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Autore: Elegy_Chan    11/04/2018    1 recensioni
Sullo sfondo di una grandiosa e splendente città di grattacieli la Principessa Peach, la dolce principessa del Regno dei Funghi e Pauline, la sindaca della metropoli si parlano per la prima volta dopo tante occasioni mancate e un'apparente incomunicabilità.
Entrambe, dietro le loro allegre apparenze, nascondono dei profondi rimorsi per alcune scelte sbagliate commesse in passato. Quale rapporto intercorrerà tra le due donne? Riusciranno a passare oltre ai loro errori?
Questa fanfiction conterrà alcuni spoiler importanti del gioco Super Mario Odyssey.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Mario, Pauline, Peach
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Peach, Tiara e Pauline 2  

Nel moderno attico illuminato solamente dagli abbaglianti riflessi delle luci esterne Pauline si muoveva nevroticamente per le stanze, come se cercasse qualcosa insistentemente ma senza tuttavia grande impegno. In parte mascherato dalla grande penombra che permeava la casa, il suo colorito si era fatto più pallido, e un principio di un’ombra violacea le si stava disegnando sotto gli occhi.
Nonostante l’orario, non si era ancora spogliata del fulvo tailleur madido di sudore;  si ravvisava solamente l’assenza dei tacchi neri, buttati disordinatamente lungo l’ingresso principale, e sostituiti solo dai suoi piedi nudi e infreddoliti dal clima notturno.
Era esausta dalla giornata trascorsa, ma faticava a chiudere occhio: quella ragazza dai capelli biondi e dai grandi occhi pareva rubarle il sonno, come se dietro al suo aspetto dolce innocente si scorgesse una megera.
Le iridi improvvisamente si rarefecero, e la giovane donna sprofondò sull’enorme letto che aveva tenuto in ordine fino poco prima: lo stomaco si contrasse e la gola si strinse fino a farle emettere un muto grido. Ecco, aveva capito qual era stato il suo errore più grande: non quello di lasciar interrompere la relazione con Mario, ma quello di non aver potuto far nulla per trattenerlo in città! Se fosse rimasto, chissà quale personaggio sarebbe potuto diventare; un grande imprenditore, sicuro! Se solo avesse voluto, avrebbe potuto conquistare New Donk City, esserne il protagonista; invece ha voluto seguire quel roseo e maligno miraggio, ed eternamente cercava di perseguirlo, cercandolo in tutti quei luoghi pericolosi.
Fece un sospiro profondo e analizzò la conversazione che ebbe la sera stessa con la Principessa Peach: meritava veramente i suoi biasimi? In fondo, in sua presenza si era presentata come una fanciulla molto gentile e trepidante di conoscerla, ma se fosse stata una maschera? Aveva rigettato Mario con così tanta nonchalance che non pareva per niente grata a lui per tutte le intese che le dedicò.
Sì, non poteva che essere un’ipocrita, una di quelle che Toalden cercava di evitare in quel capolavoro che stava particolarmente apprezzando: una manipolatrice che ben sapeva come bilanciare le proprie mosse. Perché Mario si era innamorato così pazzamente di lei? Come poteva venir raggirato così facilmente da una simile egocentrica viziata?
Dopo essersi ripresa, si rialzò sistemando le morbide e profumate coperte grigie e si affacciò sul bordo del balcone; sotto ai suoi piedi la vita sfavillava ancora, con automobili che rombavano e sfrecciavano per la via e dai risolini di gente mondana che tornava a casa. Il freddo le pizzicava le guance e i piedi, ma la giovane sindaca rimaneva ancora immobile, ora mirando il cielo violaceo opacizzato dalle luci vicine e dai grandi lampioni sottostanti.
Come si sarebbe potuta comportare con la sovrana del Regno dei Funghi, ospite tanto importante quanto ineludibile della sua città? Nonostante la sua immediata antipatia per lei, pensava di essere stata abbastanza garbata prima, così da permetterle di continuare i rapporti, che sperava rimanessero solamente diplomatici: per questa ragione ebbe l’arditezza di convocarla al municipio il dì seguente, per discutere dei rapporti futuri tra il regno della City e quello dei Funghi; ma a qual ripugnante fio!

Il lucidalabbra dai toni chiari e rosei era stato accuratamente sistemato lungo le piccole labbra rotonde, i capelli puliti e profumati le formavano delle grandi onde bionde che si susseguivano morbide fino al fondoschiena e la camicetta bianca era unita a quella gonna leggera da una sottile cintura impreziosita da un quarzo rosa. Poteva essere abbastanza presentabile per parlare ufficialmente col sindaco di una città così moderna e importante da essere tra i più potenti colossi economici al mondo? Sfortunatamente, credendo d’intraprendere un semplice viaggio di diporto, non aveva curato a mettere nel suo bagaglio degli abiti troppo formali, e quel completo che aveva appena ideato poteva faticosamente essere accettato in un ambiente simile.
Nonostante sole fosse già alto in cielo era ancora presto per quel fatidico incontro; Tiara era ancora cullata tra le braccia di Morfeo ma la principessa si era destata molto prima, da quando il cielo presentava ancora sfumature gialle, indaco e lavanda, di cui solo il vago brusio delle prime vetture riecheggiava fuori dall’ambiente in cui aveva passato la notte. Non sembrava essersi riposata a lungo, ma un chiarore nel suo volto sprizzava ugualmente una radiosità e la lieta impazienza di parlare nuovamente con Pauline; era piena di gaudio per il fatto che la sindaca abbia voluto vederla nuovamente, malgrado quella fulminea conversazione con cui aveva intrattenuto la sera prima. Frapposta a quella dolce eccitazione vi si celava un soffocato sentimento di costernazione, di vedere la sindaca così distaccata, come se fosse turbata solamente dalla sua presenza.  Era così diversa dalla donna energica e appassionata descritta con un pizzico di malinconia da Mario: subito dopo aver detto delle sciape frasi di convenienza e averle dato l’appuntamento, l’aveva subito abbandonata, mormorando alcuni espedienti per giustificare la sua partenza così repentina; la lunga notte primaverile non era ancora riuscita a fare capolino dalle sue ore diurne ed ecco che la sindaca che aveva incontrato involontariamente dopo a un suo concerto era svanita come l’ultimo suono di una melodia.
“Forse è una questione d’insicurezza”, cogitò la principessa dopo un primordiale sconcerto la stessa serata, divenendo via via più convinta della propria idea “Essendo la responsabile di una così grande città le potrei aver creato dei disagi, presentandomi così bruscamente al suo cospetto, non può essere che così! Magari da domani, confrontandomi con lei, potrà essere preparata a un incontro con me! Anche se avrei preferito vederci informalmente…” Socchiuse gli occhi e si discostò dai suoi pensieri.
I teli turgidi posti davanti alle finestre si ravvivarono in un acceso color avorio, e la sua giovane amica era ancora assopita, immersa fra le sue oniriche fantasie.
“Tiara, svegliati che è ora” sussurrò maternamente  la principessa sfiorando delicatamente la coroncina; la quale cominciò a mugugnare una nenia incomprensibile.
“Un altro po’, ti prego” si lamentò con voce abbassata scandendo le prime parole di quella giornata, ritirandosi rapidamente tra le rigide coperte dell’albergo, ma subito dopo un fascio di luce sfavillante le colpì direttamente gli occhi, infastidendola: la Principessa aveva appena aperto le tende e le aveva fatto giungere tutta quella fulgida cascata addosso!
“Svegliati, pelandrona!” ripeté più forte, mal trattenendo una risata divertita, mentre finalmente Tiara decise di uscire svogliatamente dal suo piccolo forte di stoffa, sbuffando come uno dei tanti caminetti delle aeronavi che affollavano la sua terra natia.
Rassegnatasi al crudele destino che la privava di ulteriori ore di sonno, la spiritella si sistemò rapidamente il velo che le si era aggrinzito durante la dormita e tornò la piccola fantasmina tenera e piena di energia che Peach aveva imparato ad apprezzare durante il loro rapimento.
Finalmente preparate, poterono finalmente uscire da quel grigio e tristissimo albergo, l’unico disponibile tra tanti pieni a New Donk City nonché quello più adatto per mantenere la principessa e la sua amica in una pace relativa, senza venire disturbate da eventuali ammiratori molesti o da critici di scelte di vita che sicuramente loro avrebbero potuto scegliere meglio, e si amalgamarono entusiastiche al vibrante viavai che già dalle ore antimeridiane si prospettava impalpabile.
E tra un: “Scusi, ci può cortesemente mostrare la via del municipio?” spiegando la mappa già mezza rovinata dalle ditate insistenti delle due amiche e dei conseguenti ringraziamenti, giunsero finalmente nella piazza principale.
Qual meraviglia poter constatare che dal vivo esprimeva maggiormente la sua grandiosità ancor più che dalle foto e dalle cartoline! Pareva proprio essere un posto creato per poter essere il punto di fuga del mondo, là dove tutte le strade di tutto il mondo vertevano, come una Roma avanguardistica. Gli imperiosi grattacieli creavano la cornice perfetta a un grande spiazzo verde, gremito di piccoli negozietti di souvenir dietro ai quali si prostrava una fila interminabile di turisti più interessati ad ottenere la propria copia in miniatura del modello del municipio che di averlo direttamente dietro di loro, e di tanti piccoli locali all’aperto popolati da altrettanti visitatori più saggi e lieti di poter rifocillarsi in un luogo esprimente un’imponente grandiosità che difficilmente si sarebbe piegata al corso del tempo e della natura.
Peach fece una lenta piroetta su se stessa, proprio sopra a quel globo stilizzato disegnato davanti all’ingresso del municipio; gli occhi lucidi e sgranati cercavano di mirare, invano, le invisibili cime di quei babelici giganti di cemento, lasciandosi sfuggire un ammirato gemito e una lacrima di commozione per essere parte integrante di quel quadro munificente che si stava prospettando.
Da un ritmo lento e regolare, il battito cardiaco della principessa accelerò talmente da non riuscire più a percepire i singoli palpiti: l’ora dell’incontro era sempre più incombente, e nonostante le gambe puntassero virtualmente già alla porta del municipio, e a salire conseguentemente per i piani infiniti, dovette trattenerle strenuamente lasciando che solamente qualche movimento continuo del piede potesse lasciar trapelare la sua impazienza. Nell’attesa aveva concesso a Tiara di prendersi uno sfizio nelle dirette vicinanze, e nonostante ella stessa non avesse fame, la coroncina aveva raccontato alla sua amica della bontà sovrumana del waffle che aveva giusto divorato nel cammino per tornare da lei, che la principessa promise di assaporare in un’altra occasione.
“Dai, andiamo” suggerì la principessa alzandosi e sistemandosi la gonna, prendendo per mano l’esangue mano di Tiara e dirigendosi ad ampie e tremanti falcate verso il portone dorato del municipio.

L’ormai infinito viaggio dell’ascensore oramai sfrecciante si concluse con l’apertura finale della porta cremisi e con una voce fastidiosamente metallica che ne annunciava il numero del piano.
Dal suo silenzioso ufficio bianco e dorato, Pauline riuscì a udire quel rumore e deglutì amaramente: cominciò a pentirsi di aver posto quella richiesta a una persona che non le trasmetteva nulla se non astio; ma era conscia che poteva comunque essere potenzialmente un’ottima occasione per trattare la sua grande potenza con un’altra dal passato glorioso e dalla reputazione buona e notoriamente pacifica.
“Ricordati, Pauline, che non siamo noi singole che influiamo nei rapporti internazionali, ma gli interessi comuni a ogni popolazione. Tratta la Principessa in quanto tale e non sfociare nel personale” Continuava a ripetersi ossessivamente nella testa come fosse un mantra, che però cominciò a perdere via via ogni significato ogni volta che lo pensava.
“Distacca i tuoi pensieri personali per la Principessa e fai il tuo dovere; sii lucida e brillante come al solito, e non farti abbindolare dalla sua presenza”
Bussarono alla porta, era il momento.  L’apparente anonimo segretario della sindaca era giunto con quell’annuncio; era troppo tardi per tirarsi indietro e la donna dai capelli mori e ondulati fece così entrare la bionda rivale in compagnia della coroncina.
Già quando si sedettero dall’altra parte dell’enorme e antica scrivania, uno dei pochi pezzi d’antiquariato che si potessero notare dentro al palazzo, si ravvisava in quell’incontro una piega negativa: gli occhi eccessivamente truccati (per coprire i segni del sonno perduto) della sindaca si socchiusero e guardarono di sbieco la presenza di Tiara, la piccola intrusa tubalese, e sollecitò in modo quanto più garbato a Peach e alla sua compagna: “Mi rincresce poter apparire eccessivamente severa, ma questa sarà una conversazione ufficiale tra due rappresentanti di Stato, quindi quella fantasmina potrebbe aspettare che finissimo di parlare prima di tornare in questa stanza?”
Mentre la sovrana del Regno dei Funghi non apparve immediatamente costernata, comprensiva delle intenzioni di Pauline, ma al contempo lievemente amareggiata al pensiero di lasciare la sua amica da sola per così tanto tempo, i grandi occhi della fantasmina divennero già lucidi e densi di lacrime solamente trattenute.
“Non si preoccupi, Principessa, chiamerò qualcuno affinché la sua amica non si annoi e possa fare una visita guidata gratuita al museo qui vicino” tentò di placare Pauline digitando qualcosa sul suo smartphone, abbozzando una frase perplessa di cui Peach stava solamente abbozzando l’inizio tra le sue labbra.
La giovane regnante lasciò uno sguardo ancor più rincuorante, al contempo comprensivo della decisione della collega nei confronti della sua amica, che abbandonò lo studio quasi in lacrime.

“Quindi, il Regno della City s’impegnerà a esportare nel Regno dei Funghi una maggiore quantità di componenti edili mentre il suo Paese ricambierà con il numero sufficiente per soddisfare il rapporto di domanda e offerta di funghi 1-up” contrattò finalmente il sindaco a metà riunione, digitando freneticamente sul computer vicino e facendo fuoriuscire dalla stampante i fogli oramai pregni di quanto scritto precedenza; affinché entrambe potessero firmare i nuovi accordi.
Malgrado il crescente inviso che la Principessa continuava ancora a scaturirle da quelle  parole così accuratamente scelte apposta per non sfigurare (doveva anche adesso recitare la parte dell’angelo caduto dal cielo?), doveva ammettere che era una buona politica: poche come lei riuscivano così abilmente a comprendere sia i bisogni del suo Stato che quelli del Regno, così da proporre un contratto vantaggioso per entrambe. Era soddisfatta, inoltre, anche dall’autocontrollo che ella stessa stava dimostrando con Peach durante quella situazione così delicatamente precaria, senza che il suo abbagliante pregiudizio sovrastasse almeno i rapporti lavorativi.
Dal punto di vista della Principessa, dopo l’iniziale sconforto per aver cacciato bruscamente la sua adoratissima Tiara, augurandosi che nel frattempo si stesse divertendo, si abituò ai modi cordialmente distaccati della sindaca e cominciò a convincersi che la donna si rapportasse con lei in quanto autorità e non come persona; e a malincuore vi si abituò. Ciononostante, fu ugualmente paga  di aver avuto la preziosa opportunità di parlarci e di poter migliorare le economie dei rispettivi Paesi con la loro riunione.
“Se lei è d’accordo, naturalmente, vorrei suggerire di porre a conoscenza i media della nostra nuova alleanza immediatamente dopo la fine del mio viaggio: ho riferito al mio consigliere della mia partenza poco prima di lasciare il castello, ma pare che il messaggio non sia stato riferito” accennò aggraziatamente l’ottima politicante; che con espressione lievemente costernata e rivolta verso i suoi sudditi preoccupati,  tamburellò le sue esili dita curate sul piano ancora libero dalle mille scartoffie poste disordinatamente sul tavolo; riscaldate dal battente sole di un mezzogiorno tardo primaverile, già tendente all’estivo e lievemente spostate dal caldo venticello. Pauline, pur ascoltando attentamente la Principessa, decise di chiudere la finestra, fino ad allora dischiusa per il caldo, per evitare ulteriore disordine; annuendo e mugugnando per farle capire che per lei non era un cruccio così importante questo rimando.
Ma proprio in quella fuggevole parentesi, la concentrazione della fanciulla di rosa vestita, fino ad allora deditamente assorta nel suo impiego diplomatico, cadde su un piccolo oggetto appartenente alla Sindaca: sotto alla scrivania si poteva intravedere una borsetta fucsia dai bordi argentei e dal lucente medaglione del medesimo colore, fu proprio quello che attirò il suo occhio. Nonostante l’azzardata combinazione cromatica, fu proprio quella che rendeva il piccolo oggetto così caratteristico; non era un oggetto molto grande, né provvisto di un design particolarmente complesso, ma rimaneva ugualmente un bell’accessorio, che Peach fu in grado di apprezzare genuinamente.
“Chiedo venia se interrompo così bruscamente il discorso per passare direttamente a una frivolezza simile, ma volevo dirle che quella borsetta che tiene sotto alla scrivania è deliziosa! Forse non si abbina molto al suo vestito, ma rimane ugualmente adorabile. Dove l’ha presa?”
Che non avesse mai detto quella frase!
La sindaca, sedendosi violentemente guardò la povera Principessa in cagnesco: era troppo. Ecco che le sue acerbe paranoie si erano palesate: la principessa si era mostrata per quello che era, ovvero una donna ipocrita e superficiale. Era palese che la Principessa volesse raggirarla con tutte quelle belle promesse, come aveva fatto astutamente con Mario, ma no; lei non ci sarebbe cascata, al contrario dell’adoratissimo amico.
Mentre l’espressione della sovrana del Regno dei funghi cangiava in una smorfia impaurita accompagnata da una serie tramortita di scuse, la donna dai capelli mori mise a tacere immediatamente la bionda sibilando glacialmente:
“Lo sapevo non fossi una buona presenza per la nostra città, e ne ho appena avuto la testimonianza”
“M-ma non credo di aver detto niente di male…” tentò di difendersi invano la Principessa, i cui grandi occhi azzurri scaturì una prima serie interminabile di lacrime, che lentamente le rigavano le guance rosse per la vergogna.
“Ah, no! Tu sei la dolce principessina a cui tutto è dovuto! Piangi affinché ti salvino da un mostro brutto e cattivo e oh guarda, hai un intero corpo di eroi che farebbe salti mortali per te!” urlò con vena sprezzante la donna, il cui paonazzo viso divenne del medesimo  colore del tailleur; che si stesse sfogando fin troppo con la sovrana con cui prima aveva stipulato degli accordi così tanto vantaggiosi? No, era ciò che la malcapitata meritava, secondo la cocente convinzione di quell’istante. Se Mario era troppo buono da impartirle una punizione adeguata, ci avrebbe pensato direttamente lei.
“Ma che c’entr-”
“Ah vero! Tu sei la schiavista dallo sguardo angelico, colei che ha rifiutato quella povera anima santa di Mario, che si è impegnato così tanto per farti felice, e tu che fai? La schizzinosa viziata che vuole il principe azzurro e che schifa in così malo modo un povero idraulico!”
Le sue orecchie la stavano ingannando, era così? Stavano veramente sgranando quelle parole o era uno scherzo di pessimo gusto da parte della sua psiche? I suoi arti, durante quell’impulsivo snocciolamento di quelle infondate accuse,  si erano tramutati in pietra, così come il respiro, ora impercettibile. La Principessa, tramortita dal dolore non pareva più umana, ma pareva una statua di carne rigida dai cui soli occhi sgorgavano lacrime, copiose.
Non fu più in grado di pronunziare parola, né di reagire per un periodo così breve eppure talmente infinito da parere quasi immerso in un’atemporalità.
Quando riuscì a schiodarsi dal suo torpore e stanca di quest’improvvisa e ingiustificata umiliazione morale, fuggì via, abbandonando immediatamente la sindaca alla sua ira; percorse a piedi le lunghe, infinite scale dell’enorme grattacielo, e incurante della bellissima giornata che si stava svolgendo esternamente si rifugiò nell’anonima stanzetta d’albergo dalla quale era uscita così tanto fiduciosa.

Contratti e documenti si sparpagliavano indistintamente tra il piano della scrivania e quello del parquet grigiastro su cui posava in piedi la ora costernata sindaca, che li stava lentamente raccogliendo e riordinando.
La donna dai folti crini scuri ravvisò uno di quei fogli freschi di stampa, pieno di lettere ma privo di una delle due firme, la sua, quello che doveva essere il simbolo di un’alleanza che ella stessa aveva interrotto proprio nel momento più cruciale; e per quale causa? Di quella borsetta buttata sul pavimento e parzialmente nascosta dal fogliame odorante d’ufficio.
Deglutì amaramente, e tremò, conscia di aver commesso uno sbaglio imperdonabile: aver ascoltato il suo insediante pregiudizio, e di aver sfogato le sue ansie, le sue frustrazioni e  le sue paranoie su una povera persona innocente;  malgrado avesse compiuto un atto a suo avviso deprecabile, si era dimostrata una giovane ragazza di buon cuore e di elevata sensibilità, desiderosa parlare con lei e conoscere la sindaca di una città così prosperosa nonché una delle più care amiche dell’idraulico baffuto.
Capì di averla gravemente vilipesa subito dopo che la fanciulla scappò attonita in quel labirinto di stanze e scalinate; quando ancora il suo viso era rosso d’ira ora esangue dalla tristezza e dal rimorso di un atto così immaturo. E una come lei, così impulsiva e immatura per delle simili sciocchezze meritava veramente il suo posto da sindaco? No, non lo meritava per niente; poteva anche impegnarsi attivamente per il benessere della città, ma rimaneva una persona iraconda e inadatta, esatto, per niente professionale per quel ruolo.
“Povera Principessa” ripeteva continuamente muovendo appena le labbra mentre raccolse le ultime carte, buttate con foga mentre stava sfogando il suo malessere contro la giovane sovrana “Non oso neanche immaginare come starà in questo momento. Dovrò chiederle delle scuse, ma serviranno veramente a qualcosa? Oramai non mi sopporterà più…”
L’orologio segnava le due nel computer ancora acceso e rimasto alla schermata del documento incompleto, ma la sindaca decise di uscire prima dal lavoro: al suo dubbioso segretario riferì che non si sentiva bene, ed era vero; una forte emicrania, accentuata dall’acerbo tedio di aver maltrattato la Principessa. Uscì sbrigativamente dal municipio, sorpassando l’ancora lunga fila di turisti, ma non si diresse a casa; rimase lì, inerme davanti al semaforo, sorpassata e guardata di sbieco dagli altri cittadini, mentre il flusso continuo della città non si fermava neanche per guardare il malessere del proprio capo.



---Note d’Autrice---

E finalmente sono riuscita, dopo mille difficoltà dettate maggiormente dalla scuola, a finire questo capitolo! Debbo ammettere che mi è parso molto difficile farlo, più che altro per una questione sia stilistica che logica dei fatti qui narrati. Come fanfiction sta diventando ben più corposa del previsto (tranquilli, non saranno più di quattro capitoli), e debbo dire che non mi dispiace come sta venendo (sperando siate d’accordo). Per questo vorrei ringraziare le mie due beta-reader, che stanno avendo la pazienza di  correggere un “mattone” simile.
Ovviamente se c’è qualcosa che non vi convince, ditemelo! Nonostante il primo capitolo sia passato in sordina, non significa che disprezzi le recensioni! C;
Poi, come vorrei sempre ribadire, nonostante i palesi screzi presentati del capitolo, non odio né Peach né Pauline, anzi, le adoro entrambe!
E chiedo scusa se il prossimo capitolo potrebbe tardare a venire, ma avrò un periodo molto intenso nelle prossime settimane…
In ogni caso, mi auguro che anche questo capitolo vi sia gradito, e ci vediamo nel prossimo!

   
 
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