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Autore: karter    27/03/2018    1 recensioni
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Dal testo:
"Ciao Sora, so che sei andata via per allontanarti dal dolore, che hai voluto chiudere i ponti con il passato e che io sono l’ultima persona che vorresti mai sentire, siamo sempre stati simili, io e lui, eppure maledettamente diversi.
Ti chiedo scusa per questo, ma eri l’unica persona a cui potevo scrivere ed avere la certezza che non avrebbe mai aperto immediatamente la mia lettera. Gli altri sono diventati maledettamente apprensivi nei miei confronti, specie Yamato. Credo non sia mai riuscito a perdonarsi la sua scomparsa prima e la tua partenza poi."
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hikari Yagami/Kari Kamiya, Mimi Tachikawa, Sora Takenouchi | Coppie: Sora/Tai
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autore: karter
Titolo: Una letterra per ritrovarsi
Fandom scelto: Digimon Adventure
Personaggi principali: Sora Takenouchi, Mimi Tachikawa, Hikari Yagami
Rating: giallo
Avvertimenti: what if?, AU, OOC , Spoiler
Tema: Lettera di suicidio - Lettera usurata
Lunghezza: più del previsto eheh
 NdA: La storia è ambientata tre anni dopo Digimon Adventur Tri, ma non ne parla apertamente, riprende solo un'avvenimento (che non è ancora confermato nei film e spero non si verifichi mai) che è alla base di tutta la trama. Sora e Yamato non stanno insieme, anzi lei dopo tali avvenimenti comprende di non aver mai smesso di amare Taichi. La mia Hikari è estremente empatica. Ha passato tre anni difficili, molto più difficli rispetto a tutti gli altri e ha legato tantissimo con Yamato. Sono stati l'uno di sostegno all'altro, ma alle volte questo non basta per riuscire ad andare avanti.
Spero di aver detto tutto e che questo esperimento possa piacervi.




 

 

Una Lettera per Ritrovarsi

 

 

 


Il cielo era una distesa di nuvole nere. Erano giorni che sembrava volesse scoppiare una tempesta in piena regala, ma nulla. Solo quelle nuvole a oscurare le stelle.
Una ragazza dai lunghi capelli ramati se ne stava sul terrazzino del suo appartamento con occhi vacui a osservare quel cielo terso. Erano passati già tre anni dall'ultima battaglia, ma a Sora non sembrava possibile di non sentire la sua risata o vedere i suoi occhi scintillanti da tutto quel tempo.
Era scappata come una codarda, abbandonando tutti, come se l’amicizia che li legava da anni non contasse nulla in confronto a lui e forse era proprio così.
Si era illusa di essere riuscita ad andare avanti, di provare sentimenti veri per Yamato, eppure, nel momento in cui si era resa conto che non avrebbe più visto la luce brillare in quegli occhi color del cioccolato, si era sentita morire. Restare sarebbe stato impossibile.
Aveva stretto forte tra le braccia la piccola Hikari, l’unica che avrebbe mai potuto comprendere quanto quel vuoto facesse male, ed era scappata lasciando agli altri nient’altro che una mail frettolosa, come se non valessero nulla, ma sapeva avrebbero capito. Non accettato, quello probabilmente non sarebbero mai riusciti a farlo, ma capito, perché senza Taichi non sarebbero stati più gli stessi, lo sapevano.

Una lacrima le rigò la gota pallida mentre con mani tremanti apriva un cofanetto in legno scuro sul quale spiccava il simbolo della sua digipietra, l’amore, quell’amore che a distanza di tre anni ancora le straziava il cuore. C’erano centinaia di fogli, tutti pieni di scritte, tutti che riguardavano loro. Ne prese uno con mano tremante, un bigliettino tutto accartocciato.


Ti voglio bene, Sora-chan


Era una frase semplicissima, scritta da un bambino di sei anni, che aveva appena imparato a scrivere, alla sua migliore amica.
Sorrise ripensando all’espressione impacciata che aveva nel momento in cui le aveva posato quel pezzo di carta tra le mani che l’aveva fatta sorridere come un’idiota per giorni.
All’epoca le bastava poco per essere felice.
Con mani tremanti lo posò, accarezzando tutti gli altri prima di prendere il foglio più grande presente all’interno della scatola. Era una lettera, l’unica che lui le avesse mai scritto.
Era il suo tredicesimo compleanno e dopo il disastro degli anni precedenti, oltre a farsi aiutare da Hikari a comprarle un regalo, le scrisse di suo pugno quella lettera. Uno sforzo enorme per uno come lui e Sora l’aveva capito, tanto da custodirla gelosamente e rileggerla ogni qual volta la sua assenza si faceva insopportabile.
Se la strinse al cuore mentre con gli occhi della mente ripercorreva quelle parole che aveva letto talmente tante volte da conoscere a memoria la posizione di ogni singola sbavatura.

-Mi manchi così tanto… - sussurrò al cielo stringendo più forte a sé quel misero foglio di carta.

Prima o poi l’avrebbe strappato a furia di tenerla tra le mani, ma era più forte di lei. Sorrise inconsciamente a quel pensiero, faceva quello che al suo Taichi non poteva più fare ad un foglio di carta che le ricordava che lui era esistito ed era stato parte della sua vita, la parte bella.
Senza lasciare quella lettera ormai ingiallita dal tempo continuò la sua ispezione nella scatola alla ricerca di una lettera più recente. Era arrivata qualche settimana prima e da allora il suo telefono non aveva mai smesso di squillare.
Se Hikari le aveva mandato una lettera, gli altri l’avevano riempita di chiamate, mail e messaggi, che prontamente aveva ignorato. Non era pronta ad affrontarli. Eppure qualcosa le diceva che, se da quella erano partiti tutti quei tentativi di contattarla, doveva essere importante.
Posò delicatamente il suo piccolo tesoro al suo posto per concentrarsi su quel pezzo di carta che la piccola Yagami le aveva mandato. Sì sfilò il fermaglio che le legava i capelli, glielo aveva regalato lui, un’ennesima cimelio di quell’amicizia che non aveva fatto in tempo a trasformarsi in amore, e lo usò per aprire la busta. Aveva un po’ di timore nel leggerne il contenuto.
Dal momento in cui era scappata aveva chiuso i ponti con tutta la sua vita precedente, eppure quella sera le pareva la cosa giusta da fare.
Prese un respiro profondo prima di trovare il coraggio di estrarre il foglio dalla busta. Era carta ruvida e spessa al tatto. Doveva essere il foglio di un album da disegno, ruvido ovviamente. Sì beò di quella strana consistenza prima di spiegarla e fissare il suo sguardo su quelle parole, nere, che sembravano strappare la carta per venire fuori. Aveva un pessimo presentimento.


Ciao Sora, so che sei andata via per allontanarti dal dolore, che hai voluto chiudere i ponti con il passato e che io sono l’ultima persona che vorresti mai sentire, siamo sempre stati simili, io e lui, eppure maledettamente diversi.
Ti chiedo scusa per questo, ma eri l’unica persona a cui potevo scrivere ed avere la certezza che non avrebbe mai aperto immediatamente la mia lettera. Gli altri sono diventati maledettamente apprensivi nei miei confronti, specie Yamato. Credo non sia mai riuscito a perdonarsi la sua scomparsa prima e la tua partenza poi.


Una lacrima le rigò il volto pallido. Sapeva di aver fatto maledettamente male ai suoi amici con il suo comportamento, ma non credeva di essere riuscita a scalfire anche la corazza di ghiaccio che Yamato si era costruito attorno e che solo loro due riuscivano a smussare.


Scusami, non volevo farti sentire in colpa, è che ultimamente quando inizio a parlare mi perdo in collegamenti assurdi e finisco sempre con il divagare, Takeru non fa altro che rimproverarmi il mio tergiversare sulle cose e forse ha ragione, del resto l’ho fatto anche ora, comunque mi riprendo.


Sorrise Sora a quel discorso contorto.
Hikari era sempre stata di una tenerezza disarmante.


Dicevo, scrivo a te perché so che non aprirai immediatamente questa lettera, che la lascerai in un angolo finché non avrai la forza necessaria per riaprire quel capitolo della tua vita di cui anch’io ho fatto parte.
Sai Sora, in questi anni ci sei mancata tantissimo, ma ci consolava il pensiero che agendo in quel modo tu saresti stata bene. No, bene non è il temine adatto, meglio, forse. Per questo abbiamo accettato la tua scelta, perché ti abbiamo sempre voluto bene e il nostro unico desiderio era vederti felice, anche se lontana da noi
.


Sì asciugò il volto Sora, quel discorso la stava facendo piangere come mai prima e non sapeva perché, ma sentiva che la parte peggiore doveva ancora arrivare.


Ti prego, Sora, almeno tu ricordati questo: anche se dolorose, abbiamo sempre accettato le scelte che ognuno di noi compiva per stare bene.
Ho bisogno che almeno tu capisca, perché so che gli altri non lo faranno.


Una stretta allo stomaco le tolse il fiato per un paio di secondi. Aveva paura.
Perché Hikari le stava dicendo una cosa del genere?


Sono così stanca, Sora.
Non dico che per voi sia facile, ma prova ad immedesimarti in me solo per un attimo.
Lui è ovunque.
Apro gli occhi al mattino e il mio primo pensiero è “che strano, sei già in piedi?” prima che la realtà mi travolga e mi ricordi perché mi sono addormentata nel suo letto con il guanciale bagnato. Girare per casa poi è atroce, ovunque posi il mio sguardo lui è lì. Lo vedo undicenne sdraiato sul divano a guardare la tv, tredicenne che corre fuori con il pallone sottobraccio e il suo solito sorriso. Me lo ricordo quando a sette anni, seduto al tavolo della cucina, tentava di insegnarmi a scrivere il mio nome. E tanti altri momenti che non ho la forza di scrivere, ma penso tu possa capirmi. A volte, i ricordi sanno essere fin troppo dolorosi.
Mi hanno mandata anche da una psicologa per un po’, ma è stato inutile. Non puoi sradicare tredici anni di ricordi o almeno io non ho permesso che accadesse.
È bastato indossare una maschera ogni giorno. Fuori dalla nostra stanza ero la solita Hikari, dolce, premurosa, sorridente. Dentro sfogavo tutto il mio dolore.
Sono stata brava, sai Sora? Tutti hanno pensato che fossi riuscita a superare il dolore, a trovare il modo di conviverci. Solo Yamato non si è mai fatto ingannare, ha imparato a leggermi dentro come solo lui sapeva fare.
E questo è un altro dei motivi per cui scrivo a te. So per certo che se scrivessi a uno degli altri lui troverebbe il modo di farmi cambiare idea e io non voglio. Sono così stanca!


Strinse più forte le dita attorno a quella lettera mentre dentro di sé sentiva nascere un presagio funesto. Non poteva averlo fatto davvero. Non lei.


Credo che ormai tu abbia capito.
Sora, quando avrai trovato la forza per aprire questa lettera sarà troppo tardi, il mio cuore avrà smesso di battere e un sorriso sarà impresso sul mio volto perché finalmente sarò di nuovo con lui e non potrei desiderare altro.
Ti prego, dì ai miei genitori di non piangere per me, sono stati il meglio che potessi desiderare, non è colpa loro, è che semplicemente non riuscivo più a fingere che andasse tutto bene.
Dì a Mimi di non perdere mai il suo sorriso e la sua grinta, potrebbe smuovere anche le montagne se lo volesse.
Aiuta Jo a credere un po’ più in se stesso. È sempre stato geniale, ha solo bisogno di qualcuno che creda in lui.
Stai accanto a Koshiro, sei sempre stata un po’ la nostra mamma e si sa, in queste occasioni piangere insieme aiuta e ne avete bisogno entrambi, vi conosco.

Non far perdere la speranza a Takeru, perché senza la sua speranza sarebbe solo un corpo vuoto e il mio migliore amico è una persona troppo speciale per lasciarsi trasportare dal dolore.
Aiuta Yamato a restare in piedi. Lo conosci meglio di me, anche se si mostra duro e freddo, ha un cuore fin troppo grande che avrà bisogno di aiuto per rimettere insieme i pezzi. Digli che mi dispiace e che il mio ultimo pensiero è stato dedicato a lui, ma aiutalo ad andare avanti. Esiste di meglio nella vita di una ragazzina ossessionata dalla morte del fratello.


Sora sbarrò gli occhi a quelle righe. Non avrebbe mai immaginato che il dolore li avesse unitia quel modo.

-Stupida!- sussurrò senza riuscire a trattenere le lacrime.


E infine a te, Sora, torna a casa. So che fa male, ma tu sei forte, lo sei sempre stata e sono certa che assieme agli altri riuscirai a voltare pagina, ci riuscirete tutti. E non odiarti per non aver aperto prima questa lettera. È stata una mia scelta.
Ti voglio bene, Sora-chan!
Addio
.


Un singhiozzo abbandonò le sue labbra mentre strinse più forte quel foglio tra le mani.
Era incredula, non riusciva a credere a ciò che aveva letto, non poteva essere vero.


Eri l’unica persona a cui potevo scrivere ed avere la certezza che non avrebbe mai aperto immediatamente la mia lettera


Sono così stanca


Lui è ovunque


Non odiarti per non aver aperto prima questa lettera.


È stata una mia scelta

 

Senza rendersene conto si ritrovò in ginocchio mentre calde lacrime le rigavano il volto roseo.
Sì sentiva una sciocca, se solo avesse aperto prima quella lettera, se solo avesse risposto ai loro messaggi, se solo non fosse scappata…
Troppi se nella sua testa!
Sarebbe rimasta volentieri lì, ferma e immobile, ma il suono del campanello la riscosse. Non aveva la forza di andare ad aprire, ma semnrbva non interessare al suo visitatore che, oltre suonare, aveva iniziato a battere colpi sulla porta.
Sperò che fosse urgente, non aveva la forza di combattere con il suo padrone di casa che le chiedeva per  l’ennesima volta l’affitto in anticipo.
Con mani tremanti si asciugò il volto e tentò di rendersi presentabile per quanto possibile prima di andare ad aprire.

-Alla buon ora, Sora-chan!- disse una ragazza dai lunghi capelli rosati mettendo le mani sui fianchi e guardandola con espressione accusatori -Volevi lasciarci sul pianerottolo?-

La ramata osservò Mimi incredula.
Che ci faceva lì? Come aveva avuto l’indirizzo? L’unica a saperlo era…

-Non dovresti aggredire a questo modo le persone, Mimi-chan!- disse una ragazza dall’espressione stanca ma con due occhi color del cioccolato talmente intensi da far male.

Sora la guardò, non riuscendo a credere ai suoi occhi.
Hikari era viva!
Com’era possibile?

-Ci fai entrare?- le chiese con un sorriso comprendendo l’incredulità nel suo sguardo, aveva letto la lettera!

La padrona di casa si scansò dall’ingresso facendo entrare le due amiche che avevano un atteggiamento completamente diverso. Se Mimì si guardava intorno con espressione curiosa studiando ogni singolo dettaglio, Hikari aveva gli occhi incollati ad una scatola che conosceva bene. L’avevano scelta lei e Takeru per il compleanno dell’amica dopo la loro prima avventura a Digiworld.

-Sai Sora, potresti anche rispondere al telefono ogni tanto!- la rimproverò la Tachikawa fermandosi nel bel mezzo del salotto con espressione triste e le mani strette a pugno lungo i fianchi -Abbiamo provato ad avvisarti in ogni modo, ma tu ci hai sempre ignorati- continuò facendo stringere la morsa intorno al cuore della maggiore -Sai, se non fosse stato per la lettere che ti ha inviato Hikari non saremmo mai venute, ti avremmo lasciata stare, ma dovevamo informarti degli eventi e dato che non ci rispondi eccoci qui!- aggiunse voltandosi a guardare l’amica con espressione triste.

Quella non era la sua Mimi.

-Mi dispiace- si limitò a rispondere la digiprescelta dell’amore chinando il capo.

Non voleva andasse così.
Hikari le guardò con sguardo nostalgico, ripensando ai tempi in cui erano un gruppo felice e tutto andava bene.

-Forse è il caso che ci sediamo!- iniziò facendo le veci della padrona di casa -Abbiamo troppe cose di cui parlare per farlo così, vi va un the?- chiese osservandosi intorno con gli occhi, prima di venir fermata da Mimi.

-Non ci provare!- la ammonì -Saresti dovuta essere a letto in questo momento, non qui, quindi stai buona- aggiunse fulminando la più piccola del gruppo che sorrise mestamente prima di accomodarsi sotto lo sguardo vigile delle due.

-Sono viva!- iniziò Hikari per spezzare quel silenzio surreale che si era creato -Credevo di avercela fatta, invece, sono ancora qui!-aggiunse facendo uno sforzo immane nel pronunciare quelle parole che zittitirono immediatamente le due.

Hikari non aveva mai parlato di quel giorno, ma sapeva di doverlo fare in quel frangente.

-Mi sentivo così bene, leggera, ero felice, specie nel momento in cui mi sono trovata davanti Taichi, che mi guardasse con disapprovazione non mi toccava minimamente. Era davanti a me, dopo tre anni riuscivo a vederlo di nuovo- disse trattenendo a stento le lacrime, era doloroso ricordare ciò, ma essenziale.
-Mi sono fiondata tra le sue braccia e sentirmi stringere è stata la cosa più bella del mondo. È stato solo grazie a lui se sono ancora qui, mi ha tenuta in vita finché non ho sentito Yamato chiamarmi a gran voce- aggiunse asciugando si una lacrima ribelle -Li ho odiati in quel momento, Taichi perché mi diceva di tornare indietro e Yamato per aver distrutto quel mio piccolo paradiso- ammise in un sussurro asciugando quella lacrima e facendo notare a Sora le bende che le avvolgevano le braccia.

-Me la ricordo come se fosse ieri quella notte- prese parola Mimi posando una mano sulla gamba dell’amica e regalandole uno dei suoi sorrisi più sinceri.
-Avevo un brutto presentimento quindi ero a letto a guardare una sitcom americana e mangiare schifezze quando mi squillò il telefono. Era Takeru ed era terrorizzato. Ricordo di essermi spaventata solo a sentir il suo tono di voce- aggiunse con lo sguardo vuoto, perso in quei momenti talmente dolorosi da farle incrinare il respiro.
-Mi vestì di corsa e mi diresse in ospedale. Non riuscivo a credere a ciò che mi stava dicendo. Avevamo già perso Taichi, tu eri sparita- continuò rivolta alla ramata -Non potevamo perdere anche la nostra luce- ammise strappando un sorriso alle due.
-È stato durante quella corsa forsennata che ho provato a chiamarti la prima volta, per poi scoprire che ancor prima di chiamare Takeru, Yamato aveva provato a rintracciare te, inutilmente- aggiunse e questa volta si poté percepire un chiaro risentimento nelle sue parole.

Poteva capire il dolore, ma gli amici non si abbandonano nel momento del bisogno, perché se uno ti chiamo alle quattro del mattino, dev’essere per forza successo qualcosa.

-Sono rimasti a vegliare su di me a lungo- riprese parola Yagami -E nel momento in cui ho riaperto gli occhi-

-Una settimana dopo- precisò Mimi fulminandola con lo sguardo.

-Erano tutti al mio fianco- continuò ignorando la frecciatina
-Jo e Koshiro condividevano il tavolino e si preparavano per gli esami, Takeru se ne stava seduto sulla finestra con un libro tra le mani e Mimi addormentata sulla spalla-

-Vorrei ben vedere, ti sei svegliata alle sei del mattino!- l’accusò indignata la diretta interessata.

-E Yamato era seduto sulla sedia accanto al mio letto-

-Che ti stringeva la mano e ha vegliato giorno e notte su di te, lo vuoi omettere?- le chiese con espressione malandrina la ragazza dai capelli rosati facendo avvampare la diretta interessata e sorridere Sora.

Forse si era davvero persa troppe cose in quegli anni.

-Mi dispiace non esserci stata!- confessò non riuscendo a sostenere lo sguardo delle due.

Probabilmente non si sarebbe mai perdonata quell’assenza e non avrebbe mai smesso di ringraziare Yamato per averla salvata.

-Non siamo venute qui per delle scuse- riprese Mimi con sguardo severo -Dovevamo farti sapere che Hikari era viva e ha promesso di non riprovarci- aggiunse lanciando un'occhiata assassina alla diretta interessata, prima di alzarsi dalla sedia sulla quale si era seduta, imitata dalla minore -Non abbiamo più motivo per restare- concluse facendole un debole cenno col capo prima di avviarsi verso la porta.

Aveva capito le ragioni che l'avevano spinta a sparire, ma non era sicura di poterla perdonare.

-Ciao, Sora-chan!- la salutò Hikari con un sorriso prima di seguire i passi della digiprescelta della sincerità.

Sora le osservò avvicinarsi alla porta e si sentì morire ancora una volta.
Era quella la sensazione che avevano provato vedendola andar via senza dire nulla? Era così che si erano sentiti loro in quei tre anni di silenzio?
Stupida! Aveva sbagliato tutto!

-Mi dispiace per essermene andata senza dire una parola- iniziò bloccando le due sulla soglia del suo appartamento -Credevo fosse l’unica cosa da fare dopo averlo perso. Mi sentivo maledettamente sola senza di lui, anche se non lo sono mai stata. Avevo paura che restando mi sarei abituata a quel vuoto e non potevo permetterlo, non volevo- aggiunse mentre calde lacrime le incrinavano lo sguardo color del miele.
-Desideravo solo poterlo ricordare e allo stesso tempo non vederlo ovunque, ma ho sbagliato ad andare via- ammise facendo nascere un debole sorriso sul volto delle due che si scambiarono un’occhiata complice.

Avevano mentito, non erano andate lì solo per raccontarle del salvataggio di Hikari, erano andate da lei con l’intenzione di riportarla a casa, ma volevano capisse e forse stava iniziando a farlo.

-Sei una sciocca!- le disse Mimi lanciandosi tra le sue braccia e cogliendo impreparata tanto da farla cadere a terra.

Hikari rise a quella scena. Erano tenerissime assieme e vederle ridere insieme ancora una volta le scaldava il cuore.

-Stai ferma lì- l’ammonì la ragazza dai capelli rosati nel momento in cui vide la piccola Yagami avanzare verso di loro intenzionata ad aiutarle -Ti saltano i punti e non mi pare il caso- aggiunse strappando un sorriso imbarazzato alla diretta interessata e facendo incrinare lo sguardo nella maggiore.

Hikari era la persona più importante nella sua vita e aveva lasciato che si facesse del male senza fare nulla.

“La proteggerò Taichi” si promise osservandola con un sorriso.

Non le avrebbe più permesso di autodistruggersi.

-Vorrei ricordarti che il mio armadio dipende dalla tua incolumità- le ricordò in tono melodrammatico -Quindi ho intenzioni di riportarti a Yamato senza nemmeno un capello fuori posto!- aggiunse facendo imbarazzare la diretta interessata.

Non si sarebbe mai abituata a quell'istinto protettivo che tutti avevano nei suoi confronti e nascondevano dietro le minacce di Yamato. Li aveva fatti preoccupare veramente tanto con il suo gesto e si sentiva maledettamente in colpa.

Sora sorrise teneramente a quelle parole, forse Hikari non avrebbe avuto bisogno della sua protezione, aveva ben due angeli custodi. E se uno camminava ogni giorno al suo fianco tenedola per mano, l'altro vegliava dall'alto su di lei.

“L’hai lasciata in buone mani” pensò tra sé prima di alzarsi e stringere entrambe le amiche in un abbraccio.

Forse, insieme, sarebbero riuscite ad andare avanti e asuperare quei traumi che le tenevano ancorate ad un passato pieno di ricordi bellissimi, ma che purtroppo non sarebbe più potuto tornare.










 

  
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