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Autore: Alicat_Barbix    25/03/2018    5 recensioni
DAL TESTO:
Lo sento frugarsi nelle tasche – odo nitidamente il tintinnio delle chiavi e poi il rumore sordo delle sue dita a contatto col cellulare – e mi chiedo cosa mai stia cercando. Ne estrae qualcosa che, alla pallida luce della luna, brilla appena, e me lo porge.
“Che cos’è?” chiedo con voce roca.
“La tua mancia.” risponde semplicemente afferrandomi la mano e depositandoci alcune monete fredde.
(Post-Reichenbach) Sherlock, John e una manciata di monetine che possono portare finalmente al coronamento di tutti i loro desideri dopo anni di incomprensioni e sofferenze.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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LA MANCIA
 
 
Baker Street è buia. Ogni centimetro dell’appartamento è mera oscurità. Quanto mi è mancata l’aria che respiro sedendo su questa poltrona di pelle che accarezzo, temendo possa svanire tutto d’un tratto. Quanto mi è mancata questa finestra a cui spesso mi sono affacciato col violino che ora stringo tra le braccia come un bambino. Quanto mi è mancata la voce pettegola di Mrs Hudson che stasera mi ha investito di domande ed è scoppiata in lacrime per la gioia. Mi è mancata la mia vita. Mi è mancato essere Sherlock Holmes. Ma allora perché, ora che è tornato tutto com’era prima, ora che sono di nuovo seduto nella mia amata poltrona, col mio amato violino, con la mia amata padrona di casa… mi sento incompleto?

I miei occhi cadono sulla poltrona rossa di fronte a me. Vuota. Tremendamente vuota. Ha mai ospitato qualcuno? Sì, un tempo. Tanto, tanto tempo fa… C’era una persona. C’era, perché adesso non c’è più. Non con me. Il naso mi fa ancora male, a tratti butta del sangue. Speravo che sarebbero bastati una testata e un paio di insulti perché tutto tornasse come prima. Ma niente è come prima. Perché adesso c’è lei. Lei che fa brillare i suoi occhi. Lei che mi ha promesso di parlare con John e di convincerlo a perdonarmi. Lei che ormai ha preso il mio posto, se mai ne ho avuto uno, accanto a lui.

Sospiro, mentre mi lascio sprofondare nello schienale della poltrona. Fuori ombre. Fuori silenzio. Fuori quiete. Ci vorrebbe un bell’omicidio. Omicidio che però affronterei da solo, omicidio che non verrebbe postato su quello stupido blog. Omicidio inutile.

I miei pensieri sono talmente fitti e palpabili che, quando le mie orecchie captano un leggero schiarimento della gola, sobbalzo e spalanco gli occhi. Nonostante il buio e il lieve velo di lacrime che mi abbraccia mellifluamente gli occhi stanchi, lo riconosco. Come potrei non riconoscerlo? Mi alzo in piedi, quasi balzo nel farlo. John è fermo sul rettangolo della porta del salotto e mi fissa. So che lo sta facendo, anche se non riesco a vederlo. Resta immobile ed io, come uno specchio o il suo riflesso su una limpida superficie d’acqua, resto immobile.

Quando avverto i suoi passi avvicinarsi a me m’irrigidisco e trattengo il fiato, come se il mio respiro da solo possa farlo volare via da me. Di nuovo. Lo sento frugarsi nelle tasche – odo nitidamente il tintinnio delle chiavi e poi il rumore sordo delle sue dita a contatto col cellulare – e mi chiedo cosa mai stia cercando. Ne estrae qualcosa che, alla pallida luce della luna, brilla appena, e me lo porge.

“Che cos’è?” chiedo con voce roca.

“La tua mancia.” risponde semplicemente afferrandomi la mano e depositandoci alcune monete fredde. La mia pelle, sotto il suo tocco, sembra bruciare. Mi trovo a deglutire freneticamente a vuoto, il mio intero corpo che vibra a contatto con quelle dita. Indietreggio istintivamente, ma la sua presa, dalla mia mano, scivola al polso e mi trattiene. Non provo a dimenarmi, non voglio farlo. E’ vero, la mia è solo un’effimera illusione, ma poco importa finché John è qui con me. Sono pronto a fare di tutto perché non mi lasci. “Sei sorprendentemente efficiente come cameriere. Dovresti prendere in considerazione di cambiare lavoro.”

Il suo tono è leggero, divertito quasi, ma non mi espongo ad assecondarlo. I miei sensi sembrano campanelli d’allarme che squillano furiosamente e mi impediscono di riflettere lucidamente.

“Perché sei venuto?”

Lui ridacchia e rafforza la sua presa sul mio polso. Avanza di un passo, portandosi ad una distanza tale che posso sentire il suo respiro caldo contro il mio volto. “Merda, Sherlock… Di tutti i momenti per rispuntare fuori, dovevi farlo proprio stasera?”

“Credimi, io… non avevo alcuna intenzione di disturbarti… di disturbarvi, volevo solo farti sapere che ero vivo…”

Lo sento sbuffare e vacillo di fronte a quell’evidente gesto d’irritazione: avevo ragione, ce l’ha ancora con me, forse mi odia, addirittura. John… Potrei sopportare tutto, anche la sua lontananza, ma non il suo odio. “Sai, Sherlock, io stasera volevo chiedere a Mary di sposarmi.”

“Lo so.”

“Ovviamente.” mormora lui di rimando. “Volevo chiederle di sposarmi perché ho passato due anni d’inferno mentre tu giocavi a nascondino Dio sa dove e Dio sa a fare che cosa. Due anni… solo come un cane, poi è arrivata lei e mi ha stravolto la vita.”

Vorrei implorarlo di tacere, di chiudere la bocca, perché fa male, incredibilmente male, sentirlo parlare così di un’altra persona, di qualcun altro di importante. Ho sempre vantato, in cuor mio, il fatto di aver salvato John dal baratro in cui era sprofondato, e ora so che non sono l’unico ad esserci riuscito. E ciò che è peggio è che in quest’ultimo baratro ce l’ho fatto sprofondare io.

“E’ l’unica donna che mi abbia mai fatto prendere in considerazione l’idea del matrimonio… è l’unica donna che sia stata capace di farmi tornare così in alto dopo essere sprofondato così in basso.”

“Non c’è bisogno che me lo dici. Sono felice per voi, non m’importa quanto perfetta sia.”

Quelle parole mi sfuggono di bocca e me ne pento immediatamente. Cerco di riordinare velocemente le idee e di elaborare un piano di fuga per il vicolo cieco in cui mi sono andato a ficcare. Di nuovo, indietreggio, e stavolta John non mi ferma, ma mi segue, azzerando la distanza tra di noi con un’ampia falcata, arrivandomi così vicino che i nostri nasi possono sfiorarsi. Il mio cuore batte furiosamente, così forte che temo che Baker Street intera possa sentirlo.

“Ecco dov’è il problema, Sherlock. Tu sei felice per noi, ma io non lo sono. Io non sono mai stato felice con lei. Lei ha reso tutto più sopportabile, ma sono passati due anni, cazzo. Due anni e sono ancora bloccato a quel maledetto giorno. Due anni e mi sento ancora in dovere di venire di fronte alla tua tomba e… e chiederti di smettere di essere morto. Due anni, capisci? Due anni che piango su un cadavere che non c’è mai stato, che cerco di rimettere insieme i cocci che la tua morte mi ha lasciato. Due anni e rispunti tu.”

C’è dolore nelle parole di John. Sono intrise di sofferenza e mi ritrovo a pensare alle lacrime che ho versato su quel tetto, alla sola idea di immaginarmelo solo e perso. Forse anche io sono bloccato a quel maledetto giorno.

“Perdonami, John. Perdonami per tutto il dolore che ti ho causato.”

“Sta’ zitto.” mi blocca lui, premendomi delicatamente le dita sulle labbra, accarezzandole e facendomi rabbrividire. “Sta’ zitto perché sono io quello che dovrebbe scusarsi.”

“E per che cosa?”

“Per non averti aspettato. Per averti voluto dimenticare. Per aver voluto smettere di…”

Attendo, ma dalle sue labbra ancora non fuoriesce alcun suono, così gli prendo con grazia le dita ancora premute lievemente sulla mia bocca, e comincio a giocherellarci. “Di fare cosa?”

“E’ difficile.” sospira con una mezza risata.

“Posso immaginare.” rispondo io. Aspetto ancora qualche secondo, cercando nell’oscurità i suoi occhi, il rossore che sicuramente gl’imporpora le gote, il suo nervoso mordicchiarsi il labbro inferiore, e quella visione mi scatena dentro un qualcosa di incontrastabile. Mi chino su di lui e cerco le sue labbra che dopo appena un istante mi vengono incontro e si uniscono alle mie. Sospira appena mentre lo bacio con delicatezza, gustando il suo sapore come un critico gastronomico farebbe con un piatto da valutare. Mi afferra i fianchi e mi preme contro di sé, mentre approfondisce il bacio e le nostre lingue finalmente si trovano; le monete che mi aveva posato in mano cadono a terra con un tintinnio felice e mi ritrovo a sorridere stupidamente. Mi lascio spingere contro la parete e gli circondo il collo con le braccia, affondando le dita nei suoi corti capelli, ancora pettinati con il tipico taglio militare.

Si stacca, il fiato corto, e mi guarda con un mezzo sorriso illuminato dal chiarore del firmamento notturno. “Stavo dicendo, prima che mi interrompessi…” ansima. “… che devo scusarmi per aver voluto smettere di amarti. Cosa a cui non riesco fottutamente a fare a meno.”

Rido mentre riprende a baciarmi, stavolta con più passione. Un profondo calore mi si espande per tutto il corpo, avvolgendomi col suo dolce torpore. Le nostre mani si allacciano mentre ci muoviamo impacciatamente verso il divano su cui cadiamo disastrosamente, ritrovandoci sul pavimento, a baciarci come degli adolescenti idioti. Mi percorre la mascella, il collo, l’incavo della spalla con le sue labbra calde e morbide, e io gli sfilo via la giacca che cade sul pavimento con un tonfo, a causa del cellulare. Mi sbottona velocemente la camicia, ridendo per il mio inutile tentativo di togliergli anche il maglione, e mi bacia il petto, poi il ventre, e infine risale, tornando a guastare le mie labbra.

“Ti sei tolto i baffi.” osservo ad un certo punto, mentre gli accarezzo ogni centimetro del viso. Lui mi sorride e scuote appena la testa, quasi in segno di rimprovero.

“Sei l’unico consulente investigativo al mondo e non ti rendi conto che il tuo dottore preferito si è rasato solo per te?”

“Hai fatto bene, sarebbe stato abbastanza spiacevole baciare un vecchietto.”

Le sue dita mi percorrono i fianchi e il collo, depositandomi dei pizzicotti stizziti che mi fanno sussultare e rotolare di lato, nel tentativo di schivarli. “Prova a ripeterlo se hai il coraggio.”

“Sembravi un vecchio.”

Mi zittisce con un bacio infuocato, mentre si porta sopra di me con una mezza risata e io lo lascio fare perché… perché ora non mi sento più incompleto. Mi era mancato questo appartamento, questa poltrona, questo violino, Mrs Hudson… Ma più di ogni altra cosa, mi era mancato John e dopo stanotte so per certo che per me diventerà la peggiore droga di sempre.

SPAZIO AUTRICE
Ecco qua una one-shot che vede il coronamento di una delle più belle storie d'amore di tutti i tempi... SE I MOFFITS SI DEGNASSERO DI RENDERLA CANON!!! *inspira* *espira* Okay, sono calma. Questa è la versione di come le cose sarebbero dovute andare (prima che quella maledetta si mettesse in mezzo a rovinare ogni cosa). Spero vivamente che la storia vi piaccia, recensite se l'avete apprezzata o se invece trovate che debba migliorare qualcosa. Buona serata a tutti e ricordate: #johnlockisthelife!
   
 
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