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Autore: FatSalad    23/03/2018    3 recensioni
Spartaco è giovane, bello, spiritoso, laureato, con un contratto a tempo indeterminato e con un “superpotere”: quello di far cadere ai suoi piedi qualsiasi donna senza fare assolutamente niente.
Il rovescio della medaglia di una capacità del genere, però, è che Spartaco è incapace di costruire rapporti di amicizia con le ragazze e, soprattutto, quando si scoprirà completamente e perdutamente innamorato si renderà conto di una cosa: non ha assolutamente idea di come si conquista una donna.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dall'altra parte dello schermo'
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Chiuse gli occhi e si chiese:
“Voglio farlo davvero?” e non è chiaro se si disse di sì o se semplicemente uscì dall'auto parcheggiata prima di aver aspettato una risposta affermativa, fatto sta che il minuto dopo Spartaco era davanti ad un citofono.
Il palazzo era dipinto di un rosa che aveva visto tempi migliori con le finestre contornate di un grigio deprimente, non si trovava in un quartiere nuovo, ma tutto sommato aveva la sua dignità, con quella concessionaria a piano terra che esponeva vetture dai colori seducenti. Spartaco diede una sbirciatina veloce e si ripromise di soffermarsi in contemplazione più tardi, con calma, perché prima doveva compiere la sua missione.
Scorse le etichette che affiancavano ogni campanello e controllò almeno tre volte che fosse quello giusto, poi suonò e attese.
«Sì?» chiese una voce baritonale e perplessa.
«Buonasera, sono Spartaco, il fidanzato di Irene.»
Si maledì mentalmente distorcendo la faccia in un centinaio di smorfie diverse per la scelta dei vocaboli. Dall'altra parte dell'apparecchio, l'uomo face un paio di respiri poi soffiò un:
«Oh.»
«Irene è in casa?» chiese Spartaco dopo un attimo di esitazione.
«No, mi spiace, al momento non c'è.»
«Ah, capisco...»
Spartaco stava per improvvisare un colpo di tosse, incerto su come concludere quello scambio di battute, quando udì il suo interlocutore baritono aggiungere con un certo impaccio:
«Dovrebbe tornare a momenti, vuoi entrare ad aspettarla?»
Spartaco valutò velocemente il da farsi. La situazione avrebbe potuto metterlo a disagio, ma era altresì un modo sicuro per intercettare Irene.
«Sì, la ringrazio.»
Udì il “bzzz” che annunciava che il portone era stato aperto e si avviò ad entrare, poi ci ripensò e tornò indietro in fretta.
«Signore, signore, mi scusi!» urlò, sperando che l'uomo non avesse abbassato il ricevitore.
Niente da fare, aveva già messo giù e gli toccò suonare di nuovo.
«Sì?»
«Scusi, sono sempre io, volevo chiederle a che piano...?»
«Oh, ma certo. Secondo piano.»
Decise che due rampe di scale l'avrebbero aiutato a scaricare la tensione e non l'avrebbero fatto arrivare col fiatone, così non degnò nemmeno di uno sguardo l'ascensore. Giunto al pianerottolo del secondo piano, elettrizzato, scrutò i tre zerbini che gli si pararono di fronte, come se avesse potuto trovarvi qualche indizio.
“Fiorellini, cagnolini o rombi? Quale sarà?”
Lesse i nomi sui campanelli perché nessuno era uscito ad accoglierlo e suonò poggiando le suole su un paio di simpatici carlini.
Un uomo dalla statura imponente, con un paio di baffi più bianchi che neri e gli occhiali sul naso gli aprì la porta.
«Buonasera.» disse e Spartaco riconobbe il baritono con cui aveva parlato poco prima.
Si presentò con un gran sorriso al padre di Irene che dichiarò di chiamarsi Giancarlo e di essere “molto lieto” di conoscerlo, benché la sua espressione fosse più sorpresa che contenta. Infine si scostò appena per far entrare Spartaco nell'appartamento.
“Adesso prepariamoci al silenzio imbarazzante...” pensò il ragazzo che aveva capito di non poter fare affidamento sulle doti oratorie di Giancarlo.
Non fece in tempo a preoccuparsi che una figura infilò il corridoio di corsa per andare a schiantarsi su di lui. Era Alice che gridò:
«Spartacooo!» e gli gettò le braccia al collo.
Lui rise, sollevato per aver trovato una presenza amica in quella casa ignota e intenerito da tanto entusiasmo.
«Ciao Alice! Tutto bene?» le chiese.
Lei annuì con la testa poggiata sul suo petto e Spartaco frenò l'impulso di strizzare troppo forte il suo corpicino paffuto. Abbassò il capo per poggiarlo sul suo mentre continuavano ad abbracciarsi dondolandosi da un piede all'altro.
«Alice, fai respirare il povero Spartaco!» esclamò allora una voce di donna.
Alice si staccò da lui borbottando e Spartaco potè conoscere la persona che aveva parlato.
«Piacere, Marinella. - si presentò la donna porgendogli la destra – Oh, ma che bel ragazzo che sei! Non ti aspettavamo, non ho niente da offrirti... accomodati sul divano, ti porto qualcosa.»
Spartaco ringraziò, assicurando che non voleva niente, ma Marinella sparì verso la cucina per riemergerne poco dopo con un vassoio pieno di biscotti, tre varietà di patatine, aranciata e thé freddo. Nel frattempo Giancarlo si era seduto sulla poltrona borbottando qualcosa come “Tutti sapevano tranne me...” e Alice aveva trascinato Spartaco sul divano. Lo tempestava di domande riguardo a Niccolò, informandosi su quando sarebbe andato alle Paralimpiadi. Spartaco cercò di spiegarle in modo meno traumatico possibile che quello era un traguardo molto ambizioso, ma che Niccolò si impegnava al massimo e migliorava giorno per giorno.
Rivide Irene nell'espressione seria di Giancarlo, ma, non potè fare a meno di notare, era la gentilezza della madre quella che nascondeva alla vista dei più.
Marinella faceva di tutto per metterlo a proprio agio, non poneva domande dirette da interrogatorio e lo costrinse a mangiucchiare qualcosa, cosa che evitò a Spartaco l'impaccio di non sapere dove poggiare le mani.
Ad un tratto un rumore fece voltare tutti e quattro verso la porta e non appena Irene fece il suo ingresso fu investita da un coro di saluti.
Spartaco si alzò in piedi e cercò di scorgere nel suo sguardo un indizio del suo umore, per capire quanto fosse disposta ad ascoltarlo.
«Guarda chi è venuto a trovarti, tesoro!» esclamò Marinella.
Irene spostò lo sguardo interrogativo sulla stanza e rimase come di pietra quando vide Spartaco che alzava una mano in un semplice saluto. Nessuno lo notò oltre a lui, perché Irene fu abbastanza abile a mascherare subito l'espressione in un innocente stupore.
«Oh... che sorpresa...»
Marinella si lanciò in una serie di frasi di circorstanza quali “perché non ci hai detto niente” e simili, ma Irene riuscì a districarsi in fretta da quella selva di domande dicendo:
«Scusate, noi dobbiamo andare.»
Rivolse un'espressione eloquente a Spartaco che la seguì prontamente ringraziando lungamente per la calorosa accoglienza. Irene sbuffò spazientita, prese il collega sotto braccio e lo scortò alla porta. Spartaco cercò di salutare la famiglia di Irene il più cortesemente possibile mentre l'incedere della ragazza lo costringeva ad una torsione tutt'altro che elegante.
Lo trascinò giù per le scale senza una parola e si voltò verso di lui solo una volta fuori dal palazzo.
«Allora? Che storia è questa?» proruppe, il volto livido.
«Volevo vederti.» spiegò Spartaco cautamente.
«Io no.»
«Con la mia proverbiale arguzia l'avevo capito. Per questo ho fatto in modo che fossi costretta a incontrarmi.»
«Bene. Adesso ci siamo incontrati. Riesci a leggere la mia faccia, con la tua proverbiale arguzia?» chiese sarcastica, fissandolo in volto con espressione truce.
«Immagino tu mi stia mandando a quel paese e...»
«Esatto. Vacci e non farti più vedere.»
Fece dietro front, ma Spartaco fu più svelto nell'afferrarla per un braccio.
«No, aspetta, Ire. Fammi prima parlare.»
«Non voglio ascoltarti! Cosa vorresti dirmi? Che ti dispiace? Che è stato divertente? O magari che “non è come sembra”?»
«Io non so cosa ti è sembrato, l'altro giorno, ma credo che tu abbia frainteso la situazione e sei scappata prima che io potessi dire alcunché.»
Irene sbuffò.
«E anche se tu non avessi frainteso credo di avere il diritto di spiegarti.»
Irene sbuffò di nuovo, ma aveva capito che non poteva sfuggire a quel confronto, perciò incrociò le braccia al petto e attese, senza però guardarlo in volto.
D'altro canto Spartaco, che sperava in un incontro tranquillo davanti ad una bevuta, capì che era meglio accontantarsi di quella piccola concessione.
«Quella che hai visto l'altro giorno – iniziò – è Lilla, una mia ex, nonché migliore amica di mia sorella. Siamo stati insieme per qualche tempo quando ho iniziato l'università e la nostra non è mai stata una storia semplice, avevamo continue discussioni, continui diverbi...»
«Risparmiami i dettagli, grazie.» tagliò corto lei.
«Insomma, quest'estate ci eravamo riavvicinati e io le avevo proposto di ricominciare, in modo più serio, stavolta. Lilla però si era presa del tempo per decidere e fondamentalmente era sparita.»
«E adesso è riapparsa, capisco.»
«No che non capisci! - sbottò Spartaco, infastidito. - Se tu mi lasciassi finire...» si passò una mano tra i capelli e Irene capì che si era resa sufficientemente molesta.
«Scusa, sono nervosa. Non ti interrompo più.» mormorò.
Spartaco prese un respiro profondo e riprese:
«L'altro giorno Lilla non è venuta per dichiararmi il suo amore, al contrario, voleva gentilmente informarmi che ha trovato l'uomo della sua vita e non sono io.»
Irene alzò lo sguardo di scatto.
«Cosa?!» accortasi che l'aveva interrotto di nuovo si portò una mano sulle labbra chiedendo scusa in un sussurro.
«Proprio così, la mia ex è venuta a confessarmi che già da prima che le chiedessi di rimettersi con me aveva un altro spasimante, voleva chiedermi scusa e mettere in chiaro che tra noi non ci sarà mai più niente perché ha capito che la sua anima gemella è altrove. Fine della storia... in tutti i sensi.»
«Non è stata molto carina a non informarti prima dell'esistenza di un secondo ammiratore.»
«Già, credo che sia per questo che ci ha messo tanto ad affrontarmi, perché si sentiva in colpa. Credo che avesse capito da tempo di amare questo tipo, ma cercava di negarlo perché lui è molto più vecchio di lei e non è bello come si aspettano certe sue amichette
Irene, tutt'altro che sollevata, continuava a fissare il suolo, spostando il peso da un piede all'altro.
«Beh? Avevi frainteso o no?» chiese Spartaco con voce sorridente.
Irene non rispose e Spartaco si preoccupò.
«Ire...?»
La ragazza alzò finalmente gli occhi ed erano scuri, carichi di qualcosa di insostenibile come il dolore.
«Spartaco, ti prego di dirmi la verità: se quella ragazza ieri fosse venuta a dirti che tra i due eri tu l'uomo che aveva scelto, cosa avresti fatto?»
Spartaco tacque e per un minuto che parve eterno ripensò a ciò che era successo il giorno prima.


Irene se n'era appena andata senza lasciargli il tempo di dire alcunché.
«Aspetta, lei è...?» aveva chiesto Lilla, spostando lo sguardo sbigottito da lui al corridoio in cui stava sparendo Irene.
«La mia... ragazza, almeno fino a pochi secondi fa.» aveva spiegato Spartaco, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
«Oh. Credo che abbia frainteso cosa c'è tra noi. La lasci andare così?»
«Nutro abbastanza stima nei suoi confronti per sperare che voglia chiarire in maniera civile, una volta che avrà sbollito. Intanto tu sei qui... entra, dobbiamo parlare.»
«Beh, sì, cioè... mi dispiace. Se avessi saputo ti avrei dato un colpo di telefono.»
«In effetti per le prossime volte potrebbe essere un'idea. - le aveva detto mentre le mostrava una sedia perché sedesse e le offriva un bicchier d'acqua - Lilla, mi dispiace, ma come hai visto...»
«No, Spartaco, non dire niente. Sono io a doverti delle scuse. Prima di tutto per essere sparita, poi per non averti contattato prima e ancor di più perché... non sono stata completamente sincera con te.»
Spartaco, seduto di fronte a lei, aveva aggrottato la fronte, ma non aveva detto niente e l'aveva lasciata continuare. Lilla aveva sospirato, aveva bevuto un sorso d'acqua e ripreso a parlare guardandolo dritto negli occhi.
«La verità è che... il motivo per cui sono stata lontana da casa per un mese non è solo che volevo riposarmi dallo studio e capire se ti amavo ancora, ma volevo capire se amavo te o un altro.»
«In che senso?» aveva chiesto stupidamente Spartaco.
«Quest'estate, quando ci siamo incontrati in piscina... beh, ero già confusa. C'era quest'uomo che, come dire? Che mi corteggiava da qualche mese e io non ero sicura di cosa provassi per lui, poi sei tornato tu e per una sera ho pensato che sei sempre stato tu il mio destino, ma... ma qualcosa non andava. Era come se mi sentissi in colpa, capisci? Da lì ho cominciato a pensare che forse, in fondo, avevo cominciato ad affezionarmi a Gregorio più di quanto immaginassi.»
Lilla aveva tenuto lo sguardo basso, aveva bevuto un'altra sorsata prima di azzardarsi a guardare Spartaco negli occhi.
«Il problema era che lui è un po' più grande di me, di noi, non si accontenta più di una storia che non sia seria e io avevo un po' paura.»
«Ma voi... stavate insieme quando noi...?»
«No! - aveva squittito Lilla, indignata – Per chi mi hai preso?!»
«Scusa, scusa, era solo per capire. E adesso?»
«Adesso sì. So che quando lo vedrai penserai che sono impazzita, perché è più vecchio di me, ha già trentadue anni e non è bello e palestrato come te... alcune delle mie amiche dell'università si sono un po' scandalizzate per questo, ma lui mi vuole bene. E anche io gliene voglio. Una volta tornata dalla Norvegia sono andata dritta dritta da lui e gli ho detto cosa provavo ed è per questo che sono venuta qui oggi, per dirti che sono felice con Gregorio. Avevo paura di affrontarti, perciò ho impiegato tanto tempo.»
Spartaco aveva studiato gli occhi della ragazza, poi aveva sorriso.
«Sono felice per te, Lilla. Felice e sollevato, a dirla tutta, perché, come hai visto, non sarei stato più disponibile nel caso tu fossi venuta a reclamarmi.»
Anche Lilla aveva sorriso, rilassata.
«E come si chiama la tua ragazza?»
«Irene.»
«State insieme da molto?»
«No, da pochissimo. Ma ci conosciamo da tanto. - si era affrettato ad aggiungere – Sinceramente non ricordo più come fosse stare senza di lei.» confessò, divertito da quel pensiero.
«Capisco, credi che se la prenderà se ti do un abbraccio prima di andarmene?»
«Non so, ma non potrei mandarti via senza un abbraccio. In fin dei conti siamo sempre amici.»
«E io spero che lo saremo sempre, Spartaco.» aveva ammesso Lilla, stringendo il ragazzo tra le braccia.


“Non pensavo più a lei.Ti giuro che le avrei detto che era troppo tardi ormai. Non avrei mai potuto rimettermi con lei!”
Spartaco provò tutte le risposte possibili nella sua testa e le scartò. Scelse la più scomoda, ma la più sincera, gliela doveva.
«Irene, ti prego di capire una cosa: Lilla avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. L'affetto che provo per lei... io non so nemmeno come spiegarlo. Tra tutte le ex che potrei desiderare di cancellare, di ignorare quando le incontro per strada... ecco, lei non ci sarà mai.»
Irene deglutì lentamente e i suoi occhi si fecero impercettibilmente più lucidi.
Spartaco le si avvicinò lentamente di un passo.
«Però non l'ho mai amata come amo te.» snocciolò, a voce bassa.
Irene rimase impassibile.
«Mi credi?» chiese il moro, con la voce supplichevole simile ad una carezza.
Irene strinse le labbra, poi guardandolo da sopra gli occhiali, scosse la testa.
Spartaco sentì come un senso di vertigine mentre la guardava voltarsi di scatto e correre verso casa. “Oh.” pensò e non riuscì ad elaborare altro.
Si avviò come un automa verso l'auto e mentre le gambe si muovevano da sole la sua mente rimaneva vuota come quel marciapiede deserto. Non gli credeva.
Come poteva biasimarla? Di lui aveva visto tutto il peggio, l'aveva visto in difficoltà, aveva assistito ad uno dei suoi litigi più velenosi con un amico, aveva subito i suoi attacchi irrazionali e la sua scortesia, aveva conosciuto il suo malumore e aveva visto una quantità non indifferente di sue ex ragazze e probabilmente si era convinta che fossero innumerevoli. Non erano poche, questo era vero, ma... Ma. C'era stato un tempo in cui usciva con le ragazze solo per una simpatia o una fugace infatuazione, si era divertito, era stato piacevole, ma adesso non gli sarebbe più stato possibile. Adesso sapeva che non si sarebbe accontentato di qualcosa di meno di ciò che era stato con Irene: una conoscenza profonda, un avvicinamento secondo tempi non affrettati, un affetto e una stima che andavano oltre il semplice giudizio estetico. Forse avrebbe dovuto dirlo a Irene, ma non vedeva perché lei dovesse credergli, a quel punto.
Il suo corpo doveva essersi reso conto di aver raggiunto l'auto, perché si era fermato, mentre la sua mente vagava randagia da una suggestione all'altra, senza riuscire a prendere una decisone.
Di colpo, sentì un peso colpirlo alla schiena e si riscosse.
Irene lo aveva raggiunto senza fare rumore e aveva allacciato le braccia intorno al suo torace. Spartaco sussultò, la ragazza lo abbracciava forte, la testa poggiata tra le sue scapole. Per un attimo Spartaco chiuse gli occhi, poi, per paura che si staccasse da lui, le accarezzò le mani strette sotto allo sterno, si voltò e le restituì l'abbraccio, impedendole di andarsene.
«Mi credi?» chiese di nuovo, con voce sommessa, senza il coraggio di ripetere altro.
«Ho paura.» mormorò Irene contro il suo petto.
“Anch'io.” pensò di dirle “Paura di sbagliare, di rovinare tutto, paura che un giorno possa finire tutto, che io possa non essere all'altezza...”
Rimasero così, sospesi, immobili, pieni di parole che non trovavano il modo o il coraggio di uscire, in bilico sull’orlo del burrone e nessuno dei due aveva il coraggio di gettarsi, perché nessuno vorrebbe atterrare da solo, nessuno vorrebbe schiantarsi a terra. Lei aveva paura di fidarsi di nuovo, lui temeva l’ennesimo fallimento.
«Irene, ti ricordi cosa mi hai chiesto ieri? - sussurrò infine Spartaco, con voce incrinata – Non risponderò adesso, non ti dirò cosa mi piace di più di te, ma ciò che odio di più: che ho bisogno di te.»
La cosa che più lo disturbava, comprese in quel momento, era che non aveva mai sentito il bisogno di un'altra persona. Era lui quello che scorgeva i bisogni, le debolezze degli altri e correva in soccorso, forte e coraggioso e forse in quel modo era riuscito a sentirsi davvero invincibile, a volte. Bastava che lo pensassero gli altri per convincersi, per avere l'assicurazione di non essere il perdente senza speranze che a volte, nonostante tutto, si riteneva.
Gli costò molta fatica quella frase, si sentiva un debole ad ammettere che Irene era diventata per lui una necessità, sarebbe stato degradante confessare: “Sono un uomo piccino, inutile, salvami perché senza di te ho paura del mio buio.” Irene però, lo precedette, non gli diede il tempo di esprimersi in quel modo, perché gliel'aveva già letto dentro.
«Non devi essere perfetto, solo sincero.» gli disse cercando il suo volto e questo valse più di qualsiasi altra parola d'amore che avrebbe potuto dirgli.
Spartaco capì che non doveva salvare più nessuno, che non doveva fingersi forte quando non lo era, che a Irene poteva mostrare tutte le ferite di guerra che aveva tenuto nascoste a lungo, da tutti.
«Allora mi credi?» chiese per l'ennesima volta, tenendole il volto tra le mani, speranzoso.
Irene annuì e chiese scusa con una vocina sottilissima e gli occhi colmi di lacrime che stentavano a non cadere.
«Anche io ti amo ed è una cosa così nuova per me... così grande che a volte mi sento... come soffocare. Non so mai come comportarmi e mi sento così inadatta...» gli disse con voce tremante.
«Non devi fare niente di speciale. Promettimi solo una cosa: non scappare più. Se anche avremo dei problemi o delle difficoltà di qualsiasi tipo, ti prego, non fuggire via e parlane con me. Mh?»
Irene abbassò le palpebre e una lacrima sfuggi al suo controllo, inghiottì a vuoto ed annuì.
Spartaco le lasciò il volto per stringerla e le posò un bacio tra i capelli, inspirando il suo profumo.
Abbassò la testa per lasciarle un bacio sulla tempia, poi posò le labbra sulla sua guancia umida di lacrime. Irene lo trasse a sé e lo baciò con una passione sconvolgente, cercando di abbattere tutte le paure e le resistenze di entrambi e Spartaco si lasciò semplicemente amare.
Si staccarono dopo un tempo che pareva infinito, Spartaco vide le labbra arrossate e gonfie di Irene e in quell'istante l'imbarazzo le tinse le guance. Sapeva quanto era riservata e doveva essere piuttosto scioccante per lei rendersi conto che si era lascianta andare in quel modo in mezzo a un marciapede.
«Andiamo a fare due passi.» propose il ragazzo, che non aveva esaurito la voglia di stare con lei, di confidarle tutta la sua anima.
Irene annuì asciugandosi gli ultimi residui di lacrime dal volto e lo prese teneramente per mano.
«Dove mi porti?» chiese.
«Non lo so, ma i tuoi penseranno che avevamo un appuntamento, quindi...»
S'interruppe con un gemito e Irene lo guardò preoccupata.
«Che c'è? Che è successo?»
Spartaco scosse la testa, poi si portò una mano a massaggiarsi il volto.
«Mi sono appena ricordato che mi sono presentato a tuo padre come il tuo fidanzato.»
Irene sbiancò.
«Cosa?! Fidan... o Gesù!»
Ammutolì, poi fu colpita dal lato comico della faccenda e si mise a ridere.
«Abbi pietà di me, ero nervoso!» esclamò, un po' imbarazzato e un po' divertito.
Irene calmò le risate, ma con l'allegria ancora negli occhi lo guardò intensamente.
«Sì, scusa, amore.» gli disse prima di attirarlo a sé per baciarlo di nuovo.




Ore 23:45
- Dai, vai a dormire, adesso!
- Ok... ci vediamo domani?
- Certo... anche perché lavoriamo ancora nello stesso edificio.
- Simpaticone...
- Dai, scherzo, certo che ci vediamo, ti vengo a rapire al terzo piano per il pranzo se non riusciamo a incrociarci prima.
- Questa risposta mi piace di più. Buonanotte!
- Notte. Ti amo.
- Ti amo.




Il mio angolino:
Non posso crederci neanche io, ma preparatevi al finale.
A presto, per l'ultimo capitolo!
FatSalad
   
 
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