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Autore: CassandraBlackZone    28/03/2018    3 recensioni
Raccolto tutto il suo coraggio, Maria uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò al grosso cilindro di vetro. All’interno di quest’ultimo, il corpo del riccio antropomorfo nero e rosso galleggiava nel liquido verde fluorescente con gli occhi chiusi e un’espressione serena sul volto. Improvvisamente, non le fece più così paura. Provava più pena, vedendo tutte quelle ventose e fili attaccati su diverse parti del corpo.
«Ti ricordi come si chiama?»
Maria si voltò verso il nonno. «Shadow, giusto?» riportò l’attenzione sulla Forma di vita Definitiva. «Shadow… the Hedgehog.»
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gerald Robotnik, Maria Robotnik, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rosso. Le pareti celesti attorno a Shadow erano state inghiottite da un rosso così accesso da accecarlo anche se chiudeva gli occhi. Rosso che lui stesso emanava e che non riusciva e non poteva fermare. Ogni suo sforzo era stato del tutto inutile, poiché ogni volta che provava a divincolarsi le sue forze venivano meno, rendendolo del tutto inerme e vulnerabile. Il dolore che provava ad ogni respiro era indescrivibile, ogni crampo era come se i muscoli venissero tirati simultaneamente e fossero in procinto di spaccarsi del tutto.
«Quanto sei patetico, Shadow. Cerchi ancora di resistere? Pur sapendo che ora non puoi più fermarti.»
Come se quell'agonia non fosse abbastanza, a completare la tortura era ritornato il buon vecchio ospite del povero riccio nero: sempre incorporeo, sempre una voce martellante nella sua testa.
«Non combatterlo. Accettalo. Fai in modo che questo tuo potenziale si liberi» continuò profonda la voce.
«P-potenziale? Questo... non è... il mio potenziale» rispose Shadow cercando di ignorare il più possibile il dolore. «Che cosa... mi hai fatto?»
Il sogghigno maligno dell'essere riecheggiava nella testa di Shadow, irritando quest'ultimo voglioso di ribellarsi. «Certo che lo è. Dentro di te nascondi un potere straordinario che da tempo hanno cercato di limitare. Guardati. Sei splendido. Per cui forza, Shadow. Non esitare.»
Prendendolo come un ordine, il corpo di Shadow reagì facendo fuoriuscire più velocemente l'energia caotica, triplicando il dolore. «Basta! Smettila! Io... io non voglio!» supplicò.
«Non dirmi che sei preoccupato per i patetici esseri umani che ci sono qui, vero?» la voce rise di nuovo, più beffarda che mai, mentre Shadow digrignava i denti furioso. «Cos'hanno fatto per te, dimmelo? Per loro tu sei solo un insulso esperimento, anzi, un esperimento fallito. Tu sai come ti vedono. Loro hanno paura e non vedono l'ora di liberarsi di te, perciò che senso ha preoccuparsi per loro?»
Shadow cercò di non ascoltarlo, ma senza riuscirci. La sua voce si insidiava nelle profondità della sua mente, offuscando ogni suo vano tentativo di non farlo entrare, ma la forza di volontà di cui disponeva si era come dissipata del tutto.
D'altronde come poteva dargli torto. Cos'era stato fino a quel momento per l'ARK? Che senso aveva restare in un posto dove chiunque lo incrociasse lo fissava con odio e il terrore negli occhi? Quelle e molte altre domande stavano tormentando il povero riccio bicolore ormai incapace di riconoscere quali fossero i suoi pensieri e quali no. Aveva perso la sua psiche, era sul punto di non avere più certezze a cui affidarsi, a cui chiedere ancora una volta aiuto.
«La loro esistenza non ha alcuna importanza. Compresa quella della tua patetica amichetta» la creatura era pronta a ridere di nuovo, ma si fermò appena avvertì una sottile rottura del suo collegamento con l'intelligenza artificiale.
Shadow era come rinsavito di colpo. Se fino a quel momento nulla era riuscito a farlo smuovere, quell'insulto alla sua unica ragione di vita gli aveva dato la forza necessaria per alzare prima la testa poi il busto tra lamenti e lacrime,ma il riccio ebano non demorse, continuava a pensare alla sua dolce Maria, al suo volto delicato, al suo sorriso e ai suoi occhi color del cielo.
« Sei davvero ostinato. Cerchi ancora di opporti?» disse l'altro grave, ma comunque sorpreso da quel gesto estremo.
«M-Maria» lo ignorò la Forma di Vita Definitiva.
«È tutto fiato sprecato, Shadow. Arrenditi. Tutta questa energia caotica ucciderà chiunque provi ad entrare qui dentro. Non verrà nessuno.»
Shadow si ritrovò improvvisamente schiacciato a terra, come se qualcosa lo avesse colpito violentemente sul petto, provocandogli una rottura di almeno due o tre costole, ma quel dolore e il sangue sputato dalla bocca non erano niente paragonato al suo ennesimo fallimento.
«Bene così. Ti stai finalmente arrendendo. Lo sento» gongolò felice l'essere informe. «Allora basta esitazioni! Lascia tutta l'energia che c'è in te e distruggi quest'insulsa colonia con i suoi abitanti!»
Shadow non si oppose, non ci riusciva e non ci voleva provare più. Chiusi gli occhi rilassò i muscoli, lasciando che il resto dell'energia caotica uscisse dal suo corpo. Ormai ne era certo. Era tutto finito. «Addio, Maria. Perdonami.»

«Shadow! Sto arrivando!»

Quella sottile rottura che la creatura aveva percepito era improvvisamente diventata una rottura a tutti gli effetti, cosa che la preoccupò non poco, poiché assieme ad essa l'aura di Shadow stava sovrastando la sua. «Che cosa sta succedendo? Chi osa ostacolarmi!»
Mentre la temuta creatura era impegnata ad imprecare, Shadow ne approfittò per attaccarsi a quella voce. Voleva essere sicuro che non stesse sognando e che quel suono melodioso era davvero la voce di Maria e non un'altra illusione.

«Shadow! Ti ho trovato! Shadow!»

La mente di Shadow rievocò ogni singolo momento passato assieme alla sua migliore amica, sua sorella maggiore: il loro primo incontro, la loro prima cioccolata insieme, le ore passate in biblioteca, le loro fughe notturne e le loro risate.
«Smettila, Shadow! Ti ordino di non farlo!» tentò la voce, ma fu tutto fiato sprecato, poiché Sadow non si sentì più il corpo pesante e finalmente poté muoversi. Cominciò prima con gambe e braccia e quando fu certo che il dolore fosse sopportabile provò a rialzarsi di nuovo.
«Tu non oserai!» ruggì la voce aggressiva, ma invano. L'Ultimate Lifeform era riuscita ad inginocchiarsi.
Ora più che mai Shadow riusciva ad avvertire la presenza della ragazzina che la stava aspettando fuori dalla palestra, ma poteva anche percepire la sua carne attraverso l'energia caotica pronta a bruciarla; il riccio strinse con forza i pugni, riportando dentro di sé quel calore fatale appena in tempo.
«Non è possibile. Non dovresti esserne in grado!»
«Ora... non puoi più controllarmi, bastardo!» disse a denti stretti Shadow. «Io non ti permetterò di usarmi per questo scopo, hai capito? Non lo permetterò!» concentrate tutte le forze che gli rimanevano, Shadow si concentrò per riassorbire tutta l'energia caotica e dopo qualche minuto quella densa nebbia cremisi stava ritornando dorato, poi una foschia leggera, fino a dileguarsi del tutto. La vista delle pareti celesti era un vero sollievo e il segno che era riuscito nel suo intento.
«Che tu sia maledetto, Shadow. Non hai idea di quello che hai fatto. Hai firmato la tua condanna.»
«Non mi importa» Shadow alzò lo sguardo e fissò furente davanti a sé, come se lui fosse lì presente. «Tu non mi avrai mai, Black Doom
La voce non rispose più, forse perché sorpresa che lui ora sapesse il suo nome o forse perché aveva capito che Shadow era diventato abbastanza forte da poter leggere nella sua mente. Qualunque fosse la motivazione, l'ormai non più anonimato Black Doom se ne era andato dalla mente del riccio ebano.
«Sono... libero?» domandò Shadow rivolgendo gli occhi al soffitto. Le luci erano di un bel bianco brillante che fecero sorridere l'intelligenza artificiale. Si sentiva inaspettatamente leggero, non solo col corpo ma anche con la mente. Poteva pensare con tranquillità.
«Shadow! Ragazzo mio!»
Il nero spostò lentamente la sua attenzione verso quella voce così familiare ma al tempo stesso così estranea. «Pro...fessore?» chiese poi incerto.
«Oh Shadow. Come ti senti? Stai bene?» era davvero il professor Robotnik, con il suo consueto camice bianco, ma un po' bruciatura probabilmente a causa dell'energia caotica prima che Shadow riuscisse a riassorbirla del tutto. L'uomo era visibilmente stanco, ma sollevato di vedere che lui, un essere così pericoloso, stesse bene.
«Non... non è arrabbiato?» chiese Shadow con gli occhi velati di lacrime. Il senso di colpa lo stava dilaniando, causandogli quasi più dolore dell'energia caotica. «Io... ho quasi... quasi...»
Gerald lo zittì con dolcezza avvicinandolo al suo petto. Il riccio si lasciò trasportare da quel tepore e dal battito del cuore di suo padre.«Shadow non è stata colpa tua, dico davvero. Sei stato bravissimo invece. Hai ripreso il controllo da solo e con le tue forze.»
Shadow si rilassò ancora di più appena Gerald iniziò ad accarezzargli la testa, continuando a dirgli andrà tutto bene. Sbottato un sorriso, la creatura artificiale chiuse lentamente gli occhi, ormai sicuro che poteva finalmente dormire.

Una forte luce bianca disturbò il sonno della piccola Maria, che controvoglia aprì lentamente gli occhi. Questi ultimi ci misero un po' a riconoscere il lampadario dell'infermeria. La ragazzina si portò la mano sinistra davanti al viso e sobbalzò alla vista dell'ago della flebo attaccato al dorso. «Che... che cosa è successo?» Maria quasi faticò a riconoscere la sua stessa voce e solo quando si portò l'altra mano alla bocca capì che aveva una maschera per l'ossigeno.
«Maria! Ti sei svegliata!» urlò entusiasta Kelly che subito si avvicinò al letto già il lacrime. «Ciao Maria. Come stai, piccola?»
«Kelly. Cosa... mi è successo?» domandò la giovane Robotnik ancora debole.
«Ti sei affaticata troppo, cara. Hai... avuto un'altra ricaduta» le parole morirono nella gola della giovane scienziata ormai in procinto di scoppiare a piangere. Maria poteva vederlo benissimo: Kelly non aveva dormito e a tradirla erano le due borse che aveva sotto gli occhi. Come se la ragazzina non si sentisse abbastanza in colpa, le mani della donna non avevano ancora smesso di tremare.
«Kelly io... mi dispiace. Non volevo farti preoccupare. Scusami se io...» tentò Maria, nella speranza che fosse comprensibile, ma Kelly subito le afferrò la mano attaccata alla flebo e se la portò al petto.
«Non dirlo nemmeno, Maria. Io so quanto tieni a Shadow»rispose Kelly scuotendo la testa. «L'importante è che voi stiate bene.»
«V-voi?» con l'aiuto della donna, Maria riuscì a sedersi sul letto. Dopo essersi tolta la maschera dal viso si guardò attorno e fu allora che la vide: vicino al suo letto c'era una cella di contenimento, dove al suo interno galleggiava nel liquido amniotico artificiale uno Shadow ferito e tempestato da aghi e ventose, come al loro primo incontro.
«Shadow!» chiamò subito la ragazzina immensamente felice di rivederlo, ma questi non rispose, poiché profondamente addormentato.
«Si riprenderà presto» Maria e Kelly si voltarono verso la porta dell'infermeria e sorrisero alla vista di Gerald, che stava tenendo tra le mani un vassoio con quello che dall'odore pareva essere del risotto bianco e una tazza di cioccolata. «Ben svegliata, Maria.»
Maria allargò un sorriso, cercando con tutte le forze di non piangere. «Ciao, nonno.»
L'uomo pose il vassoio sul comodino e senza esitazioni abbracciò con delicatezza la sua nipotina. «Sono davvero felice di vedere che stai bene. Mi hai fatto molto preoccupare.»
La ragazzina strinse con entrambe le mani la schiena del nonno. «Scusami, nonno. Non era mia intenzione.»
Sciolto l'abbraccio, Maria riportò la sua attenzione su Shadow. «Nonno. Era... veramente lui?» domandò intristendosi.
Il professor Robotnik annuì piano. «Purtroppo sì, mia cara. Quella luce era tutto il suo potenziale. La sua essenza, se la vogliamo chiamare così.»
«E ora è tutta ritornata dentro di lui?»
«Sì. Ed è stato tutto grazie a te.»
Maria sgranò i suoi occhi azzurri verso il nonno sorridente e orgoglioso. «In che senso grazie a me?»
Gerald allungò una mano per prendere la tazza di cioccolata e la porse alla nipote. «Shadow era fuori controllo. Aveva ormai superato i suoi limiti, ma al tuo arrivo e al tuo richiamo lui è tornato in sé. Senza di te lui non sarebbe qui» e con lui tutti noi, pensò.
Maria iniziò a sorseggiare piano la bevanda dolce. Si sorprese nel vedere che dopo il terzo sorso non si era sentita male e così continuò a berla, facendo attenzione a non scottarsi.
«Non ci vorrà molto tempo. Vedrai che domani lui starà meglio e lo faremo uscire.»
«Davvero?» dissero all'unisono Maria e Kelly, la prima entusiasta mentre la seconda preoccupata.
«C'è qualcosa che ti turba, Kelly?» domandò Gerald.
«No be'... in realtà nulla, ma... Non sarebbe meglio se Shadow non restasse ancora nella cella?»
«Se lo facessimo, la talpa ne trarrebbe vantaggio» all'appello non poteva mancare Morris, che entrò nell'infermeria alquanto alterato. «E questo non lo possiamo permettere.»
«Talpa? Quale talpa?» chiese confusa Maria. «Qui... nell'ARK?»
«Esatto» rispose semplicemente lo scienziato.
«Dici bene, Morris. Immagino che tu abbia recuperato le immagini che ti avevo chiesto.»
Annuì. «Di tutte le telecamere di sicurezza, ma tuttalpiù quelle nelle vicinanze della palestra.»
«Molto bene. Vogliamo dunque procedere?»
Morris preparò il suo palmare e in mezzo all'infermeria di materializzarono diversi ologrammi: l'interno della palestra, la sala comandi e dei corridoi.
«Fin qui tutto normale» osservò Gerald. Nella palestra c'era Shadow concentrato ad allenarsi, mentre Morris era impegnato a registrare i progressi del primo. I corridoi erano del tutto vuoti.«Direi che la talpa qui non ha fatto nulla.»
«Un momento... ma cosa?» Morris si avvicinò agli ologrammi avendo notato una piccola interferenza, finché non divenne ben visibile a tutti. «Le telecamere qui hanno cominciato a non funzionare.»
«Hai ragione» ne convenne Kelly.
«Proseguire con il livello 52? No. Termina allenamento...» continuò la registrazione.
Le immagini mostravano chiaramente che Morris aveva colto la richiesta di Shadow e, spente tutte le macchine, uscì dalla sala comandi e tutto divenne grigio.
«Ma che diamine?!» imprecò Morris cercando di risolvere le interferenze. «Non è possibile! Che sta succedendo?!»
«Questa non è una semplice interferenza» ipotizzò subito Gerald. «Deve essere stata la talpa. Guardate!»
Tutti si concentrarono sul punto indicato dal vecchio professore e appena le immagini erano abbastanza nitide, notarono una figura correre via dalla palestra, ma nessuno era riuscito a distinguerla in tempo. Le immagini seguenti mostravano Shadow alle prese con le macchine impazzite, Morris che ritornava di corsa alla sala comandi e Kelly che accompagnava Maria in infermeria.
«È più che sufficiente» ordinò Gerald massaggiandosi la fronte. «Chiunque sia, è stato decisamente più furbo di noi.»
«Ma come ha fatto a manomettere anche le telecamere?!» domandò a denti stretti Morris, ancora molto adirato.
«Qui le domande le faccio io. Ti ricordo che non sei ancora del tutto pulito, Morris» lo zittì il professor Robotnik grave.«Non ho la piena certezza che non sia stato proprio tu a mettere il virus dopo che le telecamere hanno smesso di funzionare.»
«Professore, glielo posso giurare. Io non sono la talpa che cerca» disse con determinazione Morris. «Io... le devo molto e non mi permetterei mai di sabotarla mettendo a rischio persino l'intera ARK.»
«E dimmi. Hai delle prove concrete? Dov'eri dopo esser uscito dalla palestra?»
«Lui era con me» i tre scienziati si voltarono all'unisono verso Maria, che fino a quel momento non aveva detto una parola.
«Come hai detto, piccola?» chiese perplesso Gerald. «Tu hai visto Morris?»
Lei annuì. «E non solo, ci ho parlato. Dovevo vedermi con Shadow, ma Morris mi disse che aveva ripreso ad allenarsi.»
Morris fissò incredulo la ragazzina, che non mostrava alcun segno di insicurezza. «Morris. È la verità? Hai visto Maria?» lo riportò alla realtà in vecchio Robotnik.
«S-sì, è vero» rispose il giovane scienziato, incerto.
«Se è così dove vi siete visti?»
L'uomo riportò la sua attenzione su Maria che lo accolse con il suo sguardo vispo color del cielo. «L'ho vista all'Osservatore.»
«Dice la verità, Maria?»
La ragazzina annuì di nuovo.
«Questo lo posso confermare anche io» si aggiunse Kelly. «Quando raggiunsi Maria all'Osservatore vidi Morris correre preoccupato per tornare verso la palestra.»
Alla luce dei fatti, Gerald si massaggiò il mento e dopo qualche secondo assentì. «Bene. Vedo che hai due testimoni più che attendibili. Ora ho la certezza che tu non sia la talpa» avvicinatosi al discepolo, gli pose entrambe le mani sulle spalle. «Mi spiace aver dubitato di te.»
«Non si preoccupi. È normale amministrazione.»
«Bene. Grazie a Kelly abbiamo ristabilito l'ordine e ovviamente nessuno sa ciò che è accaduto. Non è necessario creare panico visto che le cose si sono sistemante per il meglio» Gerald si avvicinò a Maria e dopo aver fatto un profondo sospiro, la baciò teneramente sulla fronte. «Mia cara Maria. So bene che quello che sto per chiederti non è una cosa bella, ma...»
Maria scosse la testa sorridendo. «Se servirà a proteggere Shadow, io non dirò nulla.»
L'uomo allargò un sorriso. «Ne sono felice.»
«Professore. Mi hanno riferito che è richiesto alla sala conferenze» disse Kelly leggendo il suo palmare. «Vogliono parlarle dei nuovi progetti appena terminati.»
«Perfetto. Allora noi andiamo. Morris, tu rimani qui per trascrivere i dati di Shadow riguardo alla sua capacità rigenerativa. Dopo raggiungici. Così lasceremo riposare anche Maria.»
«Certamente professore» Morris salutò il professor Robotnik e Kelly con un leggero inchino e, appena uscirono dalla stanza, si rivolse verso Maria rimanendo in silenzio.
«Perché mi guardi così? Sei inquietante» disse Maria coprendosi con le coperte.
«Perché hai preso le mie difese?» incalzò subito lo scienziato.
«Io non ti affatto difeso. Ho detto solo la verità.»
«Ma di quale verità parli?» Morris si avvicinò al letto incrociando le braccia. «Noi non ci siamo minimamente parlati, anzi non ci siamo nemmeno...»
«Io ho semplicemente detto quello che ho visto» stanca di discutere, la ragazzina si rimboccò le coperte e diede le spalle all'uomo da lei tanto odiato. «Io non sono una bugiarda.»
«Non ti sto dicendo che sei una bugiarda, ti ho chiesto perché lo hai fatto!»
Nessuna risposta.
«Va bene! Fa come ti pare!» Morris Si avviò verso la cella di contenimento imprecando a bassa voce e, presa al volo la cartella di Shadow, iniziò a lavorare. Dopo aver trascritto qualche dato l'uomo si era calmato poté riflettere su quanto accaduto: non riusciva a non pensare alla testimonianza di Maria, la quale aveva affermato più volte che loro due stessero parlando all'Osservatore, ma lui sapeva benissimo che non era successo.
Uscito dalla palestra Morris decise di fare un salto all'Osservatore nell'attesa che Shadow fosse pronto a riprendere gli allenamenti. A pochi metri dall'enorme stanza l'uomo aveva riconosciuto Maria ed era anche pronto ad usare la sua lingua tagliente per stuzzicarla un po', ma ciò che vide lo bloccò nel suo intento: Maria aveva gli occhi fissi nel vuoto, di un azzurro spento e parlava da sola. Morris aveva cercato di ragionare e quindi di capire cosa stesse succedendo e aveva sinceramente sperato che si trattasse di uno scherzo della ragazzina per vendicarsi, ma era come incantata davanti a qualcuno, a... qualcosa.
Purtroppo per lui il suo palmare e una scossa di terremoto gli comunicarono che stava succedendo qualcosa alla palestra e ben presto dovette dimenticarsi di quell'assurda scena. O almeno sperava di poterla dimenticare.
«Mi sono immaginato tutto, vero Maria?» disse Morris più a se stesso che alla ragazzina, scacciando dalla mente ciò che lo preoccupava più del fatto che lei stesse parlando da sola. «Dimmi anche che... non ti ho visto levitare.»

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Ed eccoci al diciassettesimo capitolo. Non ho molto da dire a parte che mentre scrivevo il punto di vista di Shadow ho cercato il più possibile di non scoppiare in lacrime. No be'... lacrime no, ma ho provato ad immedesimarmi e spero di averlo espresso anche solo decentemente.
Posso dire quasi con certezza che dopo questo manchino tre capitoli e questa “tortura” avrà finalmente una fine.
Mi scuso nuovamente per il ritardo, ma la mia vita proprio non si decide a darmi tregua...
Detto questo spero il capitolo vi sia piaciuto e ci vediamo alla prossima!

Cassandra
   
 
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