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Autore: zero_e_lode    05/04/2018    6 recensioni
Due anime affini, due storie simili. Destini disarticolati che si intrecciano e si incontrano un giorno, per caso, alla fermata del bus. Può un incontro fortuito aiutare a curare le ferite del cuore? Si può dimenticare ciò che si è stati in passato? Forse, alla fine, per trovare la felicità basta intraprendere un viaggio, biglietto alla mano.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Era stata una brutta giornata. April camminava con la testa china, sbattendo forte i piedi al suolo a ogni passo e con i denti digrignati in una smorfia. I passanti la evitavano e borbottavano sorpresi, ma lei non se ne curava, anzi, meglio così.
Raggiunse la solita fermata dell’autobus e si lasciò cadere a sedere sulla panchina, accanto a una signora anziana che le lanciò un’occhiata dapprima sorpresa e poi disgustata, percorrendo con occhio critico i suoi vestiti sporchi di terra e la sua faccia livida. April le sorrise, crudele, mostrando una fila di denti imbrattati del sangue che continuava a sgorgarle dal labbro spaccato. La vecchia sgranò tanto d’occhi e si alzò di scatto, facendo scricchiolare le articolazioni malmesse, quindi si allontanò con tutta la rapidità consentitale dal suo passo malfermo.
«Cammina fino a casa se ce la fai, stupida vecchia!» borbottò la ragazza pulendosi con il dorso della mano il rivolo di bavetta che le era scivolata dalla bocca. Era abituata a quel tipo di trattamento, ma non riusciva a restarne impassibile, non ancora. Sospirò, sconsolata, e si prese il capo tra le mani, strofinando i polpastrelli sulle palpebre per calmare il fluire dei pensieri.
All’improvviso, si sentì accarezzare i capelli e alzò la testa di scatto, mostrando lo sguardo più feroce che riusciva a fare. Era furiosa contro chiunque avesse osato toccarla, ma si calmò all’istante non appena si ritrovò immersa negli occhi più azzurri che avesse mai visto. Scombussolata da quella vista, dovette deglutire più volte prima riuscire a sciogliere il nodo che aveva in gola e parlare. «E tu chi sei?» gracchiò infine.
Il ragazzo di fronte a lei sorrise, e tutto il suo viso si illuminò. Non doveva avere più di vent’anni, suoi i capelli erano un ammasso disordinato di riccioli castani, che sembrava così morbido a guardarlo. Tutto il suo volto esprimeva un’insopportabile dolcezza e il suo sorriso dai denti candidi era accecante. «Scusami, non volevo spaventarti.» esordì con voce melodiosa.
April si liberò della sua mano, che era ancora persa tra le sue ciocche castane, con un colpo brusco. «Non mi hai spaventato.» brontolò.
Quello annuì, rimanendo accovacciato per poterla guardare negli occhi. «Che cosa ti è successo?» domandò premuroso. «Hai fatto a botte?»
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore e distolse lo sguardo, scurendosi in volto. «Perché te lo dovrei dire? Nemmeno ti conosco!»
Il moro si diede un colpetto sulla fronte. «Hai ragione, che idiota!» esclamò porgendole la mano destra. «Io mi chiamo Chris.»
Lei fissò quel palmo proteso, ma dopo alcuni istanti decise di ignorarlo. «Non hai niente di meglio da fare, Chris?» lo liquidò.
Per tutta risposta, il ragazzo scoppiò a ridere. Si rimise in piedi con un gemito e si accomodò accanto a lei. Testarda, quella continuò a tenere gli occhi fissi sulla strada, osservando con curiosità le converse, di un rosso scarlatto, che il nuovo arrivato portava ai piedi.
«Quando avevo a tua età, anche io facevo spesso a botte.» stava intanto continuando quello. «E le prendevo, anche!» le fece l’occhiolino. «Era per una ragazza?»
«Eh?» sconcerta, April si decise a sollevare il capo e piantargli addosso i suoi occhi marroni.
«Hai litigato per difendere la ragazza che ti piace?» insistette Chris. «Oppure era un regolamento di conti tra uomini?»
Mentre galleggiava in quelle iridi color del mare, che brillavano di un’ingenua dolcezza, la consapevolezza si fece lentamente largo nella mente di lei, che arrossì violentemente e strabuzzò gli occhi. «Ma che hai capito?!» strillò, offesa. «Io sono una ragazza!»
Tutta una serie di emozioni si dipinsero in successione sul viso di Chris, che arrossì immediatamente a sua volta. «Accidenti, mi dispiace!» balbettò coprendosi le guance in fiamme con i palmi. «È solo che ti ho vista qui, tutta ricoperta di polvere, e i capelli corti e il viso pieno di lividi e…» si schiarì la voce quando notò che l’espressione della ragazza diventava sempre più cupa man mano che lui proseguiva. «Scusami.» disse infine.
Lei gli voltò le spalle, ravvivandosi i capelli con le dita. Il cuore batteva all’impazzata nel suo petto e le labbra si sporsero in avanti in un broncio buffo.
«Posso farmi perdonare in qualche modo?» domandò Chris, mettendole una mano sulla spalla.
«Vai al diavolo!» rispose lei, scrollandosi dal suo tocco.
«Hai proprio un bel caratterino…» commentò il ragazzo in uno sbuffo più divertito che altro. «Non fatico a credere che ti capiti di fare a botte.»
«Guarda che non ho iniziato io!» si giustificò lei, girandosi di colpo.
Lo sguardo di lui era comprensivo. Il ghigno divertito di poco prima aveva lasciato il posto a un sorriso tenero che gli addolciva i lineamenti «Mi vuoi dire che cosa ti è successo?» domandò di nuovo, con calore.
La strada di fronte a loro era deserta e il sole, già sulla via del tramonto, lanciava curiose ombre che si deformavano tutt’intorno. La ragazza seguì con lo sguardo una foglia che veniva smossa dal venticello durante tutti i lunghi istanti che le occorsero per decidersi a rispondere. A un certo punto sospirò, provando una strana quanto intima sensazione di sollievo. «Ci sono dei bulli nella mia scuola che mi hanno presa di mira.» spiegò brevemente. «Siccome io sono l’unica a non avere paura di loro, quando gli gira male mi massacrano.»
Chris la prese per il mento e le sollevò il viso verso di sé. «Davvero non hai paura di loro o fai la coraggiosa?»
«Cosa cambia?» domandò lei sostenendo il suo sguardo con arroganza.
«Non so… È che mi sembri il tipo orgoglioso che si farebbe ammazzare piuttosto che ammettere di avere un problema.»
«Tu non sai niente di me.» si liberò della sua stretta con un grugnito. «Perché mi sei venuto a disturbare, a proposito?»
Lui accavallò le gambe, incrociando le braccia sul petto e iniziando a parlare osservando il paesaggio. «Sai com’è, ho visto questo ragazzino tutto solo alla fermata dell’autobus, coperto di polvere e lividi e mi sono ricordato di quanto ci si sente tristi quando tutti se la prendono con te.» le sorrise. «Te l’ho detto, no? Anche io facevo a botte da ragazzino.»
«E tu perché facevi a botte?» domandò lei inarcando un sopracciglio.
Il viso di Chris assunse un’espressione triste che la mise a disagio. Si pentì di aver posto quella domanda, ma prima che potesse ritirarla, il ragazzo si rasserenò e la malinconia lasciò il posto alla lucentezza di un ghigno birichino. «Sei curiosa, adesso?»
April arrossì, affrettandosi a fare di no con la testa. «Chi se ne frega, non rispondermi!» ringhiò
Per nulla disturbato da quella scenata, Chris sorrise. «Ti piace fare la dura, eh?»
La ragazza si rifiutò di rispondergli, mantenendo il cipiglio arrabbiato dietro cui si sentiva così a proprio agio. Su di loro cadde un silenzio pesante, rotto soltanto dallo slittare delle ruote delle auto che sfrecciavano loro dinnanzi.
«Che numero aspetti?» esordì lui, con il tono di un bambino che vuole fare pace.
April non ebbe il cuore di continuare a ignorarlo e lo guardò appena da sopra la spalla. «Il 125, e tu?»
Quello si strinse nelle spalle. «Io ho la macchina.»
A quella rivelazione, lei sgranò gli occhi. «E allora che cosa ci fai qui?!»
Sul volto di lui non apparve la minima esitazione mentre rispondeva. «Allora non mi ascolti? Mi sono avvicinato perché volevo aiutarti.»
April nascose un sorriso incontrollabile poggiando la bocca sul suo braccio. Uno strano calore le invase il corpo, ma lei si ostinò a reprimere quella sensazione. «Sei parecchio strano.» disse invece.
«Potresti avere ragione.» convenne lui, serissimo. Poggiò entrambe le mani sulla panchina e reclinò la testa all’indietro. «Sai, nel mondo ci sono tante realtà diverse. Io ho avuto quella che definiresti una “infanzia difficile”, quindi non riesco a trattenermi quando vedo qualcuno in difficoltà: devo fare qualcosa.»
La ragazza lo fissò malevola. «Ti piace l’idea di fare l’eroe?» insinuò, venefica.
Chris scosse il capo. «È che non sopporto di stare fermo a guardare.» le passò con naturalezza una mano tra i corti capelli, sorridendole. «Sarai qui anche domani?»
Lei sbuffò, fingendo indifferenza. «Le mie lezioni finiscono sempre a quest’ora…»
«Allora mi permetterai di tenerti compagnia, anche domani?» chiese ammiccante.
April esitò a rispondere. Si morse pensierosa il labbro inferiore, fissandosi le mani. «Se non hai niente di meglio da fare…» disse dopo un po’.
Il giovane annuì. «Lavoro in quell’ufficio in fondo alla strada e anch’io finisco sempre intorno a quest’ora. Mi troverai qui.»
La ragazza lo fissò inarcando un sopracciglio. «Lavori in un ufficio? Non sembri così vecchio!» commentò.
Lui rise. «Ho ventun anni, se sono vecchio o no dipende da quanti ne hai tu.»
«Io ne ho diciassette, non trattarmi come una ragazzina!» borbottò quella.
L’autobus numero 125 comparve traballando all’orizzonte e la ragazza si alzò, preparandosi a salirci sopra. Si voltò e vide che Chris la stava osservando mantenendo la bocca atteggiata a un sorriso. Le tremavano le mani e non riusciva a spiegarsi perché, ma tutto il malumore che aveva provato prima sembrava essersi magicamente dissolto. Il mezzo arrivò e si fermò di fronte a lei, aprendo le porte con un cigolio. April poggiò il piede sul primo gradino, esitante, poi si girò e piantò gli occhi in quelli del ragazzo. «Se domani ci sarai ti dirò il mio nome!» quasi urlò. «Quindi farai meglio a presentarti!»
Si affrettò a salire sull’autobus e le porte si richiusero dietro di lei. Tutto il suo corpo tremava e le sue guance erano arrossite. Guardò fuori dal finestrino con la coda dell’occhio e si ritrovò a fissare Chris che la salutava con la mano. Il suo sorriso si era allargato.
 
***

Aveva un aspetto migliore rispetto al giorno precedente. Nonostante non potesse fare nulla per coprire i lividi che aveva sul viso, si era fatta una lunga doccia e si era vestita con cura. Continuando a darsi della stupida, si era pettinata i capelli con la riga di lato e aveva fermato il corto ciuffo con delle forcine. Fissò la sua immagine allo specchio e sospirò, chiedendosi quando fosse stata l’ultima volta che aveva impiegato così tanto tempo per prepararsi per la scuola.
Scese circospetta al piano di sotto, ma l’odore del caffè la sollevò: sua madre doveva essersi finalmente alzata dal letto. Respirò profondamente ed entrò in cucina sforzandosi di sorridere. La donna la salutò senza incrociare il suo sguardo e le piazzò davanti un piatto stracolmo di cibo. Nel notare quell’indifferenza, l’invitante profumo delle uova le diede di colpo il voltastomaco.
Tutto il pasto si svolse senza chiacchiere: April e sua madre non si parlavano da un po’ di tempo, da quando Alyssa era morta, per la precisione. Tutte le foto di sua sorella erano state rimosse dalla casa, ma la sua presenza aleggiava tutt’intorno, la ragazza la percepiva in ogni stanza, qualsiasi cosa facesse e, lo sapeva, per sua madre era la stessa cosa.
Uscì di casa con un fastidioso senso di pena che le attanagliava lo stomaco e raggiunse la scuola a piedi, cercando di inghiottirla. La città era brulicante di vita anche a quell’ora e lei fu quasi infastidita da tanta vitalità. Procedette a testa bassa ed evitò gli sguardi dei passanti, facendo del proprio meglio per estraniarsi dagli altri esseri umani. Una volta che si ritrovò di fronte al cancello, infilò le cuffie nelle orecchie, così non avrebbe dovuto ascoltarli. Tutti parlavano di lei o, meglio, di quanto fosse diversa da sua sorella. C’era chi la compativa, guardandola con quegli occhi liquidi che la facevano soltanto arrabbiare e poi c’era chi la derideva. L’aspettavano dietro qualche angolo per farle lo sgambetto, le lanciavano palline di carta bagnate di saliva, le strappavano i libri o le gettavano i quaderni nel gabinetto. Finora April aveva affrontato i bulli a muso duro, ma adesso cominciava ad essere stufa.
«April?»
Una mano umidiccia le si posò sul braccio e la ragazza strabuzzò gli occhi quando, voltandosi verso la persona che cercava di attirare la sua attenzione, incontrò la faccia rugosa del signor Plickles, lo psicologo della scuola. Lo salutò con un cenno della testa e si dileguò in fretta: non aveva proprio voglia di ascoltare i suoi discorsi da quattro soldi, quella mattina.
Per fortuna, la giornata trascorse relativamente tranquilla. I suoi compagni decisero di ignorarla completamente e persino il solito bullo pareva aver trovato qualche altra vittima da tormentare. Alle cinque, la campanella squillò e April si affrettò a raccogliere le proprie cose e si diresse all’uscita, prima che la sua fortuna si esaurisse. Di fretta com’era, non prestava attenzione a dove metteva i piedi e si ritrovò a scontrarsi contro qualcuno.
«Guarda dove vai!» strillò April con una smorfia.
La ragazza con gli occhiali gemette le sue scuse e si accovacciò a terra, raccogliendo i libri che le erano sfuggiti dalle mani a causa dell’urto. Mentre si trovava carponi, qualcuno le sollevò la gonna, esponendo la sua biancheria intima. La ragazza strillò e si affrettò a coprirsi, ma iniziò a tremare quando notò il ghigno malefico sulla faccia larga di Dorian. Il bullo della scuola, al contrario, sembrava divertirsi e la fulminò con un’occhiata crudele. «Che belle mutandine, Kate.» biascicò. «Perché non me le fai vedere meglio?»
Lei scosse la testa, stringendo le dita intorno al tessuto, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «Lasciami stare, Dorian, ti prego.» mormorò.
Per tutta risposta, quello le rise in faccia. «Mi preghi, eh?» ringhiò avvicinandosi a lei e afferrandola per i polsi. Dietro le spesse lenti, gli occhi di Kate erano due pozzi da cui sgorgavano fiumi ininterrotti di lacrime. La sua bocca si storse in una smorfia di puro terrore e le sue ginocchia presero a tremare. Il bullo gioì di quello spettacolo miserevole. «Vediamo quanto sei brava a pregare.»
Nessuno si mosse in soccorso della malcapitata. Il corpo studentesco che affollava l’entrata parve essersi volatilizzato nel nulla e, in qualsiasi altra occasione, anche April si sarebbe sbrigata a girare sui tacchi e ad andarsene. Per qualche motivo però, quel giorno, le parole che Chris aveva pronunciato le riecheggiarono nella testa. Non sopporto di stare fermo a guardare. Aveva detto. La ragazza avvertì una scossa elettrica attraversarle il corpo e strinse la presa sulle bretelle dello zaino, indecisa. Le strilla alle sue spalle aumentarono d’intensità e lei, suo malgrado, capitolò. Sospirò, maledicendo se stessa, poi si tolse lo zaino e lo scagliò con forza contro Dorian che, colto alla sprovvista, venne colpito in pieno volto e urlò per la sorpresa e il dolore.
«Perché non la pianti, buffone?!» strillò April fingendo baldanza. «Prenditela con uno della tua taglia!»
Quello si massaggiò a parte dolente e, lasciando andare l’altra, guardò la sua nuova preda con gli occhi ridotti a due fessure piene di odio. «Tu, per esempio?» ringhiò.
April deglutì più volte, provando a trovare il coraggio. Si mosse in fretta in avanti, mettendosi davanti a Kate per farle da scudo. La sua mente continuava a darle segnali di pericolo, ma lei li ignorò tutti, mantenendo la posizione.
Dorian la sovrastò, scrocchiandosi le dita con aria divertita. «Fammi vedere…»
Com’era prevedibile, anche quel giorno April finì per prenderle. Il labbro che non aveva fatto ancora in tempo a rimarginarsi si era aperto di nuovo e le bruciava terribilmente ogni volta che ci passava sopra la lingua. Si era sbucciata un ginocchio cadendo su una pietra appuntita e per tutta la strada che intercorreva dalla scuola alla fermata del bus non poté fare a meno di zoppicare.
Si trascinò mestamente per la strada che conosceva a memoria, rifiutandosi di alzare lo sguardo da terra. Tanto non verrà. Ripeteva a se stessa. Non c’è verso che si ricordi della promessa. Ormai mancavano pochi passi ma ancora non aveva la forza di guardare, raggiunse la panchina e si sedette con cautela, notando un paio di piedi calzati da delle converse rosse accanto ai suoi. Incapace di reprimere l’inspiegabile gioia che le si gonfiò dentro, si schiarì la voce. «Mi chiamo April.» bofonchiò.  Sollevò gli occhi lucidi e un sorriso aperto riempì immediatamente la sua visuale.
«Molto piacere, April.» disse Chris, porgendole la destra.
Lei strinse tremante quel palmo proteso e, nonostante la ferita sul labbro, sorrise.
 
***

«Ecciù!»
Kate sorrise, porgendole un fazzolettino di carta. «Se non stai attenta ti beccherai un raffreddore.» la redarguì.
«Le temperature sono scese all’improvviso.» si lamentò l’altra, soffiandosi rumorosamente il naso.
«Beh è ormale, siamo già in ottobre, no?» ribatté la ragazza con gli occhiali, sottolineando l’ovvio.
April annuì, osservando il panorama intorno a loro. L’autunno era piombato loro addosso con tutta la sua furia gelata, inzuppandole di pioggia e frastornandole con i forti venti. L’umidità aveva raggiunto livelli altissimi e, per quanto si coprisse, la ragazza non riusciva a sentire sufficientemente caldo.
Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, notando quanto la sua chioma si fosse allungata. Era infatti passato un mese e mezzo da quando aveva parlato con Chris per la prima volta e da allora il ragazzo non aveva mai mancato un appuntamento. April arrossì non appena quella parola le attraversò la testa e si diede mentalmente della stupida. Non sono mica appuntamenti! Si rimproverò.
Un fulmine squarciò il cielo plumbeo e il rombo di un tuono lo seguì, facendo trasalire le due studentesse in piedi di fronte al cancello della scuola. April osservò la fitta muraglia di nuvole che si agitavano sospinte dal vento e da lì a un attimo, una pioggia scrosciante prese a cadere su di loro. La ragazza strinse le labbra sotto i denti, preoccupata. «Non aspetterà mai sotto questo diluvio.» si rammaricò a bassa voce.
«Come?» le domandò Kate.
April avvampò. «Riflettevo ad alta voce.» borbottò scuotendo la testa.
Rifiutandosi di dire altro, continuò a guardare la strada, in ansia. Il piazzale di fronte a lei si era trasformato in un acquitrino e le gocce di pioggia vi schizzavano dentro con pesantezza, creando dei solchi nella terra molle. La ragazza controllò l’ora per la millesima volta e sospirò. «Io vado.» annunciò quindi.
L’altra sgranò gli occhi. «Ma non puoi camminare sotto questa pioggia scrosciante!» obiettò.
Incurante della preoccupazione della compagna, la ragazza si calcò il cappuccio del giubbotto sulla testa, senza distogliere lo sguardo dal temporale che aveva di fronte. «Vorrà dire che correrò!» così dicendo trasse un profondo respiro e scattò.
L’impatto con la pioggia gelida la fece rabbrividire, ma lei ignorò il disagio, correndo a più non posso verso la fermata. I suoi anfibi calpestavano la fanghiglia che le schizzava sulle gambe, il suo corpo tremava e le ciocche zuppe le si appiccicavano sul viso, ma sembrava non importarle. La sua mente continuava a rimproverarla, le dava dell’illusa, la biasimava, ma c’era una parte di lei che voleva credere che, indipendentemente dalle condizioni metereologiche, Chris sarebbe stato lì ad aspettarla.
Arrivò a destinazione con i polmoni che le bruciavano per lo sforzo e il corpo percorso dai brividi e si bloccò, basita. La panchina su cui lei e Chris erano soliti sedersi era completamente vuota, le gocce di pioggia vi picchiavano ritmicamente, producendo un frastuono insopportabile.
April si abbracciò le spalle attraverso il piumino fradicio e avanzò a passi lenti, come se ogni brandello di forza fosse improvvisamente sparito dal suo corpo. Raggiunse la panchina e vi si sedette sopra, inzuppandosi i jeans. «Lo sapevo che non saresti venuto.» borbottò tra sé. Le sue labbra, bluastre a causa del freddo, iniziarono a tremare. «Perché avresti dovuto, stupido idiota? Io non sono niente per te!» scoprì i denti in una smorfia e gli occhi iniziarono a bruciarle, così chiuse le palpebre e lasciò scivolare le lacrime attraverso le ciglia, sollevando la testa, in modo che la pioggia le lavasse via. Non si curò dei pochi passanti che si fermarono a guardarla, ignorò chiunque le si avvicinasse per chiederle se avesse bisogno d’aiuto. Si chiuse in quel momento di insensato dolore che bruciava come una ferita aperta all’altezza del cuore.
Sentì qualcuno avvicinarsi e spalancò gli occhi, pronta a un nuovo scontro, ma ciò che vide la bloccò. Una donna avanzava incerta verso di lei. Le strade erano poco illuminate e a coltre di nubi oscurava la poca luce del tardo pomeriggio, ma April notò che la donna era avvolta in un impermeabile arancio e si riparava sotto un largo ombrello trasparente. «Scusami?» esordì incerta. «Sei per caso April?»
La ragazza si affrettò ad sciugare le lacrime che le rigavano le guance e si ricompose, fissando in tralice la nuova arrivata. Senza riuscire a smettere di guardarla con sospetto, inarcò un sopracciglio. «Come fai a sapere il mio nome?» domandò, cauta.
«Non ci posso credere!» la donna si mosse in avanti e la luce del lampione lì accanto la illuminò in pieno. A quel punto, gli occhi di April si spalancarono per lo stupore. La persona che si ritrovava di fronte era una perfetta copia di Chris al femminile: gli stessi morbidi capelli ricci, di un castano caldo, gli stessi occhi azzurri, profondi come il mare, e lo stesso dolce sorriso.
La donna continuò a parlare in fretta. «Chris aveva detto che saresti stata qui, ma…»
April balzò in piedi, incapace di contenersi. «Conosci Chris?» strillò.
Quella annuì, ancora trasecolata. «È il mio fratello gemello.» le spiegò. «Mi ha detto lui di venire qui.»
La ragazza arricciò la bocca in una smorfia. Si stropicciò gli occhi e montò la sua tipica espressione da dura. «Se è vero, perché non è venuto lui stesso?» obiettò.
La donna le si avvicinò un altro po’, sospirando piano. «Chris è stato vittima di un incidente.» disse a bassa voce.
«Un incidente?!» la voce di lei s’incrinò fino a spezzarsi, a ritmo con un tuono che squarciò il cielo ma di cui lei nemmeno si accorse. Assordante fu invece il suono del suo cuore che andava in frantumi, facendole male dall’interno.
«Stava guidando, quando un automobilista non si è fermato allo stop e lo ha investito.» raccontò la gemella, sussurrando le parole come se pronunciarle le costasse un’estrema fatica. «Mio fratello ha perso il controllo della macchina a causa della pioggia e si è schiantato contro il guard-rail.»
April si rizzò in piedi, tutto il suo corpo fremeva e il suo cervello era in tilt. «Sta bene, adesso, vero?!» rantolò, agitata.
L’altra le sorrise. «Si è rotto qualche osso, ma è ancora vivo. È in ospedale, adesso.»
Il sollievo le invase il corpo e la svuotò di tutte le forze. Le gambe le cedettero e lei si lasciò cadere di nuovo a sedere, portandosi entrambe le mani al petto, dove il suo cuore sembrava aver ripreso a battere, tachicardico. «E ti ha mandata qui?» soffiò.
«Esatto.» le confermò. «Non appena ha ripreso i sensi mi ha afferrato per il polso e mi ha detto: “Niki, devi correre alla fermata dell’autobus di fronte al mio ufficio e dire ad April che sto bene!”» la donna rise. «Aveva una faccia talmente seria che mi sono incuriosita e mi sono fatta raccontare tutta la storia.» le fece l’occhiolino. «Lo sai che gli piaci molto?»
Le guance della ragazza avvamparono mentre scuoteva energicamente la testa in segno di diniego. «No, non è così…» bofonchiò. «Noi… Noi parliamo e basta.»
La gemella la osservò inarcando un sopracciglio. «Voglio raccontarti una cosa, April: mio fratello è nato con un rene solo. A causa della sua condizione entra ed esce dagli ospedali in continuazione. Ai tempi della scuola si assentava spesso e veniva preso di mira dai bulli, ma non ha mai avuto paura e li ha sempre affrontati a testa alta, prendendole di santa ragione.» il suo sorriso divenne amaro. «Non è bravo a farsi degli amici e anche sul posto di lavoro non parla quasi con nessuno ma, guarda caso, parla con te, tutti i giorni.» calcò l’accento su quelle parole, come a sottintendere un significato particolare. «Credi davvero che non sia niente?»
Gli occhi di April si riempirono di lacrime, ma lei le represse, mordendosi forte le labbra e distogliendo lo sguardo. Sebbene non lo avrebbe mai ammesso, soprattutto in presenza di una sconosciuta, per lei era lo stesso. Anche lei era presa di mira dai bulli, anche lei le prendeva sempre, anche lei era incapace di farsi degli amici, ma parlare con Chris le era sempre risultato facile, naturale, non doveva nemmeno pensarci. Era difficile confessare quella verità, soprattutto a se stessa, ma per lei Chris era certamente una persona speciale e forse, si disse, quel sentimento poteva essere reciproco. Si inumidì le labbra con la punta della lingua e parlò con un filo di voce. «Potrei vederlo?»
Niki scoppiò a ridere. «Certamente! Vieni con me, ti accompagno in macchina.»
Il temporale era cessato, ma il cuore di April era in subbuglio. Erano successe troppe cose tutte insieme perché riuscisse a calmarsi. Mettendo meccanicamente un piede avanti all’altro, raggiuse la macchina della donna e montò sul sedile del passeggero. I vestiti inzuppati lasciarono una chiazza di bagnato sulla seduta, ma Niki non se ne curò mentre guidava con prudenza fino all’ospedale.
L’utilitaria si bloccò di fronte l’entrata dell’edificio e la gemella le fece segno di scendere con il motore ancora accesso. «Stanza 104.» le urlò dietro mentre lei scendeva, un attimo prima di rimettere in moto la macchina.
April entrò incerta all’interno dell’ospedale e continuò a camminare guardandosi intorno intimidita da tutti quei medici e infermieri che la fissavano curiosi. I suoi piedi sciaguattavano all’interno degli stivali scuri e lasciavano impronte fangose lungo il tragitto, ma lei non riusciva a udire altro suono se non il suo battito cardiaco. Raggiunse la camera indicatale e abbassò piano la maniglia, entrando senza sapere esattamente che cosa fare o dire. Trattenendo il respiro, si richiuse la porta alle spalle e scrutò all’interno e, subito, lo vide. Chris giaceva sul letto di un bianco immacolato e aveva gli occhi chiusi. Il suo braccio e la sua gamba destra erano ingessati e aveva un livido violaceo che gli ricopriva la mascella. Il resto del suo viso era così pallido da farle paura e la ragazza gli si avvicinò in fretta, mettendosi a sedere sulla sedia di plastica posta al suo capezzale e, solo in quel momento, abbassò il cappuccio a scoprirsi il volto. Si schiarì la voce e lo chiamò piano, ma lui non sembrò reagire. Una viscida paura serpeggiò nel cuore della ragazza. E se non si svegliasse? Tremò.
Presa dall’ansia, gli afferrò strettamente la mano sinistra e la strinse tra le sue. «Stai bene, vero Chris?» gemette. «Lo so che stai facendo finta, vuoi farmi uno scherzo, no?» la voce, che si era mantenuta ferma fino a quel momento, le s’incrinò. «Però adesso devi svegliarti, perché mi stai spaventando.»
Soltanto il silenzio, le rispose. Il petto del ragazzo si alzava e si abbassava ritmicamente, ma le sue palpebre rimanevano serrate. Dubbi e ansie invasero il cuore della ragazza, che iniziò a tremare per motivi che non avevano niente a che fare con il freddo che i vestiti bagnati che aveva addosso le portavano. Sforzandosi di riprendere il controllo sui suoi sentimenti impazziti, April deglutì il nodo che le aveva chiuso la gola. «Mia sorella maggiore si è suicidata un anno fa.» confessò. «Ha bevuto del detersivo ed è finita in ospedale, è stata in un letto come questo per una settimana prima di morire ed io andavo a trovarla tutti i giorni! Le tenevo la mano ma lei non reagiva e…» un singhiozzo la fece sussultare. «Se tu adesso ti svegli ti racconterò tutto.» promise. «Ti dirò di Alyssa e dei bulli a scuola, parlerò con te di tutto e…» arrossì, scoprendo i denti in una smorfia. «La pianterò di fare la stronza e di risponderti male e ti dirò che mi piaci, sul serio… Quindi… Per favore… Svegliati…»
La stretta sulle sue dita si accentuò e la ragazza guardò stupita il viso di Chris, ora atteggiato ad un’espressione colpevole. «Non volevo spaventarti, April.»
Lei gli lasciò la mano di scatto e balzò in piedi, fulminandolo con uno sguardo carico d’ira. «H-hai sentito tutto?» l’accusò puntandogli un dito contro.
Lo sguardo di lui si fece ancora più imbarazzato mentre annuiva. Si tirò su a sedere con evidente fatica e usò il braccio buono per afferrarla d’impeto e stringerla a sé, con un movimento troppo veloce perché lei potesse impedirlo. Le poggiò la fronte contro il petto e sospirò. «Ero preoccupato per te.» sussurrò sopra il battito martellante del suo cuore.
April era così sconvolta e scombussolata da quelle emozioni che non trovò la forza di ribellarsi a quell’abbraccio. Gli posò tremante le mani sulle spalle e sbuffò. «Sei tu quello che è stato coinvolto in un incidente.» gli fece notare.
Lui ridacchiò con la bocca contro il suo giubbotto. «Sì, ma ho pesato a te tutta sola alla fermata dell’autobus, che mi aspettavi con gli occhi pieni di lacrime…»
«Adesso stai sognando!» mentì lei.
Un’altra risata. «Saranno le medicine. Sono pieno di antidolorifici fino agli occhi, sai?»
Suo malgrado, April si unì alla sua allegria. «Non spaventarmi più in quel modo.» gli ordinò.
Chris mugolò a labbra strette, soprappensiero. «Non prevedo di farmi investire, non nel prossimo futuro, almeno.»
«Dici?» lei sorrise.
Il ragazzo si staccò da lei e posò i gomiti sulle ginocchia, riflettendo assorto. «Beh, dipende.»
April inarcò le sopracciglia «Da cosa?»
Il sorriso smagliante che incurvò le labbra di lui trafisse come una freccia il cuore di lei. «Potrei prendere in considerazione un incidente di lieve entità se mi dicessi di nuovo che ti piaccio.»
Le guance di lei si infuocarono, ma non distolse lo sguardo. «Nemmeno in un’altra vita.» ribatté.
Lui le rivolse un’occhiata carica di significato. «Peccato perché tu mi piaci. E te lo dirò ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.» le fece l’occhiolino. «Ammesso che tu non voglia rimanere soltanto la ragazza alla fermata del bus.»
April sorrise, osservandolo di sottecchi. «Qual è l’alternativa?»
«Salici con me.» propose.
La ragazza gli tese la mano. «E dove andiamo?»
«Importa davvero?» domandò lui, stringendogliela.
«Certo!» esclamò lei. «Sennò tanto vale restare fermi.»
«Allora decidi tu.» concesse Chris. «Basta che sia un posto lontano, così nel tragitto mi racconti tutto di te.»
   
 
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