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Autore: RobertoBontempi    06/04/2018    1 recensioni
Il primo racconto si incentra sulla domanda 'Chi non hai mai visto gli Alieni?'
Il secondo racconto prospetta una nuova vita per la Terra
Genere: Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GLI  ALIENI

“Ti è mai successo di essere rapito dagli alieni?” domanda quello alto al grassoccio appena spinto dentro a viva forza.
Il grassoccio, G per gli amici risponde a quello che gli amici chiamano A:
“Sicuro. Tu vieni rinchiuso per la prima volta si vede. Questa cella imbottita a prova di suicidio è stata fatta per i casi gravi. Quelli che dicono di essere stati rapiti e poi rilasciati dagli alieni sono considerati tali.
Siamo solo noi due? L’altra volta eravamo in quattro e gli altri concordavano con me con quanto mi era capitato. L’astronave ovoidale che risucchiava dalla parte larga, è così?”
“Sì sì. Quando lo andiamo a raccontare nessuno ci crede e ci mettono dentro come pazzi.”
“Però” continua G “non sono cattivi questi alieni. Io in uno dei nostri deserti cercavo del ferro quando mi hanno preso. Mi hanno fatto degli esami, i raggi x, mi hanno preso un po’ di fluidi corporei e mi hanno riportato sano e salvo a fianco del mio cargocottero.”
“No, a me è andata diversamente. Io cercavo magnesio e come per te non c’era nessuno, così lontano dalle città. Racconti la verità e nessuno ci crede.”
“A chi lo dici. Ormai, a quanto pare, siamo in tanti ad aver fatto un incontro del terzo tipo.”
“Per me credo sia il quarto tipo” ribatte A.
“Come quarto?”
“Mi hanno portato con loro, quindi il mio incontro con gli alieni non rientra nel terzo tipo. Via nello spazio e in un attimo siamo giunti sul loro pianeta.”
“Davvero?” fa G con i bulbi oculari sporgenti per la meraviglia. “Ma perché ci prendono?”
“Per studiarci. Me mi hanno messo in un contenitore di vetro per mostrarmi in giro. E nel tempo che il loro sole … sì uno solo, dicevo tornasse di nuovo allo zenit mi hanno rimesso dove mi avevano prelevato.
Devono avere scoperto il trasferimento istantaneo fra due punti dell’infinito indipendentemente dalla loro distanza.”
“Ma perché vengono?” e G zampillava sudore per la curiosità.
“Credo per il nostro terreno comune, la nostra sabbia. Ho visto che trattavano i nostri banali lantanidi, sì il cerio, il samario, l’itterbio, il gadolinio, sì quelle robe lì come fossero preziosità.”
“Comincio a non credere più neanche a una parola. E avresti visto il loro pianeta? No no” sancisce G ritraendosi e aggobbendosi per lo scetticismo.
“Credimi almeno tu” si rilasciò A spoeti
zzato. “Le loro città non stanno sottoterra. In una ho visto una specie di torre aguzza tutta di ferro … eh, no … e che arrivava a toccare il cielo. In un’altra c’era una statua a terra che riproduceva le fattezze di quegli esseri con due grossi tentacoli superiori sempre uguali. Alla fine di una di tali braccia c’era una … come farti capire? Tieni presente una lanterna da cubicolo? Ecco, quasi, ma grandissima. E quella cosa era tutta corrosa dal passare del tempo e giaceva enorme e di rame. Lo so è incredibile ma sembrava proprio rame e addirittura stagno.”
“Un unico deserto, immagino” ironizzava G facendosi di mille colori.
“Al contrario, mio povero compagno di sventura. È tutto pieno d’acqua. Là scorre a fiumi verso… boh, fa conto un recipiente grande quanto tutti i nostri deserti messi assieme.” E nel ribadire le sue affermazioni A crea fra i tanti tubercoli superficiali due altre aperture vocali.
G ritrae altri tre tentacoli per lo sgomento:
“Un sole unico, la sabbia magari per la loro miracolosa propulsione, ferro, rame e stagno da buttare in cose inutili, acqua per tutto il pianeta… Tu non sei un caso” conclude G appallottolandosi del tutto nell’allontanarsi. “Tu sei ‘il caso’. Questi fanno bene a tenerti rinchiuso. Tu sei proprio matto!”
 
Roberto Bontempi
 
 
L’ INSIEME
 
Ramificano, signore, gliel’ho detto! Al microscopio quelle cellule cancerose si diramano e prolificano e le cellule figlie fanno lo stesso con velocità impressionante! Venga, la prego! Al più presto! Non sappiamo che fare. Stiamo tutti a guardare quello che vedono le telecamere nella sala operatoria.
Non ha capito niente, signore?
Le ripeto: quella donna doveva morire. Il carcinoma ai due seni era in stadio avanzato. L’operazione, ho visto subito, sarebbe stata inutile.
Tutte muoiono se sono così devastare dal tumore, ma lei non è morta. Ha capito, direttore?
Ha vinto lui. Chi? Il cancro. Ce l’ha fatta a non morire anche lui con la sua ospite. Forse è la prima volta che prolificando riesce a metamorfizzarsi. Sa, come le cavallette, le farfalle.
Mentre operavo la paziente, sempre con tutti i dati vitali evidenti sugli schermi, si è imbrunita e sformata come plastilina e in un tempo brevissimo.
Noi, inorriditi, siamo arretrati. Ho raccolto un po’ di quella donna con uno specillo. Sotto il microscopio le cellule sembravano fermentare, ribollire, si diramavano con angolazioni sempre diverse. Sembrava un’affascinante visione dei frattali matematici … sì, dell’insieme di Mandelbrot.
Fatto sta che da quella poltiglia in riorganizzazione biologica sono emerse una quindicina, forse più di forme delle dimensioni di un gatto. Orribili. Sembravano cimici di vari colori, piatte, simili e mai uguali, come per l’insieme di Mandelbrot due tondi diversi, uno per la testa e uno più grosso per il corpo. 
Mentre ce ne stavamo addossati e orripilati contro le pareti della stanza, quelle cose tutte assieme hanno spruzzato acido cianidrico! Sì, signore … mandorle amare, si sentiva e ci siamo sentiti male mentre cercavamo di uscire. Un mio assistente e la sua infermiera non ce l’hanno fatta.
I cimicioni si sono scavata una strada per entrare dentro di loro e noi possiamo solo guardare impotenti.
Vediamo quei corpi sussultare come fossero vivi e si scuriscono da un minuto all’altro, sempre di più, come la paziente che stavamo operando.
Corra, signore! Deve dirci che fare.
Aspetti. Vedo che da quei corpi, ormai masse scure conformate coi due tondi come quell’insieme, stanno scaturendo centinaia di quelle cimici ma più piccole, non più grandi di un topo e si avviano tutte su per il muro a infilarsi di piatto nel condizionatore.
Signore, quello ha una ventola ma più prese d’aria da cui quelle bestie…
Signore, è inutile che si muova ormai.
Il cancro, o come si chiama questa nuova vita, è piatta, multicolore, piccola con la facoltà di rimpicciolirsi ulteriormente, letale e forse intelligente. Si nasconderà dovunque e presto ce ne saranno miliardi di miliardi.
Signore … temo che l’umanità stia per cedere il posto alla cancerità.
 
Roberto Bontempi
 
(Vi do appuntamento al prossimo venerdì, 13 aprile, con il mio racconto A  IMMAGINE  E  SOMIGLIANZA)
   
 
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