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Autore: Heronrey    30/03/2018    0 recensioni
AVVERTENZE: evitare di scuotere il contenuto prima dell'utilizzo; non esporre al freddo per un lasso di tempo che supera i dieci minuti;non esporre al contatto umano per un lasso di tempo che supera i cinque minuti; fare cautela quando si parla di Thimotée Johnson e dei suoi amici.
Angelica Fray è una ragazza Americana di origini Italiane, ed ha 17 anni quando passa dall'essere la saccente so-tutto-io dell'istituto a molto altro, quel "molto altro" che esce fuori perché qualcuno probabilmente non aveva letto le avvertenze.
In un paese come l'America, che non le è mai sembrato appartenerle del tutto, Angelica cercherà di superare l'ultimo anno che la lega alla Rydell High School e a quell'odioso,insopportabile,borioso e fighissimo capitano di football della scuola.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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17 anni: istruzioni per l'uso



Capitolo I
Quello che non ti aspetti...


 


Senza alcun'ombra di dubbio, essere la più brava della scuola aveva i suoi enormi vantaggi.
Essere praticamente l'unica che i professori trattavano con i guanti, quasi con il timore di rovinare l'unica prova evidente che il loro lavoro servisse a qualcosa, era già di per sé decisamente molto gratificante.
Poco importava se le saccenti so-tutto-io stessero sulle balle a tutto l'istituto, il parere degli sconosciuti non mi aveva quasi mai sfiorato. Non concepivo un mondo dove potessi arrivare seconda, scolasticamente parlando, ed il bello era che non dovevo neanche impegnarmici più di tanto: ero brava, era scritto nel mio DNA, punto.
Francamente, non vedevo difetti nell'essere la prima della classe. I prof ormai mi mettevano il massimo dei voti costantemente da ben quattro anni, i trofei che la scuola mi doveva erano tutti esposti in una vetrina... certo bisognava guardare bene, dal momento che erano quasi totalmente oscurati dai premi sportivi.
Tutto ciò mi assicurava un futuro, quindi una borsa di studio certa e una possibilità di tornare nel paese a cui realmente appartenevo: l'Italia.
La parte più importante e assolutamente da non trascurare era però una sola: le aspettative.
Le aspettative che tutto il corpo docente riponeva sull'alluno più meritevole erano parecchie, ti pensavano in grado di svolgere un lavoro perfetto in qualsiasi ambito.
Magari non era la tua materia prediletta, ma dal momento che eri la più brava dovevi farlo tu, poco importava se c'era qualcuno che sicuramente avrebbe gradito l'incarico più di te, il compito doveva svolgerlo la prima della classe e non uno qualsiasi.
Forse le aspettative erano le controindicazioni d'uso che nessuno ti spiegava, ci dovevi fare il callo pur di accedere ai tanti privilegi.
Ma quando la preside Tucher mi aveva chiamato nel suo ufficio, mai mi sarei potuta aspettare ciò che stava per propormi.
Ero ormai abituata al fatto che, spesso e volentieri, quella paffuta donna di mezz'età mi consultasse anche per ricevere consigli e suggerimenti in ambito scolastico.
Mi era però suonato come un campanello dall'arme il fatto che mi avesse mandato a chiamare durante la lezione di Biologia, solitamente attendeva sempre il cambio dell'ora per non farmi perdere inutilmente minuti di lezione.
 
Quindi, seduta in quell'ufficio e circondata da ritratti di gattini inquietanti, quasi mi mancò l'aria quando capii quello che mi aveva proposto.
La preside mi osservò scettica, mentre versava all'interno di una tazzina con del thè quattro zollette di zucchero.

«Allora, cosa ne dice signorina Fray... accetta?»
Prese un sorso della bevanda, non distogliendo comunque quegli occhietti malefici dal mio volto.
Non si aspettava una reazione del genere, non da me.
Aspettative
Quella parola mi risuonò nella mente come un martello pneumatico, non pensavo che un giorno l'essere me mi si sarebbe rivoltato contro.
Mi mossi sul posto, a disagio ma riacquistando un colorito decente almeno.

« Mi scusi, ma non se ho capito bene... Lei vorrebbe che intervistassi il capitano della squadra di football, ed il capitano delle cheerleader?»
Detta così non sembrava neanche nulla di grave, ma se c'era una cosa che mi faceva uscire dai gangheri quella era il confronto con il mondo dello sport.
Gli atleti, le ragazze pon pon e combriccola erano solo zucche vuote. Si atteggiavano a padroni della scuola, ai "popolari", quelli che tutti invidiavano perché volevano essere loro e, se proprio non ci riuscivano, cercavano almeno di essere come loro.
Ti squadravano, lo facevano con disprezzo e se non eri ben accetto te lo facevano capire in modo chiaro, perché non esistevi.
Io potevo avere la benevolenza dei docenti, ma loro avevano l'ammirazione di tutti gli studenti.
A volte mi ritrovavo a chiedere se la mia avversione nei confronti degli sportivi fosse proprio dettata da questo, ma scansavo il pensiero dal momento che dell'approvazione dei miei compagni poco mi importava.
Eppure essere identificata come una sfigata, solo perché andavo bene a scuola, non bevevo e non fumavo non mi andava a genio. Erano loro gli sfigati, che non sapevano cosa fossero realmente le cose importanti.
E poi, come se il destino mi avesse giocato un brutto scherzo, il capitano più borioso e viziato ce lo doveva avere la mia scuola.
Thimotée Johnson, "bello e talentuoso", "bello e dannato", "bello e ricco". 
Solo per citare alcuni degli epiteti che venivano attribuiti al talentuoso giocatore di football.
L'intera fauna femminile al suo passaggio sospirava sognante, ovviamente si intendono tutte esclusa la sottoscritta e poche elette.
Camminava convinto come un re per i corridoi assieme ai suoi prodi cavalieri, che poi altri non erano se non i suoi amici superficiali come lui.
Ai miei occhi, pur non essendo una persona che solitamente non giudicava un libro dalla copertina, erano un branco di idioti.
La donna che mi fronteggiava annuì in risposta alla mia domanda, senza però proferire parola. Tutto ciò le donava una sincera aria da serial killer. Infatti, sotto tutto quel rosa e quell'animo da gattara mi era sempre rimasto il dubbio che vi fosse una sfumatura perversa.
Posò cautamente la tazzina sulla scrivania in mogano, unendo le mani ormai libere in una posa che enfatizzava il fatto che mi stesse studiando.

« Suvvia, Angelica, una ragazza tanto intelligente come lei non dovrebbe temere dei suoi coetanei.»
Sentendo quelle parole, per poco non sobbalzai dalla sedia nell'impeto di rispondere.
Cosa?! No no, ha capito male io non tem-
» Mi bloccai, notando l'occhiataccia che la preside Tucher mi stava mandando. Mi schiarii la gola, cercando di dissimulare il tutto.
« In realtà, volevo dire che sarebbe meglio affidare il compito ai redattori del giornalino scolastico. Non mi sento di privarli di un'occasione così preziosa.»
Sfoggiai così il sorriso più falso della storia, ma la preside mosse la mano in aria come per allontanare la sciocchezza che secondo lei avevo appena detto. In compenso però sembrò bersi la mia falsa modestia, infatti mi sorrise sollevata.
« In qualità di presidentessa del club del libro, la reputo più che in grado Fray. Inoltre l'articolo sarà esposto sul sito online della scuola, non riguarda dunque il giornalino.»
Non trovando più alcuna via d'uscita sorrisi forzatamente, arrendendomi al mio destino
«Confido nel suo talento Fray, l'articolo deve essere pronto entro la fine della prossima settimana!» Aggiunse, dopo che ebbi accettato formalmente.
Uscendo dalla presidenza si udì anche un "buon lavoro" che finsi di non sentire, giustificata dall'aver chiuso ormai la porta alle mie spalle.
Camminavo per i corridoi desolati agguerrita, non avevo proprio né voglia né tempo da impiegare per scrivere quello stupido articolo.
Aspettative
Ma poi chi glielo avrebbe spiegato a quella donna che essere la presidentessa del club del libro, non equivaleva ad essere in grado di scrivere un articolo? Certo, nel mio caso era così ma le due cose continuavano a non essere collegate.
Ringhiai frustrata, mentre chiudevo l'anta del mio armadietto forse con troppa violenza.

« Nervosetta, Fray?» 
Incenerì con lo sguardo il proprietario di quella voce, in più non mi ero neanche accorta di avere compagnia... sgradevole oltre tutto.
Dylan Hamilton, uno dei palloni gonfiati sopracitati, mi osservava divertito e derisorio dall'alto del suo metro e ottanta.

« Vai ad infastidire qualcun altro Hamilton, che oggi non è proprio giornata eh.»  Dissi, mentre controllavo di aver preso tutto il necessario per la lezione successiva così da portarmi avanti con i tempi.
« Cos'è successo, hai preso una A- ?»  Mi chiese sarcastico il cretino, che sembrava sinceramente compiaciuto della sua banale e squallida battuta.
Gli rivolsi un sorriso ironico, fingendo palesemente di trovare la sua uscita divertente.

« E tu come mai non sei in class... Ah no aspetta, se non sai neanche leggere è difficile che ti ammettano al corso di letteratura Inglese, no?»  Gli chiesi retorica.
Non dandogli neanche il tempo di rispondere, iniziai a camminare nella direzione opposta a quella del biondo, dritta verso l'aula che un quarto d'ora prima avevo abbandonato per assecondare i folli voleri della Tucher.
Scossi la testa ripensando un attimo a ciò che era successo poco prima. Non era la prima volta che uno di quegli energumeni della squadra di football mi rivolgesse la parola, forse non avevano nulla di meglio da fare ma io di sicuro sì.
 
 
 
******
 
 
 

« Ma infondo non c'è nulla di male Angy!»   provò a convincermi, per la millesima volta aggiungerei, la mia migliore amica.
Infatti, da dieci minuti buoni me ne stavo a giocare con il cibo presente nel mio piatto. Eravamo a mensa, inutile dire che le ore trascorse in mattinata erano state orribili per me, ripensando all'arduo compito che avrei dovuto svolgere.

«Sì, sono d'accordo con Ellie,»    Sophia mi guardo seria, sperando di non premere qualche tasto dolente « Angelica, forse la stai facendo più grave di quello che è … infondo sono due domandine e tutto finisce lì.»   
Fulminai entrambe le mie amiche, ma nel profondo ero consapevole del fatto che avessero ragione.
Accigliata da quel pensiero, lasciai cadere poco delicatamente le posate sul piatto, incrociando le braccia al petto.

«Dai Angy, ma che ti frega! Pensa poi ai crediti che ci guadagnerai.»   
La mora mi sorrise rassicurante, e piano piano stavo capendo che forse il mio era solo un capriccio stupido e che... Diamine! Io ero Angelica Fray, la perfettina e la secchiona della scuola e non potevo permettermi di cadere così in basso.
Abbozzai così una smorfia, che molto ma molto vagamente doveva ricordare un sorriso.
Forse era per questo che io ed Ellie Stevens eravamo migliore amiche dalla materna, dal momento che rappresentavamo gli antipodi praticamente agli occhi di tutti. Ciò che ci legava era il saper compensare le mancanze dell'altra, ed in fondo io avevo sempre creduto alla teoria degli opposti che si attraggono.
A partire dall'aspetto esteriore fino a quello interiore, non avevamo quasi nulla in comune. Io bionda miele, lei con i capelli scuri come la pece.
Lei occhi grigi come un cielo in tempesta, io dei semplici e banali occhi color merd... ehm, nocciola. Lei mediamente alta, ed io superavo di poco il metro e sessanta.
Sì lo so, una secchiona bionda abbatte tutti gli stereotipi.
In più il suo essere così positiva e solare, bilanciava in parte il mio essere musona e acida. Dal mio canto, ero decisamente più determinata e ambiziosa di Ellie, che invece finiva sempre per distrarsi e non portare quasi mai a termine ciò che aveva iniziato.
Stavo quasi per rispondere quando, ad un tratto, sentimmo dei gridolini isterici e de sospiri che risuonarono per tutta la mensa.
La nostra attenzione venne catturata dal gruppo di ragazzi che stava entrando in quel preciso istante nella mensa scolastica.

«Oddio, ci risiamo.» Disse, roteando gli occhi al cielo, Sophia.
Il capitano, Johnson, non faceva altro che ammiccare a destra e a manca del tipo "sono figo, ne sono consapevole e lo sei anche tu."
Quella mano, che si passava costantemente fra i riccioli marroni, gliel'avrei volentieri tagliata.

«Ragazze, ragazze, ragazze...mi ha fatto l'occhiolino!»  squittì una primina seduta al tavolo accanto al nostro, mimando addirittura di svenire.
Io, Ellie e Sophia guardammo lei e le sue amiche con sgomento, come potevano rendersi così patetiche?
Probabilmente perché eravamo troppo occupate a deridere quelle mocciose, o forse anche perché il mio cervello si rifiutava di elaborare un' ipotesi del genere, non ci accorgemmo di Johnson che si era avvicinato pericolosamente al nostro tavolo, tanto che mi ritrovai ad osservare le sue mani impreziosite da qualche anello, che si poggiavano su di esso.
Feci scorrere il mio sguardo dal basso verso l'alto, fin quando non incrociai i suoi occhi chiari, che mi scrutavano leggeri.

«Desideri?» chiesi, in tono abbastanza acido.
In torno a noi, si poteva solo percepire un leggero brusio che trapelava sgomento. Tutti si stavano chiedendo, perché il ragazzo più popolare dell'intero istituto si era fermato a parlare proprio con me, l'odiosa so-tutto-io. Almeno ero conosciuta come tale da tutti i Senior, come me e le mie amiche.
Thimotée continuava a guardarmi e alla mia domanda si era solo stampato sul volto un sorrisetto divertito, indice del fatto che non mi avesse minimamente preso sul serio.

«La Tacher mi ha informato dell'articolo, e sono venuto a dirti che per me va bene vederci Martedì.» 
Rimasi un attimo senza saper cosa rispondere. Wow, il Re mi era persino venuto ad informare di persona, che onore.

« E se a me Martedì non andasse bene?» Non era un semplice domanda a titolo informativo, no. Trapelava ostilità e disappunto da tutti i pori, non ero e non sarei mai stata un pupazzo nelle mani di nessuno.
Johnson attese un attimo prima di rispondermi, scrutandomi con quegli occhi che avevano un colore non del tutto definito che oscillava dal verde mare all'azzurro cielo. Manteneva però un cipiglio divertito, sembrava l'espressione di un bambino quando assapora in anticipo i piacevoli risultati di un dispetto da mettere in pratica.

«Beh, non vedo altre soluzioni Ray.»  Disse ovvio, afferrando una mela dal mio vassoio, rimasta integra come il resto del cibo che avevo a mala pena sfiorato. «Ho già avvertito Blare, poi. »  aggiunse.
Sì, come se ne fregasse qualcosa che avessa avvertito il capitano delle cheerleader: Blare Hammer.

«E' Fray»  lo corressi con disappunto, «E quella è la mia mela.»  
Lo guardai truce, per tutte le libertà che si stava concedendo.
 
« Fa lo stesso.»   Rispose, facendo spallucce. «Non la mangi,no?»  
Aggiunse dando un morso al frutto incriminato, mentre si stava già allontanando dandomi le spalle.

«Io lo ammazzo quello.» pronunciai a denti stretti.
Probabilmente, parlando con la schiena di Johnson ormai lontana, potevo tranquillamente essere scambiata con una pazza sclerata.
La fragorosa risata di Ellie mi riportò violentemente alla realtà. La mia amica si stava a dir poco sbellicando dalle risate mentre Sophia, seppur contagiata dall'allegria della mora, si stava limitando a dei risolini alternati ad occhiate eloquenti dirette alla sottoscritta.

« Dio..ti saresti dovuta...oddio non respir...»
Ellie enfatizzò il fatto che seriamente stesse morendo soffocata dalle risa, muovendo una mano come per farsi aria.
«Finirete per scopare.» Dichiarò divertita Sophia.
In tutta risposta finsi di esser stata colpita da improvvisi conati di vomito.

« Oh, beh detto Sophy! »
Oltre a ridere, finalmente Ellie era riuscita a dire qualcosa.
« Se mai dovesse succedere una cosa del genere, per favore, ammazzatemi.»
Ero seria in realtà, ma le mie amiche non mi presero minimamente sul serio.
« Sì dai, tutto quello che vuoi Angel.»
La mora si sporse sopra il tavolo verso di me, solo per il gusto di stritolarmi una guancia fra le dita. Inutile dire che, seppur divertita, scansai il prima possibile la sua mano dal mio volto.
E poi odiavo quel soprannome, per fortuna che solo loro due conoscevano il vero significato del mio nome.
Angelica l'aveva scelto il mio papà prima di lasciarci, di lasciarmi.
Non era stata una sua scelta, la vita aveva semplicemente deciso di farlo al suo posto. Mio padre era innamorato del mio nome, e uno dei motivi principali che lo spinsero a chimarmi così fu proprio quello di farmi ricordare ogni giorno le origini italiane, che avevo ereditato da mia madre e dai miei nonni paterni.
Scossi la testa, cercando di distrarmi dai quei pensieri tristi.
Per fortuna nessuno si era accorto del mio improvviso cambiamento d'umore, ed entrambe le mie amiche erano tornate a conversare e mangiare tranquillamente.
Lo sguardo mi ricadde nuovamente sul tavolo dove a pranzo si riunivano gli zucconi e, osservandoli ridere mentre ricordavano degli scimpanzè, un'idea malsana iniziò a bazzicarmi nella mente.

«Ho deciso che farò l'articolo,» dichiarai, alzandomi e prendendo il mio zaino « ma a modo mio.»
Le due ragazze, ancora a metà pasto, mi osservarono andare via indecise se alzarsi pure loro per accompagnarmi al manicomio.
Non conoscevano il significato delle mie parole ma presto lo avrebbero saputo, e con loro tutto il resto della scuola.
 
 
 
Note d'autrice.
Ciao a tutti!
Spero stiate passando delle buone vacanze pasquali, e spero anche di addolcirle ed incuriosirvi con questa nuova storia.
Sì, il titolo è molto simile a quello del film: 17 anni: come uscirne vivi.
L'ho scelto per ricordare a me stessa il perché abbia iniziato a scrivere questa storia, che alla fine non pretende molto se non divertire me mentre la scrivo e magari anche qualcuno di voi.
Vedete, vorrei che uscisse fuori come una sorta di teen movie perché è un genere di film che guardo spesso e che non mi dispiace affatto e, anche se molti lo definiscono trash, noi ragazze adolescenti con gli ormoni impazziti ce ne freghiamo.
Forse vi sarete chiesti, perché cavolo il protagonista si chiama Thimothée?  Ok su, lo ammetto.
Ho un'enorme cotta per l'attore Thimothée Chalamet, e vabbè il fatto che il Tim della storia sia molto simile a lui anche fisicamente è una coincidenza.
Fatte le dovute(?) precisazioni , vi saluto e mi raccomando sfondatevi di colomba, pastiera, casatiello e tutto ciò che da voi si mangia a Pasqua.
xoxo

 
   
 
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