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Autore: TheSlavicShadow    05/04/2018    0 recensioni
Sei mesi dopo essere deiventata Iron Woman, qualcosa inizia a non andare come dovrebbe.
{Earth-3490; sequel di Wherever You Will Go}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Giugno 2006

 

Era riemersa dalla vasca quando i suoi polmoni avevano iniziato a protestare. Era una cosa che da bambina e ragazzina aveva sempre fatto. Si immergeva nella vasca e cercava di trattenere il fiato più a lungo possibile.

E non lo aveva fatto da molto tempo. Da quando l’acqua sulla testa le faceva venire attacchi di panico. Da quando era tornata dall’Afghanistan non aveva mai immerso la testa nell’acqua per più di qualche secondo. Aveva dei flashback. Sentiva delle mani che con forza la tenevano. Sentiva l’acqua che le entrava nel naso e in bocca. La sentiva entrare nei polmoni e bruciare tutto al suo passaggio. Si sentiva impotente come pochissime volte le era capitato.

Quei quattro mesi di prigionia l’avrebbero perseguitata per sempre. Erano qualcosa che per quanto cercasse di dimenticare ed andare avanti non riusciva a lasciarselo alle spalle. Shell shock era il termine che usavano in passato per descrivere il trauma riportato dai soldati. Un termine recente che non aveva neppure cent’anni, eppure era sicura che tutti i soldati, tutti i civili, tutti quelli che avevano vissuto una guerra in qualsiasi periodo storico dovessero riportare qualche danno. Era successo anche a lei. Sapeva che avrebbe dovuto parlarne con qualcuno, ma non poteva. Parlare di certe cose non le piaceva. Non credeva in un reale aiuto dato dallo sfogo. Sapeva che avrebbe dovuto provarci, ma non ci credeva affatto.

“Signorina Stark, è in quella vasca da quasi due ore.”

“Potrei restarci per altre due se solo l’acqua non fosse diventata fredda.”

Aveva collegato J.A.R.V.I.S. subito dopo colazione quando Steve era andato al lavoro. Non sapeva in cosa consistesse effettivamente il suo lavoro. Probabilmente passava la giornata ad allenarsi fino a quando Fury non decideva di mandarlo a fare davvero qualcosa. Perché dubitava che Steve facesse lavoro d’ufficio. Lo aveva visto qualche volta leggere dei rapporti e sembrava sempre molto annoiato, come lo era lei quando Pepper le portava documenti su documenti da controllare e firmare.

“J, hai finito l’analisi del nuovo nucleo?” Era uscita dalla vasca e camminando sulle piastrelle vi aveva lasciato impronte d’acqua. Se sua madre l’avesse vista le avrebbe fatto una paternale mentre le lanciava addosso un asciugamano. Una signorina di buona famiglia deve sempre avere un comportamento consono alla sua posizione, Tasha. Sentiva le sue parole come se davvero avesse appena varcato la porta del suo bagno per annunciarle che era in ritardo e che doveva sbrigarsi.

“Quasi. Ci sono molti più dati del previsto ed è sorprendente. Si autoalimenta e quindi non avrà davvero più bisogno di cambiarlo.”

“Ottimo.” Aveva guardato il proprio riflesso allo specchio. Aveva guardato il nuovo reattore e continuava a trovare orrenda quella luce in mezzo al proprio petto. Ma la teneva in vita e doveva farci pace. E Steve non sembrava così schifato quanto lo era lei. Steve la prendeva in giro. Le diceva che la usava come luce da notte. Oppure che sarebbe stata un’ottima luce di riferimento se mai si fosse perso. E lei allora lo colpiva facendo finta di essere offesa. Sapeva che Steve lo faceva per lei, per farle capire che a lui non interessava il suo aspetto. Almeno in questo erano uguali. “Quindi diciamo che se voglio fare il giro del globo seguendo l’Equatore, posso farlo senza neppure fare una pausa? Che velocità raggiungo adesso?”

“Ora siamo a Mach 3. Presumo che modificando qualcosa nella struttura dell’armatura, questa potrebbe essere anche più veloce.”

“E i viaggi nello spazio?”

“Questi glieli sconsiglierei. Almeno per il momento.”

“Non sei divertente. Potrei fare un salto sulla Luna ed essere la prima donna a metterci piede.” Si era spostata dallo specchio per asciugarsi e vestirsi. Era quasi ora di cena ormai, e lei aveva passato quasi tutto il giorno a rendere operativo J.A.R.V.I.S. in tutta la casa, proprio come aveva fatto a Malibu. E si sentiva meno pazza di quanto non lo era stata quella mattina mentre parlava da sola durante il lavoro. Parlare mentre lavorava la aiutava a concentrarsi molto spesso. Spiegare a voce i procedimenti che stava facendo e anche rispondersi da sola ai quesiti che si poneva. Per lo più domande retoriche a cui non serviva rispondere.

“Io opterei affinché lei presenziasse almeno ad una presentazione alla Stark Expo.”

“Sono ai domiciliari finché non prendono Vanko. Ricordi? E poi cosa vado a vedere? Hammer? Ti prego. Tiberius? Se Jarvis fosse ancora tra noi ti insulterebbe al mio posto. L’unico che mi interessava era Richards, ma Fury ha secretato così bene il suo file che non riesco ad accedere. E nessuno di loro risponde al telefono. Nemmeno quel cretino di Johhny Storm. E volevo chiedergli della sua missione nello spazio.”

“Signorina Stark, se rimane a New York potrebbe chiederglielo di persona, non crede?”

Steve glielo aveva chiesto. Mentre erano a letto, in un momento rilassante, Steve le aveva chiesto di restare per qualche tempo a New York. Fury aveva un lavoro per lui che lo avrebbe tenuto sulla costa orientale per qualche tempo e non voleva lasciarla da sola a Malibu. E lei aveva accettato. Non ci aveva pensato molto a lungo. Aveva guardato il suo profilo e poi si era spostata per guardarlo negli occhi. Gli aveva detto che potevano restare. Che potevano usare la Stark Mansion come nuova casa in attesa di fare qualche altro passo. C’era l’edificio che stava comprando. Poi c’era una nuova idea per le Stark Industries, ma doveva ancora parlarne con Pepper e gli altri soci. Era un’idea che le era venuta in mente mentre sorvolava gli Stati Uniti.

“Appena tutta sta storia di Vanko finisce, rapisco Reed e mi faccio raccontare tutto.” Era scesa nella sua vecchia officina e l’aveva osservata. Era per lo più vuota. Si era lasciata dietro pochissime cose, mobili soprattutto. Si era buttata sul divano e aveva acceso la televisione. Avrebbe seguito la Expo da lì, comodamente seduta nel suo vecchio divano di pelle mentre mangiava i panini che Steve le aveva preparato quella mattina.

Quella era la sua Expo. Quello era l’inizio del suo nuovo retaggio e lei se lo stava perdendo a causa di uno sociopatico pieno di rancore. Nella sua testa aveva programmato la sua presenza almeno all’85% delle presentazioni, sia per essere una brava padrona di casa che per curiosità. Poteva sempre trovare qualcuno da portare alle Stark Industries.

“Victor von Doom ha confermato la sua presenza per il prossimo weekend, ma senza Reed Richards e la sua squadra.”

“Reed, cosa stai combinando?” Si era passata una mano sul viso. Era curiosa. E la curiosità si sapeva uccidesse il gatto. Ma quando era da sola e si annoiava la curiosità si faceva troppo forte. E Victor von Doom non le piaceva, ma doveva sapere. Era spietato in tutto quello che faceva e lo era stato da quando erano più giovani e frequentavano il MIT. Non erano mai stati amici. Reed Richards si era sempre ritenuto più intelligente di tutti loro e quelle poche volte che lo incontrava in laboratorio era anche molto brava ad ignorarlo oppure a fargli vedere quanto era lungo il suo di pisello visto che quello era l’unico gioco a cui i maschi sapevano giocare. E Victor non la reputava degna della sua attenzione. Era solo una ragazzina di 14 anni che giocava a fare la scienziata e non capiva nulla del mondo, le aveva detto. Mentre lui e Reed stavano già lavorando alla loro ennesima laurea lei doveva ancora prenderne una.

Odiava gli uomini che finivano per circondarla. Le portavano solo guai alla fine. E la sottovalutavano sempre. Perché era stata così giovane e superficiale.

“Signorina Stark, invece di preoccuparsi così tanto per il dottor Richards e quello che sta facendo dovrebbe finire di revisionare quei progetti. La signorina Potts ha detto che gradirebbe averli per lunedì a mezzogiorno al massimo in modo da poterli poi consegnare al reparto di ricerca e sviluppo. E’ in ritardo di due settimane.”

“Perché non sai divertirti? Jarvis si divertiva sempre. Lui e Ana ballavano ogni sera. E poi giocavano a carte con mamma e papà. E non mi imponeva di finire il lavoro, ma di prendermi tempo per respirare.”

“All’epoca lei aveva 15 anni, signorina.”

Aveva fatto una smorfia stappando una bottiglia di birra e facendo finta di guardare la televisione. Aveva in realtà preso in mano il tablet e aveva aperto il progetto che stava revisionando prima di partire. Sapeva essere un adulto responsabile quando voleva. Sapeva benissimo che il lavoro di molte persone dipendeva esclusivamente da lei.

“A 15 anni non era così serio il lavoro come adesso. Papà mi metteva alla prova e io superavo i suoi test, tutto qui.”

“Almeno di questo si rende conto. Suo padre aveva sicuramente una grandissima stima della sua intelligenza, stando alle mie informazioni.”

Aveva sbuffato guardando il soffitto, per poi spostare lo sguardo sulla televisione. Un canale televisivo, pagato ovviamente dalla sua azienda, trasmetteva la Expo dal momento in cui si aprivano i cancelli al mattino a quando si chiudevano la sera dopo che l’ultima persona aveva lasciato il parco espositivo. Era orgogliosa di quello che aveva creato, di quello che aveva messo in piedi più per gioco che per altro. Un progetto per tenere la mente occupata. Ormai tutto era un progetto per tenere la mente occupata. Era il metodo più salutare. L’alternativa erano le droghe e l’alcool. E una vita sessuale molto promiscua.

Guardava la marea di persone che andava verso il palco centrale dove ci sarebbe stata la presentazione di Hammer. Entro breve sarebbero arrivate anche Pepper e la Romanoff. E se avesse avuto abbastanza fortuna avrebbe visto anche Steve sullo schermo. Di solito aveva cappellino e occhiali da sole quando li fotografavano o filmavano per strada. Questa volta non sapeva come sarebbe stato vestito. Forse da civile. Forse con la tuta tattica dello S.H.I.E.L.D..

“Signorina Stark, è in arrivo una telefonata con numero riservato.”

“Coulson, com’è il viaggio tra gli dei?” Aveva risposto subito senza pensarci. Se era un numero riservato di certo non era Steve e Coulson era l’unico che avrebbe potuto telefonarle perché aveva di nuovo rotto il perimetro e si era allontanata molto da casa.

“Ehi, Tasha, come andiamo? Ho raddoppiato la rotazione.”

“Come…?” Aveva riconosciuto subito quella voce dall’accento così marcato e sentirla le aveva fatto attorcigliare le viscere. Perché l’aveva contattata. Come aveva avuto il numero di quella casa? Nessuno doveva sapere che si trovava lì. Aveva dato una falsa pista ai giornalisti che la sapevano in una suite a Manhattan.

“Ho raddoppiato la rotazione come avevi detto tu. Doppia rotazione, più energia. Ottimo consiglio.”

“Mi sembri in ottima forma per essere morto.”

“Anche tu.” Lo aveva sentito ridere dall’altra parte della linea e questo non le piaceva. Era in una posizione di svantaggio e solo adesso se ne rendeva conto. Era rimasta in panciolle a trastullarsi con la Stark Expo, il nuovo elemento e il nuovo nucleo, il lavoro, e non aveva fatto nulla per rintracciare questo tizio che sbuccava da un passato di suo padre di cui lei non era mai stata a conoscenza. Aveva ordinato a J.A.R.V.I.S. di rintracciare la telefonata mentre Vanko riprendeva a parlare. I suoi occhi si erano fissati sullo StarkPad su cui si era aperta una mappa del mondo. Osservava il campo di ricerca restringersi. “Ora vera storia di nome di tua famiglia verrà scritta.” Vedeva il campo restringersi fino alla costa orientale e non le piaceva quello che le stava passando per il cervello. “Quello che tuo padre ha fatto a mia famiglia più di 40 anni fa, io farò a te in 40 minuti.”

“Magnifico. Ora non ci resta che vederci e sistemare la questione, non credi?” J.A.R.V.I.S. l’aveva informata che la telefonata proveniva da Manhattan e i quartieri limitrofi.

“Spero che tu sia pronta.”

La telefonata si era interrotta giusto un attimo prima che la sua intelligenza artificiale localizzasse il punto esatto da cui stava chiamando. Ma era a New York. Era così vicino. Poteva anche essere a Flushing per quello che sapeva. Poteva essere nascosto in uno dei padiglioni e aspettare il momento giusto per attaccare la Expo.

“Merda. J, chiama subito Steve.” Aveva una pessima sensazione. Soprattutto perché stava per iniziare la presentazione di Hammer e Hammer voleva rovinarla a sua volta. Era paranoica, lo sapeva. Ma la cosa le puzzava troppo. Qualcosa non tornava e c’erano troppe coincidenze.

“Tasha, sto lavorando.” Steve aveva risposto subito. Sapeva che avrebbe risposto non appena avesse visto il suo nome sul dispositivo. “A meno che non sia urgente…”

“E’ urgente.” Lo aveva interrotto mentre si avvicinava all’armatura che si era fatta portare come precauzione quando Steve le aveva chiesto di restare a New York. Quella nella valigetta che si era portata non le bastava più. Quella era solo per alleviare la sua paranoia. Se doveva restare a New York per più di un weekend aveva bisogno di un’armatura più seria per restare calma. Era nuova. Avevano finito di assemblarla prima di partire, in modo che fosse adattata al nuovo reattore. “Ho appena ricevuto una telefonata da Ivan Vanko in persona che ha minacciato di distruggermi in una manciata di minuti.”

“Avvertirò Fury.” Steve aveva parlato dopo qualche secondo, come se avesse aspettato che il suo cervello elaborasse bene l’informazione. “Tu non muoverti di casa. Sei tu il suo obiettivo.”

“Il suo obiettivo è distruggere il nome degli Stark. Non colpirà me. Distruggerà la Expo. Ci saranno morti e feriti se non interveniamo subito. Steve, allerta tutti. Io sto arrivando.”

Aveva chiuso la telefonata prima che Steve potesse ribattere. Il casco le si era chiuso attorno alla testa e l’interfaccia di J.A.R.V.I.S. era attivo. “Collegati al sistema delle comunicazioni dello S.H.I.E.L.D.. Voglio essere in contatto con Steve e i suoi uomini per sapere cosa sta succedendo in tempo reale.”

“La presentazione di Hammer è appena iniziata, signorina.”

“Merda.” Era uscita dall’officina più velocemente possibile. Sarebbe arrivata alla Expo in pochi minuti. Ed era una vera fortuna che fosse già a New York. Se fosse stata a Malibu sarebbe stato impossibile arrivare in tempo. Era una fortuna che avesse deciso di raggiungere Steve, anche se le metteva ansia il fatto che Vanko conoscesse i suoi movimenti. Con ogni probabilità avrebbe attaccato la Expo con o senza la sua presenza in città. Voleva distruggerla e annientarla, e quello che gli importava era essere visto mentre lo faceva. Poco importava se Natasha Stark fosse stata lì armata di tutto punto o a casa in pigiama a guardare un film.

“Tasha, Hammer ha iniziato la presentazione.” Steve aveva parlato ed era felice che J.A.R.V.I.S. fosse riuscito ad entrare nel sistema dello S.H.I.E.L.D.. Non lo aveva mai fatto prima, non a questo livello. “Ha presentato i suoi droni e credo che ora stia per presentare Rhodes.”

“E’ una presentazione che dovrò guardare e poi denunciarlo per qualcosa? Tipo diffamazione?”

“Beh, si crede meglio di te e cerca di convincere tutto il pubblico di questo. Natasha e Pepper sono tra il pubblico.”

“Tieni d’occhio, Pepper. Ti prego.” Vedeva le luci dell’Expo e in pochi secondi sarebbe giunta a destinazione. Non le importava di rovinare la dimostrazione di Hammer. Non le importava se quella sembrava la mossa di una ragazzina invidiosa che non voleva il suo rivale sotto le luci della ribalta. Hammer non poteva avere il suo momento di gloria. Non quando tutto quello che aveva fatto negli ultimi mesi era cercare di copiare la sua armatura. Fosse stato per lei non gli avrebbe mai dato uno spazio per la presentazione alla Expo, ma aveva dovuto cedere quando le avevano fatto notare il modo in cui lo aveva umiliato in diretta mondiale.

Era atterrata di fronte a War Machine e poteva già immaginare l’espressione di Rhodes dietro la visiera abbassata.

“Tasha, non dovresti essere qui. Mi farai avere dei problemi. Di nuovo.”

“Saluta il pubblico e fa finta di nulla. Lo spettacolo deve continuare.” Aveva affiancato il proprio migliore amico e stava salutando il pubblico. “E tu devi fidarti di me per una volta.”

“L’ultima volta che l’hai detto stavi morendo.”

“Stavolta moriremo tutti se non facciamo qualcosa. Temo che Hammer stia lavorando con Vanko.” I suoi occhi erano fissi sulla schiena di Hammer che stava blaterando qualcosa rivolto al pubblico. “Ho ricevuto una telefonata poco simpatica una decina di minuti fa, giusto mentre qui stava iniziando questa pagliacciata.”

“Ti ha solo accusata di essere egoista per non voler rivelare i segreti di Iron Woman al mondo.”

Natasha aveva solo sbuffato mentre muoveva qualche passo verso Hammer. Aveva bisogno di risposte. Doveva fermare Vanko e solo Hammer poteva aiutarla in questo. Con le buone o con le cattive.

“Dov’è Ivan Vanko?” Justin Hammer si era voltato verso di lei e lei stava davvero cercando di controllarsi dall’alzare un braccio e dargli un pugno. Quando vedeva Hammer, aveva sempre quella strana voglia di ricorrere alla violenza per liberarsi della sua presenza.

“Tasha, non so di cosa tu stia parlando. Starai ancora subendo le conseguenze del tuo ultimo ricovero.”

Odiava il suo sorriso. Odiava il modo in cui le parlava.

“Non lo ripeterò una terza volta, Hammer. Dove si trova Ivan Vanko?”

“Tasha, abbiamo un problema qui. Il sistema di controllo è stato compromesso.” Si era voltata verso Rhodes non appena questi aveva parlato e vedeva un lanciarazzi o un mitra o quel che era puntato verso di lei. Non era Rhodes. Non poteva essere Rhodes. Lui l’aveva sempre protetta, anche quando litigavano e non si parlavano per settimane. “Sei tu l’obiettivo.”

Avevano notato allora i droni di Hammer puntare tutte le loro armi verso di lei. Se non se ne fosse andata subito tutte quelle persone sarebbero rimaste ferite.

“Steve, fa allontanare tutti dalla Expo. Hammer è sul palco e non permettergli di fuggire.” Si era alzata in volo mentre sentiva Steve urlare degli ordini ai suoi uomini e i droni di Hammer che continuavano a puntarla. “Rhodey, ti aspetto fuori. Qui è troppo pericoloso.”

Era pericoloso ovunque, aveva pensato. La sua unica possibilità era portare i droni verso la baia, il più lontano possibile dai civili, mentre J.A.R.V.I.S. cercava di inserirsi nel sistema e riavviarlo. Quella era in quel momento la sua unica possibilità fino a quando qualcuno non fosse riuscito a trovare Vanko. Fino ad allora lei avrebbe volato cercando di rimanere in vita ed eliminare più droni possibili.

Quella situazione le aveva fatto tornare in mente Obadiah. Era passato troppo poco tempo da quando aveva dovuto combattere contro di lui che aveva rubato i suoi progetti per l’armatura. Che aveva rubato il suo reattore arc direttamente dal suo petto. E questo era molto simile alla sensazione di panico che aveva provato allora mentre cercava di trascinarsi in officina per recuperare il vecchio reattore. Quello che Pepper le aveva regalato e che lei voleva solo buttare via e non pensarci più.

E quella volta era stato diverso. La battaglia si era conclusa allo stabilimento delle Stark Industries, che di notte era praticamente deserto. Qui no. Qui non sapeva cosa fare. Se si fosse davvero allontanata verso la baia avrebbe messo in pericolo i civili che sarebbero stati presi di mira dai droni di terra.

“Tasha, Nat ha localizzato Vanko. Sta andando alle Hammer Industries per arrestarlo.” Steve aveva parlato mentre lei virava con forza e all’improvviso per evitare dei razzi. Avevano colpito una struttura che si stava pericolosamente piegando. “Stiamo evacuando i civili più in fretta possibile.”

“Lo so, lo sto vedendo. Non è che potresti eliminare qualche drone di terra con la tua super forza?”

“Di solito eliminavo i carri armati usando lo scudo come freesby, non a mani nude. Però potremmo avere bisogno di te anche qui a terra.” Aveva sentito un rumore di sottofondo, come se Steve stesse colpendo qualcosa e con molta probabilità lo stava facendo. “Le nostre armi sembrano solo scalfirli e ci sono troppi civili ancora.”

“Vedo di eliminarne qualcuno.” Aveva fatto un’altra virata. Altri droni non erano riusciti a seguirla e si erano schiantati contro varie strutture. Solo Rhodes continuava a starle alle calcagna, sparando contro di lei ogni volta che sembrava averla a tiro. Non l’aveva ancora colpita e l’avvertiva ogni volta che stava per sparare. E mentalmente malediva l’ego smisurato di Hammer che gli aveva fatto portare tutti quei droni alla presentazione. Certo, con molta probabilità lei avrebbe fatto lo stesso, ma almeno non avrebbe mai permesso ad uno psicopatico di metterci sopra le mani. Gliel’avrebbe fatta pagare cara. Su questo non aveva dubbi. Sarebbe stata lei a distruggere Hammer. E ora capiva come doveva essersi sentito suo padre quando per anni aveva avuto Stone come rivale. Anche se lei ovviamente non aveva mai considerato Hammer un vero rivale. Non lo aveva mai ritenuto al suo livello, nonostante Justin Hammer fosse sempre stato convinto di essere suo pari. “Steve, stai davvero lanciando il coperchio di un bidone dell’immondizia?”

“Certe abitudini sono dure a morire.”

“Non credo di voler sapere.” Aveva sorvolato il padiglione principale notando gli agenti dello S.H.I.E.L.D. che cercavano di combattere contro i droni. Non erano preparati a questo. Non avevano le armi adatte. Nessuno aveva pensato a questo. Erano pronti per un attacco diretto. Forse erano pronti anche per delle bombe. Ma non a questo. Non da qualcuno che in teoria lavorava per loro.

C’erano troppi civili. Troppe persone erano accorse alla Expo e questo la rendeva orgogliosa. Era riuscita a creare qualcosa di unico.

E ora li stava mettendo tutti in pericolo. Non voleva neppure pensare a quanti feriti c’erano già stati. A quanti ancora ce ne sarebbero stati. Doveva aiutare Steve e gli altri agenti a liberarsi dei droni di terra e poi si sarebbe allontanata da lì con i droni che ancora la seguivano.

E allora lo aveva visto, mentre si abbassava per distruggere qualche altro drone. Un bambino con una maschera e le mani guantate che alzava un braccio verso un drone che lo aveva puntato e stava per fare fuoco.

Aveva agito per puro istinto. Una toccata e fuga a terra in cui era riuscita a distruggere il drone prima che questi colpisse il bambino. E solo perché aveva una maschera di Iron Woman. Troppi bambini sarebbero stati in pericolo se non fossero riusciti ad eliminare tutti quei droni.

Quello era un punto debole e lo aveva realizzato solo in quel momento, mentre quel bambino controllava il suo guanto e una donna gli correva incontro per abbracciarlo con forza.

L’avevano colpita e se la sua armatura non fosse stata così resistente probabilmente sarebbe anche già stata morta.

“Tasha!” Contemporaneamente le voci di Steve e Rhodes l’avevano fatta tornare in sé.

“Solo un momento di distrazione. Rhodey, verso la serra. Steve, tu continua a lanciare i tuoi coperchi.” La serra era chiusa di notte, quindi almeno lì non doveva pensare ai civili. Avrebbe dovuto pensarci subito. Dirigersi immediatamente in quel posto ed evitare tutti quei danni, ma semplicemente non le era venuto in mente. Era arrivata fin lì con l’idea di combattere Vanko, non un’armata di droni.

“Tasha, attenta! Ti sono addosso!”

Non era riuscita a spostarsi abbastanza velocemente quando War Machine le si era schiantato addosso. Era finita a terra senza riuscire a stabilizzarsi e sapeva fin troppo bene che sarebbe stato difficile combattere contro un’armatura che aveva costruito lei stessa. Non le facevano paura le armi di Hammer in nuova dotazione su War Machine. Le faceva paura l’armatura stessa. Era anche quello un flashback.

“Se ne esco viva, giuro che ti smonto l’armatura pezzo per pezzo.” L’aveva colpito con un propulsore a sua volta, quel tanto che bastava per farlo allontanare da sé giusto per riprendere fiato. Non voleva combattere contro Rhodes, tutto qui. Era una così semplice che poteva capire esattamente perché Vanko le avesse messo contro il proprio migliore amico. Sapeva bene che lei non avrebbe mai combattuto seriamente contro di lui.

“Stark, sono alle Hammer Industries, ma Vanko se n’è andato.” La voce di Natasha Romanoff l’aveva colta di sorpresa. “Ora cerco di fermare i droni e di riavviare War Machine. Cerchi di resistere qualche minuto.”

“Ricevuto.” Aveva fatto una smorfia preparandosi ad un possibile attacco di chiunque. Rhodes. I droni. Vanko. Anche gli alieni, a quel punto, non sarebbero stati un’opzione da scartare visto come era capace di attirare la sfortuna su di sé. Si era avvicinata a War Machine che era ancora sdraiato a terra. Forse la Romanoff stava riuscendo a risolvere almeno il problema su di lui. Almeno di un alleato avrebbe avuto bisogno.

“War Machine è tornato operativo, ma altri cinque droni stanno arrivando.”

“Rhodey, abbiamo un problema. Smettila di fare la bella addormentata.” Gli si era inginocchiata accanto, colpendo con un dito il casco. Sapeva che gli avrebbe dato fastidio e così infatti era stato. L’uomo si era subito alzato protestando.

“Sono stanco di te e delle tue situazioni sempre mortali. Voglio chiedere le dimissioni come tuo migliore amico.”

“Sai che non puoi. Ti ricordo che hai firmato un contratto di amicizia che sarebbe durata verso l’infinito e oltre nella primavera del ‘95.”

“Eravamo allo Spring Break! Non puoi ancora parlare di quella storia! Sono passati dieci anni!” Rhodes si stava guardando attorno. Si sentiva il rumore dei droni e sarebbero atterrati in pochi secondi. “E tu avevi anche mentito ai tuoi genitori per venire allo Spring Break.”

“Ufficialmente ero a casa tua per vedere come viveva una famiglia del ceto medio afroamericana.”

“Nemmeno fossimo una razza in fase di estinzione.” Cinque droni li avevano accerchiati e li avrebbero attaccati subito. Non avevano tempo da perdere e avevano iniziato loro l’attacco. E questa volta non si era risparmiata. Aveva usato tutto quello che aveva messo nell’armatura per combattere i droni che si rivelavano davvero degli ossi duri.

“Tasha, abbiamo fatto uscire tutti i civili.” La voce di Steve era affannata ed era indecisa se fargli una battuta maliziosa o meno. Sarebbe stato un ottimo modo per alleviare la tensione.

“Pepper è uscita?” Conosceva bene la sua ex assistente. Sapeva che sarebbe rimasta fino alla fine per assicurarsi che tutti fossero al sicuro e solo allora se ne sarebbe andata anche lei.

“Sì, è con due agenti. Io sto venendo da te.”

“No, vattene anche tu, Steve. Sei praticamente disarmato. Sistemo questi e ti raggiungo io, ma tu resta dove sei.” Aveva fatto saltare in aria l’ultimo drone. Lo aveva colpito con più rabbia rispetto agli altri. Voleva Steve lontano da lì. Lo voleva da qualche parte al sicuro a fare il suo lavoro di agente S.H.I.E.L.D..

“Sono praticamente arrivato.”

“Stark, Rogers, smettetela. Ne sta arrivando un altro e non riesco ad entrare nel suo sistema. Credo possa trattarsi di Vanko, perché i suoi livelli sono nettamente superiori a quelli degli altri droni.”

Ed era Vanko. Era atterrato qualche attimo dopo a pochi metri da lei e Rhodes. E questa volta indossava un’armatura. Un’armatura molto simile a quella che aveva indossato l’Iron Monger. Doveva aver trovato dei progetti da qualche parte. Probabilmente glieli aveva consegnati Hammer stesso mentre cercava di costruire un’armatura come la sua.

E no, non le piacevano le fruste di energia che aveva esibito di nuovo. Non le erano piaciute a Monaco e le piacevano ancora di meno adesso che sembravano molto più potenti e letali.

“Hai perso.”

 
   
 
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