aveva volontariamente nascosto sotto strati e strati di istinto materno, e i suoi figli le avevano facilitato il compito. Kadaj con la sua fragilità, Yazoo con le sue allergie, Loz con i suoi problemi di peso, Sephiroth con la sua assenza: così tante cose su cui concentrarsi che aveva potuto ignorare il resto.

« Non è così...semplice. » mormorò lei, abbassando lo sguardo. Non si aspettava di dover affrontare la discussione adesso e le sembrava che il cuore non potesse reggere tutto quell'improvviso dolore.

« Lo so. » sospirò lui. « Lo so. Però credo che sia il caso di... »

Il telefono squillò, facendo trasalire entrambi.

Quando i figli erano fuori casa, telefonavano o scrivevano al cellulare della madre per tenerla informata degli spostamenti. Aveva giustappunto ricevuto un messaggio di Sephiroth con un selfie di tutti loro con i volti sorridenti.

Qualcosa nello squillare insistente del telefono di casa mise in agitazione Jenova. Da qualche parte pensò che volesse solo cercare una scappatoia per non continuare la conversazione con il marito e per questo rimase immobile mentre quel drin drin drin le riempiva le orecchie.

Hojo la guardò a lungo, cercò in lei l'amore che l'aveva sempre mosso, e fu con orrore che capì di aver smesso di amarla in giorno in cui aveva cominciato a tradirla. Tutto ciò che era seguito era solo un inutile tentativo di ricucire un vestito che ormai non andava bene addosso a nessuno dei due.

« Rispondi a quel dannato telefono. » disse, senza nessun particolare tono.

Jenova annuì. Nonostante avesse lasciato la stanza e lo sguardo gelido del marito, non si sentiva meglio, anzi, la sensazione che aveva provato quando il telefono aveva cominciato a squillare si fece più prepotente.

« Pronto? » rispose, con il fiatone e il cuore che le martellava in petto. Per un po' sentì solo scariche statiche, e temette che la trasmissione fosse disturbata. « Pronto? » chiese ancora, le dita che andarono ad intrecciarsi intorno al filo del telefono.

Poi sentì un sospiro, un profondo, umido sospiro fatto di lacrime.

« Casa Crescent? » chiese una voce, ben troppo familiare per Jenova che sentì all'improvviso una morsa allo stomaco.

Erano passati ventiquattro anni e la voce era invecchiata, si era arrochita, era diventata un po' più profonda, o forse era il dolore a renderla così?

« S-sì, sì, casa Crescent. » balbettò Jenova, confusa. Le orecchie le fischiavano, sentiva scorrere il sangue con violenza, come un fiume in piena. Poteva essere? Non si stava sbagliando?

« Sto cercando...sto cercando Jenova, è in casa? »

Lei dovette inghiottire il magone, insieme con il cuore che le era salito in gola, prima di poter rispondere. « Sono io. »

Un altro lunghissimo istante di silenzio, in cui Jenova poté sentire la persona dall'altro capo del telefono che emetteva un lungo sospiro.

« Sono...sono...sono la mamma, Jen, sono la mamma. »

La donna sentì una stilettata gelida attraversarle l'anima.

Non si era sbagliata.

Non sentiva la voce di sua madre da quando l'aveva cacciata di casa, incinta e ripudiata.

Molte volte, durante tutti quegli anni, aveva immaginato di parlare con i suoi genitori. Certe volte la discussione era pacata, altre volte era un litigio furioso, altre volte ancora piangevano e si abbracciavano: la sua mente aveva vagliato tutti i possibili scenari, e se all'inizio la cosa le faceva venire le palpitazioni, con il tempo era diventato un pensiero vago, avvolto nella nebbia, finché aveva smesso di farle effetto. Credeva con tutto il cuore che non avrebbe mai, mai più sentito i suoi genitori.

« Sì. Mamma. » sputare quella parola fu un grande sforzo per lei, ancora divisa tra rabbia e odio. Non c'era spazio per altre emozioni nel suo animo ferito. « Che piacere sentirti. Sai che sono passati quasi venticinque anni dall'ultima volta che ci siamo fatte una chiacchierata? »

Non pensava di avere tutto quel rancore, né che sarebbe riuscita a riversarlo fuori con tale foga. Realizzò che ormai era una donna adulta, e che se prima aveva paura di sua madre, della figura autoritaria che era stata durante l'infanzia, adesso che era madre a sua volta aveva perso qualsiasi potere avesse su di lei. Soprattutto adesso che sentiva di dover difendere i suoi figli dalla donna che l'aveva abbandonata.

« Lo so. » disse la madre, la voce rotta dal pianto. « Non ho nessun diritto di tornare nella tua vita così ma... »

« Ma cosa? Non abbiamo niente da dirci. Se vuoi chiedermi scusa, non accetto le tue scuse. Grazie per avermi cercata, avrebbe avuto un senso all'incirca una ventina d'anni fa, adesso è troppo tardi. »

Stava per mettere giù il telefono quando la madre urlò: « È per papà. Ha avuto un infarto. È morto stamattina. »

Jenova sentì il respiro mozzarsi in gola, e la cornetta le scivolò dalle mani.

 

 

Faceva caldo, un caldo asfissiante. Sephiroth teneva Kadaj in braccio perché non c'era posto nel banco per tutta la famiglia, e Jenova aveva preteso che rimassero tutti insieme.

Nessuno di loro era mai entrato in chiesa, e Jenova stessa non ci metteva piede da molto tempo.

L'odore d'incenso, le statue con lo sguardo vacuo ma crudele, le vetrate colorate che gettavano luci allegre sulla bara di fronte all'altare: era qualcosa per cui non era pronta.

Eppure, la donna riusciva a trattenere le lacrime. Il gelo che le avvolgeva il cuore si era solidificato e non riusciva più a sentirlo battere.

Hojo le teneva la mano così stretta che le parve di sentirlo vicino per la prima volta in tanti anni. La discussione che avevano avuto soltanto il giorno prima sembrava lontanissima e vaga: non poteva essere più contenta di avere suo marito al suo fianco in quel momento.

Yazoo e Loz, entrambi vestiti di nero – come i genitori e gli altri fratelli – stavano seduti stretti stretti, e confusi, guardandosi intorno senza capire esattamente cosa stesse succedendo.

Non avevano mai conosciuto il nonno, anzi, non ne avevano neanche mai sentito parlare. Gli unici nonni per loro erano i genitori di Hojo, non contemplavano neanche l'esistenza di nonni materni.

Yazoo occhieggiò in direzione di quella che aveva capito essere la nonna. Non l'aveva mai vista prima, ma la riconobbe subito perché somigliava moltissimo alla mamma. Come lei, aveva capelli bianchi, che era sicuro non dipendessero dall'età, e aveva gli stessi occhi rossicci, solo che erano circondati da rughe fitte e umide di lacrime. Era vecchia, ma agli occhi di un bambino di undici anni qualsiasi persona più grande di suo fratello maggiore appariva vecchia.

La chiesa era disseminata di anziani che piangevano più o meno mestamente, con le teste chine sui libretti dei canti; l'aria era satura, sia per il caldo che per l'incenso.

I bambini cominciavano ad essere inquieti.

Kadaj, aggrappato al collo di Sephiroth, si guardava intorno con circospezione, come spaventato da quel nuovo, inquietante luogo.

Jenova non aveva imposto loro nessuna credenza religiosa, dopo essere stata costretta a seguire un regime cattolico che le aveva portato solo sofferenza, ed erano ancora troppo piccoli per parlargli della morte, delle sue implicazioni, spirituali o biologiche.

Per Kadaj, come per Yazoo e Loz, era tutto mostruosamente nuovo e spaventoso.

Il piccolo appoggiò la testina sulla spalla del fratello. L'unica persona che sembrava autorizzata a parlare ad alta voce in chiesa era l'uomo con la tunica sull'altare, che però diceva cose per lui senza alcun senso. In ogni caso, fu con un mormorio sottile che parlò al fratello, come se intuisse per istinto di dover fare meno rumore possibile.

« Seph...ho caldo, voglio andare a casa. »

Sephiroth non stentava a crederlo. Costretto ad indossare giacca e cravatta, come un uomo in miniatura, Kadaj era già zuppo di sudore, e i bracieri fumanti incenso non rendevano più fresca l'aria, solo più pesante, nonostante i ventilatori che giravano a pieno ritmo.

« Tra poco Kaddie, dobbiamo rimanere fino alla fine della messa. » rispose il fratello. Provò a soffiargli sul collo per rinfrescarlo, spostandogli i capelli da un lato, ma capiva bene cosa provava: anche lui, nell'abito nero da funerale, cominciava a non respirare più.

Il bambino avrebbe voluto chiedergli cosa fosse una “messa”, ma non era la più impellente delle domande: la grande cassa scura di fronte all'altare, cosparsa di fiori e ghirlande, attirava per lo più la sua attenzione.

La mamma non aveva dato nessuna spiegazione a riguardo, nessuna che fosse soddisfacente, e tutto ciò che Kadaj sapeva delle casse da morto veniva dagli sparuti sceneggiati televisivi che di tanto in tanto riusciva a guardare quando nessuno lo controllava. Non che la morte fosse un tabù in casa Crescent, semplicemente cercavano di tenerlo al sicuro.

Più che altro, Kadaj era irritato dal fatto che dovesse passare quella giornata in chiesa, al caldo, circondato da persone che non conosceva, con la mamma ridotta ad una fredda statua di ghiaccio, quando avrebbe potuto divertirsi sul prato lanciandosi gavettoni con i palloncini per festeggiare il suo compleanno, che per la cronaca era il giorno dopo. Non poteva immaginare un peggiore pre-compleanno di quello.

« Là dentro c'è il nonno? » chiese, sempre sottovoce, sapendo che Sephiroth avrebbe capito e che gli avrebbe risposto, come faceva sempre, senza farlo sentire fuori luogo o troppo piccolo per avere quell'informazione.

« Sì. » infatti disse, mentre gli occhi verde intenso scivolavano sull'opulenta bara.

Sephiroth non poté fare a meno di chiedersi quanto fosse costato quel funerale, quanto fossero pregiati i fiori che abbellivano altare e bara, e quanto di tutto quello rendesse davvero felice l'uomo morto al suo interno, o se fossero solo per la soddisfazione di chi era ancora in vita.

Si chiese anche se sua nonna si rendesse conto di quanto stupido fosse tutto quello, e di quanto fossero lontani dalla concezione cristiana di vita religiosa.

Kadaj mosse la testolina per guardare il feretro, le piccole sopracciglia aggrottate. « E perché è lì dentro? »

« È il modo in cui i vivi rendono omaggio ai morti, Kaddie. » cercò di spiegargli, sottovoce, imbrigliando nel fondo della gola tutte le sue idee sulla religione e la stupidità umana: era giusto che il fratellino traesse le sue conclusioni, senza la sua influenza.

« Al nonno piacevano i fiori e questa puzza brutta? »

In effetti, l'odore dell'incenso era così pungente da far lacrimare gli occhi, e una nebbia fitta cominciava ad oscurare la luce che proveniva dalle vetrate.

Sephiroth stentò a trattenere un sorriso. « Non saprei, non l'ho mai conosciuto. Ma penso di sì. »

Il bambino respirò a fondo, fece una smorfia per quel puzzo acre che prendeva alla gola, e si sistemò meglio sulla spalla di Sephiroth. Aveva caldo e cominciava a spazientirsi, ma l'abbraccio del fratello era il posto migliore in cui stare.

Il monotono ciarlare del prete fece ben presto annoiare i bambini. Yazoo tirò la manica della madre più volte per chiederle quand'è che sarebbero andati via, ma senza successo: sembrava diventata sorda e cieca a qualsiasi cosa.

Così, il piccolo ingaggiò una furiosa battaglia a sasso, carta e forbici con Loz, e improvvisamente la celebrazione risultò più sopportabile ad entrambi.

Loz fece vincere Yazoo diverse volte, dal momento che sapeva bene quanto la sconfitta lo infastidisse, poi gli propose di giocare a pollice contro pollice. Per questo si beccò una gomitata da Sephiroth, forse aveva alzato un po' troppo il volume della voce. Ci si aspettava da lui che seguisse con diligenza la messa molto più di quanto non se lo aspettassero da Yazoo e Kadaj: essere grandi aveva i suoi svantaggi.

Quando il prete, dopo quasi due ore, finalmente disse “andate in pace”, Jenova sembrò rianimarsi. Aveva gli occhi pieni di lacrime non versate, e di una rabbia incontenibile quanto ben nascosta, a tal punto che solo Sephiroth, che la conosceva quasi meglio di se stesso, riuscì a coglierla.

« Forza, andiamocene. » disse solo, secca. Stringeva ancora la mano del marito, tanto forte da far male ad entrambi.

Il figlio maggiore le rivolse un cenno di assenso. Teneva stretto a sé Kadaj con un braccio, e porse la mano libera a Yazoo perché la prendesse, mentre Loz quasi gli si aggrappava alla giacca.

Il loro modo di tenersi vicini, stretti l'uno all'altro, era un inconscio bisogno di sicurezza e protezione, come gli aquilotti in un nido freddo che aspettano il ritorno della madre stando tra loro il più vicino possibili. Era anche un modo di schermarsi da tutte le occhiate strane che la famiglia materna gli rivolgeva, occhiate che andavano dall'incuriosito allo sdegnato.

Se c'era qualcosa che Jenova conosceva bene erano i giudizi della comunità da cui era stata cacciata. Quanto più si è vicini a Dio, tanto più crudeli si diventa: un paradosso che non aveva mai realmente capito.

Esortò i figli a muoversi, con voce tesa.

Se aveva accettato di andare al funerale era solo perché aveva ancora del buon senso, e perché dentro di sé sapeva che se non avesse dato l'ultimo saluto al padre se ne sarebbe pentita per il resto della sua esistenza.

Non provava dolore all'idea di non poterlo più rivedere, non provava odio nei suoi confronti, né affetto: onora il padre e la madre, dicono i comandamenti, e lei era lì solo per quello.

D'altronde non era lei ad essere morta senza aver mai perdonato l'unica figlia, senza aver mai partecipato alla sua vita, senza aver mai conosciuto i suoi nipoti.

In cuor suo, in un minuscolo anfratto nero e crudele, sperò nell'esistenza di una vita dopo la morte solo per vedere il padre sofferente e consapevole dei suoi errori, poi la parte razionale di sé le ricordò che non c'era nessun aldilà, e riuscì a rilassarsi.

Quasi spinse i figli lungo la navata per uscire dalla chiesa il più velocemente possibile.

Aveva fatto il suo dovere, non aveva più alcun motivo per rimanere lì.

Quando finalmente uscirono all'aria aperta a Kadaj parve di non riuscire più a sopportare la luce del sole e l'aria fresca. Quanto tempo era rimasto dentro la chiesa? Gli sembrava un'eternità.

Gli occhietti misero a fuoco un mondo ben più colorato e allettante di quello che aveva visto là dentro, e subito la sua mente fu pervasa dalla felicità: era estate, il suo compleanno sarebbe stato l'indomani, il cielo era azzurrissimo e niente, niente esisteva di più bello al mondo.

Jenova diede un buffetto sulla spalla di Sephiroth, come a volerlo ringraziare, e lui le rivolse un veloce sorriso.

Tutti insieme si diressero verso le macchine, e nessuno degli adulti presenti sembrava intenzionato a voltarsi indietro.

Se non fosse stato per il lamentoso, sofferente richiamo che giungeva dalle sue spalle, Jenova non si sarebbe assolutamente fermata.

Ma lo fece, e se ne pentì un attimo dopo averlo fatto.

Yazoo vide la nonna avvicinarsi, stanca e lenta. Sembrava soccombere sotto il peso del vestito nero che indossava, e suoi occhi apparivano più rugosi che mai.

La donna si fermò di fronte a Jenova, che rimase impassibile e fredda com'era stata per tutta la celebrazione.

« Hai portato tutta la famiglia. » tentò la nonna, con quella voce spezzata che voleva cercare in loro una spiaggia di felicità, senza sapere che per lei c'erano solo lidi ostili.

« Ce ne stavamo andando. » fu la risposta secca di Jenova. Hojo ricambiò la stretta che lei gli rivolse, sapendo che aveva bisogno della sua forza ora più che mai.

« Sono i miei nipoti, questi? » evidentemente, la nonna non aveva ben capito le parole di Jenova, che dovette serrare la mascella per non mettersi a urlare.

Non vedeva sua madre da talmente tanto tempo che era riuscita a renderla un'estranea alla vista. Era cambiata in un modo che non avrebbe saputo esprimere a parole, eppure era la stessa donna, la stessa madre, che l'aveva tenuta per mano tante volte, che le aveva rimboccato le coperte. E che le aveva sbattuto la porta alle spalle senza pensarci due volte.

I sentimenti laceranti che si contendevano la sua anima le inumidirono a tal punto gli occhi da farle vedere tutto grigio. Grigio il cielo, grigi i fiori, grigia la facciata della chiesa deliziosamente opprimente sullo sfondo.

« Sì. » rispose Jenova, meccanicamente, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla madre. « Questo è Sephiroth. » le disse, con la mano nuovamente sulla sua spalla come a cercare da lui la forza che le mancava, e insieme come a indicare alla donna che un tempo era stata sua madre che lui era il motivo per cui l'aveva cacciata. « Il piccolo è Kadaj. » ancora appeso come un koala al fratello maggiore. « Questi sono Yazoo e Loz. » appoggiando poi una mano sulle loro teste mentre li presentava.

Non aveva il coraggio di dire loro di salutare la nonna, pensò invece che la loro reazione priva di entusiasmo fosse sufficiente per farla soffrire: per loro era una sconosciuta, e tale doveva rimanere.

« Sono proprio dei bei giovanotti. » disse la nonna, senza riuscire a trattenere le lacrime.

A Yazoo apparve come una strana, singhiozzante tartaruga, di quelle che aveva visto solo nei documentari di NatGeo.

Jenova assistette a quella pietosa scenata senza neanche guardare in faccia sua madre, aveva lo sguardo perso oltre la sua spalla, in attesa che smettesse o che le desse una buona ragione per trattenersi ancora.

Il disagio di trovarsi davanti quella donna piangente e gemente cominciava a diffondersi, e Kadaj pigolò uno stanco “possiamo tornare a casa?” appena più forte dei suoi singhiozzi, tanto da obbligarla a smettere. Non voleva vederli andare via, non ora che era rimasta da sola. Era vecchia, ed egoista.

« Potresti portare i bambini a vedere la casa dove sei cresciuta, che ne dici? » tentò, abbozzando un sorriso malandato. Jenova pensò vagamente che i rimpianti facevano invecchiare molto più in fretta.

« Non credo. Abbiamo altri impegni. » disse, e, presa la manina ora libera di Yazoo, fece per voltarle le spalle e andarsene.

Nessuno avrebbe osato dirle che stava sbagliando, perché nessuno pensava che stesse sbagliando. Il suo gelido comportamento era ciò che sua madre meritava.

Hojo ricordò quell'unica volta in cui aveva proposto alla moglie di contattare i suoi genitori. Si chiese cosa sarebbe successo allora se avesse insistito, se avessero portato Sephiroth ancora neonato a vedere i nonni, se quel giorno, quel funerale, avrebbe acquisito tutto un altro senso. Sconsolato, realizzò che no, non sarebbe cambiato niente. Non seppe da dove venisse quella realizzazione, ma era così opprimente che fu il primo a desiderare di essere già seduto in macchina.

« Sono rimasta sola, Jen. » pianse la donna, le mani rugose corsero al viso per nascondere le piaghe create dal dolore. « E so di aver avuto esattamente quello che mi meritavo, ma non voglio morire come tuo padre, non voglio perderti. »

« Mi hai perso molto tempo fa. » fu la semplice risposta, così leggera che non costò a Jenova nessuno sforzo. « Hai avuto tante occasioni per tornare sui tuoi passi in questi anni, e non ne hai colta nessuna. »

« Perché non sei tornata tu da me! Perché avrei dovuto fare io il primo passo! »

Il fatto di tenere la manina di Yazoo impedì a Jenova di mettersi a urlare: sapere che c'erano i suoi figli presenti e che tutto ciò che sarebbe uscito dalle sue labbra avrebbe influito su di loro ridimensionò la sua rabbia, ma le riempì di bile lo stomaco.

« Tu e papà mi avete abbandonata quand'ero solo una ragazzina. Sono stata vagabonda per mesi disprezzando me stessa e quello che avevo fatto. E intanto una vita cresceva dentro di me, e non sapevo assolutamente come prendermene cura. Tutto ciò che mi avete insegnato mi si era ritorto contro, non ho trovato nessun amore cristiano e nessuno disposto ad aiutarmi. Avevo paura, io ero sola. Finché Sephiroth non è nato e mi ha reso così felice che mi sembrava di esplodere. » rivolse solo un piccolo sguardo al figlio, eppure bastò per riempirle il petto di una sensazione calda. « La famiglia di Hojo mi ha presa con sé senza neanche pensarci, e se oggi sono qui è solo per merito loro, loro, e di nessun altro. In tutti questi anni ti sei mai chiesta che fine avessi fatto? Hai pensato a che cosa ne era stato di me? Hai mai pensato a tuo nipote? Se fossimo sopravvissuti o se fossimo diventati solo altre due facce sporche sedute in un angolo di strada a chiedere le elemosina? » non erano domande che volevano una risposta, ma nonostante questo la donna boccheggiò alla ricerca di qualcosa da dire. Fu subito interrotta da Jenova, senza pietà. « Questa è la famiglia che mi sono creata con tanti sacrifici, non siamo perfetti, ma c'è una cosa che tu e il tuo Dio evidentemente non avete: l'amore. Imprimiti bene il volto dei miei figli, perché è l'unica volta che li vedrai. Addio mamma. »

Poi strattonò Yazoo perché cominciasse a camminare. Il bambino, intontito da quanto era successo, come tutti i presenti d'altronde, sgambettò per stare al suo passo. Hojo e Loz quasi dovettero correrle dietro.

Ma Sephiroth rimase immobile al suo posto, con Kadaj che occhieggiava verso la nonna, ora ridotta ad un cumulo nero di lacrime.

Per un lungo, lunghissimo tempo, rimasero in silenzio, mentre il piazzale lentamente si svuotava e la bara veniva portata fuori al rintocco di tetre e pesanti campane. Il carro funebre attendeva solo un ordine della vedova per far partire il corteo che avrebbe accompagnato il defunto fino al cimitero dove lo aspettava la sua ultima dimora.

Ma lei era immobile, ferma davanti alla ragione per cui aveva perso sua figlia.

Provava gioia mista a odio nei confronti di quel bel ragazzo dalle spalle larghe. Si rallegrava che avesse preso i capelli bianchi di Jenova e che fosse alto, alto come suo nonno. Eppure una parte di lei, quella sprofondata nel dolore della perdita, lo odiava: se non fosse stata per lui, sua figlia avrebbe potuto aspirare a qualcosa di meglio.

Forse Jenova aveva ragione, lei e il suo Dio non contemplavano l'amore.

Sephiroth non sapeva bene cosa si aspettasse da lei, cosa volesse sentirle dire, o se fosse lui a volerle dire qualcosa.

Non provava quella donna niente che non fosse un nulla senza emozioni.

Quand'era un bambino, quasi in automatico, aveva creduto che i suoi nonni materni semplicemente non esistessero, e non era un pensiero così assurdo dal momento che non era difficile imbattersi in bambini che non avevano mai conosciuto neanche uno dei nonni. Crescendo, e apprendendo la verità su sua madre, aveva provato rabbia nei loro confronti, e aveva contemplato l'idea di contattarli solo per urlare loro in faccia e sfogare le sue frustrazioni. Si era sentito rifiutato tanto quanto la madre.

Adesso, adulto e consapevole di dover difendere la sua famiglia, con in braccio Kadaj che continuava sommessamente a pregarlo di portarlo a casa, non sapeva cosa pensare.

Aaliyah e Lewis non gli avevano fatto mancare niente, anzi, lo avevano viziato più di quanto fosse necessario quand'erano lontani dallo sguardo di Jenova.

Pensò a come sarebbe stato perdere Lewis, suo nonno, il suo unico nonno, e sentì immediatamente un'ondata di lacrime risalirgli agli occhi. Era questo che si provava quando si temeva di perdere qualcuno che si ama, e non era ciò che provava verso quella donna, o l'uomo morto dentro la bara.

Sentì da lontano sua madre chiamarlo, non con urgenza, non con rabbia, un richiamo pacato per ricordargli che lo stavano aspettando per tornare a casa.

Volse un ultimo sguardo alla donna prima di dire: « Kadaj, saluta la nonna. »

« Ciao ciao nonna. » cinguettò il bambino, muovendo la piccola mano verso di lei.

Poi le volse le spalle. I suoi singhiozzi disperati lo perseguitarono a lungo.



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The Corner 

Ciao a tutti e ben trovati.
Ammetto che questo capitolo ha per me un sapore strano, in parte mi ha davvero fatto soffrire.
Sono contenta, però, di aver trovato il tempo di scriverlo, non pensavo di riuscire a mettermi in pari in tempo per la pubblicazione del giovedì, e invece! 
Tutto questo merito della mia persona speciale, a cui dedico davvero tutto, tutto tuto tutto. 

Chii

   
 
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