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Autore: Stefy89M    13/04/2018    3 recensioni
“Storia partecipante al II CONTEST FANFICTION OBSESSION GALLAVICH: CAN WE BE FRIENDS?”
-Per queste settimane ti occuperai della pulizia all’interno dei reparti- disse oltrepassando le porte scorrevoli. Mickey la seguì lanciando uno sguardo alla grossa scritta che dava il benvenuto al “San Payer Ospital”, il fottuto manicomio di Chicago.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Storia partecipante al II CONTEST FANFICTION OBSESSION GALLAVICH: CAN WE BE FRIENDS?”
TITOLO: Un colore di più
AVVISI: AU
GENERE: Angst, Romantico, introspettivo
NOTE DELL’AUTORE: Per scrivere questa mini fiction mi sono ispirata all'idea di una storia bellissima che lessi tanto tempo fa (di un altro genere e paring). Ho utilizzato questa idea per scrivere una ff (ovviamente completamente diversa) che avevo in testa già da molto tempo. Spero vi piaccia e spero possiate lasciare un commento. Buona lettura!

 
Un colore di più
 
Vivete in un modo un po’ matto.
Una volta tanto.
E vedrete che succede. Illuminate la giornata. Colorate il mondo.
Solo per un po’.
[cit. Leo Buscaglia]
 
 
-CAPITOLO 1-
 
 
 
Nel South Side non c’era poi molto da fare. Nonostante i numerosi colpi di fuoco, le rapine a mano armata e gli inseguimenti selvaggi, Mickey Milkovich trovava la sua vita da adolescente problematico una vera noia mortale. Come un po’ i suoi fratelli (o fratellastri?) Mickey Milkovich passava interi pomeriggi a spacciare nel parcheggio del suo supermercato preferito, dove  a volte andava a rubare la salsa barbecue per le patatine. I suoi fratelli in realtà sceglievano di farlo al porto (il mega centro di spaccio del quartiere) mentre Mickey preferiva mantenere un profilo basso e non esporsi troppo. Preferiva di gran lunga bighellonare nel parcheggio del supermercato, fumare canne e osservare gente spingere pigramente i carrelli della spesa. A volte sua sorella Mandy lo raggiungeva per fargli compagnia. Mandy, a detta di Mickey, era forse l’unica persona del South Side a voler fare qualcosa di costruttivo per il suo futuro. La vedeva studiare a scuola, impegnarsi con i compiti e partecipare ad attività ricreative pomeridiane. Mickey ovviamente le trovava tutte stronzate. Frequentare la scuola anche di pomeriggio era da veri sfigati, oltre che essere una grandissima perdita di tempo. Comunque, in qualche modo, rispettava l’atteggiamento propositivo e volenteroso della sorella, e quando lei lo raggiungeva nel parcheggio per aiutarlo a guadagnare qualcosa per la cena, Mickey la cacciava via, non volendola mettere nei guai. Se Mandy desiderava avere un futuro migliore, non sarebbe stato di certo lui a rovinarglielo.

A Mickey del suo futuro non fregava un cazzo. Il suo futuro era già stato segnato. Quando nascevi in un quartiere come quello, con un padre che entrava ed usciva di prigione e che non si preoccupava che i suoi figli mettessero qualcosa sotto i denti, non potevi di certo credere che le cose sarebbero cambiate per il meglio. Mandy ci credeva… Mickey no.

Così, quando un giorno fu beccato a spacciare erba e sbattuto in riformatorio per più di 10 mesi, Mickey non sentì affatto il peso o la gravità del suo comportamento. La signora Danielle Bowers, la sua assistente sociale che pareva determinata a salvargli costantemente il culo, non sembrava pensarla esattamente così. Per qualche ragione a lui sconosciuta, la signora Bowers aveva fatto in modo che gli scontassero la pena di qualche mese e che lo facessero uscire dal riformatorio prima del dovuto. Si era appellata a qualcosa del tipo che lui non era in grado di capire cosa fosse giusto o sbagliato, e vista la sua situazione familiare disastrosa, non aveva avuto esempi corretti e puliti su come procurarsi dei soldi o del cibo per sfamarsi. In qualche modo quella stronzata aveva spinto i giudici ad avere compassione di lui e a ridimensionargli la pena. E in un universo parallelo, Mickey avrebbe anche potuto dirle grazie, se non fosse per quello che accadde dopo.
 
La signora Bowers lo stava accompagnando decidendo saggiamente di rimanere in silenzio. Mickey era incazzato. Per quanto avesse odiato il riformatorio, avrebbe di gran lunga preferito rimanere lì piuttosto che recarsi nel posto in cui erano diretti.
-Sarà solo per qualche settimana- aveva proferito la Bowers stretta nel suo tailleur grigio. Era una donna di colore robusta, tutta d’un pezzo e con la voce profonda. Mickey notò che nel suo tono non c’era alcun tipo di dispiacere o rimorso per averlo messo in quel casino, e questo lo fece innervosire ancora di più.
-Vedrai che questa esperienza ti sarà utile- continuò lei, ignorando l’aura negativa proveniente dal ragazzo che si trascinava svogliatamente dietro di lei.

-Sì, come ti pare- borbottò Mickey non volendole dare corda. Quella tizia aveva la brutta abitudine di fargli la paternale ogni due per tre. In quegli anni si era recata spesso a casa loro per accertarsi che suo padre (quando era fuori di prigione) non li maltrattasse, ma ovviamente Terry le intimava finemente di tenersi alla larga dalla sua famiglia. Nonostante ciò, era riuscita ad inculcare delle strane idee in testa a sua sorella Mandy: avere la possibilità di un futuro migliore, studiare al college e altre cazzate. Una volta, si ricordò Mickey, aveva provato ad affrontare un discorso del genere anche con lui, ma Mickey si era limitato a riderle in faccia e a mandarla a cagare. No. I discorsetti del “tu sei meglio di così” con lui non funzionavano.

L’edificio a occhio e croce era alto 5 piani, era grigio ed era tetro. Mickey storse la bocca. Quel posto metteva i brividi.
-Eccoci qua- disse la Bowers come se fosse il fottuto capo di quel luogo. Fece un cenno al vigilante che fece scattare prontamente il cancello. Attraversarono il giardinetto poco curato e Mickey si augurò che il suo compito fosse proprio quello di strappare le erbacce e spargere concime puzzolente; tutto pur di non mettere piede lì dentro. Ovviamente la Bowers lo smontò subito: -Per queste settimane ti occuperai della pulizia all’interno dei reparti- disse oltrepassando le porte scorrevoli. Mickey la seguì lanciando uno sguardo alla grossa scritta che dava il benvenuto al “San Payer Ospital”, il fottuto manicomio di Chicago.

Che cazzo, avrebbe accettato di tutto, avrebbe accettato persino di lavorare in un mattatoio col rischio di perdere una mano, ma non quello. Quello era veramente troppo anche per lui. Si mosse a disagio mentre attendevano che il capo della struttura li raggiungesse. La reception non sembrava molto paurosa, era bianca, era sterile, e nell’aria si poteva sentire un nauseante odore di disinfettante. Forse sarebbero stati clementi e avrebbero lasciato che si occupasse delle pulizie lì… Dio, gli sarebbe andato bene persino accogliere i visitatori e sorreggere i loro fottuti cappotti con un sorriso idiota.

-Merda- borbottò aggiustandosi lo zaino in spalla.

La Bowers lo guardò. –Che ti piaccia o no, questo sarà il tuo lavoro socialmente utile- gli disse col solito tono canzonatorio. Mickey roteò gli occhi. –Quindi vedi di comportarti bene. Fai tutto ciò che ti dicono di fare, sii puntuale, rispettoso, non dire parolacce, presentati a lavoro sempre ordinato e pulito, non attaccare briga, presta attenzione al-
-Cristo- la interruppe Mickey bruscamente –ho afferrato il concetto, d’accordo?!-

Danielle gli scoccò uno sguardo scettico. –Dico sul serio Mickey- riprese stavolta con la voce più bassa e ragionevole. –Ascolta: questa potrebbe essere la tua occasione per voltare pagina, per avere una vita migliore. Se lavorerai bene, alla fine delle ore, potrebbero anche decidere di assumerti e tenerti con loro. Potresti avere un buon lavoro, un contratto regolare, uno stipendio sicuro, malattia e ferie pagate… Pensaci. A me l’idea non farebbe così schifo…-

Mickey si masticò le labbra, in silenzio. Non aveva mai pensato a lungo termine, non si era mai posto una domanda sul suo futuro, su quello che gli sarebbe piaciuto fare o studiare... E non aveva mai neanche lontanamente immaginato che un giorno qualcuno avrebbe potuto/voluto offrirgli un lavoro. Semplicemente era impossibile.
A salvarlo da una risposta tagliente fu il capo della casa di cura.

-Perdonate il ritardo- disse senza sembrare veramente dispiaciuta. Era una donna sulla sessantina, alta, magra e austera. A Mickey stava già sul cazzo. I capelli biondi molto corti le incorniciavano il viso scarno e duro mentre gli occhi erano dipinti pesantemente da un ombretto verde opaco. A Mickey ricordava molto un personaggio delle vecchie telenovele argentine degli anni 80.
-Non si preoccupi, siamo arrivati poco fa.-

Il grande capo sorrise appena. –Lei deve essere il Signor Milkovich- disse poi rivolto al ragazzo. Mickey celò un brivido; era sempre fottutamente strano quando qualcuno lo chiamava “Signore”.
-Sono io- annuì cercando di mostrarsi educato e disinvolto. Poteva sentire lo sguardo della Bowers bruciargli sulla nuca. –Mi chiami pure Mickey-
Lei lo ignorò. –Sono la Dottoressa Anderson e per tutto il tempo del suo lavoro sarò la sua referente nonché il suo supervisore. Le faccio fare un giro, prego, mi segua. –

-Oh, allora io ne approfitto per salutarvi- intervenne la Bowers allungando una mano verso la Anderson. –E’ stato un piacere, per qualsiasi cosa ha i miei recapiti.- La Anderson le strinse la mano e Mickey le lanciò uno sguardo allarmato; stava già andando via?
Per qualche strana ragione si sentì improvvisamente solo, piccolo e disorientato. La Bowers gli toccò gentilmente una spalla e Mickey si irrigidì, evitando i suoi occhi, non era sicuro di poter sorreggere il suo sguardo e soprattutto il suo saluto.

-Ci vedremo presto- gli rassicurò come avendolo letto nel pensiero. –Ti chiamerò domani e mi racconterai come è andata, d’accordo?-
Mickey annuì, non guardandola. Non voleva che la Bowers si facesse strane idee sul loro rapporto; non erano amici, lui non aveva bisogno di lei e soprattutto lei non era sua madre. Quindi poteva anche risparmiarsi quelle frasi amorevoli del cazzo.
-D’accordo.- ripeté Danielle dandogli una piccola pacca, e visto che non ricevette risposta, salutò nuovamente la Anderson e si diresse fuori dall’edificio. Mickey si voltò giusto in tempo per vedere la sua schiena scomparire oltre le porte scorrevoli e si chiese se avesse dovuto almeno dirle un ciao.

-Bene.- proruppe la Anderson riportandolo alla realtà, -mi segua.-
La Anderson gli disse che avrebbe dovuto presentarsi alle 6 di ogni fottuta mattina per la prima settimana, in modo che imparasse e capisse quali fossero le sue mansioni, dopodiché, una volta autonomo, avrebbe dovuto ricoprire i turni notturni fino alla fine del suo lavoro socialmente utile.

Lavorare di notte. In un cazzo di manicomio. Mickey rabbrividì. Cercò di memorizzare seriamente tutte le indicazioni che gli venivano date perché non aveva alcuna intenzione di perdersi in quel posto, soprattutto la notte. Appuntò mentalmente dove si trovassero le fottute mazze e i fottuti secchi, la lavanderia, la mensa, il coso per timbrare il badge e lo spogliatoio del personale. Gli faceva già male la testa.

Attraversarono l’ennesimo corridoio bianco e sbucarono in quella che doveva essere la sala comune dei pazienti. I ricoverati  portavano una divisa gialla, un po’ scolorita. A Mickey sembravano dei carcerati, ma man mano che si faceva largo nella sala, iniziò a notare i loro comportamenti anomali; un uomo parlava e inveiva contro il muro, una donna anziana si dondolava sulla sedia ridendo con una bambina, altri giocavano a carte o seguivano in maniera troppo passiva la televisione e Dio, c’era persino un ragazzo! Doveva avere qualcosa come due o tre anni in meno di lui ed era chinato su un tavolo a disegnare furiosamente qualcosa. Mickey deglutì. Voleva andar via.

-Questa è la sala comune dei nostri pazienti. Dovrà pulirla subito dopo l’ora di pranzo.- disse la Anderson avviandosi verso la grande finestra che dava sul cortile esterno. –Questa invece dovrà pulirla sia dopo pranzo sia dopo cena. A quanto pare ai nostri pazienti piace imbrattarla di cibo.-

Accanto alla finestra era posizionato il tavolo rotondo dove il ragazzo stava disegnando. Vista la vicinanza, Mickey non poté fare a meno di lanciargli uno sguardo più approfondito; aveva folti capelli rossi e il suo viso era ricoperto da tantissime lentiggini. Sembrava corrucciato. Evidentemente lo scarabocchio che stava disegnando sul foglio non lo convinceva.
-I vetri devono essere sempre molto puliti- stava continuando la Anderson indicandogli alcune delle finestre che circondavano la sala comune –soprattutto negli orari di visita, voglio che i parenti non vedano tracce di cibo o vomito sparse nella sala-

Mickey non la stava più ascoltando. Stava osservando il ragazzo dai capelli rossi… sembrava così normale, com’è che si trovava in quel posto? I lineamenti del viso erano delicati, le labbra piene e rosse, forse un po’ troppo gonfie perché torturate continuamente dagli incisivi. Stava disegnando su un foglio stropicciato, in mano stringeva una matita consumata, forse troppo piccola per la sua mano.
Mickey sobbalzò quando il ragazzo si accorse finalmente di essere fissato; sollevò su di lui due occhi verdi e profondi e Mickey sentì lo stomaco contorcersi in modo strano. Lo aveva beccato.

Vide il ragazzino spalancare leggermente la bocca, sorpreso, forse perché anche lui non si aspettava di vedere qualcuno della sua età lì dentro. Ma lui, si disse Mickey, a differenza sua non era un fottuto pazzo.

La Anderson si schiarì la voce per richiamare la sua attenzione; evidentemente non gli era sfuggito quel gioco di sguardi perché si parò velocemente davanti a Mickey, dando la schiena al ragazzo coi capelli rossi. –Regola numero uno, Mickey. Non dare mai confidenza ai pazienti. Mai. Non parlare con loro. Non interagire con loro. Non guardarli. Sono stata chiara?-
Mickey scrollò le spalle.
-Ho detto, sono stata chiara?-

-Sì- fece Mickey interdetto, sussurrando un Cristo. Se per quello, nemmeno lui aveva alcuna intenzione di dare confidenza a quei pazzi! Ma che cazzo pensava? Che si sarebbe messo a giocare a poker con loro? Il solo pensiero gli faceva accapponare la pelle. E poi cos’era? La Anderson aveva già abbandonato il “Signor Milkovich” e i suoi modi pomposi per minacciarlo?

A questa riflessione sogghignò. E così la tipa stava già perdendo le staffe e la pazienza senza che si fosse lontanamente impegnato?! Oh, allora non aveva proprio idea di con chi avesse a che fare. Il gioco iniziava a farsi interessante… Adorava indispettire la gente.
-Sarà meglio.- concluse la Anderson dando poi una veloce occhiata al suo orologio da polso. –Cominci fra un quarto d’ora. Va’ a cambiarti-

Mickey si rimise garbatamente lo zaino in spalla e uscì dalla sala comune, ignorando volutamente due grandi occhi verdi che continuavano a fissarlo ossessivamente.

Quel tizio iniziava a dargli la pelle d'oca.
 
 
 
 
  
 
 
 
 
   
 
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