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Autore: Daleko    11/04/2018    0 recensioni
"Lui camminava guardando lei, lei gli trotterellava al fianco fissando la strada. «Ma Nico che ha detto, viene per Olandese?» gli chiese all'improvviso. Alessandro notò lo smartphone crepato che stringeva nella mano destra. «Gli stai scrivendo?» domandò in rimando, occhieggiando lo schermo. «Sì, ma su Whatsapp non risponde» gli mostrò lei: gli ultimi sei messaggi erano stati inviati da Chiara. Alessandro apprezzò mentalmente il non aver trovato emoticon affettuose sullo schermo."
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"«Giuro che questa volta t'ammazzo, questa volta ti... Devi smetterla di tirarmi in mezzo a questa roba, hai capito?» ringhiò il ragazzo al telefono. Ci fu qualche secondo di silenzio riempito solo dalla pioggia. Nicola si era riparato sotto uno dei balconi del primo piano, l'acqua gli schizzava sulle scarpe ma la rabbia gli impediva di sentire freddo. «Senti Nico... Tu non devi rompere i coglioni a me perché tu c'hai i cazzi tuoi per la testa e all'improvviso te ne vuoi tirare fuori, t'è chiaro?». La voce al cellulare era stranamente glaciale, sgarbata, poco familiare. Il ragazzo non fu reattivo come avrebbe voluto."

Storia romantica ambientata all'Università "L'Orientale".

Feb2019: Storia modificata e revisionata.
Genere: Malinconico, Slice of life, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amori sanguigni'
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14.

 

Aveva smesso di rispondere alle chiamate, ai messaggi, ai tag sui social. Chiara era particolarmente preoccupata, e continuava a scrivergli almeno due o tre volte al giorno. Gli inviava gli appunti, le foto delle slide, le registrazioni che non scaricava nemmeno: lui visualizzava e non rispondeva, lasciava squillare il cellulare e le chiedeva mentalmente scusa.
Non era ancora tornato a casa. Aveva detto a sua madre di essersi fermato da Alessandro –ed era vero. Incrociava di rado i genitori dell'altro: spesso erano fuori città, e quando si trovavano a Napoli erano sempre a lavoro, in giro, a far cose. La madre si era preoccupata di chiedergli come stesse suo fratello, lui aveva ringraziato per il prestito e la conversazione era terminata lì. Erano trascorsi solo dieci giorni, ma l'ansia e la paura diluivano ogni istante in un'eternità. L'unica persona che sentiva al telefono era sua madre, la quale lo informava, tra le lacrime ogni volta, di non avere novità. Esclusa così la famiglia, gli amici e gli incontri occasionali, non restava che lui.
La tranquillità di Alessandro lo irritava e agitava come un maltempo interiore. Rideva, si muoveva per la casa fischiettando, poggiava la testa sul cuscino col desiderio di dormire –e dormiva, anche, senza pensieri o preoccupazioni. Lo invidiava e lo odiava per quella sua impermeabilità al dolore; l'unica volta in cui gli aveva chiesto della salute di Luca era stata parlando al telefono con sua madre, per aggiornarla sulla situazione. Subito dopo l'aveva sentito commentare il meteo, relegando lo stato di suo fratello a un argomento di conversazione qualsiasi. Quando ci pensava si rigirava tra le coperte, infossando il volto nel cuscino e scoppiando in lacrime; e se Alessandro era presente nell'appartamento, di solito, gli si avvicinava per consolarlo. Lo abbracciava, lo stringeva, gli parlava con dolcezza, gli accarezzava i capelli e il viso bagnato; ma tutto quello che avvertiva Nicola era un senso di vuoto indescrivibile, una recita studiata, con il preciso intento di far breccia nelle sue difese; e lui, già provato dal dolore, cedeva agli abbracci abbracciandolo a sua volta, ripetendo fra sé quanto profondamente lo odiasse.


 

Era un pomeriggio monotono, dal cielo coperto e le finestre chiuse ad attutire i rumori. Controllava i social svogliatamente, incapace di fare altro, e una fotografia catturò la sua attenzione: Chiara e un ragazzo abbracciati, seduti su di un muretto del lungomare. Fissò le due figure per qualche attimo, cercando di carpire qualche informazione in più dallo scatto; i due non sembravano in atteggiamento romantico, ma era una foto diversa da quelle che la ragazza scattava abitualmente con lui o con Alessandro. Forse lo aveva respinto? Non che Chiara fosse di chissà quale straordinaria bellezza, ma lui era eccessivamente brutto per lei. Pensò, malinconico, a quanti gossip stava perdendo in quei giorni. Chiara ne aveva sicuramente parlato con Alessandro, e normalmente lo avrebbe detto a entrambi, ma...
Il corso dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto da una riflessione agrodolce. Chiara che usciva con un altro? Digitò nella barra di ricerca il nome di Alessandro, aprì il suo profilo e controllò l'ultimo post pubblicato. Come immaginato, era di poco successivo la pubblicazione della foto da parte di Chiara. Aveva condiviso una canzone dei Sonata Arctica. Didascalia: "You touch me in many, many ways, but I'm shy, can't you see?" Una ragazza, tale Cinzia, aveva commentato con un cuoricino. Nicola ghignò, ruotando sul fianco destro. «Che sfacelo» mormorò tra sé, poi tornò sul profilo di Chiara per controllare meglio la foto. Era presente un tag, il quale lo portò al profilo di un ragazzo. «Giovanni, lavora presso "fotografo"... Che hipster del cazzo, dai. Fa le foto alla sua reflex, ma si può?» mormorava tra sé. «Povero Ale» sospirò ancora, chiudendo l'applicazione e lasciando il cellulare sul comodino dell'altro Alessandro, il proprietario di casa. Lo smartphone vibrò, lui si voltò a guardarlo e allungò una mano per recuperarlo.

L'unica persona alla quale rispondeva era Raf. Si era rifiutato di vederlo dopo quella imbarazzante visita a casa sua, e se possibile evitava di parlargli al telefono; ma ai messaggi rispondeva, ed erano l'unica cosa, in quei giorni, a farlo stare bene. Gli aveva scritto un semplice: "Hey, come stai?", e Nicola sentì il cuore stringerglisi disperatamente. Non poteva dirgli quasi nulla della situazione in cui si era cacciato, così era costretto a mentirgli. Rispose al messaggio, portando avanti la conversazione per qualche minuto, poi adocchiò l'orologio. "Scusa Raf, devo scappare. Ci sentiamo domani, ti scrivo io, ok?". Aspettò la risposta dell'altro, cancellò la loro conversazione e ripose il cellulare sul comodino, alzandosi di scatto dal letto.
Alessandro non gli permetteva di toccare il suo computer, ovviamente, ma gliene aveva portato uno da formattare e usare finché si sarebbe trovato a casa sua. Non aveva fatto domande sulla provenienza del portatile, limitandosi a fare quanto richiesto per poter riprendere il suo lavoro. Non impazziva all'idea di restare lì: aveva provato a tornare nel suo appartamento, ma la sola idea di sentire l'odore di Luca, di rivedere i suoi oggetti nella loro camera condivisa, lo faceva impazzire; e Alessandro non aveva problemi con la sua presenza, tutt'altro, così si era ritrovato a usare un nuovo computer. Continuava a odiare quello che stava facendo, ma lo faceva e lo faceva in silenzio.
Gli ci volle qualche minuto per stabilire una connessione sicura. Rispose alle email, approvò le vendite via web, trasferì delle comunicazioni, aggiornò gli store online. Dopo circa un'ora il grosso del lavoro era terminato; rimase per un po' a fissare la lista di stupefacenti in vendita, riflettendo sulla semplicità con la quale avrebbe potuto arricchirsi. Il flebile ronzio del portatile si confondeva a un lontano abbaiare, proveniente dalla strada. Sarebbe stato così facile...

Il cellulare vibrò di nuovo, lui ruotò sulla sedia ed emise un verso di sorpresa. «Già finito?» gli chiese Alessandro. Era seduto sul letto, sfilava le scarpe senza guardarlo, con gli occhi rivolti verso lo smartphone sul comodino. «Sì. Non ti ho sentito entrare...» «Ti cerca Chiara. Ma perché non la chiami?» lo interruppe l'altro. Nicola lo seguì con lo sguardo mentre si stendeva sul letto con uno sbadiglio, sfilando gli occhiali con una mano e lasciandoli, ancora aperti, sul suo cellulare. Il braccio destro era piegato dietro la nuca, nella solita posa che Nicola così bene conosceva. Lo vide socchiudere gli occhi, piegare un ginocchio fasciato dai jeans chiari, un piede scricchiolare nel calzino scuro. Rimasero in silenzio per qualche momento, poi Alessandro sorrise. «Perché non vieni un po' qui?» gli chiese con voce pacata. Non era una vera domanda, così come quello non era un vero sorriso. Nicola si alzò come un automa, in silenzio, camminando scalzo e avvicinandosi al letto. Poggiò un ginocchio sul materasso morbido, poi l'altro, infine si stese al suo fianco. Sentiva freddo nel pigiama leggero, e le maniche lunghe gli solleticavano i polsi ossuti. Avrebbe voluto afferrare lo smartphone, rispondere a Chiara, telefonarle. Dirle: «Oh Chiara, Giovanni fa schifo, non so chi sia Cinzia ma Ale ha una cotta per te, devo presentarti un ragazzo, si chiama Raf e lo trovo fantastico, usciamo a prendere un caffè o qualcosa del genere?». Ripeté in mente quelle parole, programmando una serata che sapeva non avrebbe realizzato. Invece lasciò che Alessandro gli avvolgesse le spalle con un braccio, avvicinandolo a sé, e che lo baciasse sulle labbra. Ricambiò. «Allora, che ti ha scritto la tua amica?» gli mormorò ancora. Nicola si strinse nelle spalle, ruotò, pigiò un pulsante sullo smartphone per illuminare lo schermo e lesse ad alta voce. «Ti va se domani sera mangiamo una pizza insieme?». La voce gli uscì roca, insicura, e Alessandro ridacchiò. «Sì dai, io non sono invitato?» scherzò poi, continuando a fissare il ragazzo. Nicola lasciò che lo schermo si oscurasse nuovamente, e il braccio muscoloso attorno al suo petto lo tirò all'indietro, riportandolo disteso. «Ho avuto una giornata stressante» gli comunicò l'altro. Gli occhi nocciola di Nicola rimasero fermi sul volto di Alessandro. La pelle chiara, curata, contornata dalla barba ben tenuta; il naso dritto, gli occhi chiusi, le labbra stirate in un mezzo sorriso. «Perché mi fissi?» mormorò, rialzando una palpebra per controllarlo. Nicola distolse lo sguardo. «Non ti stavo fissando...» «Ma guardalo, fa il timido. Vie' qua» lo tirò a sé ancora una volta, puntellandosi sul materasso con un gomito, il busto volto verso di lui. Gli alzò lentamente la maglia, scoprendo la pelle un centimetro alla volta; una sottile striscia di peli scuri collegava il pube all'ombelico, e Alessandro la seguì con un indice, risalendo fino al petto. Artigliò la maglia con il dito e l'alzò, aspettando che Nicola la sfilasse dal capo; il ragazzo lasciò che il tessuto gli si attorcigliasse sulla nuca, poi infastidito sfilò le maniche. Si ritrovò a petto nudo, con il capo infossato nelle spalle, e una forte sensazione di disagio ad avvolgerlo. Alessandro si chinò su di lui, sfiorando con le labbra un livido sul fianco sinistro. «Scusa, ti ho lasciato un segno...» soffiò in un bacio. Nicola fu scosso da un brivido di dolore e si mosse lentamente, per allontanare il volto dell'altro dal livido giallastro. «Non importa» bofonchiò. Non era il primo segno che Alessandro gli lasciava sulla pelle, sapeva che non sarebbe stato l'ultimo, ed era sicuro che quelle scuse fossero finte, proprio come le banconote che vendevano nel web. Tutta quella situazione era una messinscena; avrebbe voluto urlare la sua frustrazione, ma restò fermo mentre Alessandro sbottonava la camicia, la gettava sul pavimento accanto alla sua maglia, passava un polpastrello tra la sua pelle e l'elastico dei boxer. Fissava un punto indefinito nella stanza, lasciando che i pantaloni venissero tirati via, lasciando che i boxer incontrassero la stessa sorte, e si lasciò baciare ancora una volta la pelle. Alessandro gli mordeva il collo, stringeva con forza i suoi avambracci, gli graffiava le gambe. Si chiese come potesse avere due amanti allo stesso tempo; vedeva Mirko quasi ogni giorno, e quando tornava a casa ricercava sempre la sua compagnia. Sembrava instancabile, insaziabile di quelle attenzioni. Durante il tempo in cui erano stati separati, gli sembrava essere diventato ancora più violento. Una volta Nicola lo aveva trovato eccitante, forse perfino appagante; ma in momenti come quello –momenti in cui si aggrappava, annaspando, al pensiero di Luca in salute e felice– provava solo una forte nausea.

Ripiegato com'era tra le lenzuola, il volto seminascosto sotto il cuscino, gli sembrava di poter scomparire. Alessandro si muoveva con forza nel suo corpo, ansimando e modulando i movimenti. Di tanto in tanto cercava il suo riflesso, adocchiando lo specchio a parete, e gonfiava il proprio ego nel guardare i propri muscoli definiti, i pettorali tirati, i bicipiti abbronzati. Cercava i capelli di Nicola, li stringeva, gli spingeva il capo nel materasso, sospirandogli nell'orecchio, e lo colpiva, gli colpiva i fianchi, la schiena segnata da lividi, gli stringeva il collo con un avambraccio fino a farlo diventare cianotico, fino a farlo tossire. Lo feriva a sangue, poi gli chiedeva di guardarlo, di ammirarlo in quella dimostrazione di conquista, di sopraffazione, di amore unilaterale –Alessandro verso se stesso. Nicola stringeva i denti, distoglieva lo sguardo e sopportava il dolore. Si chiese se tutti i ragazzi fossero come Alessandro, poi si rispose negativamente. Ripensò a Raf, poi arrossì imbarazzato, temendo forse di poter essere visto in quel momento dal ragazzo, o che Alessandro potesse scrutargli nella mente. Invece Alessandro lo rivoltò senza gentilezza, gli afferrò le guance, gliele strinse fino a fargli male e gli cercò la lingua con la propria. Era routine, un programma al quale Nicola aveva scelto spontaneamente di sottostare; e anche se il suo corpo riusciva a trovarvi un lato positivo, lui continuava a sentirsi morto dentro.


Quegli incontri animaleschi spesso gli toglievano ogni energia, e col calare della notte, nell'oscurità della camera, riuscì ad addormentarsi nell'abbraccio caldo dell'altro ragazzo. Alessandro rimase a fissarlo per un po', carezzandogli distrattamente i capelli. Nicola respirava pesantemente, in modo appena irregolare; non si erano neanche rivestiti, e Alessandro si era limitato a tirare le coperte sui loro corpi sudati. Provò a spostare l'amante, probabilmente per dirigersi in cucina per uno spuntino, quando la sua attenzione venne attirata da una breve vibrazione. Portò lo sguardo al comodino, e un sorrisetto gli si allargò sulle labbra. Raggiunse il cellulare con la mano libera, stendendosi accanto a Nicola e leggendo la scritta appena arrivata. Fissò lo schermo per qualche momento, poi spostò gli occhi verso la figura addormentata accanto a sé. Sfilò lentamente il braccio occupato, incastrato fra la nuca dell'altro e il materasso, e scese dal letto. Recuperò i boxer, ancora con lo smartphone stretto nella mancina, li infilò e uscì dalla camera, incamminandosi verso il salotto. L'anteprima del messaggio aveva attirato la sua attenzione e Alessandro dubitava di non riuscire a entrare nel cellulare, nonostante un pin necessario e le abilità informatiche di Nicola. Conoscendo il proprietario dello smartphone, decise di non tentare la sorte per più di tre volte: scartò istintivamente il suo anno di nascita, e digitò solo il giorno seguito dal mese. "Due tentativi rimasti", spuntò sullo schermo. «Fanculo» digrignò il ragazzo, poi provò l'anno di nascita di Luca. "Un tentativo rimasto". Alessandro sbuffò. «Quand'è il compleanno di quel...» borbottò fra sé, gli occhi rivolti al pavimento in cerca di un numero perso nella memoria. Si era gettato pesantemente su di un divano, e il tessuto di pelle creava attrito con la propria, distraendolo. Gli ci vollero più di cinque minuti per ricordare il giorno esatto; lo digitò, facendolo seguire dal mese di nascita, e lo smartphone mostrò la lista di applicazioni installate. «Prevedibile» mormorò soddisfatto, poi aprì l'app di messaggistica e lesse il nuovo messaggio. "Scusa Nico, lo so che hai detto che mi avresti riscritto tu ma voglio chiedertelo il prima possibile... Ti va se domani sera ci vediamo? Magari mangiamo qualcosa da me? Non voglio che resti solo di sabato sera con tutto quello che è successo. Mi manchi". Seguivano non uno, non due, ma ben tre cuori rossi; Alessandro notò anche l'assenza di messaggi precedenti, o di quel numero nel registro chiamate. Eliminò il messaggio, bloccò lo schermo e tornò silenziosamente in camera, per riporre lo smartphone sul comodino e recuperare il proprio. Tornò in salotto, col cellulare fermo accanto all'orecchio.
«We, Ivan, puoi parlare?» domandò con la sua solita voce calma. Si grattò un orecchio, specchiandosi distrattamente nell'ingresso; era praticamente nudo, ma non sentiva freddo. «Bene. Ho una cosa per te. Puoi risolverla entro il finesettimana? ...sì, sì, solito indirizzo, ci mancherebbe. No, niente... Sì, te lo faccio avere entro un'ora. Il tempo che recupero... Eh no, non mi può aiutare!» scoppiò in una risata divertita, ancora fermo allo specchio. «Sì, è personale... Macché, non c'è bisogno. Certo, un'ora. Ti ricontatto io, ciao». Restò a fissare lo schermo per qualche istante, poi sbuffò. «Che rottura di coglioni» concluse, poggiando il cellulare sull'ingresso e dirigendosi, affamato, verso la cucina.

 



Note dell'Autore

Finalmente ho aggiornato! Non sparisco, giuro.

NB: Tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione.
   
 
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