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Autore: vamp91    26/03/2018    0 recensioni
[Fantasy Inventata]
[Fantasy Inventata]...la creatura che aveva di fronte doveva per forza essere una Dea scesa sulla terra; perché non c’era nessun essere umano di tale bellezza in tutto il mondo, ne era certo.
Quegli occhi! Li conosceva. Non capiva come, dove o quando li avesse visti, ma li conosceva. Quegli occhi da fattucchiera, così strani ma allo stesso tempo così paurosamente familiari e ipnotici. Quegli stessi occhi che adesso lo fissavano con incredulità, quasi come se anche lei avesse provato le stesse identiche sensazioni...
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Clairy guardò ancora una volta fuori dalla finestra sospirando. Quelle sedute, sebbene non fisicamente, la affaticavano sempre. Ma forse avrebbero fatto quell’effetto a chiunque. Raccontare a un estraneo i propri pensieri più intimi la faceva sentire come se fosse completamente nuda. In effetti non capiva perché i suoi genitori la obbligassero con quella tortura. Ormai erano passati mesi da quando aveva iniziato a sottoporsi alla terapia con il dottor Channing; o meglio, Alex, così come lui l’aveva pregata di chiamarlo. Ma lei aveva sempre rifiutato qualsiasi tipo di rapporto al di fuori di quello professionale. Anche se, fin dal primo incontro, aveva intuito di non essergli indifferente. Come in quel momento; sebbene non potesse vederlo riusciva a percepire che la stava fissando con i suoi grandi occhioni da cerbiatto. Sapeva che non avrebbe mai provato ad avere un contatto diretto; perché sebbene avesse poco più che 24 anni, era comunque il suo psicologo e lei era ancora minorenne. Per di più lei era la figlia del sindaco della città e se solo lei fosse stata cattiva avrebbe anche potuto denunciarlo per molestie, rovinandolo per sempre. «Vorrei che non mi fissasse così dottore» sospirò continuando a fissare fuori. Dall’altro lato della stanza si udì un sussulto «Credevo che ormai ci fosse abituato» disse voltandosi nella sua direzione. Sapeva cosa avrebbe letto sul suo viso: sgomento, incredulità e forse anche un pizzico di paura. Avrebbe potuto evitare quel comportamento, ma in fondo era quello lo scopo delle sue sedute; capire perché fosse in grado di percepire cose che non avrebbe dovuto. Tuttavia si sentì in bisogno di rassicurarlo «mi scusi». «No, sono io a dovermi scusare. Siamo qui per capire e risolvere il problema» e sorrise impacciato «Parlami ancora dei sogni...» Clairy sospirò ancora una volta; chiuse gli occhi, come se farlo la aiutasse a concentrarsi e iniziò: «Non mi capita di sognare tutte le volte, o meglio... molto spesso non lo ricordo. Ma capita che in certi giorni i sogni siano molto vividi...». «Dimmi dell’ultimo» «Ah si... più che un sogno era un incubo. Ricordo il fumo che mi entrava nei polmoni, il puzzo nauseabondo della carne bruciata... ricordo le urla; non ho mai sentito nulla di così straziante. Ancora adesso ho i brividi al solo pensiero». E come a volerne dare prova il suo corpo fu scosso da un sussulto. «In realtà non ho visto nulla. Era tutto circondato dal fumo, non so nemmeno dove mi trovassi e non ho idea di chi fosse la donna che bruciava. In effetti non succede mai. Ho la consapevolezza di essere in quel posto; so che cosa sta succedendo, ma non ho mai visto un volto in nessuno dei miei sogni. Ho come la sensazione che quel particolare senso sia bloccato. Come se vedere fosse troppo rischioso...» Pensandoci bene non ci aveva mai fatto caso. Era strano che quel particolare le fosse sfuggito per così tanto tempo. «Perché credi sia così importante vedere? Cosa pensi succederebbe se ci riuscissi?» «Non lo so; ma ho come la sensazione che se lo facessi verrei a capo dell’intera storia». «Allora tutto quello che dobbiamo riuscire a fare é sbloccare la vista» e sorrise. «Più facile a dirsi che a farsi, ma ci proverò» ricambiò il sorriso. Dopotutto non era poi così male. Alzandosi lentamente iniziò a recuperare tutte le sue cose; la giacca, la tracolla, la sacca da ginnastica... «Il tempo è scaduto dottor Channing e io ho un impegno a cui assolutamente non posso far tardi». «Oh, certo si! So che ti stai occupando tu della preparazione del balletto per la festa delle mele che si terrà a breve» disse quasi balbettando. «Si, ho promesso a mio padre che quest’anno me ne sarei occupata io; le bambine ci tenevano e come lei saprà non posso tirarmi indietro dagli obblighi pubblici». «Mi hanno detto che sei la migliore, farai un buon lavoro». «Grazie» Si avviò verso la porta. «Ci vediamo settimana prossima Clairy» «Certo dottore, arrivederci». Alex Channing continuò a guardarla finché non scomparve dietro l’angolo del palazzo. E ancora una volta si diede dell’idiota. Si era invaghito di una sua paziente...grosso sbaglio; che per di più era minorenne...colossale sbaglio. Che come se non bastasse era figlia del primo cittadino. E qui si arrivava all’inverosimile. A sua discolpa poteva dire che quando l’aveva vista per la prima volta non aveva idea di chi fosse. Forse era lui che aveva bisogno di uno psicologo! Sdraiandosi sul lettino ripensò al periodo in cui si era trasferito... Si era appena laureato a Yale e aveva deciso di cambiare aria dopo la sua ultima rottura con Mary. Voleva una cittadina tranquilla che lo aiutasse a ritrovare se stesso. Salem sembrava fare proprio al caso suo. Difatti non aveva trovato nessun problema ad ambientarsi. La città era ben organizzata, pulita e in ottimo stato; le persone erano cordiali e sempre ben disposti a dare una mano. Aveva trovato un ufficio perfetto per uno psicologo alle prese con i suoi primi pazienti ed era anche poco distante dall’appartamentino che aveva preso in affitto; per cui faceva spesso il tragitto a piedi o in bici. Ed era stato proprio durante una delle sue tante passeggiate che i suoi occhi l’avevano scorta... Stava camminando verso il parco, immerso nei suoi pensieri, quando all’improvviso la sua attenzione era stata attirata dalle risa di qualcuno. E a quella vista si era bloccato; perché mai in tutta la sua vita i suoi occhi si erano posati su qualcosa di più bello. La ragazza in questione era alta, o almeno doveva esserlo perché superava le altre amiche di media statura; il corpo slanciato, le gambe nude, lunghissime erano fasciate soltanto da un paio di shorts quasi inesistenti che le calzavano come un guanto. Alex aveva quindi potuto notare la forma delle cosce, l’arco dei polpacci, fino alla curva delle caviglie. Con calcolata lentezza era arrivato al busto, anch’esso fasciato da un top alquanto striminzito. Il seno sodo era in evidenza, sebbene nulla in lei apparisse volgare. Infine si concesse di guardarla in viso. Era davvero assurdo. Tutta quella perfezione gli faceva quasi male alla vista. Un viso ovale, ben delineato seppur dai tratti delicati; labbra rosee e invitanti, cariche di sogni peccaminosi. Un naso sottile... ma nulla era paragonabile agli occhi! Anche a quella distanza gli era stato impossibile non notarli. Grandi occhi del blu elettrico più intenso, più brillante che avesse mai potuto vedere. Ne rimase così sbalordito tanto da pensare che occhi così non potevano essere umani... Poi il vento le aveva scompigliato la chioma mettendo in luce dei riflessi straordinari. Non erano di un semplice colore castano, no. Il sole mostrava tutte le loro bellissime gradazioni. Dal marrone più intenso, al castano ramato, al rossiccio, al giallo ocra. Erano i mille colori delle foglie d’autunno. Con piccoli gesti si era prontamente risistemata le ciocche di capelli mosse dal vento, e si era reso conto che anche i suoi movimenti erano aggraziati tanto quanto il suo aspetto. Ammaliato da quella creatura l’aveva guardata allontanarsi insieme al resto delle sue amiche e da quel momento ne era stato tormentato. Quegli occhi, quel viso... lo avevano perseguitato per settimane, insinuandosi perfino nei suoi sogni più intimi. La questione era alquanto allarmante, anche perché non era in grado di dare un nome alla ragazza che così prontamente lo tormentava. Di certo non avrebbe mai potuto immaginare che cosa sarebbe successo di lì a qualche giorno. Il sindaco in persona era andato da lui per dargli il benvenuto nella città. Tra una chiacchiera e l’altra aveva confessato di essere in pensiero per lo stato di salute della propria figlia. «La sento urlare spesso nel sonno» aveva detto il primo cittadino con aria afflitta. Così il dottor Channing si era prontamente offerto di aiutarla, fissandole un appuntamento e impegnandosi a darle una mano in tutti i modi che gli fossero stati possibili. La sua sorpresa non aveva avuto eguali quando aspettando la sua nuova paziente per la sua prima seduta aveva visto entrare nel suo studio la bellissima creatura incrociata per strada. Lei lo aveva salutato e la sua voce gli era parsa armoniosa e dolce come il miele. Ovviamente sapeva come si chiamava, Clairy Bennett. Aveva da poco compiuto 17 anni e frequentava il penultimo anno di liceo. La “Salem High School”. Era la studentessa migliore di tutta la scuola, eccelleva anche nelle associazioni e progetti di qualsiasi tipo si trattassero. Capo cheerleader e del comitato studentesco era anche un’ottima artista e musicista. Suonava il piano, la chitarra e il violino. Praticava diversi sport tra cui aerobica per l’appunto, nuoto e danza. Inoltre era una parte attiva all’interno della comunità, beh sarebbe stato strano non esserlo, essendo la figlia del sindaco... Ovviamente sapeva molte cose su quella ragazza, ma non le avrebbe mai associate al bellissimo angelo che lo tormentava nei suoi pensieri. Tuttavia anche lei aveva degli scheletri nell’armadio, cose a cui però non sapeva dare una spiegazione razionale e di cui lei stessa ne era all’oscuro. I sogni erano iniziati qualche tempo dopo il suo ultimo compleanno e anche tutto il resto. Le sensazioni, la percezione di cose illogiche... Si era imposto che doveva aiutarla. Ormai non era più una questione di lavoro, anzi forse non lo era mai stata; era una cosa personale! Quando Clairy tornò a casa quella sera si sentiva più stanca che mai. Le prove si erano protratte per più di un’ora e mezza, senza contare la miriade di genitori che la bloccavano per chiederle come procedessero i preparativi. Essere la figlia del primo cittadino era un lavoro estenuante, che le portava via la maggior parte delle energie. E poi doveva sempre apparire impeccabile, in ordine, ben vestita in qualsiasi occasione; sempre allegra o comunque di buon umore. «Tesoro» la chiamò sua madre «vieni giù Betty ha preparato un delizioso arrosto per stasera». «Arrivo» disse alzandosi dal letto e dirigendosi verso le scale. Poco più tardi l’intera famiglia era riunita in sala da pranzo in attesa che la cameriera servisse la cena. «Com’è andata oggi tesoro?» Sua madre la guardava con sguardo dolce e sincero. «Molto bene mamma. Il mio saggio di letteratura francese è stato il migliore. La prof. vorrebbe che scrivessi un pezzo sulla festa delle mele e su quello che rappresenta e farlo uscire sul giornale». «Mi sembra un’ottima idea cara». Rispose suo padre. «Per quanto riguarda la seduta?» «Oh, beh è andata bene. Io e il dottor Channing facciamo progressi». «Ci sono novità?» chiese curioso. «Non proprio, ma stiamo iniziando a capire qualcosa in più a ogni incontro». «Mmmh» mugugnò mentre tagliava l’enorme fetta di arrosto che Betty gli aveva appena servito. Sua madre chiese ancora delle prove con le bambine, mostrando la sua preoccupazione affinché il balletto fosse pronto in tempo. Dovette rassicurarla che sarebbe stato tutto perfetto. Sua madre ne parve compiaciuta e riprese a gustarsi la cena. Anche Clairy si concentrò sul cibo, assaporando ogni gustosissimo boccone che le si scioglieva in bocca come fosse burro. E le patate dolci avevano un profumo stupendo. Era felice di poter pensare per un po’ a cose frivole, come la bontà della cena, o di essere fortunata ad avere una domestica. Ma poi tutto si dissolse quando nella sua mente si insinuò un pensiero estraneo. O forse era più un ricordo. Si. LA MIA MAMMA CUCINAVA MEGLIO DI COSÌ! E come a volerne dare prova insieme alla voce, fu pervasa dal ricordo di un delizioso profumo di cibi vari, che le offuscò i sensi. Che cosa le era appena passato per la testa? La sua mamma? La mamma di chi? Chi altro c’era lì dentro con lei? Adesso non si trattava più solo dei sogni; no in quel momento era sveglia, e una voce estremamente familiare le aveva appena comunicato un pensiero all’interno della sua stessa testa. «Tesoro stai bene?» La voce di sua madre la riscosse da quei pensieri assurdi. «Si sto bene, sono solo molto stanca. Posso portare il dolce in camera? Così lo mangio mentre finisco i compiti». «Certo cara, te lo faccio portare su da Betty insieme a un bicchiere di latte caldo. Ti aiuterà a dormire». «Grazie. Allora buona notte mamma, notte papà» disse alzandosi da tavola. «Notte piccola» risposero in coro. Salì le scale svogliatamente come se in qualche modo potesse evitare di dormire. Perché doveva succedere proprio a lei? Aveva una vita perfetta e avrebbe voluto godersela al massimo. Purtroppo però non era così. FORSE LA TUA VITA È TROPPO PERFETTA Di nuovo quella dannata vocina. Però non poté fare a meno di pensare che forse aveva ragione... Niente è perfetto, e se lo é non dura. Stava di nuovo sognando, ne era consapevole. Tuttavia non poté fare altro che aspettare che tutto finisse. Questa volta la sensazione era di correre a perdifiato. Non vedeva ancora nulla, ma riusciva a percepire il bisogno disperato di scappare da chiunque stesse inseguendo la donna. Quando si svegliò era madida di sudore, i capelli le si erano incollati al viso accaldato. Si perché anche se non aveva mai visto il suo volto, ormai sapeva che i suoi sogni o incubi riguardavano sempre la stessa persona. Le situazioni cambiavano, erano diverse, ma lei no. Poteva bruciare, affogare, essere torturata o violentata, o correre come in quel preciso istante; ma la protagonista era sempre la medesima persona. Per cui era arrivata alla conclusione che tutto ciò che le trasmetteva in sogno le fosse accaduto veramente, ed era in quei momenti che si sentiva triste e afflitta per quella donna per cui, sebbene non la conoscesse, provasse dolore e dispiacere. Ma chi poteva essere? E soprattutto perché subiva tutte quelle malvagità? Beh forse la domanda più importante era perché aveva scelto proprio lei? Avrebbe dovuto scoprire l’identità della donna. In fondo lei aveva accesso agli archivi e se davvero aveva vissuto tutti quegli avvenimenti gli annali ne avrebbero dovuto dare una prova. Il giorno dopo Clairy non aspettava altro che la fine delle lezioni per poter iniziare la sua ricerca personale. «Ehi bellissima» La voce di Marcus la riscosse dai suoi pensieri. «Ciao» gli sorrise. «Come sta la mia ragazza?» le chiese avvolgendole la vita con un braccio e schioccandole un sonoro bacio sulle labbra. «Sto bene. Ma tu smettila di dare spettacolo». Rispose truce. «Tesoro ma dobbiamo farlo! Siamo la coppia più invidiata del liceo, dobbiamo pur vantarcene». In effetti aveva ragione. Non c’era ragazza o ragazzo che non li invidiasse. Erano entrambi belli, popolari, intelligenti, con borse di studio per college facoltosi, di buona famiglia ed insieme formavano la coppia perfetta. Guardando loro la gente spesso si chiedeva perché Dio avesse dato tutto a due singole persone, abbandonando gli altri. «Scappo agli allenamenti. Tutto ok per il falò al lago vero?» la baciò ancora prima di scappare verso il campo di football. Aveva proprio dimenticato il falò del week end. In effetti doveva ancora chiedere il permesso ai suoi genitori. Ma era certa che l’avrebbero accontentata; in fondo era una ragazza responsabile. Le prime ore passarono tranquille; aveva consegnato il saggio su Jane Austen e fatto il test di matematica. Tutto sotto controllo. Tuttavia si sentiva un po’ fuori di testa. Forse era tutta la faccenda dell’organizzazione della festa delle mele. Le ci sarebbe voluta proprio una vacanza... un po’ di tregua. Ma come al solito le era impossibile. Proprio durante il cambio della terza ora Amber Mattews la fermò per il corridoio. «Oh eccoti Clairy ti stavo cercando ovunque!» «Ciao, che succede?» «Beh oggi sono arrivati dei nuovi ragazzi e io devo portarli un po’ in giro per la scuola; solo che ho dimenticato di fare un programma perché ho dovuto studiare tutto il week-end per il test di fisica e adesso non so cosa fare!» Accidenti era proprio nel pallone. Come si sarebbe comportata se avesse dovuto affrontare tutto quello che stava passando lei?! Comunque non le fece notare il suo disappunto e cercò di darle una mano nel miglior modo possibile. «Beh sono tutti ragazzi?» «Due fratelli e una sorella» rispose. «Ok, come prima cosa puoi fargli visitare il campo di football; ci sono gli allenamenti e credo che a lei non dispiacerà iniziare a dare un’occhiata ai ragazzi» «Ottima idea» «Poi puoi fargli visitare la palestra, la piscina, il teatro e l’aula di musica» «Bene...si» «E infine...si direi che se è un tipo a cui piacciono i vestiti...e a qualsiasi ragazza piacciono... puoi farle visitare il laboratorio di moda» «Clairy sei grande! Mi hai salvato la vita grazie!» e la strinse in un abbraccio talmente forte da stritolarla, prima di correre via. Non avrebbe mai capito certe persone. Alcuni odiavano Amber. La definivano cattiva, egocentrica. Ma con lei non si era mai comportata così. Era sempre stata gentile e affettuosa; sempre disponibile. Chissà... Il resto della mattinata passò noioso fino all’ora di pranzo quando si diresse verso la mensa. In effetti non aveva voglia di sedersi insieme al resto del suo gruppo, sentiva il bisogno di starsene da sola all’aria aperta. Ma dovette rinunciarci quando Marcus la salutò da lontano con la mano. Aveva a stento notato le tre nuove figure sedute accanto a lui, forse perché le davano le spalle, ma poi quello in mezzo si girò fissandola dritta negli occhi e in quel momento successe qualcosa a cui non avrebbe saputo dare un nome per un bel po’ di tempo. I loro sguardi si incatenarono; blu e verde si fusero in totale armonia...
  
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